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CONFIMI
Rassegna Stampa del 24/03/2016
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INDICE
CONFIMI
Il capitolo non contiene articoli
CONFIMI WEB
23/03/2016 www.primapaginamolise.it 17:46
Crisi edilizia, in campo il centrodestra
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SCENARIO ECONOMIA
24/03/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Sì a Banco-Bpm, la terza banca italiana
8
24/03/2016 Il Sole 24 Ore
Serve una risposta internazionale
10
24/03/2016 Il Sole 24 Ore
Un salto di qualità per tutto il sistema
11
24/03/2016 Il Sole 24 Ore
Nasce un colosso da 170 miliardi
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24/03/2016 Il Sole 24 Ore
La ripresa accelera nelle città di provincia
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24/03/2016 Il Sole 24 Ore
Network Onu per difendere la crescita del turismo
17
24/03/2016 La Repubblica - Nazionale
Bolloré, il re di Francia che si mangia Telecom
18
24/03/2016 La Repubblica - Nazionale
La Finanziaria di Schaeuble dimentica l'austerità Soldi per tutti
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24/03/2016 La Repubblica - Nazionale
Slitta la vendita delle 4 "good bank"
21
24/03/2016 La Stampa - Nazionale
Blitz Hitachi, blindata Ansaldo Sts
22
24/03/2016 La Stampa - Nazionale
"Aziende, patto tra Milano e Torino per spingere l'Italia verso la ripresa"
23
24/03/2016 Il Messaggero - Nazionale
Banco-Bpm, nasce la terza banca italiana
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24/03/2016 MF - Nazionale
Caio: pronti a tranche bis
27
24/03/2016 MF - Nazionale
QUEI PRETENDENTI DORMIENTI PER RCS
28
SCENARIO PMI
Il capitolo non contiene articoli
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1 articolo
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Crisi edilizia, in campo il centrodestra
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La giornata di manifestazione e riflessione organizzata dall'ACEM lo scorso 21 marzo ha riportato al centro
del dibattito la gravissima situazione di crisi del comparto edilizio e conseguentemente di tutto l'indotto, un
grido d'allarme, l'ennesimo, che abbiamo raccolto presentando la richiesta di convocazione di un Consiglio
regionale monotematico per affrontare in maniera organica e precisa le difficoltà dell'edilizia molisana.
Un settore che ha pagato a caro prezzo le conseguenze di una crisi largamente diffusa anche a livello
nazionale, come peraltro testimoniato anche dall'ultimo rapporto di Movimprese del febbraio 2016 che ha
evidenziato come nel settore delle costruzioni ci sia stato nel 2015 un saldo fortemente negativo, nello
specifico sono venute a mancare 6.055 imprese in tutto il territorio nazionale.
Venendo al caso del Molise, sempre in base ai dati diffusi da Movimprese, a fronte di 4.191 imprese
registrate quelle attive sono 3.811 (erano 4.035 nel primo trimestre del 2013), così ripartite: 1.571 nella
sezione della costruzioni di edifici, 82 nell'ingegneria civile e 2.158 nel lavori di costruzione specializzati;
301 le imprese cessate, solo 171 quelle iscritte. Ricordiamo anche le 12 procedure fallimentari aperte nel
2015, il 71,40% in più rispetto al 2014, per un tasso di fallimento del 2,9%.
Da questi numeri si evincono bene le difficoltà di un settore al collasso, che in Molise ha perso più cinque
mila posti di lavoro e che avrebbe richiesto un intervento forte da parte della Regione, anche perché
entrambe le tematiche, ossia quella dei lavori pubblici e dell'urbanistica, sono strettamente collegate al
tema occupazionale incredibilmente sparito dall'agenda politica di questa Giunta.
Le problematiche evidenziate dall'ACEM e dal comparto degli edili sono sempre le stesse degli ultimi anni:
il ritardo nei pagamenti delle imprese, molto superiore ai 60/90 giorni invece previsti dalle norme nazionali,
e la totale mancanza d'investimenti in un settore che, dati alla mano, rappresenta una percentuale molto
alta del PIL regionale e che negli anni è sempre stato un traino importante per la crescita del Molise.
La diretta conseguenza di quanto sopra rilevato comporta per le imprese non solo la difficoltà ad
approvvigionarsi le forniture, ma anche a far fronte al pagamento delle spettanze dei lavoratori e al saldo
delle imposte, in una spirale senza fine per le aziende molisane del settore edile, sempre più spesso
costrette a chiudere perché attanagliate dalla morsa dei debiti accumulati e riconducibili a colpe non loro.
In questo contesto di profonda crisi non si è mai palesata la ripresa del comparto edile molisano,
annunciata più volte in pompa magna dal Governo regionale, un settore individuato come "prioritario per
l'economia della Regione", affermazione alla quale non sono poi seguite quelle "proposte concrete e scelte
funzionali" annunciate nel primo tavolo di confronto del maggio del 2013. Allo stesso modo ancora non si
sono visti gli effetti del tanto sbandierato piano d'interventi per la viabilità, finanziato con fondi della
precedente amministrazione regionale, 107 milioni messi in campo per l'avvio di lavori allo stato attuale
ancora non ancora aggiudicati e cantierati, con il concreto rischio di perdere una parte importante di questi
finanziamenti, per inciso lo scorso dicembre già decurtati dell'1,5%; difatti se entro il 30 giugno 2016 non si
partirà con i cantieri un altro 15% dei 107 milioni disponibili andrà perso.
Eppure il piano era stato costruito "con serietà nel rispetto delle norme a beneficio anche del settore edile
con l'avvio della costruzione di nuove opere", come presentato pubblicamente dal Presidente Frattura e
dall'Assessore Nagni.
Senza dimenticare la delicata questione della ricostruzione post sisma che nonostante le rassicurazioni e le
promesse continua ad avanzare a singhiozzo, con il conseguente blocco dei cantieri stante l'impossibilità di
lavorare con stati d'avanzamento fermi da un anno e mezzo, e con le stesse imprese che ancora oggi
lamentano il mancato ricevimento dei finanziamenti giunti a fine dicembre nelle casse regionali, 26 milioni di
euro sui quali la Regione non ha ancora dato garanzie in riferimento ai tempi dello sblocco.
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23/03/2016 17:46
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Per tutte queste ragioni abbiamo deciso di firmare e presentare la richiesta di convocazione del Consiglio
regionale monotematico sulla profonda crisi del settore edilizio molisano, per pervenire all'approvazione un
pacchetto di proposte organiche e urgenti che puntino a rilanciare il settore e a impedire che si aggravi
maggiormente questa crisi occupazionale del comparto.
Angela Fusco Perrella, Michele Iorio, Nicola Cavaliere, Giuseppe Sabusco
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SCENARIO ECONOMIA
14 articoli
24/03/2016
Pag. 1,36
diffusione:332893
tiratura:417702
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Sì a Banco-Bpm, la terza banca italiana
I board approvano la fusione, nasce un gruppo da 2.500 sportelli. Verona, aumento da 1 miliardo La spinta
di Mediobanca per l'accordo. Nouy (Vigilanza Bce): c'è spazio per ulteriori aggregazioni
Fabrizio Massaro
MILANO Dopo più di due mesi di travagliate trattative e a circa dieci anni dalla stagione delle grandi fusioni
Intesa-Sanpaolo, Unicredit-Capitale e Mps-Antonveneta, nasce il terzo gruppo italiano: Bpm-Banco
Popolare, forte di 4 milioni di clienti, 2.500 sportelli, quasi 120 miliardi di impieghi, l'8% del mercato.
Ieri i consigli dei due istituti, riuniti per l'intera giornata, hanno approvato il progetto di fusione, dopo che la
Vigilanza Unica Bce aveva verificato che fossero rispettate tutte le condizioni poste per il via libera: in primo
luogo l'aumento di capitale da 1 miliardo (in varie forme tecniche) varato ieri dal Banco Popolare, per far
partire la superbanca - spa di nuova costituzione - con un patrimonio del 13,6%. Francoforte ha voluto
ponderare bene il via libera, essendo la prima integrazione nell'eurozona sotto la Vigilanza Unica. BpmBanco è anche la prima fusione tra popolari a un anno dal decreto Renzi che le trasforma in spa: «Le
riforme funzionano, le Popolari cambiano: più grandi, più forti, più trasparenti», ha twittato il ministro
dell'Economia, Pier Carlo Padoan.
Sarà una fusione - da votare a maggio e da perfezionare entro il 1 novembre - di fatto alla pari, a trazione
veronese: il 54% sarà dei soci veronesi, i 46% di quelli Bpm. Gli interventi sul capitale rafforzano il Banco,
che è quasi 3 volte più grande di Bpm pur capitalizzando di meno (2,6 contro 3,1 miliardi) per il peso dei
crediti deteriorati. Il matrimonio sarà così tra una banca sana (Milano, che ottiene la sede legale) e una
risanata (Verona, che ottiene la sede amministrativa), con un board tradizionale a 19 membri, che poi
scenderà a 15, compreso un rappresentante dei dipendenti. Alla presidenza andrà il veronese Carlo Fratta
Pasini («operazione straordinaria», ha detto), con il ceo di Bpm, Giuseppe Castagna, capoazienda e quello
di Verona, Pier Francesco Saviotti, alla guida del comitato esecutivo.
I titoli ieri sono rimasti sospesi per l'intera seduta. L'ok di Francoforte era atteso, dopo le ultime modifiche di
martedì sera in extremis al piano effettuate con gli advisor Lazard e Citi (Bpm), Mediobanca, Merrill Lynch e
Colombo & Associati (Banco) e i rispettivi legali Lombardi Molinari Segni e Gatti Pavesi Bianchi e Marchetti.
Era stata in mattinata la presidente della Vigilanza Bce, Danièle Nouy, a far capire che si era vicini al sì:
«Mi pare di aver compreso dai giornali italiani che le condizioni che abbiamo posto, che sono esattamente
le stesse che poniamo in ogni Paese vigilato, siano state capite dalle banche e dalle autorità italiane,
dunque ora si dovrebbe procedere abbastanza velocemente. L'Italia è fra i Paesi dove c'è spazio per
fusioni allo scopo di avere banche più profittevoli e con modelli di business più sostenibili», cioè «più forti,
non più deboli».
Fonti Bce hanno detto che non c'è stato un «negoziato». In realtà, secondo altre fonti, l'interlocuzione ci
sarebbe stata. Un ruolo decisivo l'ha giocato Alberto Nagel, ceo di Mediobanca (da sempre vicina alle
Popolari), tenendo le fila dei contatti con autorità, Tesoro e Vigilanza. Venerdì era intervenuto Padoan a
spingere per l'operazione «con il soddisfacimento di tutti i requisiti» posti dalla Bce. Un punto di equilibrio
sarebbe stato trovato nella Bpm spa: la Bce non avrebbe concesso nuove licenze bancarie, e così si userà
la licenza della Pop. Mantova. Le sinergie lorde sono stimate in 365 milioni, con oneri una tantum pari al
150% delle sinergie di costo. La creazione di valore attesa è di 1,9 miliardi.
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Le due banche a confronto Anno di fondazione Impieghi Sportelli Dipendenti Utile netto 2015 Dividendo
Patrimonio** Crediti deteriorati lordi Sofferenze lorde Copertura deteriorati Copertura sofferenze
Capitalizzazione Variazione da inizio anno 1865 34,1 miliardi 2007* Fonte: dati societari *Per la fusione tra
Pop. Verona-Novara e Popolare Italiana (ex Lodi) **Cet1 fully loaded d'Arco Banco Popolare Banco
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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24/03/2016
Pag. 1,36
diffusione:332893
tiratura:417702
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Popolare Milano 83,5 miliardi 705 1.813 7.740 16.731 289 milioni 430,1 milioni 0,027 euro 0,15 euro
12,21% 12,4% 5,99 miliardi 20,64 miliardi 3,27 miliardi 10,47 miliardi 39,5% 31,9% 54,5% 38,3% 3,1
miliardi 2,6 miliardi -24% -44%
La fusione
Bpm e Banco Popolare hanno trattato per oltre due mesi la fusione per dare vita al terzo gruppo bancario
La Bce, che si trovava a valutare la prima operazione sotto la Vigilanza Unica, ha imposto rigide condizioni
sul capitale per abbattere le sofferenze
Foto: In alto, Pier Francesco Saviotti, ceo di Bpm. Sotto, Giuseppe Castagna, alla guida del Banco
Popolare
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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24/03/2016
Pag. 1
diffusione:158404
tiratura:211708
Serve una risposta internazionale
Fabrizio Galimberti
Quale sarà l'impatto economico di questa recrudescenza terroristica? Così, su queste colonne, esordiva (Il
Sole 24 Ore del 20 novembre 2015) un commento ai 130 morti del Bataclan di Parigi. Continua pagina 11
Continua da pagina 1 Da allora la crisi migratoria - un portato anch'esso della polveriera medioorientale ha infilato altri bastoni nelle ruote di una ripresa già faticosa per conto suo. E oggi i massacri di Bruxelles
vengono a sfilacciare ancora l'ordito della fiducia. È vero, secondo speranze ed esperienze sia le catastrofi
naturali che i disastri causati dalla pazzia fanatica degli uomini lasciano solo ammaccature nel corpaccio
dell'economia. Ma oggi lo smarrimento delle politiche e le cronache del sangue vanno a comporre un tutto
che è maggiore della somma delle parti e domanda, a contrasto, un altro "tutto": una risposta internazionale
all'idra del terrore volta a combattere i sintomi, rimuovere le cause e sostenere con tutti gli strumenti convenzionali o no - una ripresa che non deve spegnersi. Le guerre tirano fuori, dice la saggezza dei
popoli, il meglio e il peggio degli uomini. E la stessa cosa si può dire delle stragi del terrorismo. Basti
vedere i gessetti contro l'odio sulla piazza di Bruxelles o gli inviti a non piegarsi - «Je suis Bruxelles» - di
fronte alle stragi. Anche se il primo riflesso è stato quello di chiudere le frontiere, paradossalmente
Schengen esce rafforzata da questo ennesimo straziante episodio. Per almeno due ragioni. Primo, perché
la fine di Schengen sarebbe esattamente quel che i terroristi vogliono: colpire il simbolo di un'Europa unita
e solidale, ricacciare indietro l'orologio della storia, seminare isolazionismi ed ergere steccati. Secondo,
perché i terroristi non vengono da fuori. I controlli alle frontiere non servono a sconfiggere un terrorismo
"fatto in casa", nelle banlieue povere dove disoccupazione e sottoccupazione spalmano l'humus su cui
crescono radicalismi e intolleranze. La lotta al terrorismo si fa dentro i Paesi, non con la polizia di frontiera.
E, soprattutto, si fa con "più Europa": un volto continentale alle politiche di sicurezza interna ed esterna e
programmi di sostegno che rifiutino la "logica dei decimali".
L'IMPATTO DELL'ATTACCO
Lo scudo Bce supera la prova degli attentati L'escalation del terrorismo islamico metterà sempre di più a
dura prova le mura difensive erette dalla Bce attorno alla fragile crescita europea, al problema dell'alto
debito pubblico di molti Stati, ai bilanci ancora vulnerabili di molte banche. Buono il primo riscontro: lo
scudo della Bce ha protettoi BTp dai contraccolpi degli attacchi terroristicia Bruxelles. Senza la protezione
del QE,i titoli di Stato italiani sarebbero stati calpestati dagli investitori in fuga.
www.ilsole24ore.com/commenti-e-idee.shtml
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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L'IMPATTO SULL'ECONOMIA
24/03/2016
Pag. 1
diffusione:158404
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Un salto di qualità per tutto il sistema
Alessandro Graziani
Il progetto di fusione tra Banco Popolare e Bpm creerà, dopo l'approvazione dei soci a settembre nelle
ultime assemblee delle due cooperative con voto capitario, il terzo gruppo bancario alle spalle dei due
colossi UniCredit e Intesa Sanpaolo. Malgrado le difficoltà rigoristiche imposte dalla dominante linea
tedesca della vigilanza bancaria della Bce, nasce un gigante del credito da 170 miliardi di attività totali
concentrate in gran parte nella «Baviera» italiana che dal Piemonte arriva fino al nordest, con presenze da
leader di mercato in Lombardia e quote rilevanti in Emilia e Toscana. Un salto di qualità importante per
l'intero sistema bancario e per l'economia italiana. Le possibili conseguenze positive per le banche sono
molteplici. Il 2016 era iniziato con un quadro preoccupante per il sistema: avvio del bail-in, salvataggi di 4
banche con piani di risoluzione, focus degli investitori sui bad loans, prospettive incerte sulla ripresa e
tassi-zero che comprimonoi margini d'interesse. Un contesto negativo di breve-medio termine che si
inserisce nel più ampioe generale tema del ritardo con cui le banche italiane ed europee stanno affrontando
la sfida industriale della digitalizzazione, che impone una drastica rivisitazione del business con nuovi
investimentie contemporanea riduzione delle filiali, dei dipendenti e dei costi. Troppe banche, troppi
sportelli. La principale soluzione industriale sta nelle fusioni tra i vari attori in campo. Solo con le
aggregazioni tra banche, che generano sinergie certe di costo (quelle sui ricavi, da sempre, sono più difficili
da realizzare), si tagliano le spese eliminando le duplicazioni nella rete distributiva e nei servizi che fanno
capo alle direzioni generali. Continua pagina 3 Continua da pagina 1 Dalla fusione tra Bpm e Banco
Popolare si genereranno importanti sinergie, che miglioreranno efficienza e redditività del nuovo campione
nazionale del credito. L'altro tema di rilievo per l'industria bancaria è che la fusione è la prima tra due
banche popolari dopo la riforma del Governo che obbliga entro fine anno le big del comparto a trasformarsi
in società per azioni. Se mediaticamente il merger tra Bpm e Banco Popolare darà vita alla Superpopolare,
in realtà da fine anno si tratterà di una SPA pienamente contendibile sul mercato che vedrà il 50% del
capitale in mano agli investitori istituzionali contare molto più del nucleo stabile di soci locali che sarà
costituito. La futura autonomia del nuovo Banco-Bpm dipenderà dunque soprattutto dalla capacità di
produrre reddito per tutti gli azionisti. Ai vertici del nuovo gruppo spetterà la complessa ricerca del ritorno
sul capitale, mantenendo in modo sano i rapporti con l'economia dei territori in cui il gruppo è presente.
L'auspicio del mercato, ma anche del Governo e delle Autorità di vigilanza, è che dopo Bpm-Banco altre
fusioni seguiranno. Molto dipenderà dal rerating del settore che sul mercato potrebbe scattare nelle
prossime settimane. E che potrebbe risultare decisivo per il buon esito del doppio passaggio aumento di
capitalequotazione che attende a breve due banche come Popolare Vicenza e Veneto Banca, decisive per
il tessuto imprenditoriale di un'area strategica per l'economia del Paese come il Nordest. I deflussi di
raccolta da clientela che a inizio anno hanno riguardato le banche più fragili si sono arrestati. L'emergenza
ha lasciato il passo a un clima di tregua, che la fusione tra Bpm e Banco Popolare potrebbe ulteriormente
migliorare. Certo, la vigilanza bancaria europea della Bce non ha contribuito a rasserenare gli animi
pretendendo a tutti i costi che le due banche, pur avendo superato tutti i test patrimoniali effettuati, da
Francoforte, aumentino i ratios patrimoniali come condizione imprescindibile per autorizzare l'operazione.
Complicando la vita dei due istituti (e degli azionisti) e semplificando quella della vigilanza che ormai ha un
approccio da regolatore di infrastrutture che operano in regime tariffario. Chi ha partecipato alle lunghe
trattative sa che pochi giorni fa l'operazione era sul punto di saltare. In parte per le difficoltà create dalle
continue richieste della vigilanza Bce ma soprattutto per le resistenze dei vari stakeholders di Bpm. Se non
ci fosse stata la svolta degli ultimi giorni, la vasta platea degli investitori istituzionali esteri che, a partire da
Blackrock, ha puntato da mesi sulle promesse di un serio turnaround delle banche italiane avrebbe valutato
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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IL CREDITO CHE CAMBIA
24/03/2016
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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l'ipotesi di ritirarsi dall'Italia.
LA PAROLA CHIAVE
Concambio 7 Il concambioè la determinazione della quantità di azioni che l'incorporanteo la società
risultante dalla fusione deve riconoscere all'incorporatao alle partecipanti della fusione in cambio delle
vecchie azioni possedute. Nelle fusioni, la definizione del rapporto di concambioè uno dei momenti più
importanti dell'operazione perché di fatto definisce il rapporto di forza trai due partner.I valori possono
essere calcolati con riferimentoa durate temporali piùo meno lunghe.
24/03/2016
Pag. 2
diffusione:158404
tiratura:211708
Nasce un colosso da 170 miliardi
Dall'integrazione tra Milano e Verona la terza banca italiana dopo Intesa e UniCredit
Luca Davi
Una capitalizzazione complessiva da 5,5 miliardi di euro; attivi per oltre 170 miliardi di euro; 2.500 sportelli
con circa 25mila dipendenti; 4 milioni di clienti. È un gigante del credito quello che è destinato a nascere
dalla fusione tra Banca Popolare di Milanoe Banco Popolare. Le due banche popolari messe assieme
danno alla luce il terzo gruppo bancario alle spalle di Intesa Sanpaolo e UniCredit. Un big con una
vocazione fortemente retail, che può contare su una quota di mercato superiore all'8% e radici in alcuni dei
territori più produttivi del paese. Le gambe principali poggeranno in Lombardia (dove il gruppo sarà primo
operatore con una quota di mercato superiore al 15%), in Veneto (3° con quota superiore al 9%)e Piemonte
(3°, con quota superiore al 12%): tre regioni che insieme valgono quasi il 40% del Pil italiano. Bpm e Banco
«hanno un territorio che è migliore della Germania», ha detto sabato scorso in assemblea l'ad del Banco
Popolare, Pier Francesco Saviotti. L'aggregazione «è quello che ho sempre auspicato, ritenendo che la
cosa migliore fosse un'alleanza lombardo-veneta», ha dichiarato nei giorni scorsi l'ad di Bpm, Giuseppe
Castagna. L'alleanza, nelle attese delle due banche,è destinataa generare sinergie lordea regime stimate
«preliminarmente», come si legge in una nota congiunta diffusa in serata dalle due banche, in 365 milioni
annui, di cui 290 milioni da minori costiee 75 milioni da maggiori ricavi. Il raggiungimento della situazionea
regime è previsto entro il 2018. Attesi oneri di integrazione una-tantum stimati in circa il 150% delle sinergie
di costo, «in linea con analoghe operazioni». La creazione di valoreè stimata in 1,9 miliardi circa, al netto
degli oneri di integrazione. Il Bpm-Banco del futuro avrà dala sua una «solida» situazione patrimoniale, con
una Cet1 ratio proforma fully loaded pari al 13,6% e phased-in pari al 13,7%, considerando l'aumento di
capitale da un miliardo e senza considerare i benefici del previsto passaggio di Bpm ai modelli di rating
interni e prima di ogni intervento di ottimizzazione. Solida anche la posizione di liquidità con un indice Lcr
«ampiamente superiore al 100%». La futura banca gestirà la mole di crediti deteriorati attraverso la
costituzione di un'unità organizzativa dedicata che riporterà direttamente all'a.d. Castagna per
«massimizzare efficienza, velocità di recupero e l'ammontare delle relative cessioni». Dopo il via libera
informale della Vigilanza Bce e l'annuncio di un protocollo di intesa, l'alleanza pare insomma davveroa un
passo.E dovrà vedere la luce entro il primo novembre, secondo la road map. Certo, tutto dipenderà dalle
trattative delle prossime settimane e dai (decisivi) passaggi assembleari. Soprattutto da quello - sempre
insidioso - di Piazza Meda, le cui diverse anime interne hanno dato il loro disco verde all'operazione pur
chiedendo in cambio il riconoscimento della loro rappresentanza nel futuro gruppo. Se si guarda al futuro
colosso, per ampiezza di portafoglio, dimensione degli attivie presenza sul territorio, Verona pesa più del
doppio ri- spetto a Milano. Il gruppo scaligero può contare su 120 miliardi di euro circa di attivi controi 50
circa di Milano. A gestirli sono circa 17mila dipendenti che si confrontano contro i 7.700 circa della banca
lombarda. Il duello è nettamente a favore del Banco Popolare anche se la si guarda sotto il profilo
dell'ampiezza della rete. La banca amministrata da Saviotti si sviluppa su 1.848 sportelli (comprensivi di
Banca Aletti) sparsi in quasi 20 regioni italiane; gli sportelli del gruppo guidato da Giuseppe Castagna, circa
655, hanno una forte concentrazione soprattutto in Lombardia, Piemontee Lazio. I rapporti di forza tuttavia
si ribaltano quando l'analisi si focalizza sulla qualità degli attivi. Milano ha sofferenze nette paria 1,5 miliardi
di euro controi 6,5 miliardi circa del Banco. Una migliore qualità, quella del credito di Pop. Milano, che si
riflette anche in una minore richiesta di patrimonio di vigilanza da parte della Bce. Francoforte ha posto
l'asticella del Cet 1 ratio al 9% contro il 9,55% degli scaligeri. Senza contare che se Verona mostra un Cet1
ratio similea quello di Milano (12,4% contro 12,21% in termini fully phased), Milano come detto deve ancora
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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La questione bancaria I valori in campo Capitalizzazione complessiva da 5,5 miliardi, 2.500 sportelli con
circa 25mila dipendenti La Borsa Nonostante le dimensioni siano inferiori oggi Piazza Meda vale mezzo
miliardo in più IL NUOVO GRUPPO
24/03/2016
Pag. 2
diffusione:158404
tiratura:211708
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
vedersi validati i modelli interni di rating, che da soli valgono circa 100 punti in più di Cet1. Milano,
insomma, alla luce del suo portafoglio crediti si vede riconoscere da Francoforte un maggior margine di
manovra in termini di capitale. Non è forse neanche un caso che, se si guarda alla capitalizzazione di
Borsa, oggi Bpm valga più di 2,9 miliardi di euro controi 2,47 miliardi del Banco.
Pr incipali aggregati 2015 delle due banche (per Bpm aggiornati al 30 settembre)
Banca Popolare di Milano
I due gruppi e l'aggregato della fusione
49,5
120,5
85,3
82,1
430,1
16.972
1.848
33,4
33,4
288,9
7.747
655 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 400 100 100 100 300 200 50 50 50 500 100 100 500 50 50 50 200 300 100 100
100 400 1.000 10.000 5.000 5.000 1.000 10.000 SPORTELLI DIPENDENTI 1.500 2.000 Banco Popolare
1.500 2.000 RISULTATO NETTO 2015 milioni di euro TOTALE DELL'ATTIVO miliardi di euro RACCOLTA
DIRETTA miliardi di euro CREDITI VERSO LA CLIENTELA (lordi) miliardi di euro 15.000 20.000 15.000
20.000
Foto: .@lucaaldodavi
24/03/2016
Pag. 23
CASA 24 PLUS
diffusione:158404
tiratura:211708
La ripresa accelera nelle città di provincia
Compravendite in rialzo (+9,2%) e prezzi (-2%) che calano meno rispetto ai grandi centri. Acquisti assistiti
da mutuo al 70%
Emiliano Sgambato
La ripresa del mercato immobiliare si consolida anche se rimane su ritmi blandi. Ed è sempre più tangibile
anche nelle città di provincia, che stanno percorrendo - e, per certi versi, anche con maggior vigore - la
strada già imboccata dalle aree metropolitane. All'aumento delle compravendite (+9,2%) si affiancano infatti
indicatori significativi come la frenata del calo dei prezzi (-2%), la diminuzione dei tempi di vendita (8,7 mesi
controi quasi dieci di un anno fa) e la stabilizzazione degli sconti in fase di trattativa (attorno al 17%). Si
tratta di trend che dovrebbero consolidarsi nell'anno in corso, almeno a stare alle previsioni degli operatori:
il saldo tra sentiment positivo e negativo si aggira attorno al 40% sia per quanto riguarda la domanda, sia
per le transazioni previste. Saldo che si rivela molto più marcato di quello rilevato per i grandi centri. Le
transazioni residenziali concluse nelle 13 "città intermedie" monitorate dall'Osservatorio Nomisma presentato ieri agli operatori - sono aumentate nel 2015 del 9,2%, contro il +6,5% nazionale e il +6% delle
aree metropolitane (fonte agenzia delle Entrate). Quest'ultimo dato deve però tener conto del livello più
elevato di partenza maturato nel 2014: le prime 8 città italiane potevano infatti allora già contare su una
crescita del 9,2% annuo, dato che scendeva al 7,4% considerando tutti i capoluoghi di provincia, e fino al
+3,6% nazionale. A guidare la classifica annuale della crescita degli scambi è Ancona con il +20%, seguita
da Salerno (+18%), mentre Parma (-1,2%) si distingue in negativo con il solo valore sottozero (vedi grafico
a lato). Sul fronte dei prezzi, nell'ultimo anno la discesa media nelle 13 città è stata 2% per l'usato e
dell'1,5% per il nuovo: cali più contenuti rispetto a quelli delle 13 aree metropolitane, che, sempre secondo
Nomisma, si attestano rispettivamente al -2,5% e -2,1%. Anche considerando l'intero periodo della crisi (dal
2008), la discesa dei valori è stata più contenuta nei centri intermedi: il 20,5% contro il 22,6%, limitandosi al
solo usato. «Non si può però non tenere conto - commenta Elena Molignoni, coordinatrice dell'Osservatorio
- che nel periodo di crescita dal 1997 al 2008 gli apprezzamenti nelle grandi aree sono stati ben maggiori
(108% contro l'81%, ndr). Così come è difficile, in un mercato in fase di transizione e recupero, trovare un
tendenza omogenea che leghi nello stesso modo la variabile prezzo con il numero di compravendite». A
Brescia, ad esempio - uno dei mercati più vivaci secondo l'Osservatorio - c'è stato il calo più alto delle
quotazioni (-4,3%), ma il saldo degli acquisti si ferma +14%; a Trieste invece una crescita del 17%
corrisponde a un calo dei valori del solo 0,8%. Da segnalare anche la tenuta dei prezzi a Perugia (-0,2%) e
Novara (-0,6%). Un altro aspetto in cui la provincia batte la metropoli, con un distacco di circa 10 punti, è
l'aumento delle compravendite assistite da mutuo, che si attesta attorno al 70% (affari conclusi attraverso
agenzia). «A livello nazionale le compravendite senza mutuo - commenta Luca Dondi, consigliere delegato
di Nomisma - sono praticamente pari a quelle dello scorso anno, segno che la crescita è dovuta soprattutto
al soddisfacimento della domanda di prima casa o al mercato di sostituzione, dove ci sono ancora ampi
margini di sviluppo, rispetto a quello di investimento». Si conferma quindi cruciale per il consolidamento
della ripresa il ruolo del credito, campo in cui è vietato abbassare la guardia nonostante i tassi ai minimi e la
crescita delle stipule: «In assenza di una componente reddituale o patrimoniale affidabile - si legge nel
report - non è pensabile superare il vaglio degli uffici crediti. Non deve trarre in inganno l'autentico boom
delle erogazioni (+61,6% su base annua), la cui dinamica risulta pesantemente condizionata dalle
surroghe, che solo una lettura superficiale o interessata tende a sottodimensionare se non addirittura ad
omettere».
Tredici capoluoghi a confronto 9,5 9,5 10 9,0 8,0 9,5 9,0 8,5 8,5 7,0 9,0 7,5 8,5 8,7 959 835 832 MEDIA
PARMA 19,0% 18,0% 19,5% 17,5% 18,0% 16,5% 15,5% 16,0% 17,5% 18,5% 20,0% 16,0% 17,0% 17,6%
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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osservatorio nomisma
24/03/2016
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CASA 24 PLUS
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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1.169 1.192 1.275 1.358 1.391 1.465 1.474 1.475 1.614 1.602 1.659 1.773 2.246 -2,6% -1,7% -4,3% -2,7%
-3,0% -1,4% -0,6% -1,0% -0,2% -2,9% -1,8% -0,8% -2,5% -2,0% 1.260 1.729 1.404 1.587 1.621 2.026
1.298 1.002 1.329 2.220 2.425 19.569 20,3% 9,4% 14,0% 11,7% 5,0% 6,9% 4,7% -1,2% 10,0% 18,0%
8,1% 17,3% 6,2% 9,2% BRESCIA TRIESTE PERUGIA VERONA ANCONA LIVORNO MESSINA
MODENA NOVARA SALERNO BERGAMO TARANTO fonte: Nomisma Sconto medio Tempi vendita
(mesi) Compravendite 2015 Var. annua Prezzo usato (euro/mq) Var. annua Il trend delle principali variabili
del mercato residenziale a inizio 2016
24/03/2016
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Network Onu per difendere la crescita del turismo
Vincenzo Chierchia
Serve un piano coordinato europeo (e globale) per garantire la sicurezza dei viaggi e del turismo. L'impatto
dell'emergenza terrorismo è altissimo. L'avvertimento del Dipartimento di Stato ai viaggiatori americani in
Europa avrà conseguenze pesantissime. Basti solo pensare al peso che i flussi turistici Usa hanno in
Europa e in particolare in Italia. Un impatto diretto sul settore turistico in senso stretto, ma in realtà gli
americani sono top spender nell'ambito dei prodotti di lusso insieme ai cinesi. E l'allarme per i cittadini Usa
rischia di tradursi in un effetto a catena che può coinvolgere i flussi turistici a livello globale. Peraltro in un
momento importante per la Ue, con gli arrivi in crescita e ad un tasso superiore alla media mondiale. Come
sottolinea l'Agenzia Onu per il turismo (UnWto) il business di viaggi e vacanze è uno dei fattori trainanti
della crescita economica globale. Il movimento turistico negli ultimi dieci anni è praticamente raddoppiato e
per quest'anno si prevedeva fino a ora di superare il muro di 1,2 miliardi di viaggiatori nel mondo. Il punto è
ora cosa fare. L'Onu sulla scorta dei ripetuti attacchi terroristici ha iniziato a costituire un network di
intelligence mirato al settore. Un network di cui fanno parte esponenti dei settori difesa, sicurezza, trasporti
e turismo di circa 90 Paesi. È la strada giusta, ci si chiede? È un passo avanti perchè l'emergenza
terrorismo va affrontata a livello europeo e a livello globale. Certo si tratta di primi passi ai quali deve ora
seguire un salto di qualità visto che la minaccia è continua. Soprattutto va considerato il fatto che
l'intersezione tra siti turistici a rischio e aree di possibile crisi è assai ampio. La costituzione di un
coordinamento forte di intelligence e sicurezza mirato al comparto turistico e su scala globale sotto egida
Onu deve però superare la difesa di interessi particolari. Credo però sia la strada giusta se si genera un
flusso continuo di informazioni mirate a salvaguardare la sicurezza dei viaggiatori e delle infrastrutture
strategiche. La minaccia globale può essere affrontata solo su scala globale con la condivisione di
esperienze e informazioni per evitare vittime innocenti. Il viaggio è parte integrante del patrimonio culturale
dell'umanità. E l'Italia, che ha da poco lanciato i «caschi blu della cultura » può giocare un ruolo di primo
piano nella difesa del turismo come valore cardine. Il nostro Paese può essere il laboratorio per sconfiggere
la minaccia del terrore sotto l'insegna della civiltà.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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L'ANALISI
24/03/2016
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Bolloré, il re di Francia che si mangia Telecom
ALESSANDRO PENATI
ICONTI delle aziende interessano poco gli italiani. Ma sono molto affascinati dai personaggi di chi le
comanda. E così, l'arrivo in Telecom Italia di uno scalatore francese (Bolloré), già sodale di Mediobanca,
che caccia l'amministratore delegato Patuano e vuole fare affari con Berlusconi in un settore sotto i riflettori
come i media, solleva un polverone. Manco fosse la farfallina di Belén. Ma dietro tanto clamore si cela la
realtà di un'azienda in declino. SEGUE ALLE PAGINE 18 E 19 CON ARTICOLI DI BENNEWITZ E IEZZI
UN'AZIENDA dalle prospettive non certo brillanti, in un settore europeo incapace di risolvere il rebus della
crescita. Prospettive che l'arrivo di Bolloré rende ancora più incerte.
Dieci anni fa, Telecom Italia fatturava 29,9 miliardi, con un margine degli utili (ante imposte e interessi) sui
ricavi del 22,8%. Nel 2015, il fatturato è sceso a 19,7 miliardi, e il margine al 15% (gravato anche da
elementi straordinari). Dieci anni fa la gestione operativa generava 9,9 miliardi di liquidità, che ne
finanziavano 5,2 di investimenti fissi; il resto serviva per pagare 2,6 miliardi di interessi sull'enorme debito
accumulato e 2,3 di dividendi ai soliti azionisti a corto di capitali. L'anno scorso la liquidità della gestione
operativa si era dimezzata a 5 miliardi, ma i necessari investimenti fissi sono rimasti quelli di 10 anni fa (5,2
miliardi), come pure gli interessi (2,5 miliardi). Telecom è dunque come un ghiacciaio che si scioglie
lentamente: non genera al suo interno risorse sufficienti per cambiare direzione e cercare di crescere; né
può farlo indebitandosi, dato che l'esposizione attuale, in rapporto al margine operativo, eccede quella
media di settore. Così, dal 2005 il titolo in Borsa ha perso il 70% del proprio valore rispetto all'indice
europeo di settore; anche se, magra consolazione, da quattro anni si muove più o meno come il settore.
Chiare e ben note le responsabilità dei vari capitani di industria alla guida di Telecom in passato. Ma anche
gli investitori istituzionali che li hanno succeduti, non hanno brillato per capacità di governo: hanno
contribuito a nominare un consiglio pieno di autorevolezza e blasone, che però non è stato capace di
indicare al management la strada per arrestare il declino, arrivando al ridicolo di approvare il 16 febbraio
scorso il piano triennale predisposto da Patuano, per poi cacciarlo qualche settimana dopo.
Telecom, oltre a condividere i problemi del settore in Europa, ne aggiunge di propri. L'elevata
frammentazione secondo i confini nazionali e il numero di operatori locali amplificano la concorrenza e
limitano le economie di scala: così il fatturato medio per dipendente, 353mila euro, è ben al di sotto dei
568mila negli Usa.
A questo Telecom aggiunge la forte concentrazione in Italia, dove la crescita dei consumi è tra le più
basse, e la produttività dei dipendenti (80% del totale) è inferiore alla media (285mila euro per addetto); e la
sua migliore fonte di crescita in passato, il Brasile, si è trasformata in tragedia: bisognava vendere anni fa,
ai primi accenni di crisi.
C'è poi un problema di fondo.
Tutti sembrano guadagnare dalla rivoluzione digitale, tranne chi trasporta il segnale. È successo con la
telefonia mobile, dove i profitti sono andati ai produttori di smartphone, applicazioni e infrastrutture,
lasciando le briciole alle aziende telefoniche. Lo stesso sta accadendo con internet: sono i produttori di
contenuti, i social network, i venditori di pubblicità, i fornitori di tecnologia, l'e-commerce a guadagnare:
molto meno chi posa la fibra e trasporta il traffico, specie se in forte regime di concorrenza. L'annosa
questione sulla banda larga in Italia è malposta: chi non vorrebbe navigare a 100 Mbps sempre e ovunque?
Ma quanto è disposto a pagare il consumatore italiano per l'investimento necessario? Non molto direi,
guardando per esempio alla bassa penetrazione e la scarsa redditività della Tv a pagamento.
Tutto questo Bolloré lo ha capito benissimo: infatti Vivendi ha fatto cassa uscendo sia dal Brasile, sia dalla
telefonia in Francia.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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L'OBIETTIVO VERO È MEDIASET
24/03/2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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Ma allora, perché reinveste subito nella telefonia italiana che ha anche più problemi, e indirettamente in
Brasile? Bollorè è un trader e un finanziere; non un imprenditore. La partecipazione in Telecom se l'è
ritrovata vendendo il Brasile a Telefonica. Non sarei dunque sorpreso se volesse semplicemente
valorizzarla e rivenderla con profitto. Infatti ha arrotondato la quota in Telecom per prendere il controllo
senza Opa (nella migliore tradizione della casa); non converte le risparmio per non diluirsi; cambia il vertice,
magari per qualcuno che sappia tagliare i costi; vende il Brasile e il vendibile; magari scinde Sparkle, l'unica
strategica, in una società separata a controllo italiano; e poi rivende con profitto la quota di controllo
(sempre senza Opa) al concorrente europeo a caccia di economia di scala. Orange è uno dei papabili. E la
tanto pubblicizzata trattativa con Mediaset? Vivendi ha due attività: la musica, che va bene; e la Tv a
pagamento che in Francia ristagna e fa fatica come ovunque. Ma perché dovrebbe comprare Mediaset
Premium, aggiungendo solo perdite e problemi a Canal+? Mediaset Premium distribuisce contenuti, non li
produce (e li paga a caro prezzo, vedi Champions). E non è strumentale a trasformare Telecom in una tv a
pagamento, fornendole contenuti e clienti, perché oggi non ha la fibra con la velocità di trasmissione
necessaria a fornire una tv con qualità analoga a satellitare e digitale; non ci sono i margini, e Bollorè non
apporta 1 euro di nuovi capitali.
Diverso se Bollorè volesse comprare tutta Mediaset: Vivendi acquisterebbe una posizione dominante
anche in Spagna, risparmierebbe sugli acquisti dei contenuti e sulle produzioni mettendo assieme tre paesi,
oltre ad incamerare la pubblicità della tv generalista. Ma a che serve scalare Telecom se l'obiettivo è
Mediaset? Il 25% di Vivendi in Telecom vale oggi in Borsa più o meno come il 100% di Mediaset. Se
Bolloré valorizzasse rapidamente Telecom e cedesse la sua quota di controllo, sarebbe facilmente in grado
di fare un'offerta che Berlusconi non potrebbe rifiutare.
Sono solo mie congetture; anche se basate su numeri, non dicerie. In verità non ho la più pallida idea di
quale sia veramente la strategia di Bolloré; il vero problema è che ben pochi investitori di Telecom lo sanno.
Per Piazza Affari non è certo un momento glorioso. L'unica previsione sensata è che la vicenda Telecom
rischia di diventare un monumento all'idiozia del nostro capitalismo e all'inefficienza del sistema finanziario
italiano.
www.enel.it www.telecomitalia.com PER SAPERNE DI PIÙ
I punti
1
2 CONTI DI TELECOM Dieci anni fa Telecom fatturava 29,9 miliardi con un margine degli utili sui ricavi del
22,8 per cento. Nel 2015 il fatturato è sceso a 19,7 miliardi e il margine al 15 per cento BOLLORÉ TRADER
Bolloré con il suo 24,9% potrebbe valorizzare la società, tagliare i costi e rivendere la quota di controllo a
un concorrente europeo. Il gruppo Orange è uno dei papabili LE MANI SU MEDIASET Comprando tutta
Mediaset, Bolloré avrebbe posizione dominante anche in Spagna, risparmierebbe sugli acquisti di contenuti
e avrebbe la pubblicità della tv generalista
I soci Telecom
24,90%
15,01 %**
8,72 % *
2,06%
1,2% Vincent Bollorè *Possesso indiretto tramite opzioni **Ha dichiarato di avere opzioni di acquisto per
crescere fino al 15% Vivendi Xavier Niel Jp Morgan chase The People Bank of China Azioni proprie
24/03/2016
Pag. 28
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tiratura:336211
La Finanziaria di Schaeuble dimentica l'austerità Soldi per tutti
Il bilancio della Germania è in pareggio grazie alla crescita e alle entrate fiscali
TONIA MASTROBUONI
Sette anni di pareggio di bilancio. Per qualcuno, un incubo. Per i tedeschi, una medaglia. Ieri il governo ha
approvato il quadro per la finanziaria 2017 e il ministro delle Finanze Schaeuble si è presentato ai giornalisti
per illustrare, visibilmente soddisfatto, i numeri aggiornati dei conti. La sorpresa è che l'austero guardiano
dei conti ha trovato lo spazio per concedere generosi regali ai colleghi ministri, alle amministrazioni locali e
persino al partner di governo Spd, pesantemente sconfitto alle ultime elezioni regionali. Nella tabella che
riassume i numeri del bilancio tedesco dal 2014 al 2020 fa impressione quella dei saldi: zero spaccato.
Grazie a un boom di entrate fiscali, favorito da una ripresa ormai solida e un tasso di disoccupazione ormai
trascurabile, la Germania può contare quest'anno su un Pil all'1,7% e stima di mantenerlo attorno all'1,5%
fino al 2020.
Invece i Cinque saggi del governo hanno rivisto al ribasso (1,5 quest'anno) la crescita a causa del
rallentamento degli emergenti. Anche se la disoccupazione aumenterà di 30mila persone, il tasso medio
resta confermato anche quest'anno al 6,4% - il valore più basso dalla Riunificazione.
Soprattutto, il buon andamento dell'economia (e degli introiti fiscali) consentono a Schaeuble di
accontentare i bisogni emersi con l'arrivo del milione di profughi ma anche di sopire le proteste emerse
nelle scorse settimane da Comuni e Land o gli alti lai della Spd. Il ministro delle Finanze ha detto che per il
2017 stanzierà altri 10 miliardi per i profughi, ma accontenta anche le richieste dei socialdemocratici di
maggiori fondi per il sociale. Anche lo sguardo alla spesa per i ministeri che fa impressione. A fronte di
uscite che aumenteranno tra quest'anno e il prossimo del 2,7%, i colleghi di Schaeuble incassano guadagni
da capogiro.
La ministra del Lavoro Nahles 8,8 miliardi in più (+6,8%), la stessa percentuale della collega della Difesa
Ursula von der Leyen, che incassa 1,7 miliardi in più o la ministra dell'Istruzione Johanna Wanka, che potrà
contare su un miliardo in più, pari ad un aumento del 6,5%. Altro che austerità.
Foto: AL GOVERNO Il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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IL PUNTO
24/03/2016
Pag. 29
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Il Tesoro indica settembre, al palo anche i rimborsi. Primo ok al decreto su Bcc e sofferenze La crisi dei
mercati ha tolto potere negoziale ai venditori, ma la cessione resta in agenda in estate
MILANO. Più tempo per vendere i tronconi delle quattro banche salvate il 22 novembre scorso. Ma più
tempo anche per i sospirati rimborsi ai 10.500 obbligazionisti, che nell'operazione hanno rimesso 340
milioni: nel dl banche votato ieri alla Camera non c'è traccia, come previsto, delle azioni di ristoro
annunciate mesi fa. Né sembrano alle viste - almeno fino alle elezioni nelle grandi città - per le possibili
ricadute politiche che il governo teme quando partiranno le prime richieste di risarcimento.
Ieri il Tesoro ha reso nota la nuova e più lunga tempistica per la cessione forzosa delle "good bank" con le
insegne Banca delle Marche, Cariferrara, Carichieti e Banca dell'Etruria. «Il termine entro cui le autorità
italiane ritengono si possa concludere l'iter di cessione può essere individuato indicativamente nel mese di
settembre 2016 - ha detto una fonte di via XX settembre -. La Commissione europea aveva inizialmente
indicato quale scadenza la fine di aprile ma le autorità italiane e la commissione stanno lavorando per la
proroga del termine». Le condizioni poste da Bruxelles quando diede il via libera al salvabanche,
imponevano una cessione rapidissima dei quattro istituti, come della bad bank "Rev" che aveva inglobato le
loro sofferenze svalutate dell'82%. Ma s'era capito subito che erano vincoli irrealizzabili: e il dialogo tra
Roma e Bruxelles ora ha formalizzato la convinzione.
L'agenda, per il presidente unico dei quattro istituti Roberto Nicastro, resta quella iniziale di vendere tutto
entro l'estate; e la prossima complessa chiusura dei bilanci (sono tre per ogni marchio tra vecchie,
intermedie e nuove società) preluderà all'invio del memo alla dozzina di gruppi - molti non bancari e attivi
nel credito difficile - che hanno manifestato interesse a gennaio. Le turbolenze borsistiche di febbraio, oltre
al complesso scenario strategico delle banche nostrane, hanno peggiorato il potere contrattuale di chi
vende. Malgrado la ristrutturazione delle quattro banche proceda (al 15 marzo registrano fidi nuovi o
rinnovati oltre i 3,5 miliardi a 24mila pmi, e 500 milioni di mutui a oltre 7mila clienti) è concreto il rischio di
non rivedere gli 1,8 miliardi versati dal Fondo risoluzione per capitalizzarle. La vendita è poi complicata
dalle vicine ricapitalizzazioni di Vicenza e Veneto Banca, e dalla ricerca di partner per Mps e Carige.
Ieri sera la Camera ha approvato il dl banche su cui il governo aveva posto la fiducia, con 274 sì e 114
contrari. Le modifiche apportate riguardano la procedura d'uscita prevista per le Bcc che non aderiranno ai
gruppi cooperativi da un miliardo di patrimonio (pagando un'imposta del 20% calcolata non più sulle riserve
ma sul capitale netto). Il dl disciplina anche la concessione della garanzia statale (Gacs) sulle
cartolarizzazioni di sofferenze bancarie. Ora il decreto passa all'esame del Senato ma probabilmente non
subirà modifiche, perché bisogna approvarlo entro il 15 aprile.
Foto: IL MINISTRO Pier Carlo Padoan responsabile del ministero dell'Economia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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Slitta la vendita delle 4 "good bank"
24/03/2016
Pag. 25
diffusione:174381
tiratura:249918
Blitz Hitachi, blindata Ansaldo Sts
Superata quota 50% ma l'operazione taglia fuori Elliott e Amber. Consob accende un faro
TEODORO CHIARELLI
L'opera buffa di Ansaldo Sts, sacrificata da Finmeccanica per far cassa e liberarsi dell'indebitatissima
Ansaldo Breda, è a una svolta decisiva, anche se non all'ultima puntata. Hitachi ha blindato il controllo della
società genovese leader nel segnalamento ferroviario mettendola al riparo dal rischio di scalate ostili. Il
gruppo giapponese, con una mossa a sorpresa, ha rastrellato da una serie di azionisti un altro 3,47% del
capitale, portando la sua partecipazione al 49,95%. Poi, fuori Borsa, a tarda sera, ha fatto ulteriori acquisti
portandosi poco oltre la fatidica soglia del 50%. Hitachi, che si è affidata a Intermonte per contattare gli
investitori (maggiore indiziata Ubs, detentrice di un 5,39% in gestione fiduciaria), ha offerto 10,5 euro ad
azione, 0,82 euro in più rispetto al corrispettivo dell'Opa che si è chiusa lo scorso 14 marzo. La differenza
verrà pagata anche agli azionisti che hanno aderito all'Opa, in ossequio alle norme del Testo Unico della
Finanza che impongono a chi acquisti azioni entro sei mesi dalla conclusione dell'offerta pubblica di
adeguare il corrispettivo pagato in sede di Opa. Il gruppo giapponese ha anche assunto l'impegn o, qualora
dovesse procedere ad acquisti di nuove azioni ad un prezzo superiore a 10,5 euro nei prossimi due anni, di
corrispondere la differenza sia a chi ha aderito all'opa sia a chi ha venduto oggi l'ulteriore 3,47%. Il titolo ha
reagito in Borsa con un balzo del 7,97% a 10,7 euro: il mercato scommette, quindi, nella possibilità di
ulteriori benefici per le azioni dalla battaglia fra i giapponesi e gli azionisti di minoranza, nonostante Hitachi
abbia segnato un indubbio punto a proprio favore. In questo guazzabuglio è intervenuta ancora una volta la
Consob. La Commissione ha acceso un faro sull'operazione: vuole vederci chiaro in un'operazione accolta
freddamente dal mercato e seguita, a pochi giorni di distanza dalla sua conclusione, da acquisti a un
prezzo superiore dell'8,5%: possibilità che è stata offerta solo a una parte degli azionisti che non hanno
apportato i loro titoli all'offerta pubblica. Hitachi, però, ostenta sicurezza e si rimanda alle norme sull'Opa da
consolidamento che disciplinano gli acquisti di azioni da parte di soggetti che hanno tra il 30 e il 50% del
capitale - consentono di rilevare fino al 5% del capitale nell'arco di dodici mesi senza incorrere nell'obbligo
di lanciare una nuova Opa obbligatoria. C'è però chi sostiene che nel computo debbano considerarsi anche
gli acquisti fatti con l'Opa chiusa a marzo. Nel qual caso Hitachi dovrebbe estendere a tutti la proposta a
10,5 euro. Comunque sia i giapponesi si sono messi al riparo dal rischio che qualche concorrente - magari i
cinesi di Crrc - possa lanciare un'offerta più corposa su Sts e sfilarle il gioiellino hi-tech. Una mossa rivolta
soprattutto contro i fondi Elliott e Amber che non hanno conferito le azioni ritenendo che il prezzo offerto
sottostimasse il valore di Sts. Il tutto in un clima sempre più avvelenato che ha già visto intervenire la
Consob e la magistratura per una sospetta collusione tra Finmeccanica e Hitachi nella determinazione del
prezzo di cessione di Sts, venduta insieme ad Ansaldo Breda, ai giapponesi. In particolare il fondo Elliott
del finanziere Paul E. Singer si trova ora «impiombato» con oltre 500 milioni di euro bloccati in una
partecipazione del 30% difficilmente vendibile. Proprio oggi, emergerebbe dalle carte depositate dal fondo
Bluebell in Procura, che l'advisor di Finmeccanica, guarda caso Ubs, avrebbe «aggiustato» la valutazione
di Ansaldo Breda, alzandone il valore di 450 milioni di euro a scapito di Sts. c
Foto: ANSA
Foto: La sede Il palazzo che ospita a Genova gli uffici del quartier generale di Ansaldo Sts
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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IL FONDO DEL FINANZIERE SINGER RIMANE IMPIOMBATO: IL 30% PER CUI HA SPESO OLTRE
MEZZO MILIARDO NON HA PIÙ MERCATO
24/03/2016
Pag. 26
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"Aziende, patto tra Milano e Torino per spingere l'Italia verso la ripresa"
Rocca (Assolombarda): insieme 150 miliardi di export. E per Confindustria propone Vacchi
FRANCESCO MANACORDA
«Per certi versi l'Italia è fuori dalla crisi, ma la curva della ripresa resta piatta. Il pericolo è quello di non
ripartire, di rimanere in una situazione stagnante come il Giappone. Rischiamo che l'Italia e le sue imprese
si accontentino di disegnare il proprio futuro su un foglio più piccolo. Invece bisogna guardare a un foglio
più grande e progettare su quello». Gianfelice Rocca, presidente dell'Assolombarda, la maggiore
associazione imprenditoriale di territorio italiana, vuole ripartire dai territori per trascinare il Paese e
propone un'alleanza che dalla sua Milano si allarghi proprio alle imprese di Torino e Piemonte. Per questo
chiede ai colleghi torinesi, anche sulla presidenza di Confindustria, «una scelta che guardi al futuro perché
non possiamo più permetterci la staticità». Perché dovrebbe servire un'alleanza tra imprese del Piemonte e
della Lombardia? «Dal 2008 a oggi le aziende piemontesi sono scese da 422 mila a 394 mila; quelle
manifatturiere da 50 mila a 38 mila. La grande crisi ha fatto pagare il suo prezzo, ma non ha intaccato il
potenziale di innovazione e di competitività del sistema. Infatti quelle stesse imprese piemontesi, pur
essendosi ridotte di numero, oggi esportano per 38 miliardi l'anno, cioè il 20% in più del 2008, mettendo
insieme anche un sistema virtuoso tra università, aziende private e istituzioni pubbliche». Non basta?
«Sono buoni dati se confrontati a quelli della Baviera, che nello stesso periodo ha aumentato l'export del
16%; meno buoni se si guarda al Baden Württenberg, dove la crescita è del 30%. E solo pensando in
grande, e decidendo di competere con le migliori regioni in un mondo che sta correndo, che abbiamo un
futuro. L'asse Milano -Torino, con le imprese di Lombardia e Piemonte che esportano assieme 150 miliardi
l'anno, ha tutte le carte in regola per giocare questa partita». Una partita per la quale, si lamenta, mancano
le risorse... «Spesso le risorse ci sono, ma anche le inefficienze - in particolare nella grande macchina dello
Stato - che possono essere ridotte. Pensiamo ad esempio alla Sanità. Se allineassimo la produttività del
settore con quella dei migliori standard italiani, grazie alla collaborazione tra pubblico e privato, si potrebbe
risparmiare dal 30 al 40% della spesa attuale, mantenendo quantomeno invariata la qualità per i cittadini».
Torniamo a Torino e Milano. «C'è un'area che ha in comune i due Politecnici da cui escono il 40% dei nostri
ingegneri, un grande aeroporto come Malpensa, anche l'area dell'Expo in cui da Torino si arriva in meno di
un'ora: si tratta di distanze tipiche dei grandi sistemi urbani, negli Stati Uniti come in Europa. E proprio
queste grandi città, oggi sono fondamentali». Conta più l'area della singola impresa? «Conta la filiera in cui
un'impresa è inserita. Non è più tempo di imprese medie, grandi e piccole con agende differenti. I su ccessi
che vediamo sono quelli delle filiere industriali, dove piccoli, medi e grandi collaborano - che si incrociano
con i successi delle aree. E i nodi fondamentali di questa rete sono le grandi città, con il loro patrimonio di
capitale umano e capitale materiale» Proprio sul futuro dell'area Expo si sprecano già le polemiche, con
l'accusa al governo di avere un approccio dirigista alla creazione del nuovo polo tecnologico. Non il miglior
preambolo. «Non mi pare uno scandalo che in settori dove non c'è grande massa critica intervengano delle
scelte politiche per indirizzare i fondi e stabilire cosa far crescere. La scelta di fare dell'area Expo un polo
scientifico legato alla «medicina di precisione», quella che curerà ciascuno di noi in modo specifico, è
importante. Anche qui le imprese di Torino e del Piemonte, con la loro esperienza sui Big Data, hanno
molto da dare». Dai progetti ai nomi per la presidenza di Confindustria. L'Assolombarda, che lei guida,
sostiene Alberto Vacchi. Torino appoggia invece Vincenzo Boccia. «La mia scelta non riguarda le persone,
che sono entrambe valide, ma un'idea dell'impresa e del ruolo che può svolgere: servono aziende che
vivano radicate nel territorio, spendendo in ricerca e sviluppo e creando innovazione, ma poi siano con la
testa nel mondo e anche a Bruxelles, dove si prendono le decisioni fondamentali». Vacchi si presenta come
l'outsider che vuole cambiare molto. È necessario? «Non si tratta di cambiare per cambiare, ma di avere un
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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Intervista
24/03/2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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ruolo diverso in questo Paese. Oggi non possiamo più permetterci la staticità». Obiezione. Comunque vada
a finire la scelta del presidente di Confindustria, con Renzi conterete pochissimo... «Abbiamo bisogno di
una Confindustria che non sia dei piccoli o dei grandi, ma che abbia istanze che servono a tutte le filiere di
imprese. E di una Confindustria che sui temi dell'innovazione e della competitività, dove ha molto da dire,
deve confrontarsi in continuazione con il governo».
La grande crisi ha fatto pagare il suo prezzo, ma non ha intaccato la competitività delle aziende
piemontesi Gianfelice Rocca Presidente di Assolombarda
394 mila Il numero di imprese piemontesi In calo rispetto alle 422 mila del 2008
38 miliardi Il valore dell'export delle aziende del Piemonte è però cresciuto
Foto: ANSA
Foto: Alla guida Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, la maggiore associazione imprenditoriale
italiana di territorio
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Banco-Bpm, nasce la terza banca italiana
Saviotti: «Impresa faticosa, talvolta i sogni si realizzano: sono felice perché il mio si è concretizzato».
Padoan: popolari più grandi e forti Disco verde della Bce alla fusione decisa dai consigli dei due istituti.
Rapporto di forza fissato a 54% (Verona), 46% (Milano) L'ISTITUTO SCALIGERO SI RAFFORZA DI 1
MILIARDO ASSEMBLEE IN NOVEMBRE SINERGIE DI 365 MILIONI 1.200 ESUBERI, 250 AGENZIE
CHIUSE IN TRE ANNI
Rosario Dimito
R O M A «E' stata un'impresa faticosa, talvolta i sogni si realizzano. Sono felice perchè il mio sogno si è
concretizzato: dopo un negoziato complesso, dalla fusione tra il Banco Popolare e la Bpm nasce la terza
banca italiana con dimensioni tali che potrà sostenere sempre di più imprese e famiglie. Il Banco farà un
rafforzamento patrimoniale di 1 miliardo le cui modalità verranno definite sul momento. Affido la nuova
banca nelle mani sicure e capaci di Giuseppe Castagna». Pierfrancesco Saviotti è appena uscito dal cda
che in contemporanea con il cds e cdg della Bpm, ha approvato il progetto di aggregazione: dalla voce
chiara e stentorea esprime grande soddisfazione. Il banchiere veronese non aggiunge altro perché viene
chiamato a firmare l' mou che è alla base dell'accordo finalizzato a compiere la due diligence e alla
predisposizione del piano industriale entro fine aprile. I via libera sono arrivati grazie all'autorizzazione
preliminare scritta pervenuta dalla Bce attorno alle 10, in tempo utile per far iniziare i board. Nel corso della
giornata comunque gli uomini della Vigilanza europea avrebbero avuto colloqui telefonici con i top banker. Il
rafforzamento patrimoniale del Banco dovrà essere perfezionato un giorno prima della delibera di fusione
prevista a settembre: c'è un mandato a Mediobanca e Merrill Lynch per operazioni in equity o bond.
Assemblea di fusione entro novembre ed efficacia entro dicembre 2016. Oggi ci sarà il verdetto del
mercato, visto che per tutta la giornata di ieri i titoli sono rimasti sospesi. La fusione ha avuto l'imprimatur di
Pier Carlo Padoan: «Le riforme funzionano, le popolari cambiano: più grandi, più forti, più trasparenti» ha
detto il Ministro. CASTAGNA AD La nuova Super Popolare (il nome non è stato ancora individuato) sarà il 3
operatore del mercato con 2500 filiali, il 1 in Lombardia, Veneto e Piemonte, accesso a oltre 4 milioni di
clienti e posizionamento di eccellenza in aree di business ad elevata crescita e redditività: Asset
Management, Private Banking, Corporate & Investment Banking, Bancassurance e Credito al Consumo.
Alla luce del rafforzamento del Banco, i rapporti di partecipazione assegnano il 54% ai soci Banco e il 46%
a quelli della Milano. Dalle prime elaborazioni proforma, entro il 2018 dovrebbe macinare 700 milioni di
utile. Previsti 365 milioni di sinergie in tre anni, di cui 290 di costi e 75 da ricavi. Tra i quali 1.200 esuberi da
gestire non con licenziamenti ma ammortizzatori sociali. Valore attuale delle sinergie al netto di oneri di
integrazione stimato 1,9 miliardi. Chiuse 250 agenzie. Quanto agli npl, verranno smaltiti 7 miliardi in tre
anni: 2 nel primo, 3 nel secondo e 2 nel terzo. Per quanto riguarda la governance, due sedi (legale a
Milano, amministrativa a Verona). Per il primo triennio cda da 19 amministratori (di cui almeno 9
indipendenti). Successivamente il cda sarà composto da 15 membri (di cui almeno 7 indipendenti). Si parte
con 7 membri a Bpm più Castagna ad, 8 al Banco tra cui Carlo Fratta Pasini presidente e 2 indipendenti.
Previsto un comitato esecutivo di sei membri (tre a testa) presieduto da Pierfrancesco Saviotti con delega
sui crediti. Dg sarà Maurizio Faroni. Maggioranze qualificate regoleranno il secondo mandato con potere di
veto ai consiglieri Bpm: servono 15 voti su 19 per indicare la lista. In seguito quorum di 11 su 15. E dal
secondo mandato un posto verrà riservato alle minoranze, cioè ai dipendenti Bpm. Nascerà la Bpm spa
utilizzando una licenza bancaria già in essere (forse della Pop Mantova.
Il risiko delle banche Mps (Si) Intesa Sanpaolo Unicredit Carige (Ge) Mediobanca Credem (Re) GRANDI
GRUPPI in via di fusione IN VENDITA ISTITUTI "POPOLARI" Nuova Cariferrara Nuova Banca Etruria
Nuova Carichieti Nuova Banca Marche CREDITO COOPERATIVO Bper (Emilia R.) Banco Popolare (Vr)
Bpm (Mi) Ubi Banca (Bg) Candidate ad acquisizioni o fusioni , sotto la lente degli osser vatori Sono 70 : gli
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L'OPERAZIONE
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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11 più grandi entro giugno devono diventare S.p.a. Il termine per la cessione di fine aprile dovrebbe slittare
a settembre Le Bcc sono 370 : la loro riforma è stata approvata ieri alla Camera (capogruppo unica;
trasformazione in Spa) Volksbank Alto Adige-Pop. Marostica (fuse 2015) Popolare di Bari Credito
Valtellinese Popolare di Sondrio Veneto Banca Popolare Vicenza Banca Etruria (Ar) (dichiarata fallita)
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Caio: pronti a tranche bis
Anna Messia
All'indomani della presentazione del bilancio 2015 di Poste Italiane, chiuso con risultati superiori alle
previsioni, l'amministratore delegato Francesco Caio, rilancia il tema privatizzazioni. Il numero uno del
gruppo si è detto pronto, qualora il ministero dell'Economia decidesse ancora di allentare la presa su Poste,
a mettere sul mercato una seconda tranche, dopo la quotazione di ottobre scorso, quando aveva ceduto
poco meno del 35%. «Siamo nel novero delle grandi aziende con azionista Tesoro che sono diventate
pubbliche», ha detto Caio da Londra dove ha incontrato gli investitori internazionali. Ovviamente la
decisione spetta al governo e per procedere ci sarebbe bisogno di un decreto, ma il tema c'è. «È
ipotizzabile che negli anni a venire il Tesoro passi al livello delle partecipazioni che ha negli altri grandi
gruppi». Il governo ha in mano poco meno del 65% del capitale di Poste, contro il 30% circa di Eni e
Finmeccanica e il 23,5% di Enel dopo l'operazione per il delisting di Enel Green Power. Roma si è
impegnata con la Commissione Ue a ridurre da quest'anno il rapporto tra debito e pil e Poste Italiane, è
indubbiamente un asset appetibile per il mercato, come ha mostrato l'operazione dello scorso autunno. Se
il Tesoro dovesse decidere di vendere un'altra quota di Poste nei prossimi mesi «noi siamo pronti. Lo siamo
per definizione», ha detto Caio aggiungendo che la decisione su quando e come spetta però ovviamente
all'esecutivo. Caio ha poi smentito ancora una volta la chiamata in campo di Poste per il Monte dei Paschi
di Siena: «Smentisco qualsiasi nostro coinvolgimento per un eventuale salvataggio di Mps», ha chiarito
l'amministratore delegato, aggiungendo che «non è ipotizzabile un ingresso di Poste Italiane nel settore del
credito, non sarebbe coerente con il percorso che abbiamo tracciato in sede di ipo». Il gruppo, invece, sta
valutando acquisizioni che possano rivelarsi utili a rafforzare i servizi consegna pacchi, su cui Poste Italiane
punta per compensare, almeno in parte, l'inevitabile calo dei volumi della corrispondenza. Strategie
apprezzate dagli analisti e dal mercato, che ieri ha promosso il titolo con una crescita del 3,36% a 6,77
euro. Kepler Cheuvreux ha intitolato la sua nota Buona partenza di un lungo viaggio, confermando la
raccomandazione buy s e il prezzo obiettivo a 8 euro sull'azione. Gli analisti hanno apprezzato il «dividendo
generoso dopo i conti solidi». In particolare, l'utile netto 2015 di 552 milioni è stato «buono come previsto,
consentendo al gruppo di proporre un dividendo di 0,34 euro per azione, in linea con le nostre attese e con
un interessante rendimento del 5,2%», hanno detto gli analisti. Kepler Cheuvreux ha aumentato le stime di
ebit 2016-2018 in media del 5%, mentre l'eps sale del 3%. Consigli di acquisti (buy) sono arrivati anche da
Ubs, con prezzo obiettivo sempre a 8 euro. «Poste continua a essere una storia di generazione di capitale
e di ristrutturazione», commentano gli esperti, che per l'anno a venire si aspettano già una cedola di 0,38
euro, con un +12% rispetto agli 0,34 euro per azione annunciati ieri a valere sul bilancio 2015. «Tutto è
bene quel che comincia bene», afferma da parte sua Mediobanca Securities; gli analisti di Piazzetta Cuccia
notano come i dati 2015 abbiano battuto le attese di un 4% in termini di ebit e utile netto e di un 3% per
quanto concerne il dividendo, mentre Equita Sim ha alzato il target price da 8,3 a 8,4 euro, confermando il
giudizio buy, grazie alle «indicazioni confortanti arrivate da tutti i business». (riproduzione riservata)
POSTE ITALIANE 23 dic '15 23 mar '16 5,0 6,0 7,0 6,5 5,5 7,5 quotazioni in euro 6,77 € +3,36% IERI
Foto: Francesco Caio
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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L'AD DI POSTE PARLA A LONDRA DOPO I CONTI 2015
24/03/2016
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QUEI PRETENDENTI DORMIENTI PER RCS
Tutti la vogliono, per l'importanza e il prestigio el Corriere della Sera, ma nessuno se la piglia, Rcs
Mediagroup. Per ora. Del resto chi si mette in pista per risanare un'azienda che perde 175,7 milioni (il saldo
dell'ultimo quinquennio arriva a 1,3 miliardi di perdite), ha ancora quasi mezzo miliardo di debiti con le
banche (487 milioni) e, soprattutto, proprio nel rapporto con gli istituti di credito ha il suo neo? E così se il
management è agevolato dal fatto di non avere più un socio di riferimento alle spalle, è altrettanto vero che
il gruppo di via Rizzoli non sarà mai una public company a tutti gli effetti. Non foss'altro perché due dei
principali e storici soci, Mediobanca e Intesa Sanpaolo, sono anche tra i principali creditori. E da sempre
hanno cercato, più di altri azionisti, di trovare una soluzione definitiva per la gestione della società, portando
capitali (la famiglia Rotelli per Ca' de Sass) e manager (l'ad Laura Cioli per Piazzetta Cuccia). Ma ora siamo
di nuovo al punto di partenza. Probabilmente la società con questi numeri rischia di aver bisogno di capitali
freschi: ma l'aumento di capitale da 200 milioni resta un tabù. E allora via alla caccia del possibile salvatore
della Patria (editoriale). Ma Urbano Cairo, socio al 4,6%, seppur bravo e navigato nel settore, non ha il
gradimento di tutto il parterre de roi dei soci. La De Agostini si è sempre chiamata fuori. Andrea Bonomi, più
volte tirato per la giacchetta, se ne sta in disparte. Gli stranieri sono banditi. La famiglia Rocca ha smentito
l'interessamento. Chi resta? Giovanni Bazoli da tempo sta cercando di trovare una via d'uscita. Ma finora
non ha trovato una Pandette-bis. Chi ha capitali per fare il deal è Francesco Gaetano Caltagirone. Ma non
è detto che ci riesca. Perché, appunto, il quotidiano di via Solferino nessuno vuole perderlo di vista. E Silvio
Berlusconi? Lo spettro aleggia. Ma per legge (la Gasparri) non può. Fino a che resta proprietario di
Mediaset. Il divieto d'incrocio stampa-tv resta in vigore anche per quest'anno. Ma se l'ex Cav dovesse
prima o poi far confluire il network di Cologno nella Vivendi di Vincent Bolloré, mantenendo per la famiglia
una quota rappresentativa ma di minoranza, allora le carte in tavola potrebbero cambiare.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/03/2016
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