Il Cammino di Santiago di Compostela

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Il Cammino di Santiago di Compostela
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Il Cammino di Santiago di Compostela
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(1° parte)
Storia e Simbologia:
Il lungo percorso che conduce alla città di Santiago di Compostela, nell’alta
Galizia, ha una datazione molto antica. A cominciare
dal IX secolo, Santiago ( insieme a Gerusalemme ed
a Roma) diventò un vero epicentro di pellegrinaggi
per tutta la Cristianità. Pellegrini provenienti da
I n g h i l t e r r a , G e r m a n i a , Fr a n c i a e d I t a l i a
cominciarono a confluire numerosi su questa via che
li avrebbe portati a venerare le spoglie di San
Giacomo Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello di
San Giovanni evangelista.
Così scrive di lui Eusebio di Cesarea: "Giacomo,
fratello del Signore, succedette all'amministrazione
della Chiesa insieme con gli Apostoli. Per la sua
straordinaria equità fu chiamato il Giusto e Oblias,
che significa ‘baluardo del popolo e giustizia’ come i profeti dicono di lui."
Pietro, Giacomo e Giovanni furono gli Apostoli “prediletti” del Signore, quelli che
furono presenti alla sua Trasfigurazione sul monte Tabor ed ai quali Gesù Cristo
impartì gli insegnamenti più segreti e profondi.
Di loro San Clemente d’Alessandria (150-215 circa) teologo, filosofo e padre della
Chiesa, nel Libro VII delle Ipotiposi, così
ricorda: “A Giacomo il Giusto, a Giovanni ed
a Pietro, il Signore, dopo la Sua resurrezione,
largì il dono della scienza, che essi
comunicarono agli altri apostoli e questi ai
settanta discepoli.”
San Clemente affermava nei suoi scritti che
un insegnamento vero non era trasmissibile a
tutti, infatti pochi e rari furono i discepoli
autentici in grado di comprendere il vero
senso della Parola di Dio. Giacomo, insieme
a Giovanni ed a Pietro, seppe ben custodire
quella Sapienza divina e forte di
quell’insegnamento ricevuto, dopo l’ascesa al
cielo di Gesù Cristo, cominciò la sua opera di
evangelizzazione partendo alla volta della Spagna.
La storia lo ricorda come il sacerdote-guerriero, il Matamoros, vero alfiere di Cristo
che, incurante del pericolo, seppe non solo diffondere la Parola di Dio spingendosi
fino alla Galizia, ma anche difendere quel paese dalle incursioni islamiche.
San Giacomo, poi chiamato Sant’Yago dagli
spagnoli, venne ricordato per l’eroica impresa
compiuta nella località di Rioja: su un cavallo
bianco, avrebbe guidato alla vittoria la popolazione
di quei luoghi, divenendo così egli stesso intercessore
e vessillo della lotta contro gli usurpatori islamici.
Terminata la sua opera, tornò in Palestina e lì, nel
44, trovò la morte per ordine di Erode Agrippa.
La leggenda racconta che due fedeli discepoli
raccolsero le sue spoglie e, via mare, guidati da un
Angelo, raggiungessero le coste della Galizia; una
volta approdati seppellirono in quelle terre
l’Apostolo.
Di San Giacomo si persero completamente le tracce
fino all’ 813, anno in cui il monaco eremita Pelagio, passando per quei luoghi, ebbe
una fortunata esperienza rivelatrice. Una notte Pelagio fece un sogno premonitore:
gli apparve l’Apostolo che lo invitava a ritrovare il suo sepolcro; da
quell’apparizione, tutte le notti il monaco vedeva che la luce di una stella
illuminava una parte precisa del campo. Pelagio dopo queste ripetute visioni, si
presentò al vescovo di Iria Flavia esponendo il miracoloso fatto. Il vescovo
intervenne immediatamente e fece scavare nel terreno, nel punto rischiarato da
quella stella: fu così che le spoglie di San Giacomo vennero ritrovate.
A distanza di poco tempo, in quel medesimo luogo, il re Alfonso II, ordinò di
costruire una piccola chiesa che divenne poi il monastero di Altealtares nel quale
furono accolti monaci
benedettini con
l’incarico di custodire il
sepolcro e mantenerne il
culto.
Intorno a quel luogo
sorse la città di Santiago
di Compostela che fu
anche chiamata
“Cammino di Stelle” o
“Campus Stellae”, nome
derivato quell’inaspettato
fascio di luce che indicò a
Pelagio il luogo di sepoltura dell’Apostolo.
A quella prima chiesa ne seguì una seconda, ma nel 997 il capo arabo Almanzor
mise a fuoco e fiamme la città, risparmiando solo la tomba del Santo.
La cattedrale romanica che tutt’oggi vediamo, fu iniziata nel 1075 sotto il regno di
Alfonso VI; nel 1100 fu don Diego Gelmirez a dare grande impulso all’opera. Alla
sua morte i lavori si fermarono e ripresero nel 1168
quando re Ferdinando II di Leon, ne affidò la
direzione al maestro Mateo.
Mateo dette prova di grande abilità come architetto e
scultore: la sua effigie appare scolpita dietro la
colonna che sorregge Sant’Yago ed il suo nome è su
un’iscrizione in latino, situata sotto il timpano centrale
del Portico della Gloria, da lui magistralmente ideato
e scolpito.
Nel 1212 la Cattedrale romanica venne
definitivamente consacrata; nei secoli poi subirà altri
cambiamenti, fino ad arrivare intorno alla metà del
1700, anni che vedono l’innalzamento della facciata
barocca nata apposta per proteggere e servire da
imponente “anticamera” al Portico della Gloria.
Gli anni in cui i pellegrini cominciano ad arrivare
numerosi, sono più o meno quelli che vedono il completamento della Cattedrale.
Da allora la rotta del cammino che porta a Santiago viene identificata con la Via
Lattea (la grande Galassia) che, come un
lungo serpente bianco, simboleggia la via
che il pellegrino dovrà percorrere: il luogo
di passaggio che collega il mondo terrestre
a quello Celeste.
Il termine peregrinus (pellegrino) è molto
antico ed un tempo non aveva il significato
di viandante, ma piuttosto di “straniero”, a
ricordare che il vero cristiano è “straniero”
su questa terra, in quanto “esule cittadino”
di una Patria Divina lontano dalla quale si
trova confinato a vivere.
L’uomo, avendo perso la memoria di quell’antica dimora, è rimasto come
addormentato e non ricorda più niente di se stesso.
La tradizione vede il “peregrinus” cominciare quel lungo cammino di ricerca della
sua vera identità. Il viaggio che deve condurre è di
purificazione: allontanamento da tutti gli incagli
della “vita ordinaria” per ricercare quella “vita
straordinaria” (la Vita divina) che sembra
irrimediabilmente persa.
La via che conduce a questa desiderata meta è
costellata di insidie e di prove da superare; sarà
come entrare in un labirinto: quel “cammino
impedito” che il pellegrino
deve per forza
sperimentare.
Nasce così un’immagine che ha origini molto antiche e che ha chiare analogie con
l’Eremita, la nona carta del Libro dei Tarocchi o Libro della
Creazione, (ideato da Ermete Trismegisto) che raffigura un
uomo coperto da mantello e cappuccio, con bastone nella
mano sinistra ed una lampada accesa all’altezza del cuore,
nella destra. L’eremita, come il pellegrino, è il simbolo
dell’Iniziato che comincia a percorrere un itinerario
(sull’esempio di Gesù Cristo) al fine di unirsi a Lui, per uscire
così da quella condizione di schiavitù terrena e tornare alla
sua vera patria, la Dimora Celeste; il suo passo sarà lento ma
deciso, mosso dalla volontà di ripercorre i luoghi visitati da
San Giacomo durante la sua opera di evangelizzazione.
In quegli anni alla difficoltà di effettuare un simile cammino
interiore, si univa anche il problema di riuscire a superare i
pericoli effettivi che si incontravano lungo il percorso: pesanti
pedaggi da pagare, aggressioni, ladrocini ed inclemenze atmosferiche. C’era chi,
consapevole delle insidie che avrebbe trovato, faceva addirittura testamento dei
propri averi, prima d’incamminarsi su quella via.
Anche l’abbigliamento tipico del pellegrino era perfettamente consono a
quell’antica immagine ideata da Ermete: cappello, mantello, zucca, bastone e
conchiglia proponevano una chiara utilità, ma soprattutto nascondevano un
profondo significato.
La conchiglia di cui si parla è la Pecten Jacobeus, abituale dei mari della Galizia che
un tempo veniva usata come offerta votiva, ma che in questo caso veniva appuntata
al centro del cappello oppure sul mantello, all’altezza del cuore. La sua forma è a
ventaglio e contiene un mollusco ermafrodita, cibo prelibato e molto ambito per chi
riusciva ad arrivare su quelle coste che guardano l’oceano Atlantico.
Arrivare a Santiago, presso le spoglie dell’Apostolo e da lì raggiungere capo
Finisterre era la vera meta del pellegrino. Prima che Colombo scoprisse le
Americhe, c’era la credenza che la terra finisse al di là di quelle coste e la punta
esposta più ad occidente fu chiamata “finis terrae” ovvero, la fine della terra:
simbolo della fine di un percorso e l’inizio di uno “nuovo”.
In questo caso la conchiglia raccolta su quel litorale, rappresentava il “frutto raro e
prezioso” legato alle
acque, all’elemento
femminile e quindi alla
fecondità (da un punto
di vista spirituale) ed
alla Sapienza Divina.
Così quella conchiglia
da utile contenitore
usato per raccogliere
l’acqua sorgiva, divenne
anche
il “segno speciale” di riconoscimento che
contraddistinse i pellegrini del Cammino di Santiago, da
quello degli altri pellegrinaggi.
Sant’Yago, nei dipinti e nelle sculture di quel periodo,
viene raffigurato sia nell’abbigliamento tipico
dell’eremita evangelizzatore, sia vittorioso, su di un
cavallo bianco, in battaglia contro gli aggressori: in tutti
e due i casi la conchiglia che indossa è sempre appuntata al centro del suo cappello
e sul suo cuore. Il cappello diventa così per lui il simbolo di potere e di sovranità, il
copricapo che contraddistingue il cavaliere-sacerdote, elargitore di sapienza: l’eroe
che combatte e vince per sé e per gli altri.
Nel caso invece della simbologia tradizionale,
il cappello indossato dal pellegrino,
rappresentava la sua volontà da isolarsi dai
pensieri del mondo per poter acquisire quel
cambiamento di mentalità necessario ad
assumere una nuova visione di vita.
Questo desiderio di mutamento di idee e di
pensieri era reso ben chiaro anche da un
altro simbolo che contraddistingueva il suo
abbigliamento: la zucca.
Il viandante prima di partire, si procurava
una zucca dalla forma allungata che
essiccava, svuotava dai semi ed attaccava al
bastone o alla cintola, per farla diventare il contenitore adatto a conservare l’acqua
raccolta durante il cammino. Questo era l’effetto pratico, ma da un punto di vista
simbolico, quella zucca “svuotata” rappresentava il “vuoto” da realizzare nella
propria testa: la propria “zucca” da vuotare dai cattivi pensieri e da quegli
atteggiamenti di vanagloria e di egocentrismo che impediscono il cammino.
Anche il bastone aveva un suo importante ruolo: per
Sant’Yago era lo scettro di potere e del comando,
mentre per il pellegrino tradizionale diventava, oltre
che la difesa subitanea contro ogni tipo di
aggressione, l’appoggio sicuro con il quale saggiare il
terreno e saggiamente procedere.
L’ampio mantello scuro, infine diveniva il simbolo
dell’isolamento, della prudenza e della rinunzia alle
tentazioni del mondo che ognuno prima di tutto
doveva attuare.
La via che portava a Santiago di Compostela si
popolava così di uomini e donne (anche di differente
ceto sociale) tutti accomunati da uno stesso identico
desiderio: la purificazione dai propri peccati e la
volontà di morire al mondo, per rinascere vittoriosi
all’Amore Divino.
La strada che conduceva (e che ancor oggi conduce)
al sepolcro di Santiago, era una, ma i passi montuosi
dei Pirenei dai quali i pellegrini scendevano, erano
sostanzialmente due: il passo di Roncisvalle (Camino
francés) e il passo di Somport (Camino aragonés).
Queste due vie andavano entrambe a confluire a
Puente la Reina e da lì toccavano Estella, Logroño,
Burgos, Fromista, Leon, Pontferrada e Tricastela solo
per nominare le località più famose.
Finalmente il peregrinus, dopo giorni e giorni di lungo
cammino, provato per le difficoltà incontrate, arrivava al fiume Labacolla (a pochi
chilometri da Santiago) e s’immergeva in quelle acque (simbolo di purificazione)
per prepararsi al grande arrivo. Ancora qualche chilometro lo divideva dalla città:
l’ultima salita verso il Monte Gozo (o Monte della
Gioia), e poi la felicità di scorgere dall’alto le
guglie della Cattedrale. Si dice che a quel
punto, nonostante le forze stessero per
mancare, molti si precipitassero a valle in una
specie di corsa, felici di essere giunti alla meta
tanto desiderata.
Così i pellegrini, stanchi, ma rinfrancati da un
nuovo vigore, arrivavano davanti all’imponente
costruzione che si ergeva in tutta la sua
bellezza.
Entrati nella Cattedrale, la prima sosta era
davanti al Portico della Gloria, davanti alla
colonna di Sant’Yago; qui, inginocchiandosi, appoggiavano le dita della mano
destra su quel marmo e nel più completo raccoglimento interiore, chiedevano una
grazia. Poi proseguivano all’interno della navata seguendo un particolare rituale
che si attuava compiendo una serie di gesti
accompagnati da preghiere. Il pellegrino si
dirigeva verso nord, recitava una preghiera, poi
si segnava con una croce per 7 volte e compiva
un giro completo su se stesso, dopodiché si
volgeva a sud e compiva le stesse medesime
operazioni;
infine, si dirigeva verso l’altare
Maggiore e si prostrava davanti ad esso.
Nel XVI secolo, a questa ritualità se ne aggiunse
un’altra che vedeva la comparsa di un nuovo
fattore che diventerà un elemento importante
della Cattedrale: il botafumeiro.
Questo antico incensiere fu regalato da
re Luigi XI di Francia alla città e da quel
giorno, tutte le volte che la chiesa era
ben gremita, otto uomini (tiraboleiros)
sollevavano con una carrucola il
botafumeiro appendendolo ad un grosso
canapo che scendeva dal punto centrale
della volta absidale; poi gli veniva inferta
un spinta grazie alla quale l’incensiere
cominciava ad oscillare per tutta
l’ampiezza del transetto, spargendo
incenso su quei viandanti, come segno di
purificazione e di benedizione.
Verso il 1650 grandi cambiamenti furono apportati anche alla cappella Maggiore, il
cuore di tutta la Cattedrale, sotto la quale trova tutt’oggi
collocazione l’urna che custodisce le spoglie di Sant’Yago.
In quegli anni una straordinaria schiera di architetti e
scultori mise in opera una delle più incredibili costruzioni
di arte barocca, realizzata in legno ricoperto da foglia
d’oro ed argento. Il busto in pietra, oro e argento del
Santo Apostolo, che oggi trova collocazione dentro al
tempietto dorato che sovrasta l’altare, ha invece una
datazione più antica, che risale addirittura al XIII secolo;
la statua di Sant’Yago con bisaccia e bastone, cominciò fin
da allora, ad essere grande oggetto di culto.
Purtroppo, gradualmente, questo profondo aspetto
mistico-iniziatico che il pellegrinaggio verso Santiago
racchiudeva, nei secoli cominciò a risentire di una inevitabile volgarizzazione: le
ritualità sono rimaste ancor oggi le stesse, ma salvo
qualche eccezione, quell’aspetto simbolicomisterico che l’antica tradizione insegnava, si è
perso. Il pericolo è che la massa dei visitatori, non
possedendo più questa conoscenza, ripetano
quegli stessi gesti più per scaramantica abitudine
che per vera partecipazione interiore. Questo non
toglie che ancor oggi entrare in quella Cattedrale
rappresenti un momento di profondo
raccoglimento.
Rispetto, silenzio e partecipazione uniscono
ancora migliaia di visitatori e viandanti che da
tutto il mondo confluiscono in questo luogo che,
nonostante i secoli, mantiene tuttora una profonda
sacralità.
La pietra grigia del Portico, ben lega con quello sfavillio di luci, oro ed argento
dell’altare Maggiore: due aspetti opposti che si fondono insieme in un tutto
armonico di pura bellezza.
Oggi per il cammino che conduce a Santiago di
Compostela vengono utilizzati i mezzi più
disparati: c’è chi lo percorre in macchina, chi a
cavallo, in moto, in bicicletta o tandem e chi
ancora si cimenta in un percorso a piedi (di circa
900 chilometri) che prevede (come un tempo)
luoghi
di
accoglienza bene attrezzati. Non manca nemmeno chi
si procura bastone, conchiglia e copricapo, per
ricordare che non tutto si è perso di quell’antica
tradizione: tanti gesti naturali di vera partecipazione,
ma che spesso fanno pensare ad una forzata
ostentazione.
Per molti l’unico cammino vero rimane ancora quello
compiuto a piedi, perché si avvicina di più alla situazione “scomoda” che un tempo
il pellegrino sperimentava, ma la cosa
importante da capire è che non è
determinante il mezzo che si utilizza,
quanto lo scopo e lo stato interiore da
saper mantenere durante il tragitto.
Il pericolo è sempre lo stesso, e cioè che
le antiche tradizioni vengano svuotate del
loro intimo significato e di queste
rimanga solo l’aspetto esteriore.
“Il percorso o pellegrinaggio alla visita
dei luoghi santi, è l’imitazione Christi per
morire al mondo e risorgere vittoriosi
avendo pagato fino all’ultimo quattrino”:
questo era lo scopo del vero “peregrinus”.