Quando le righe di una storia raccontano il mondo. La fiaba: un

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Quando le righe di una storia raccontano il mondo. La fiaba: un
Quando le righe di una storia raccontano il mondo. La fiaba: un’identità multipla per un congegno comple
di Rossella Caso
Intorno alla funzione educativa della fiaba si è scritto tanto, in pedagogia come in psicologia; in
antropologia come in psicoanalisi: la fiaba è metafora della vita dell’uomo e della realtà in cui il
bambino vive. All’interno di questo contributo si cercherà di definirne l’identità e la complessità,
sia di quella classica che di quella moderna, per capire se l’antica arte del raccontare possa
avere ancora un senso e se orchi, principi e principesse possano ancora contribuire, come
ormai da millenni accade, alla crescita delle giovani generazioni.
Much has been written about the educational role of fairy tales, in pedagogy as well as in
psychology; in anthropology as well as in psychoanalysis: the tale is a metaphor of human life
and the reality in which the child lives. In this article I will try to define the identity and the
complexity of fairy tales, both classical and modern, to see if the ancient art of storytelling may
still have a sense and if ogres, princes and princesses can still contribute to the growth of the
younger generations, as it happens since thousand years.
1. Biancaneve, Cenerentola e il Principe Azzurro a rischio scomparsa. Chi vuole ancora
fiabe?
Biancaneve, Cenerentola e la Bella addormentata nel bosco devono scomparire dalle letture dei
nostri bambini. Lo ha decretato un anno fa il ministro dell’Eguaglianza del premier socialista
spagnolo Josè Luis Zapatero. Le fiabe, sostengono a gran voce gli iberici, trasmettono una
visione patriarcale e maschilista della società. I racconti che parlano di principesse salvate da
principi azzurri, oltre a essere sorpassati, condizionano i più piccoli, trasmettendo loro stereotipi
difficili da estirpare. Esse, inoltre, trasmettono una visione ormai superata del mondo e della
vita. Il sindacato degli insegnanti Fete-Ugt ha quindi realizzato un opuscolo, Educando
nell’uguaglianza, in cui la fiaba La principessa differente tratteggia un nuovo tipo di eroina: la
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protagonista è Alba Aurora, una principessa «delicata e amabile, ma anche molto agile e
sportiva e a cui piaceva, tutti i sabati, scalare le montagne o fare camping in spiaggia» (Orighi,
2010) [1]. Un giorno un bel principe bussa alla sua finestra, chiedendole di liberarla da un mago
malvagio o da un enorme orco. La risposta di Alba Aurora è: «Io non ne conosco, ma se così
fosse stato avrei trovato da sola il modo di liberarmene» (Fete-Ugt, 2010). Il principe, preso
dalla tristezza, sta per andare via, quando all’improvviso la principessa lo richiama e gli propone
di visitare insieme la Muraglia Cinese in moto. Lui accetta con entusiasmo, montano sul bolide
e da quel momento in poi «diventarono buoni amici» (Ibidem).
Cappuccetto Rosso, lupo e orchi non sono meno violenti di certi videogame come L.A. Noire,
Grand Theft Auto, Carmageddon, Soldato di Fortuna o Caccia all’uomo: lo ha decretato una
recente sentenza della Corte Suprema Americana. Giocando con il significato letterale della
parola grim, che vuol dire letteralmente sinistro, i giudici hanno sentenziato che certi videogiochi
violenti non sono peggiori delle fiabe, per esempio quelle dei Grimm, che venivano narrate ai
bambini prima dell’avvento dei computer e dei videogame (Zucconi, 2011).
Se tutto questo è vero; se le fiabe educano la mente del bambino allo stereotipo e se non sono
meno violente né più educative di certi videogame, ha senso raccontare ancora? E, soprattutto,
cos’è la fiaba?
Sulla sua funzione educativa si è scritto tanto, in pedagogia come in psicologia; in antropologia
come in psicoanalisi: partendo dall’ipotesi che essa sia una metafora della vita dell’uomo e della
realtà in cui il bambino vive, ne è stato messo in evidenza il carattere storico e psicologico. Il
contenuto simbolico della fiaba, in questa prospettiva, non può che rappresentare, sotto il velo
della metafora, gli aspetti della realtà. (V. Propp, 1966) [2]. È proprio questa dimensione del
congegno fiabesco a essere educativa, in quanto, mentre trasmette modelli di comportamento,
la fiaba risponde a un bisogno psicologico profondo del bambino: quello di spiegare e di
conferire un senso alla realtà nella quale vive. (B. Bettelheim, 1975) Nei paragrafi seguenti si
cercherà di definirne l’identità e la complessità, sia di quella classica che di quella moderna, per
capire se l’antica arte del raccontare possa avere ancora un senso e se orchi, principi e
principesse possano ancora contribuire, come ormai da millenni accade, alla crescita delle
giovani generazioni.
2. Quando le righe di una storia raccontano il mondo: identità e complessità della fiaba
classica e della fiaba moderna
«C’era una volta, in un villaggio lontano una bambina, la più carina che mai si sia veduta; la sua
mamma non vedeva che per gli occhi suoi, e la sua nonna non era da meno. La brava donna le
aveva fatto fare un cappuccetto rosso: e le stava così bene che tutti ormai la chiamavano
Cappuccetto Rosso» (Perrault, 2007).
«Pioveva. Non si poteva scendere in cortile e la televisione trasmetteva un programma noioso.
Che fare? Alice prese di malavoglia un vecchio libro di favole illustrato…» (Rodari, 1995).
Che l’incipit di una storia ci introduca in un tempo antico e sospeso e in luogo indefinito o in un
cortile qualunque di una casa qualunque, di una città qualunque, in uno qualunque dei giorni del
nostro tempo; che la bambina in questione si chiami Cappuccetto Rosso o Alice Cascherina, la
fiaba parla di noi, del nostro patrimonio psico-sociale, degli archetipi che abitano il nostro
immaginario, della nostra vita. Che venga dal passato, e quindi ci racconti dei tempi lontani –
quelli, appunto, del C’era una volta e di un Altrove pieno di fascino e di mistero – o che sia
opera di autori moderni o contemporanei, essa traccia percorsi esistenziali e gallerie di destini.
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Nella fiaba classica l’eroe/ina parte per un viaggio, durante il quale sarà costretto/a a superare
delle prove; sarà esposto/a a pericoli e dovrà vincere innumerevoli ostacoli prima di approdare
al traguardo finale, ovvero le nozze con la fanciulla amata o promessa – nel caso che la
protagonista della storia sia una dolce fanciulla, con il principe amato – o la conquista del bene
agognato (un luogo, un simbolo, un oggetto). Nel suo percorso potrà avere a che fare con
incantesimi; con anelli o bacchette magiche, o incontrare animali parlanti o oggetti che si
animano e ancora fate, orchi, elfi, streghe, abitanti di castelli o di giardini incantati che si aprono
all’improvviso lungo la strada o nel folto del bosco (nella fiaba magico di per se stesso).
Intere generazioni sono cresciute ascoltando queste storie: storie di fate, di streghe, di principi
azzurri e di cenerentole, di pollicini e di piccoli hansel e gretel. Storie che hanno nutrito
l’immaginario raccontando della società e della cultura dell’epoca nella quale sono nate,
offrendo al lettore, piccolo e grande, quello che Italo Calvino ha definito un vero e proprio
catalogo dei destini umani (Calvino, 1973).
Nella fiaba moderna materia del racconto è sempre il viaggio di un eroe o di un’eroina, ma il
bosco intricato e incantato è diventato la metropoli – più o meno trasfigurata fantasticamente –
luogo di piacere e di libertà, ma anche di avventure e di crescita, e le prove quelle che ogni
bambino ed ogni bambina si trovano a dover affrontare quotidianamente: l’ingresso a scuola, la
visita dal dottore o, come nel caso della piccola Alice Cascherina nata dalla fantasia di Gianni
Rodari, un pomeriggio solitario e noioso a casa. Un pomeriggio nel quale, come vedremo, la
lettura si fa magia e la bambina vive le più straordinarie avventure incontrando i personaggi
delle fiabe che da sempre la mamma le ha letto prima di dormire.
Fiaba contemporanea, come ha scritto Gianni Rodari, «sarà quella che tenterà di inserire nella
dimensione fiabesca cose, persone, problemi del nostro tempo; o che semplicemente userà il
linguaggio fiabesco per parlare, con i bambini di oggi, delle cose di oggi; o che muovendosi
sulla stessa linea, tenterà di rinnovare il linguaggio fiabesco» (Rodari, 1970).
La fiaba moderna è, dunque, una trasfigurazione fantastica della realtà odierna, un complesso
intreccio di fantasia e realtà; una realtà che, come messo in evidenza dallo scrittore Marcello
Argilli, non è mai stata tanto fantastica quanto oggi, perché l’umanità è riuscita a realizzare ciò
che per secoli è stata in grado solo di immaginare: «per secoli i bambini hanno fantasticato di
volare a cavalcioni su una scopa o su un tappeto volante e oggi si vola; hanno sognato di
viaggiare alla fantastica velocità del cavallo (…) e oggi corrono in treno e in automobile; hanno
fantasticato di vedere a distanza con una magica sfera di cristallo e oggi lo fanno
quotidianamente con la televisione; di avere ogni risposta dalla pietra filosofale e oggi hanno le
calcolatrici elettroniche e i computer; ascoltando le fiabe popolari hanno sognato spade
invincibili e archi infallibili e oggi esistono missili capaci di entrare e di distruggere una città
distante migliaia di chilometri; le bacchette magiche delle fate oggi sono realmente nelle mani,
spesso irresponsabili, degli scienziati e si è realizzata la miracolistica possibilità di produrre
qualsiasi cosa». (Argilli, in Cambi, 1999, pp. 176-177). Ora, se la fiaba classica ha rappresentato la proiezione fantastica dell’universo sociale,
culturale e antropologico delle società agricolo-artigianali, la fiaba moderna elabora nuovi
ambienti, personaggi, simboli, che altro non sono che la trasposizione sul piano
dell’immaginario del mondo tecnologico e massmediale della società industriale.
Che sia classica o moderna, la fiaba cattura il reale per dominarlo, per spiegarlo e per mettervi
ordine: traccia percorsi di vita, che rassicurano e ammaestrano e in questo senso risponde a un
bisogno tipicamente umano, che è appunto quello di spiegare la realtà: è la dimensione del
racconto. Essa – in ciò la sua funzione pedagogica – parla delle esperienze fondamentali della
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formazione, con i suoi personaggi, i suoi simboli, i suoi percorsi; evoca paradigmi di crescita,
itinerari di prove, pratiche di iniziazione, figure simboliche, che agiscono sospese tra reale e
fantastico. In questo senso parla di formazione e agisce sulla formazione, a partire
dall’immaginario, preparando all’esperienza e a tutta la varietà e la complessità che la
caratterizza, anche nei suoi aspetti di durezza e di crudeltà (Cambi, in Cambi 1999; Filograsso,
2005; Bernardi, 2007; Bernardi, 2010).
Possiamo rintracciare, dunque, nella narrazione fiabesca i cinque elementi che Franco Cambi
ha definito come quelli fondamentali del genere, seppur nella sua accezione classica (ma che,
come si è visto, è possibile applicare anche alla fiaba moderna) e dalla cui ibridazione deriva
l’identità complessa e plurale del congegno fiabesco: il racconto, legato dapprima all’oralità e
poi alla scrittura – e pregna di oralità è, del resto, anche la fiaba scritta - ; il viaggio iniziatico e le
pratiche di iniziazione; i processi di magia; la dimensione del fantastico; il significato/valore
pedagogico. (Cambi, 1999 cit.) [3].
Ibridazione è l’intreccio di questi cinque elementi; è ancora, l’unione di meraviglioso e naturale,
vicino e lontano, comprensibile e incomprensibile (Luthi, 1979), ma è anche la commistione di
avventura e magia, sentimentale e grottesco, realismo e fantasia, logica e fantastica, che
caratterizza la produzione fiabesca dall’antichità fino alla moderna fiaba d’autore.
Ora, la domanda è: questa complessità educa ancora? E raccontare ha ancora un senso? O
Biancaneve, Cappuccetto Rosso, la Bella addormentata e il Principe Azzurro, ma anche la
piccola Alice Cascherina, possono scomparire dalla fantasia dei bambini, sostituiti dalla
principessa femminista Alba Aurora o dal Soldato di Fortuna dei videogame?
3. Raccontare ancora? Si, per guardare il mondo a testa in giù!
Contro ogni demonizzazione della fiaba; contro ogni impoverimento del suo messaggio,
psicologi, pedagogisti, studiosi di letteratura per l’infanzia continuano ancora oggi a confermare
quanto già nel secolo scorso fa affermarono, tra gli altri, Bruno Bettelheim e, in Italia, Italo
Calvino: le fiabe sono vere! (Bettelheim, 1975; Calvino, 1973). Sono vere e nutrono la mente
del bambino, formandola. Il loro impianto strutturale e tematico risponde infatti pienamente alla
natura della mente infantile, e alla modalità di conoscenza con la quale ogni bambino si dispone
di fronte alla vita: quella magica e animistica (Frabboni, Pinto Minerva, 2008).
L’ibridazione di meraviglioso e naturale, vicino e lontano, comprensibile e incomprensibile e,
ancora, di avventura e magia, sentimentale e grottesco, alimenta l’immaginario del bambino,
che proprio attraverso le avventure di Biancaneve e dei Sette Nani, di Cappuccetto Rosso e del
lupo, della Bella addormentata nel bosco e del Principe Azzurro, di Alice Cascherina e dei suoi
amici, entra nei mondi possibili della fantasia. Ancora, educa alle emozioni, nella misura in cui
ogni fiaba ne è un piccolo inventario. Rassicura, perché la stessa struttura che la caratterizza è
un piccolo esempio di quella che Bruno Bettelheim chiama pedagogia della riuscita: l’eroe, per
quanto piccolo e indifeso, alla fine vince sempre. La fiaba fa capire al bambino che esistono
molti modi diversi di essere e di esistere e quindi gli permette di conoscere le differenze e di
vivere, se pure sul piano dell’immaginario, le prime forme di incontro interpersonale e
interculturale. (Ibidem).
L’ibridazione di realismo e fantasia, di logica e fantastica, allena il pensiero: le narrazioni, infatti
(sia quelle ascoltate che quelle prodotte in prima persona), costituiscono la base per lo sviluppo
delle funzioni mentali superiori. L’altalena tra reale e immaginario aiuta inoltre il bambino a
mettere ordine, a trovare un senso al fluire spesso disordinato degli eventi: le storie gli offrono
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dei modelli di comprensione della realtà e lo aiutano a impadronirsi fino in fondo del reale,
rimodellandolo, e a utilizzare il patrimonio esperienziale del passato per affrontare il presente e
per orientarsi verso un futuro a cui da solo non sa ancora pensare (Rodari, 1997) [4]. Realismo
e fantasia, logica e fantastica, promuovono il pensiero divergente e la creatività, facoltà
necessarie per costruire una testa ben fatta. Leggere fiabe, dunque, significa coltivare delle
menti creative; generare bambini e ragazzi con la testa all’ingiù, ovvero «capaci di mettersi sul
naso occhiali anticonformisti e trasgressivi con i quali poter guardare un mondo/rovesciato»
(Frabboni, 2010, p. 3; Frabboni, Pinto Minerva, 2001). Bambini e ragazzi desiderosi di
avventurarsi lungo i sentieri dell’immaginazione, dell’inattuale, dell’inedito, dell’ignoto; bambini e
ragazzi capaci di rotture cognitive per osare molteplici e differenti linguaggi espressivo-creativi:
quelli, appunto, della fantasia. Leggere fiabe ai bambini, quindi, significa dare loro le ali per
volare nei cieli del sentimento e della fantasia e le gambe per camminare sui sentieri della
quotidianità, dotati di conoscenza e di creatività, poiché l’incursione nel mondo fantastico li fa
tornare alla realtà più forti e più sicuri (Frabboni, cit.).
Così la piccola Alice Cascherina, in un pomeriggio di pioggia, apre di malavoglia un vecchio
libro di favole illustrato. Dopo qualche sbadiglio però la storia la coinvolge così tanto che...
«casca nel libro a capofitto» e incontra tutti i personaggi delle fiabe che la mamma le legge ogni
sera: la Bella addormentata nel bosco, Cappuccetto Rosso e il lupo e il Gatto con gli stivali.
Ormai arrivata all’ultima delle storie, è proprio il Gatto con gli stivali a riportarla fuori dal vecchio
libro, dopo che Alice gli ha ribadito a gran voce: «io non appartengo al mondo delle favole: io
vengo dal mondo delle cose vere!» (Rodari, 1995) Se la fiaba è palestra di emozioni e di
fantasia, se nell’intreccio tra logica e fantastica che la caratterizza forma, come si è visto, il
pensiero creativo e divergente dei bambini, allora raccontare storie ha ancora un senso e un
valore educativo. Biancaneve, Cenerentola, Cappuccetto Rosso, il Principe azzurro, devono,
allora, continuare a nutrire la fantasia dei bambini per dotarli di una facoltà fondamentale: la
capacità di pensare. È così che, più forti, potranno risolvere i piccoli problemi del crescere nella
realtà vera… a testa in giù!
Una volta tornata nella sua camera, la piccola Alice «guardò di nuovo fuori dalla finestra. La
pioggia era ormai cessata: si poteva scendere in cortile a giocare» (Ibidem).
Note
[1] L’opuscolo può essere scaricato sul sito www.educandoenguildad.com (20 agosto 2011)
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[2] Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a Levi Strauss, C. (1966). La struttura e la forma.
Riflessioni sulla fiaba di Vladimir Ja. Propp. In Propp, V. Morfologia della fiaba (pp. 197-220).
Torino: Einaudi; al lavoro dello stesso Propp sulla fiaba russa, Id. (1990). La fiaba russa. Torino:
Einaudi. Per ulteriori approfondimenti critici, si vedano: Calvino, I. (2004). Sulla fiaba. Milano:
Mondadori; Cardarello, R. (1995). Libri e bambini. La prima formazione del lettore. Scandicci,
Firenze: La Nuova Italia; Filograsso, I. (2005). Polisemia della fiaba. Roma: Anicia e Denti, R.
(2007). La fiaba di tradizione orale alla base di ogni narrazione. In Blezza Picherle, S. (a cura
di), Raccontare ancora. La scrittura e l’editoria per ragazzi (pp. 241-250). Milano: Vita e
Pensiero.
[3] Altri interessanti studi sulla fiaba sono stati pubblicati in tre volumi, curati, tra gli altri, anche
da Franco Cambi: Cambi, F., Rossi, G. (a cura di). (2006). Paesaggi della fiaba. Luoghi,
scenari, percorsi. Roma: Armando; Cambi, F., Landi, S., Rossi, G. (a cura di). (2008).
L’immagine della società nella fiaba. Roma: Armando; Cambi, F., Landi, S., Rossi, G. (a cura
di). (2010). La magia nella fiaba. Itinerari e riflessioni. Roma: Armando.
[4] Sullo stesso argomento si vedano anche Mattia, L. (2011). A scuola di narrazione. Come e
perché scrivere con i bambini. Casale Monferrato: Sonda e Bacchetti, F. (a cura di). (2010).
Attraversare boschi narrativi. Tra didattica e formazione. Napoli: Liguori.
Bibliografia
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Autori, testi, figure (pp. 171-187). Pisa: ETS.
Bacchetti, F. (a cura di). (2010). Attraversare boschi narrativi. Tra didattica e formazione.
Napoli: Liguori.
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Bernardi, M. (2010). Tante storie in una. Un esempio di densità ed espansione metaforica della
fiaba. Infanzia, 2, 84-88.
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Blezza Picherle, S. (a cura di). (2007). Raccontare ancora. La scrittura e l’editoria per ragazzi.
Milano: Vita e Pensiero.
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Calvino, I. (2004). Sulla fiaba. Milano: Mondadori.
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Autori, testi, figure (pp. 15-26). Pisa: ETS.
Cambi, F., Rossi, G. (a cura di). (2006). Paesaggi della fiaba. Luoghi, scenari, percorsi. Roma:
Armando.
Cambi, F., Landi, S., Rossi, G. (a cura di). (2008). L’immagine della società nella fiaba. Roma:
Armando.
Cambi, F., Landi, S., Rossi, G. (a cura di). (2010). La magia nella fiaba. Itinerari e riflessioni.
Roma: Armando.
Cardarello, R. (1995). Libri e bambini. La prima formazione del lettore. Scandicci, Firenze: La
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Propp, V. Morfologia della fiaba (pp. 197-220). Torino: Einaudi.
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Mattia, L. (2011). A scuola di narrazione. Come e perché scrivere con i bambini. Casale
Monferrato: Sonda
Orighi, G. A. (2010). Svegliati Biancaneve, non hai bisogno del principe azzurro. La Stampa, 11
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Zucconi, V. (2011). I videogiochi violenti? Come Cappuccetto Rosso. Salta il divieto ai minori.
Corriere della sera, 28 giugno.
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