RIFORMA DELLA GUSTIZIA MINORILE

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RIFORMA DELLA GUSTIZIA MINORILE
BREVI CONSIDERAZIONI SUGLI ASPETTI ORDINAMENTALI
La riforma oggi all’esame del Senato ha certamente il pregio di abolire finalmente una giurisdizione
speciale, residuo di un epoca in cui il minore non era riconosciuto come titolare di diritti soggettivi, e con
essa il suo abnorme rito camerale, privo delle garanzie del giusto processo, irrinunciabili quando sono in
gioco interessi di rango costituzionale quali sono i diritti relazionali delle persone, ed in particolare di quelle
minorenni.
Preoccupa, tuttavia, la scelta operata di conservare un doppio binario di giurisdizione per le questioni che
coinvolgono gli interessi dei minori, con particolare riguardo ai giudizi di cui agli artt. 330 ss c.c.
L’attribuzione alle sezioni distrettuali della competenza a decidere sui procedimenti relativi alla
responsabilità genitoriale nel caso di pregiudizio per il minore appare del tutto illogica, atteso che proprio
in tale materia, ancor più che in altre, l’ambito territoriale assume particolare rilevanza per l’effettività dei
diritti in gioco, con la conseguente necessità di vedere riconosciuto il Giudice di prossimità.
Peraltro, l’inevitabile rischio di sovrapposizioni e di conflitti di giudicato, e la conseguente esigenza di
concentrazione delle tutele hanno indotto il legislatore a confermare la previsione di una vis attrattiva, pur
molto depotenziata rispetto al traguardo raggiunto dalla riforma della filiazione, onde attribuire al giudice
già chiamato a statuire sull’affidamento del figlio anche il potere di emanare gli ulteriori provvedimenti nel
suo interesse. Ma chiunque si occupi quotidianamente di diritto minorile sa quanto sottile sia la linea di
demarcazione tra i giudizi di limitazione e quelli ablativi della responsabilità genitoriale, soprattutto quando
vengano introdotti dal Pubblico Ministero.
Perché dunque sottrarre alla competenza del giudice di prossimità la competenza in materia di
decadenza della responsabilità genitoriale? Sul punto è bene ricordare che quello stesso giudice oggi, in
forza dell’attrazione di competenze operata dalla legge 219/2012, ha già il potere di dichiarare la
decadenza dalla responsabilità genitoriale ogni qual volta nell’ambito dei giudizi di scioglimento della
famiglia ravvisi un grave pregiudizio per i minori coinvolti.
Altrettanto preoccupa la mancata previsione dell’esclusività delle funzioni nelle sezioni specializzate
circondariali e la scarsa valorizzazione del ruolo del PM, che dovrebbe invece accompagnare l’auspicato
contenimento dei poteri officiosi del giudice.
Infine, è indispensabile soffermarsi sulla vexata questio della composizione dell’organo giudicante e del
ruolo dei c.d. componenti privati.
E’ bene ricordare che l’Italia è l’unico Paese europeo a concepire la presenza di esperti nelle scienze
psicologiche e comportamentali all’interno dei collegi giudicanti civili.
La particolare efficienza del nostro modello di giustizia penale minorile, identicamente riprodotto nel ddl in
questione, non deve sviare.
Il contributo dell’esperto nei collegi penali ha infatti la finalità di comprendere quale sia la pena più
adeguata alle esigenze e alle potenzialità di recupero dell’imputato minorenne. Ciò evidentemente non vale
per i collegi civili, chiamati oggi – non così nel 1934 – a svolgere una funzione giurisdizionale di tutela dei
diritti fondamentali della persona.
Tale soluzione risulta in contrasto con la previsione costituzionale che ogni processo si svolga nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale (art. 111, comma
2 cost.), dal momento che le valutazioni del giudice onorario e la sua restituzione al Collegio non possono
prescindere dalle specifiche competenze professionali dello stesso (in aperto contrasto con il divieto di
cui all’art. 115 c.p.c.), che, di fatto, svolge il ruolo di consulente tecnico, fuori però dagli schemi
predeterminati della CTU, e, conseguentemente, senza le garanzie proprie di tale strumento, quale ad
esempio la nomina di un consulente di parte.
Le professionalità extragiuridiche – di cui certo non si vuole negare l’importanza – dovrebbero invece
avere la funzione di assistere il giudice nel compimento di accertamenti per i quali siano richieste le loro
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competenze tecniche, ma secondo le forme e nel rispetto delle garanzie previste dal principio del
contraddittorio della CTU come rafforzato dalla riforma processuale del 2009.
Peraltro, se i componenti privati attualmente impiegati nel tribunali minorili, e che il ddl in esame
trasferisce alle sezioni distrettuali, costituissero l’albo degli ausiliari del giudice si otterrebbe un grande
risparmio economico per i cittadini, che in caso di consulenza tecnica dovrebbero sostenere
esclusivamente le eventuali spese per il consulente di parte. Ciò consentirebbe di far ricorso alla
consulenza tecnica anche in tutte quelle situazioni in cui le condizioni economiche delle parti inducono il
giudice a demandare le indagini al servizio sociale, il cui autentico ruolo è invece quello di sostegno alle
famiglie.
La specializzazione del giudice – fondamentale nella materia che ci occupa – deve essere garantita dalla
formazione continua, dall’esperienza sul campo e dal costante contatto con gli ausiliari e i consulenti
tecnici, ma non può porsi in contrasto con i principi del giusto processo.
A ciò si aggiunga che il testo di legge qui esaminato si mostra confuso nella definizione di ruoli e
competenze dei magistrati non togati previsti nelle sezioni distrettuali, con il conseguente rischio di
vedere confermata quella prassi distorta, da troppo tempo posta in atto nei tribunali minorili, di delegare
ai giudici onorari l’istruttoria dei processi civili riguardanti i minori, consentendo così agli stessi di filtrare
l’acquisizione delle prove con le proprie competenze tecniche fuori da ogni garanzia processuale.
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SUL RITO
L’aspetto sicuramente più pregevole di questa proposta di riforma è costituito dall’intervento sul rito dei
procedimenti riguardanti la famiglia e i minori, sotto il duplice profilo del tentativo di formalizzare e
preordinare il procedimento camerale, da un lato, e di unificare i giudizi relativi allo scioglimento della
famiglia, sia essa fondata sul matrimonio oppure no, dall’altro.
procedimenti giudiziali
Il legislatore intende delegare il Governo a dettare una disciplina omogenea per i procedimenti in materia
di separazione e divorzio giudiziale e in materia di filiazione fuori dal matrimonio, che sia caratterizzata
dalla concentrazione delle domande e delle difese nel ricorso introduttivo; principio da tempo valorizzato
dall’avvocatura specializzata.
Si sottolinea tuttavia l’eccessiva brevità del termine a comparire di 20 giorni, che rischia di
compromettere il diritto di difesa del convenuto, soprattutto considerato che nel progetto è previsto
l’esperimento di tutte le difese nel primo atto difensivo. Si auspica che il termine venga allungato ad
almeno 40 giorni.
E’ bene inoltre che venga precisato che l’eventuale delega per l’audizione delle parti possa essere dal
presidente conferita esclusivamente a un magistrato ordinario.
Si evidenzia poi l’eccessiva discrezionalità lasciata al giudice nella gestione delle difese. In particolare è
necessaria una riformulazione della previsione dei termini per le memorie conclusionali che dovrebbero
sempre venire concessi se richiesti dalle parti.
Da ultimo si esprime delusione per la scelta del reclamo alla corte di appello avverso i provvedimenti
provvisori emessi dal presidente in luogo del reclamo al collegio ex art. 669 terdecies cpc.
procedimenti consensuali
L’esecutivo viene pure delegato a disciplinare i procedimenti consensuali di separazione, divorzio e
scioglimento della famiglia di fatto. Sbalordisce tuttavia che dopo i passi compiuti verso la
degiurisdizionalizzazione venga qui ancora prevista l’udienza di comparizione delle parti davanti al
Presidente del Tribunale, e ciò benché siano molti gli uffici giudiziari che stanno assumendo la prassi – nei
procedimenti disciplinati dal rito camerale nei quali non deve essere esperito il tentativo di conciliazione –
di non convocare le parti, limitandosi a recepire, ove non contrarie all’interesse di eventuali minori
coinvolti, le condizioni contenute nel ricorso introduttivo.
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Peraltro il tentativo di conciliazione è previsto solo dalla norma processuale e non anche da quella
sostanziale, con la conseguenza che sarebbe sufficiente l’intervento in esame per abrogare una previsione
ormai desueta.
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Da ultimo si evidenzia una scarsa sistematicità del nuovo impianto qui proposto, laddove il nuovo rito
uniforme viene applicato esclusivamente ai procedimenti di disgregazione della famiglia, con esclusione
delle azioni di stato, delle altre cause matrimoniali e di ogni azione connessa a quelle precedenti.
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Procedimenti de potestate
Quanto ai procedimenti in materia di responsabilità genitoriale, demandati alle sezioni distrettuali,
assistiamo ad una apprezzabile limitazione dei poteri officiosi del giudice e ad una puntuale definizione del
regime delle impugnazioni.
Tuttavia, se da un lato conforta il richiamo al cautelare uniforme in relazione ai provvedimenti urgenti
emessi nei procedimenti c.d. de potestate – benché sarà necessario comprendere se con l’aggettivo urgenti
si vogliano intendere tutti i provvedimenti interinali, e non malauguratamente solo quelli emessi inaudita
altera parte o comunque connotanti una situazione di particolare emergenza – d’altro lato appare riduttiva
l’indicazione dell’impugnabilità in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. per i soli provvedimenti ablativi
della responsabilità genitoriale, con esclusione di quelli che ne dispongono la limitazione, atteso che anche i
provvedimenti assunti a norma dell’art. 333 c.c. sono passibili di incidere fortemente sui diritti soggettivi
delle persone.
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