vertice di nairobi, la terra puo` attendere

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vertice di nairobi, la terra puo` attendere
VERTICE DI NAIROBI, LA TERRA PUO' ATTENDERE
Lunedì 20 Novembre 2006 14:31
di Agnese Licata
“Non possiamo aspettare i cinque anni necessari per rinegoziare Kyoto. Semplicemente non
abbiamo tempo”. Non è bastato neanche il monito di Nicholas Stern e del suo rapporto
sull’impatto economico dell’effetto serra per convincere i seimila partecipanti alla Conferenza
sul clima dell’urgenza di ridurre in modo drastico l’emissione di anidride carbonica
nell’atmosfera. Non è bastato che un economista – non certo un ambientalista – profilasse il
pericolo di una crisi economica della portata di quella del 1929 nel caso in cui i governi di tutto il
mondo non s’impegnino fin da subito a investire almeno l’1 per cento del proprio Pil in energie
rinnovabili, efficienza tecnologica e risparmio energetico. Gran parte degli oltre 180 Paesi riuniti
a Nairobi per il summit delle Nazioni Unite ha, ancora una volta, preferito posticipare decisioni e
impegni al 2008. E mentre, giorno dopo giorno, si susseguono rapporti allarmanti sui danni che
l’uomo sta causando al pianeta (non ultimo il Living Planet Report del Wwf sullo sfruttamento
delle risorse terrestri), si preferisce perdere un altro anno, rinviare tutto al dicembre 2007
(quando si tornerà a discutere a Bali) piuttosto che lavorare fin da subito a un accordo che
modifichi ed estenda temporalmente il Protocollo di Kyoto. L’obiettivo della 12esima
Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (svoltasi a Nairobi dal 6 al 17 novembre) era proprio
quello d’individuare i nuovi limiti all’emissione di gas serra per il periodo successivo al 2012,
quando il Protocollo di Kyoto non sarà più valido. Obiettivo miseramente fallito, nonostante la
soddisfazione dichiarata sia dal commissario europeo all’Ambiente Stavros Dimas (che lo ha
definito addirittura “un successo”) sia del ministro finlandese dell’Ambiente Jan-Erik Enestam.
“La Conferenza ha concordato su un punto fondamentale: entro il 2050 il mondo dovrà
dimezzare le emissioni”, ha dichiarato Enestam. Ma in realtà nessun accordo è stato firmato.
Tante parole e discussioni, ma ben poche le decisioni concrete. Ci si è limitati a stabilito il 2008
come anno in cui i Paesi che hanno ratificato il Protocollo torneranno a riunirsi. Stesso anno in
cui si avvierà il confronto con i Paesi in via di sviluppo (Pvs) per un’adesione non vincolante a
Kyoto.
Di decisioni concrete a Nairobi ne sono state prese ben poche, poco più che qualche limitato
investimento, con il dubbio che dietro ci sia poco altro oltre la volontà di scaricarsi la coscienza
nei confronti delle nazioni più povere e più colpite dagli effetti disastrosi dei cambiamenti
climatici. Da un lato viene accolta la proposta di Kofi Annan d’istituire un fondo globale per le
energie alternative a favore dell’Africa (al fondo hanno per ora aderito la Germania e l’Italia, che
s’impegnano a elargire rispettivamente 24 e 8 milioni di euro entro il 2007); dall’altro, si è
deciso di coinvolgere anche l’Africa nel Clean development mechanism previsto dal Protocollo.
Si tratta di un sistema che, in cambio di crediti di emissione, incentiva le nazioni più ricche a
investire in tecnologie pulite a favore dei Paesi più svantaggiati. Resta da vedere, però, se tutto
si ridurrà al solito assistenzialismo a favore delle multinazionali o se, invece, si preferirà
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trasferire alla popolazione locale il know-how, le conoscenze e i mezzi necessari a fare proprie
queste tecnologie. Infine, la Conferenza di Nairobi ha stabilito il passaggio di 3 milioni di dollari
al fondo destinato ad aiutare i paesi colpiti dal clima. Peccato che, da sola, l’organizzazione del
summit ne sia costata 4 di milioni.
La Conferenza delle Nazioni Unite ha rinviare anche un altro nodo centrale per la riduzione
delle emissioni inquinanti: la mancata ratifica del Protocollo di Kyoto da parte degli Stati Uniti.
Senza l’impegno della nazione responsabile di circa il 36 per cento delle emissioni globali di gas
serra, nessuna politica ambientale può sperare d’incidere realmente sulla situazione
ambientale. Lo dimostra il fatto che, secondo un recente studio del World Metereological
Organization
, la presenza di
CO2 e N2O nell’atmosfera non accenna a diminuire, anzi aumenta, nonostante dal 1990 al
2000 i Paesi industrializzati abbiano ridotto le loro emissioni del 3 per cento. Solo un’azione
globale riuscirà a invertire la tendenza. E invece, come ha sottolineato lo stesso Kofi Annan, si
nota la “spaventosa mancanza di leadership in tema di riscaldamento”; ogni nazione decide e
ha deciso per sé. Così, se gli Stati Uniti di George Bush continuano a rifiutarsi anche solo di
discutere sul Protocollo, la California di Schwarzenegger lo scorso settembre ha emanato una
normativa che limita le emissioni di gas serra e altri Stati potrebbero distaccarsi dalla politica di
Bush, all’indomani della sua sconfitta nelle elezioni di metà mandato. Mercoledì scorso, infatti,
tre senatori democratici hanno inviato al Presidente una lettera nella quale s’invita a cambiare
rotta: “Se vogliamo lasciare ai nostri figli un mondo simile a quello che abbiamo ereditato,
dobbiamo agire adesso”.
Dall’altra parte dell’Atlantico, in Europa, si moltiplicano proposte e obiettivi diversi. In
Inghilterra è stata annunciata una legge che vuole raggiungere una riduzione del 60% delle
emissioni di CO2 entro il 2050, oltre a istituire un Carbon Committee indipendente che supporti
il governo sulle tematiche ambientali. Una proposta di legge che, al momento, non prevede
obiettivi annuali per arrivare a questa riduzione. Tony Blair si giustifica aggrappandosi alla
difficoltà di fare previsioni con un mercato energetico globale sottoposto a numerose variabili (a
partire dal prezzo del petrolio). Per tutta risposta, 200 parlamentari del suo stesso partito,
insieme ad alcuni dei conservatori, hanno firmato una mozione del giorno per chiedere
l’inserimento nella legge di un obiettivo annuale, pari a una riduzione del 3% l’anno delle
emissioni.
I tedeschi, invece, propenderebbero per tagliare il 30% delle emissioni entro il 2020.
In Francia la proposta è poi quella di imporre una "carbon tax" sui prodotti provenienti dalle
nazioni che non hanno ratificato Kyoto (come Stati Uniti e Australia). Molto simile la posizione
del ministro dell’Ambiente Alfonso Pecorario Scanio, che ha dichiarato di voler proporre in sede
europea una tassa ambientale contro la distorsione della concorrenza portata avanti dai Paesi
che non si sono impegnati con Kyoto.
Accanto a tutto questo, ci sono poi Cina e India e le loro economie in forte crescita. Il
Protocollo di Kyoto finora non è stato applicato ai paesi in via di sviluppo, per non condizionarne
la crescita. Ma adesso, di fronte a due nazioni che da sole hanno un terzo della popolazione
mondiale e che vantano grandi tassi di crescita, sembra chiaro che se non si troverà un modo
per coinvolgerli, l’impegno degli altri stati sarà poco più di una goccia nel mare. Anche perché
bisogna considerare che proprio India e Cina utilizzano in gran parte energie particolarmente
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“sporche”, come il carbone.
Insomma i temi, le proposte da dibattere e su cui decidere sono – sarebbero – molteplici e
impellenti. In ballo c’è l’aumento della desertificazione, l’innalzamento del livello del mare a
causa dello scioglimento dei ghiacciai, il rischio sempre maggiore di alluvioni; il cambiamento
del ciclo delle piogge. Eventi climatici destinati a far aumentare sempre di più il numero di
sfollati, persone colpite da malaria, per la maggior parte concentrate nel Sud del mondo.
Di fronte a tutte queste emergenze, la dodicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima ha
creduto ci fosse ancora il tempo di meditare per un altro anno.
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