Banca dei poveri - Rivista Bancaria – Minerva Bancaria

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Banca dei poveri - Rivista Bancaria – Minerva Bancaria
RIVISTA BANCARIA
www.rivistabancaria.it
MINERVA BANCARIA
ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA «FRANCESCO PARRILLO»
Maggio-Giugno 2010
Tariffa Regime Libero:-Poste Italiane S.p.a.-Spedizione in abbonamento Postale-70%-DCB Roma
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RIVISTA BANCARIA
MINERVA BANCARIA
ANNO LXVI (NUOVA SERIE)
MAGGIO-GIUGNO 2010 N. 3
SOMMARIO
G. DI GIORGIO
In cerca di domanda “privata”
»
3
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5
»
29
»
71
I finanziamenti agevolati e la crisi (Intervista a Giovanni Di Leva)
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81
Gli interventi privati a supporto del sistema bancario nella recente
crisi finanziaria (A. Gustani)
»
87
Saggi
G. TRAFICANTE
Fiscal Issues in a Monetary Union
Contributi
V. PESIC
P. PORRETTA
Adeguatezza del capitale, qualità del credito
e performance di mercato delle banche europee
durante la crisi sub-prime
Interventi
V. LA VIA
Situazione economica internazionale, nuovo
multilateralismo, riforma della finanza globale
Rubriche
Bankpedia:
Nuove voci pubblicate: FINANZA ISLAMICA (P. Regola);
BANCA DEI POVERI (F. Alfani); BANCA ETICA (F. Alfani)
CATTURA E STOCCAGGIO DEL CARBONE (C. Dicembrino);
RISCHIO (R. Ciciretti)
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Recensioni
M. Bianchini - C. Di Noia (a cura di), I controlli societari (molte regole, nessun
sistema), (N. Pollio); G. Capaldo (a cura di), L’anatocismo nei contratti e nelle
operazioni bancarie,(A. Ferrari); F. Cannata (a cura di), Il metodo dei rating
interni (G. Parrillo)
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Presidente del Comitato Scientifico: Giorgio Di Giorgio
Direttore Responsabile: Giovanni Parrillo
Comitato di redazione: Eloisa Campioni - Mario Cataldo - Domenico Curcio - Vincenzo
Formisano - Pina Murè - Giovanni Scanagatta - Giovanpietro Scotto di Carlo
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ISSN: 1594-7556
Econ.Lit
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IL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ON-LINE
DI BANCA, BORSA E FINANZA (*)
VOCI PUBBLICATE
1. Finanza islamica, di P. Regola
2. Banca dei poveri, di F. Alfani
3. Banca etica, di F. Alfani
4. Cattura e stoccaggio del carbone, di C. Dicembrino
5. Rischio, di R. Ciciretti
***
1. Finanza islamica (P. Regola)
I contratti finanziari islamici sono caratterizzati dal rispetto dei precetti della Muamalat, la parte della Shari’ah (la Legge Islamica) relativa ai comportamenti da tenere nell’economia e nella finanza.
A livello dottrinale, per gli islamisti il problema della scarsità delle risorse rispetto ai bisogni della popolazione, è un problema dell’homo oeconomicus tradizionale, ma non dell’homo islamicus. Al contrario del pensiero capitalista, secondo il Corano, Dio ha creato ogni cosa nella giusta quantità per soddisfare i bisogni umani. Quindi la scarsità è frutto del comportamento umano e dell’avarizia
dell’accumulazione. Per questa ragione, l’homo islamicus, mediante la rinuncia e
il comportamento altruistico (contrapposto al comportamento massimizzante dell’homo oeconomicus), ovvia al problema della scarsità delle risorse. Il Corano nomina gli esseri umani come custodi di Dio nel mondo. All’interno di questo
* Vengono pubblicate sulla Rivista Bancaria - Minerva Bancaria alcune voci del progetto Bankpedia, il Dizionario Enciclopedico on-line di Banca, Borsa e Finanza sponsorizzato dall’Associazione Nazionale per l’Enciclopedia della Banca e della Borsa (ASSONEBB) di Roma. www.bankpedia.org
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mandato, la proprietà privata è consentita anche se ogni attività patrimoniale
detenuta da chiunque è da intendersi come un “prestito” da parte di Dio. Ne
deriva che la gestione di ogni bene da parte dei musulmani deve seguire una “guida morale”, evitando, senza alcuna eccezione, taluni comportamenti vietati.
I cinque pilastri della finanza islamica intervengono nel rendere concreta tale “guida morale”: divieto di percepire interessi (riba); divieto di introdurre elementi di
incertezza o di speculazione nelle condizioni contrattuali (gharar); divieto di finanziare settori banditi dalla Shariah; principio dell’asset-backing (secondo il quale ogni transazione finanziaria deve far riferimento ad un asset sottostante, tangibile ed identificabile); purificazione della ricchezza (secondo il quale colui
che possieda un ammontare minimo di ricchezza è obbligato a purificare sé
stesso, o il suo patrimonio, con il pagamento di un’offerta. Le due tipologie di offerta sono: la zakat - obbligatoria, calcolata sul reddito e sul profitto e la sadaqat
-volontaria, a discrezione del donatore).
L’attività finanziaria islamica si pone obiettivi sia nel senso economico (conservazione del capitale, massimizzazione dei guadagni, equilibrio tra liquidità e
profittabilità) sia religioso (rispetto dei precetti e degli standard comportamentali del Corano e della Shariah, considerazione dei soli beni legittimi -halal- evitando le attività proibite -haram-).
Nella finanza islamica, il concetto di cooperazione (partnership) sostituisce quello tradizionale di concorrenza nella definizione del meccanismo di mercato. In particolare, le partnership sono basate sul principio del profìt-loss sharing (PLS).
Le attività economiche che ne conseguono trovano finanziamento in tre tipologie di contratti finanziari islamici: a) prestiti sintetici (debt-based), realizzati con
accordi di vendita-riacquisto di asset, o di vendita di asset detenuti da terzi per
conto del debitore (back-to-back). Salam, Istisnã e Murabaha sono tipologie di
prestito sintetico; b) contratti di lease (asset-based), realizzati con un accordo di
vendita-riacquisto in leasing (lease operativo) o mediante lease di asset acquisiti da terze parti con obbligazione al riacquisto (lease finanziario). Ijarah è una tipologia di lease; c) contratti profit-loss sharing (PLS, equity-based), nei quali solitamente una banca fornisce il finanziamento e l’imprenditore tempo e sforzo.
Mudaraba e Musharakah sono contratti PLS.
La proibizione di un tasso di interesse crea difficoltà per le banche islamiche nella gestione della liquidità a causa dell’assenza di un mercato interbancario Shariahcompliant, unita all’impossibilità di investire nei titoli convenzionali a breve
scadenza e a basso rischio (quali i titoli di Stato). La soluzione offerta per il rifinanziamento delle banche islamiche è rappresentata, allora, dall’ultima tipologia
di contratti islamici, i sukûk spesso definiti impropriamente come “obbligazioni islamiche” (una traduzione più accurata del termine arabo sarebbe “certificati azionari di investimento islamico”).
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In ogni strategia di integrazione una delle criticità più rilevanti è costituita dall’armonizzazione dei rischi di gestione. Generalmente le banche islamiche fronteggiano gli stessi rischi degli istituti finanziari operanti nel sistema convenzionale
(il rischio legato alle insolvenze, il rischio legato alle fluttuazioni del prezzo
delle materie prime, il rischio connesso alla gestione della liquidità del sistema, il
rischio di mercato, i rischi legali e regolamentari). Ma il rischio tipico di un’attività di finanza islamica è il c.d. Shariah risk, ossia il rischio di non adempiere correttamente al principio di condivisione del rischio o alla conformità dei precetti religiosi.
Per motivi di copertura, anche nel settore degli hedge fund si stanno creando occasioni di investimento Shari’ah compliant. Nel dicembre 2007, la Dubai Financial Services Authority (DFSA), ente regolatore indipendente attivo nell’ambito del Dubai International Financial Center (DIFC), ha emesso il suo Hedge
Fund Code of Practice, il primo del suo genere nella regolamentazione generale dell’industria degli hedge funds. Il Codice fissa gli standard di best practice per
gli operatori in hedge funds nel DIFC, ed evidenzia alcuni rischi specifici associati all’uso degli hedge riflettendo l’impegno della DFSA all’introduzione di una
regolamentazione. Ci sono nove principi di alto livello nel Codice che coprono
aree chiave (in particolare, valutazione degli asset, funzioni di back office ed esposizione ai rischi di mercato). Ogni strategia di hedging deve essere certificata da
uno studioso della Shari’ah tramite una fatwa. Nella strutturazione di hedge
fund islamici, tre problemi devono essere risolti: la stock selection (tutti gli investimenti devono soddisfare certi criteri allocativi rispettosi della Shari’ah);
leverage (un fondo islamico non può indebitarsi in maniera convenzionale, ossia corrispondendo interessi, bensì tramite l’uso di un prestito sintetico tipo salam o murabaha); short sale (ogni contratto di hedging che preveda una short sale di titoli dovrà rispettare il fondamentale principio della Shari’ah che “non si può
vendere ciò che non si possiede”).
I musulmani non possono utilizzare l’assicurazione convenzionale in quanto contrasta con due fondamenti dell’Islam, il divieto di incertezza (gharar) e di scommessa (maysir) nel contratto. Ad esempio, assicurare una casa equivale a trasferire il rischio ad una compagnia di assicurazione, la quale trasformerà i premi ricevuti in un reddito in assenza del verificarsi dell’evento assicurato. L’assicurazione islamica (takaful) consiste nel versamento di premi (in termini di donazione
o contribuzione volontaria) da parte degli assicurati in un fondo comune, la
cui gestione è delegata a un terzo, al quale viene pagata una commissione. Secondo il meccanismo contrattuale usato (mudaraba), né l’assicurato, né il gestore assumono alcun rischio singolarmente, ma vi è una condivisione dello stesso da parte dei partecipanti, nel pieno rispetto della Legge islamica.
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2. Banca dei poveri (F. Alfani)
Istituto bancario che opera principalmente nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) con
l’obiettivo di fornire servizi finanziari (prestiti, gestione del risparmio, assicurazione) a quei soggetti considerati ‘non solvibili’ dal settore bancario tradizionale.
Generalmente, i servizi offerti dalla Banca riguardano importi monetari molto ridotti nell’ordine massimo di poche decine di euro. L’idea alla base dell’istituto è che,
in contesti di estrema povertà, sono sufficienti piccoli prestiti per permettere alle
persone l’avvio di semplici attività economiche di sussistenza, incentivare il risparmio e determinarne l’indipendenza economica. Lo scopo principale della Banca è dunque quello di erogare microprestiti a costi contenuti e senza garanzia. La formula utilizzata per raggiungere tale risultato si basa su una serie di elementi caratteristici quali l’abolizione delle procedure burocratiche che normalmente caratterizzano le banche, l’eliminazione di ogni tipo di documentazione cartacea, dettata
anche dalla condizione di analfabetismo della maggior parte dei clienti, la concessione di prestiti sulla fiducia e senza alcuna garanzia ma basata su meccanismi virtuosi di solidarietà e mutuo condizionamento e sulla rateizzazione. In genere i prestiti concessi da tali istituti hanno un tasso di restituzione pari al 99%.
La prima banca dei poveri è stata fondata nel 1976 in Bangladesh da Muhammad
Yunus (premio Nobel per la pace nel 2006) con il nome di Grameen Bank (Banca del
contadino). L’esperienza di tale istituto è stata di recente importata, e riadattata, anche
nei paesi sviluppati nel tentativo di assistere i cosiddetti ‘nuovi poveri’ dell’economia.
3. Banca etica (F. Alfani)
Istituto bancario operante sul mercato finanziario secondo i principi della finanza etica; si caratterizza per l’offerta al risparmiatore di un portafoglio d’impieghi
coerente con la propria missione e si realizza attraverso investimenti diretti alla
sostenibilità ambientale, alle energie rinnovabili, all’housing sociale – ovvero
un’edilizia residenziale agevolata per soggetti che non sono in grado di sostenere i costi del libero mercato – alle imprese sociali e al microcredito. Proprio attraverso la logica del microcredito, una banca etica realizza la sua esigenza primaria
di incidere sulla funzione allocativa, ossia di indirizzare il finanziamento a favore di soggetti normalmente discriminati dalle banche tradizionali. Facendo leva
sulla disponibilità a pagare di consumatori e risparmiatori per il valore sociale ed
ambientale dei prodotti finanziari offerti, l’istituto riesce ad ottenere una raccolta a tassi inferiori a quelli di mercato. Tale fiducia è ricambiata dall’istituto garantendo la massima trasparenza sull’impiego e la gestione dei risparmi. Chi deposita i propri risparmi presso una banca etica, infatti, fornisce ad essa una delega
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precisa con riferimento alle scelte di erogazione del credito. Tale delega può attenere ai criteri di selezione degli imprenditori (dove ad esempio si richiede attenzione all’eticità degli utilizzi dei finanziamenti o si indica un insieme di settori merceologici verso i quali far convergere gli stessi) o all’insieme delle procedure da utilizzare nell’erogazione del credito. La banca etica trae ispirazione dall’esperienza della Grameen Bank, la prima banca dei poveri fondata in Bangladesh
nel 1976 da Muhammad Yunus (Premio Nobel per la Pace nel 2006). In Europa
tra le esperienze più significative si annoverano quella della Triodos Bank, della
Okobank e della Banca Popolare Etica in Italia.
4. Cattura e stoccaggio del carbone (C. Dicembrino)
Per cattura e stoccaggio del carbone s’intende una tecnica con la quale si confina geologicamente l’anidride carbonica (CO2) prodotta da grandi impianti di
combustione.
Sono state sviluppate tre diverse tipologie di cattura della CO2:
- Direttamente dai fumi di combustione saturi, la CO2 viene assorbita da un
solvente chimico adatto ed in un secondo momento separata dal solvente e compressa per poter poi essere trasportata e stoccata. Tale metodologia viene comunemente individuata come post-combustione.
- Prima della combustione il combustibile è convertito in una mistura di idrogeno e anidride carbonica usando un processo chiamato gassificazione. L’idrogeno può essere usato come combustibile per la produzione di elettricità e potenzialmente per alimentare vetture ad idrogeno.
- Oxy-fuel: l’idrogeno necessario alla combustione viene separato dall’aria prima
del processo di combustione, producendo dell’anidride carbonica più concentrata e facile da trattare.
Il corrente dibattito sulle modalità di cattura e stoccaggio della CO2 è strettamene legato alla perdita di massicci quantitativi della stessa CO2 in seguito ad
eventi geologici o una graduale e silente fuoriuscita in atmosfera prolungata
nel tempo.
5. Rischio (R. Ciciretti)
Rischio è una situazione soggettiva in cui l’incertezza, situazione oggettiva,
prende una sua configurazione. La misurazione del rischio può essere sia probabilistica che frequentista. La prima dipende dalle probabilità, o dalla distribuzione delle probabilità, di verificarsi assegnate a una serie di eventi futuri possibili.
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La seconda viene definita come il numero di casi favorevoli sul numero di casi possibili. Dal punto di vista economico il rischio può assumere diverse forme. Di rischio si parla quando si parla di rischio di fallimento, rischio di cambio, rischio di
scadenza, rischio paese, rischio sistemico, rischio sistematico o non diversificabile, rischio diversificabile, etc. Ognuna di queste categorie di rischio ha un suo
campo di applicazione ben specifico. Al rischio è anche collegata, tramite la
teoria dell’utilità attesa, l’avversione al rischio. Essa è, come il rischio, una situazione soggettiva in cui ogni individuo/agente che opera nel mercato si trova a
fronteggiare ogni volta in cui è messo di fronte a due alternative: una certa e una
incerta. A seconda dell’avversione al rischio, gli individui sceglieranno una o
l’altra situazione in base all’utilità che si determinerà. Ogni individuo riuscirà sempre a definire una soglia di indifferenza tra le due alternative definendo quello che
prende il nome di equivalente certo. Questo è il valore che rende l’individuo avverso/propendo/indifferente al rischio neutrale rispetto alla scelta della situazione certa rispetto a quella incerta. Definita l’avversione/propensione a rischio e il
suo equivalente certo si può definire una misura molto usate nell’analisi economica che è il premio per il rischio. Esso è l’ammontare che viene richiesto da un
individuo avverso al rischio in una situazione di incertezza. Il premio al rischio
può anche essere stimato con modelli come il CAPM. Il premio per il rischio può
anche essere utilizzato per stimare quello che si definisce ritorni in eccesso (excess return) in cui la differenza di rendimento tra un asset rischioso e uno privo
di rischio è funzione del rischio non diversificabile, misurato dal ‚eta, e del premio al rischio di mercato.
Il concetto di avversione al rischio degli investitori definisce quindi come essi richiedono extra-profitti o rendimenti compensativi per una maggiore incertezza.
Peraltro, la nozione di crucialità del rischio e l’assunto in virtù del quale gli investimenti più rischiosi, per essere considerati vantaggiosi, debbano presentare un
profilo di rendimento superiore in confronto a operazioni meno spregiudicate,
risultano piuttosto intuitivi. Il ritorno atteso di ciascun investimento può, perciò, essere espresso come la somma del tasso privo di rischio e di un extra-rendimento per compensare tale maggiore incertezza (premio per il rischio). Per descrivere il premio al rischio è quindi opportuno distinguere le due componenti
fondamentali del rischio:
- rischio sistematico
- rischio specifico.
Il rischio sistematico, o anche rischio non diversificabile, deriva dalla constatazione dell’esistenza di pericoli e problemi che interessano l’intera economia,
rappresentando una minaccia per tutte le attività (nel modello del CAPM, il
rischio sistematico è misurato dall’indicatore β). Questa è la ragione per cui le
azioni mostrano una tendenza alla sincronia nei comovimenti e la motivazione
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alla base dell’esposizione degli investitori alla “incertezza del mercato”, a prescindere dal numero di azioni detenuto.
Il rischio specifico, invece, inserisce i pericoli incombenti sul singolo asset considerato. Si tratta di un elemento riducibile tramite appropriate tecniche di diversificazione delle attività finanziarie costituenti il portafoglio (vedi LMC e SML)
e, per giunta, misurabile attraverso l’utilizzo di idonei indici statistici di variabilità, tra cui ricordiamo, ad esempio, lo scarto quadratico medio.
Il rischio viene preso in considerazione anche quando si parla di premium puzzle. Fra i fenomeni che appaiono di difficile risoluzione uno è il seguente: perché
il mercato azionario statunitense ha offerto un rendimento medio annuo così elevato (circa l’8 % in termini reali) per gran parte del XX secolo? Tale enigma è noto come equity premium puzzle. Le domande che possono nascere sono del
tipo: “perché la volatilità del rendimento del comparto azionario è risultata
enormemente superiore a quella del tasso di crescita dei consumi pro-capite?” oppure “perché il tasso di interesse di mercato ha registrato valori (reali) inferiori
all’1 %?”. Il puzzle si fonda proprio su questo tipo di quesiti. È difficile generare, da un modello di aspettative razionali, un sistema economico caratterizzato
da una volatilità contenuta per il consumo ma elevata riguardo ai rendimenti azionari, nonché da un esiguo tasso di interesse medio in termini reali. Per anni i teorici hanno tentato di comprendere per quali motivi solamente una modesta
quota degli investitori acquistasse azioni, oppure per quale ragione i soggetti con
un orizzonte temporale di lungo termine detenessero titoli a reddito fisso obbligazionari. È noto che i rendimenti reali offerti dai diversi asset finanziari possano differire considerevolmente, anche quando valutati in media lungo un periodo di tempo esteso. Gli economisti spiegano ciò attribuendo tali differenze alle
varie intensità con cui il rendimento di un titolo covaria con la tipica funzione di
consumo dell’investitore. Se tale covarianza è alta, la vendita delle azioni determina una riduzione della varianza del tipico flusso di consumo dell’investitore.
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