App. Roma, Sent., 15-10-2013 SEPARAZIONE DEI CONIUGI

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App. Roma, Sent., 15-10-2013 SEPARAZIONE DEI CONIUGI
App. Roma, Sent., 15-10-2013
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Provvedimenti riguardo ai figli
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d'Appello di Roma
Sezione della Persona e della famiglia
composta dai magistrati:
Rosaria RICCIARDI - Presidente
Mariagiulia DE MARCO - Consigliere relatore
Isabella PAROLARI - Consigliere
riunita in camera di consiglio il 10.7.2013 ha pronunciato la seguente
sentenza
nel procedimento n. 3733 RG degli affari Civili Contenziosi dell'anno 2011 tra:
D.V., appellante, elettivamente domiciliato in Roma, via Tibullo, n. 20, nello studio dell'avv.
Angela Maria Pellegrini, che lo rappresenta e difende come da procura in calce all'atto di appello;
e
N. II K.J., appellata e appellante incidentale, elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie,
n. 1, nello studio dell'avv. Simona Napolitani, che la rappresenta e difende come da procura in calce
all'atto di appello notificato;
con la partecipazione del Procuratore Generale in sede, che ha chiesto la conferma della sentenza
perché idonea a tutelare gli interessi patrimoniali e non dei minori coinvolti ed esente da vizi di
legittimità;
oggetto: appello avverso la sentenza n. 813 del Tribunale di Tivoli in data 13.5.2010 depositata il
20.5.2010 emessa nel procedimento tra le parti n. 4480/2007.
Svolgimento del processo
Con la sentenza sopra indicata il Tribunale di Tivoli, definitivamente pronunciando nel giudizio
promosso dalla moglie per la separazione personale delle parti -che avevano contratto matrimonio il
22/1/2000, dal quale erano nati i due figli gemelli M. e C. in data 20.9.2000-,
-ha accolto la domanda dichiarando la separazione dei coniugi con addebito al marito;
-ha disposto che coniugi vivano separati nel reciproco rispetto;
-ha affidato i figli minori alla madre alla quale ha anche assegnato la casa coniugale;
-ha stabilito che il padre provveda al mantenimento della prole con l'assegno mensile di Euro
400,00 con rivalutazione come per legge e oltre al 50% delle spese mediche e scolastiche
straordinarie, da sostenersi per i minori;
-ha stabilito che il padre potrà vedere i figli un pomeriggio alla settimana, in giorno da concordare
con la madre, incontro da svolgersi con l'assistenza di personale dei servizi sociali del Comune di
residenza dei minori;
-ha respinto ogni altra domanda;
-ha compensato le spese di giudizio tra le parti.
Propone appello il D. chiedendo:
-in via preliminare, dichiarare nulla la sentenza impugnata per non avere il giudice di primo grado
riconosciuto la sentenza di divorzio ottenuta in Camerun ed allegata agli atti;
-in subordine, dichiarare la sentenza nulla per carenza di motivazione o contraddittorietà della
stessa;
-revocare l'affidamento dei minori alla madre, disponendo, in via subordinata, l'affidamento
congiunto;
-revocare le modalità degli incontri protetti;
-dichiarare non dovuto alcun mantenimento del padre ai figli almeno fino al momento dell'effettiva
ripresa del lavoro da parte dell'appellante; in subordine, ridurre l'assegno stabilito;
-assegnare la casa coniugale all'appellante per conviverci con i due minori;
-con vittoria di spese.
Col primo motivo lamenta che il tribunale di Tivoli non abbia tenuto conto della sentenza di
divorzio già ottenuta nel 2008 in Cameroun e da lui depositata in primo grado.
Fa presente che la procedura si è svolta in modo analogo a quella italiana, vi sono state varie
udienze tali da poter consentire un'adeguata valutazione degli elementi portati a conoscenza della
corte, il tutto nel rispetto delle garanzie del contraddittorio. La moglie ha ritirato personalmente
l'atto introduttivo del giudizio di divorzio, come certificato dall'ufficiale camerunense e l'ufficiale di
Stato Civile ha provveduto alla trascrizione del divorzio, rispettando tutte le disposizioni normative
vigenti per la trascrizione di un atto straniero sui registri di stato civile italiano.
Ritiene che sussisteva la competenza del giudice camerunense per essere stato contratto il
matrimonio in Cameroun; che l'atto introduttivo è stato solo portato a conoscenza della convenuta
in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo, ove si è svolto regolare processo ed è stata
dichiarata la contumacia della convenuta; che la sentenza di divorzio, passata in giudicato secondo
la legge del luogo in cui è stata pronunziata, non è contraria ad altra sentenza pronunciata dal
giudice italiano; che non pende processo dinanzi al giudice italiano avente il medesimo oggetto fra
le stesse parti e che abbia avuto inizio prima del processo straniero in quanto la richiesta di
separazione è stata inoltrata dalla moglie in Italia successivamente all'introduzione del giudizio di
divorzio nel loro paese di origine; non vi è contrarietà all'ordine pubblico, non potendo ritenersi in
questo senso la mancata previsione di un termine di separazione prima del divorzio.
Ribadisce che il matrimonio, in quanto poligamico, avendo egli contratto in precedenza più
matrimoni, non poteva essere trascritto in Italia in quanto contrario alla Costituzione e alla comune
morale. Per tali motivi rappresenta di avere impugnato la trascrizione del matrimonio.
Osserva che ha errato il giudice di primo grado a considerarsi competente rispetto al Tribunale per i
Minorenni, evidenziando di avere egli presentato ricorso a tale tribunale in data anteriore rispetto
alla domanda di separazione.
Deduce l'erroneità della decisione del giudice di primo grado, che non ha tenuto conto della
documentazione da lui prodotta, avendo omesso di considerare che egli deve provvedere al
mantenimento delle altre famiglie, tutte residenti in Cameroun, come la certificazione autenticata
dalle autorità a ciò preposte. Il Tribunale ha ignorato i documenti depositati, non avvalendosene ai
fini della decisione, ritenendo la non autenticità di tali documenti e trasmettendo gli atti alla Procura
della Repubblica quanto al certificato di matrimonio, nel quale era indicata in modo erroneo l'età
del ricorrente, atto corretto dalle autorità camerunensi.
Lamenta che alcun attività istruttoria sia stata svolta in merito ai fatti denunciati, essendosi basato il
giudice esclusivamente sulla decisione del tribunale per i minorenni. Non sono stati ascoltati i
minori alla presenza del padre e mai il padre è stato ricevuto. È stato negato ogni accertamento su di
lui, ivi compresa la richiesta di accertamento fiscale da lui stesso sollecitato.
Deduce che il giudice ha errato nel ritenere il verificarsi di episodi di adulterio a suo carico atteso
che l'unico testimone non si è presentato a rendere testimonianza. L'accusa è infondata e,
comunque, non si è tenuto conto che l'adulterio, essendo il matrimonio contratto di natura
poligamica, non sarebbe ipotizzabile né in fatto né in diritto.
Ha, inoltre, errato il giudice a non tenere in considerazione la decisione del tribunale del Camerun
di affidamento dei minori al padre, limitandosi a recepire le decisioni del tribunale per i minorenni,
prese in via provvisoria e urgente -decreto 22/1/2008-.
Afferma che non è stato esaminato il rapporto padre-figli in quanto i servizi sociali non hanno
osservato i comportamenti dei bambini con il padre neanche una volta. Errano gli esperti quando
dicono che lui non senta costantemente l'esigenza di vedere i figli tant’è che espressamente richiede
che venga modificata l'ordinanza emessa dal tribunale in merito gli incontri protetti in quanto,
lavorando egli da lunedì al venerdì, non può vedere i figli nel fine settimana in quanto gli operatori
del servizio sociale non sono disponibili.
Chiede disporsi una c.t.u., rappresentando che, comunque, gli incontri protetti non sono necessari in
quanto neanche la moglie ha mai evidenziato episodi negativi riguardo ai figli posti in essere dal
padre.
Ribadisce di essere disoccupato, di non poter provvedere non solo alle sue diverse famiglie ma
neanche a se stesso. I certificati depositati nel corso del dibattimento dimostrano che ha altre
famiglie in Camerun, alle quali versava il mantenimento e delle quali si occupa né può essere messa
in dubbio la veridicità dei documenti e dei versamenti effettuati. L'unico documento che risulta
errato nella sua stesura materiale è stato corretto dall'ambasciata italiana, verificato e vidimato dalle
competenti autorità italiane in Camerun.
Dichiara pertanto di non poter corrispondere il mantenimento per i figli e ne chiede la revoca o
quanto meno la riduzione.
Rappresenta di aver cercato in ogni modo di trovare mezzi di sostentamento per sé e la sua famiglia
ma senza riuscirci. La moglie, invece, è autonoma economicamente, ha anche una nuova famiglia,
composta dal nuovo compagno dal quale ha avuto due bambini.
Fa presente che i bambini vivono attualmente una preoccupante condizione di promiscuità, insieme
alla madre, al suo compagno, agli altri due figli e a cinque cittadini del Camerun, ai quali lei ha dato
in locazione una stanza -vedi querela del 26/10/2010-.
Chiede la revoca dell'assegnazione della casa coniugale all'appellata in quanto nella stessa vivono
oltre che il compagno della moglie anche altre persone che le corrispondono l'affitto. Si dichiara
disponibile a tenere con sé i figli e ad accudirli impegnandosi a curarne l'istruzione scolastica ed il
corretto sviluppo affettivo e psicofisico.
Censura la decisione del giudice che non ha provveduto sulla richiesta relativa al mutuo relativo
all'abitazione ove vivono i minori, rappresentando che per i problemi di indigenza ormai da tempo il
mutuo non è più corrisposto e seguirà la perdita dell'immobile con la conseguenza che i bambini
rimarranno senza casa.
Si è costituita la N. chiedendo:
-il rigetto del reclamo in quanto infondato in fatto in diritto;
-in via incidentale, in parziale riforma della sentenza impugnata, determinare a carico del padre
l'assegno mensile onnicomprensivo di Euro 1.200,00 a titolo di contributo al mantenimento per i
figli;
-con vittoria di spese di giudizio.
Fa presente, in via preliminare, che le conclusioni presentate dall'appellante nel ricorso non sono né
chiare né intellegibili.
Nel merito, rileva l'infondatezza del primo motivo di appello rappresentando che, quanto al giudizio
di divorzio svoltosi in Camerun -precedente la separazione- l'appellante non ha prodotto la prova
dell'avvenuta notifica della domanda di divorzio alla moglie.
Richiama sul punto i provvedimenti del Tribunale -in data 23.10.2008, 18.12.2008 e 7.5.2009osservando che in assenza di prova sulla rituale instaurazione del contraddittorio non può darsi
operatività in Italia alla sentenza.
Ribadisce che l'appellante ha prodotto una sentenza dalla quale non si evince alcun controllo sulla
regolarità dell'instaurazione del contraddittorio e conferma di non avere mai avuto notizia del
procedimento di divorzio camerunense.
Ritiene la validità della trascrizione del matrimonio osservando, quanto alla dedotta intrascrivibilità
del matrimonio poligamico, solo il secondo e gli ulteriori matrimoni si pongono in contrasto con il
principio di ordine pubblico della poligamia e, dunque, solo questi non sono trascrivibili, sicché il
Comune di Guidonia Montecelio ha validamente trascritto l'atto di matrimonio.
Ribadisce la competenza del Tribunale ordinario in ordine al affidamento dei figli, assegnazione
della casa familiare e mantenimento per essere le parti regolarmente sposate.
Ritiene che correttamente il giudice non abbia tenuto conto della trascrizione della sentenza di
divorzio e di tutta una serie di documenti, in quanto alcun provvedimento è stato prodotto al
riguardo e alcuna trascrizione dl divorzio è stata acquisita. I soli documenti dall'appellante prodotti
irritualmente in primo grado, a dimostrazione della poligamia, riguardano un presunto matrimonio
contratto da altro D. con data di nascita diversa; in altro documento, poi, il giudice ha rilevato la
correzione dell'anno di nascita dello sposo disponendo la trasmissione alla degli atti alla Procura
della Repubblica. Dunque, correttamente il giudice non ha tenuto conto dei documenti prodotti
tardivamente in allegato alla comparsa conclusionale.
Ribadisce che il D. non ha depositato, nonostante l'invito del giudice, la documentazione
comprovante la ritualità dell'instaurazione del contraddittorio nel giudizio di divorzio in Camerun e
che correttamente il giudice non ha ammesso la successiva produzione in quanto i termini di cui
all'art. 183 c.c. erano ampiamente scaduti -vedi ordinanza del 1^ ottobre 2009-.
Richiama le denunce e i referti che provano le violenze dell'appellante sulla moglie e rigorosamente
fondano la pronuncia di addebito della separazione al marito, pronuncia non certo fondata
sull'adulterio.
Ribadisce la fondatezza della decisione sull'affidamento dei figli, avuto riguardo alle relazioni dei
servizi sociali, deducendo che, quanto alla mancata osservazione da parte degli operatori delle
interazioni padre-figli, che il D. si è recato una sola volta presso la ASL nel mese di settembre 2008
per un incontro con i minori, per poi sparire letteralmente, per di più inviando, nel mese di ottobre
successivo, una comunicazione al Servizio Sociale del Comune di Guidonia Montecelio nella quale
dichiarava di rinunciare agli incontri con i figli presso l'ASL.
Chiede rigettarsi la richiesta di c.t.u. in quanto del tutto superflua atteso quanto già acquisito
rappresentando che, qualora inutilmente disposta, rappresenterebbe ulteriore fonte di turbamento
per i minori, già seguiti dai servizi sociali e da una psicologa del servizio. Contesta l'allegazione
secondo cui l'indagine dei servizi sociali sarebbe stata superficiale e lacunosa e non avrebbe
evidenziato episodi negativi del padre nei confronti dei figli, in quanto le violenze del marito nei
confronti della moglie sono sempre avvenute alla presenza dei figli, per cui ne discende la necessità
di incontri protetti sotto il controllo e il monitoraggio dei servizi sociali.
Osserva che non è ammissibile una sentenza che riconosca che non sia dovuto il mantenimento dei
due bambini in quanto contraria alle norme di legge. Comunque, contesta che l'appellante sarebbe
disoccupato in quanto nell'anno 2010 ha aperto una parafarmacia ad Aprilia, via Mascagni n. 9,
come risulta dalle pagine gialle e dalle pagine bianche prodotte in giudizio -documento 2-.
Fa presente che il licenziamento dell'appellante è stato causato da un suo comportamento negligente
e disciplinarmente sanzionato con la cessazione del rapporto di lavoro.
Nega l'appellata di vivere con il compagno nella casa coniugale e che abbia addirittura locato ad
altri cittadini camerunensi una stanca della casa.
Deduce l'infondatezza della richiesta di revoca dell'assegnazione della casa, domanda che non viene
neanche formulata in sede di conclusioni, e della richiesta di riduzione dell'assegno per i figli,
facendo presente che l'appellata lavora solo sei mesi l'anno presso una ditta di catering con contratto
a tempo determinato per 15 ore settimanali, percependo un reddito annuo nell'anno 2010 di Euro
2.196,78 e nell'anno 2009 di Euro 1.469,24. È in condizioni disagiate ed ammessa gratuito
patrocinio.
Eccepisce l'inammissibile della domanda relativa al mutuo della casa coniugale nel procedimento di
separazione, rappresentando che, peraltro, nel giudizio di primo grado il D. non ha mai formulato
alcuna domanda al riguardo.
A fondamento dell'appello incidentale rappresenta che l'appellante in precedenza lavorava alle
dipendenze di due farmacie, come risulta anche dal provvedimento presidenziale ci articolo 708
c.p.c., poi si è fatto licenziare a causa del suo comportamento -vedi lettera del datore di lavoro-.
Alla fine del 2010 ha aperto una para-farmacia in Aprilia, la sua situazione economica è di gran
lunga migliorata e giustifica l'assegno di Euro 1.200,00 mensili.
Fa presente che il D. ad ora ha versato, dal mese di settembre 2008 complessivamente Euro
1.050,00 non corrispondendo mai il 50% delle spese straordinarie. Questo giustifica la necessità di
un assegno mensile onnicomprensivo, ad eccezione le spese mediche, da lasciarsi a carico di
entrambi i genitori al 50% ciascuno.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve osservarsi che l'incompletezza delle conclusioni dell'appellante contenute
nell'atto di appello, dedotta dall'appellata che tuttavia non ne ha fatto oggetto specifico di eccezione
processuale, è facilmente superabile con la lettura della parte motivazionale dell'atto, nella quale
specificamente l'appellante indica i motivi dell'impugnazione e le statuizioni di cui chiede la riforma
sicché alcuna sanzione processuale ne può conseguire.
Quanto al primo motivo dell'appello, col quale si è inteso censurare la decisione del primo giudice
che erroneamente non avrebbe tenuto conto della decisione dell'autorità giudiziaria camerunense,
che ha pronunciato il divorzio tra le parti in data antecedente all'introduzione del giudizio di
separazione, deve condividersi pienamente la decisione del Tribunale in questa sede richiamandosi i
provvedimenti emessi in data 23.10.2008 e l^.l0.2009, non avendo, peraltro, offerto l'odierno
appellante la tempestiva prova dell'avvenuta notifica alla controparte -odierna appellata- della
richiesta di divorzio introduttiva del giudizio dinanzi all'autorità straniera, con la conseguenza che
l'impossibilità di verifica, da parte del giudice italiano, della corretta instaurazione del
contraddittorio osta al riconoscimento di efficacia della sentenza emessa in assenza della
controparte, non essendo tra l'altro neanche ricavabile dal testo di quella decisione le modalità con
le quali la notifica è stata effettuata.
Peraltro, si osserva che l'ulteriore documentazione prodotta dal D. ampiamente fuori termine e
anche in allegato alla comparsa conclusionale di primo grado è inammissibile in quanto tardiva e,
comunque, si tratta anche di documentazione in mera fotocopia, priva di attestazione di conformità.
Dunque, non risulta in alcun modo superata l'eccezione sollevata dall'appellata di non aver mai
avuto notizia della pendenza del giudizio di divorzio dinanzi all'autorità camerunense, a fronte della
quale incombeva all'appellante fornire prova tempestiva e ritualmente conforme della regolare
instaurazione del contraddittorio e della conoscenza o conoscibilità della pendenza del gidizio da
parte della controparte.
Tale rilievo assorbe ogni altra questione in ordine alla pronuncia dell'autorità straniera e alla sua
rilevanza nel presente giudizio.
Ugualmente non condivisibile, poi, la tesi in ordine all'intrascrivibilità del matrimonio poligamico tale dovendo intendersi il matrimonio contratto dalle parti- atteso che ai sensi dell'articolo 65 della
L. n. 218 del 1995 i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza
di rapporti di famiglia o di diritti della personalità, purché pronunciati dalle autorità dello Stato la
cui legge risulta, secondo norme di conflitto italiane, applicabile alla fattispecie concreta, hanno
effetto diretto nel nostro paese, senza che sia necessaria alcuna ulteriore procedura di
riconoscimento.
La norma dell'articolo 27 della stessa legge prevede che, in linea generale, i requisiti necessari per
contrarre matrimonio e la forma stessa del matrimonio vengono disciplinati dalla legge nazionale
dei nubendi. Ne consegue che, di regola, il matrimonio contratto all'estero può essere senz'altro
direttamente trascritto nei registri di stato civile italiano e che, in capo all'ufficiale di stato civile,
sussiste un preciso obbligo di procedere a tale attività.
Deve precisarsi che, dopo un iniziale periodo di incertezza, tale dato è stato recepito anche
formalmente dall'autorità amministrativa che, con il nuovo regolamento dello stato civile di cui al
D.P,R. 3 novembre 2000, n. 396 ha stabilito, all'articolo 63, comma 2, lettera c) che l'ufficiale deve
procedere alla trascrizione nei registri dello Stato civile anche dei matrimoni celebrati all'estero sia
tra cittadini italiani che tra stranieri.
L'articolo 18 dello stesso ordinamento di stato civile precisa, infatti, che gli atti formati all'estero
non possono essere trascritti solo se contrari all'ordine pubblico.
Per tali motivi mentre è trascrivibile il primo matrimonio contratto da cittadino straniero, non
incontrando l'unico limite alla sua trascrivibità, cioè quello della contrarietà all'ordine pubblico, non
lo sarebbe solo l'ulteriore matrimonio.
Tanto consente di ritenere l'infondatezza della deduzione dell'appellante di intrascrivibilità del
matrimonio poligamico, quale sarebbe quello contratto dai coniugi, mancando una precedente
trascrizione di altro matrimonio e la prova che all'atto della celebrazione i nubendi non avessero la
libertà di stato.
Del resto, sul punto si è già pronunciato, nella sede propria, il giudice competente rigettando la
richiesta di nullità della trascrizione del matrimonio tra le parti -vedi decreto del Tribunale di Tivoli
in data 7-13.5.2009 le cui motivazioni devono intendersi integralmente richiamate- e, comunque, la
questione non rientra nella competenza del giudice della separazione, tenuto ad adottare i
provvedimenti in tale sede richiesti finché vi sia un valido matrimonio riconosciuto come tale, salvo
ogni successiva ed eventuale conseguenza in caso sopravvenga dichiarazione di nullità dell'atto
ovvero della sua trascrizione.
Del tutto infondata, poi, l'eccezione d'incompetenza del Tribunale ordinario per essere competente il
Tribunale per i Minorenni.
Alla stregua del disposto dell'articolo 38 disp. att. c.c., coordinato con le norme dettate dagli articoli
155 e 317 c.c., 9 della L. n. 898 del 1970, rientrano nella competenza del tribunale per i minorenni
le richieste di provvedimenti ablativi o modificativi della potestà dei genitori sulla prole, a norma
degli articoli 330 e 333 c.c. mentre gli altri provvedimenti riguardanti l'affidamento dei figli minori
di genitori coniugati sono di competenza del tribunale ordinario in sede di giudizio di separazione.
Per costante giurisprudenza di legittimità, inoltre, in tema di affidamento dei minori, dovendo il
discrimine tra la competenza del tribunale ordinario e quella del tribunale per i minorenni essere
individuata in riferimento al petitum ed alla causa petendi rientrano nella competenza del tribunale
per i minorenni, ai sensi del combinato disposto degli articoli 333 c.c. e 38 disposizione attuazione
c.c., le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei ad ovviare a
situazioni pregiudizievoli per il minore, anche se non di gravità tale da giustificare la declaratoria di
decadenza dalla potestà genitoriale, di cui all'articolo 330 c.c., mentre rientrano nella competenza
del tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, di annullamento del
matrimonio o di pronunzie ex L. n. 898 del 1970, le pronunce di affidamento dei minori che mirino
solo ad individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio, al fine di
consentirgli una crescita tranquilla ed equilibrata -vedi cassazione civile, sezione 1, 16.10.2008, n.
25290-.
La litispendenza, che determina la competenza in base al criterio della prevenzione, sussiste
solamente quando fra due o più cause vi sia, oltre l'identità dei soggetti, anche l'identità di petitum e
di causa petendi, di guisa che la stessa non è configurabile -stante la comunanza soggettiva soltanto
parziale e la diversità oggettiva- tra il giudizio di separazione personale dei coniugi e il
procedimento per la pronuncia di decadenza dalla potestà dei figli ex articolo 330 c.c. nonché per
l'emanazione di ulteriori provvedimenti di cui all'articolo 333 c.c. Infatti quest'ultimo procedimento,
da un lato, contempla espressamente il pubblico ministero tra i legittimati al relativo promovimento
e, dall'altro, in ordine alla causa petendi e al petitum, fa riferimento ad una condotta di uno o di
entrambi genitori necessariamente pregiudizievole al figlio -sia o non sia quest'ultima tale da dar
luogo alla suindicata pronuncia di decadenza- ed ha ad oggetto l'emanazione degli anzidetti
provvedimenti di cui agli articoli 330 e seguenti c.c., laddove, nel giudizio di separazione personale,
le eventuali statuizione relative ai figli minorenni, di cui all'articolo 155 c.c., si inseriscono nel
quadro di una regolamentazione della vita familiare consequenziale all'allentamento del vincolo
matrimoniale onde vengono ad incidere soltanto sulle modalità di esercizio della potestà genitoriale
e non postulano il pregiudizio o il pericolo di una pregiudizio per la prole medesima -vedi
cassazione civile, sezione 1, 21.2.2004, n. 3529-.
Del resto, alla luce dei principi richiamati, correttamente il Tribunale per i Minorenni, dopo
l'emanazione di provvedimenti provvisorie e urgenti -con i quali ha disposto l'affidamento esclusivo
dei minori alla madre e l'immediato allontanamento del padre dall'abitazione familiare-ha declinato
la propria competenza in favore del Tribunale ordinario, preso atto della contemporanea pendenza
del giudizio ordinario di separazione -vedi decreto 11-22.1.2008 in atti-.
Quanto, poi, ai motivi dell'impugnazione concernenti la pronuncia di addebito, osserva la Corte
l'irrilevanza della questione concernente la dedotta carenza di prova sull'adulterio, atteso che la
pronuncia ha ritenuto la fondatezza delle allegazioni dell'appellata in ordine alle ripetute condotte
violente dell'appellante, come documentate dalle numerose denunce penali e dai referti medici a
riscontro, senza alcun riferimento alle ulteriori richieste di addebito.
Nulla essendo dedotto, invece, nel ricorso di appello sull'addebito della separazione per le ripetute
violenze subite dall'appellata nel corso della convivenza, non avendo svolto al riguardo l'appellante
alcuna domanda né mosso alcuna censura alla sentenza, la questione non deve essere oggetto di
riesame in assenza di specifica devoluzione.
Va disatteso l'ulteriore motivo di appello relativo all'affidamento dei figli, dovendo confermarsi la
decisione del Tribunale.
Al riguardo rileva l'appellante l'assenza di attività istruttoria, essendosi il Tribunale limitato a
"trascrivere" la decisione del Tribunale per i Minorenni che, in via provvisoria e urgente, col
decreto di cui sopra si è detto, ne aveva disposto l'affidamento esclusivo alla madre; censura, altresì,
la decisione in quanto sarebbe fondata sui soli documenti prodotti dall'appellata non tenendo conto
dei documenti prodotti dall'appellato; deduce la lacunosità della perizia dei servizi sociali, che
valuta i rapporto padre-figli senza aver mai osservato le relazioni tra il padre e i bambini.
Inoltre, rappresenta che neanche l'appellata ha mai evidenziato episodi condotte negative del padre.
Al riguardo si osserva che, in tema di separazione dei coniugi, i provvedimenti riguardanti
l'affidamento della prole sono adottati con esclusivo riferimento all'interesse materiale e morale di
essa e possono essere adottati d'ufficio essendo rivolti a soddisfare esigenze e finalità pubblicistiche
sottratte all'iniziativa e alla disponibilità delle parti. Dunque, il giudice non ha bisogno di una
domanda dei coniugi né è vincolato agli accordi degli stessi essendo titolare di un potere-dovere
improntato alla difesa di un superiore interesse dello Stato alla tutela e alla cura dei minori.
L'articolo 155 c.c., come modificato dall'articolo 1 della L. n. 54 del 2006, prevede che, per
realizzare la finalità indicate nel primo comma, del diritto del minore a mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cure, educazione ed istruzione da
entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo
genitoriale, il giudice debba adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento
all'interesse morale materiale di essa, valutando prioritariamente la possibilità che i figli minori
restino affidati ad entrambi i genitori.
Dunque, criterio preferenziale è quello dell'affidamento dei minori ad entrambi i genitori che
meglio di ogni altro realizza il diritto dei minori alla bigenitorialità, mentre l'affidamento a un solo
genitore dovrà essere adottato solo qualora il giudice ritenga, motivatamente, che l'affidamento
all'altro genitore sia contrario all'interesse del minore.
Ebbene, accertate le violenti condotte del D. nei confronti della moglie, poste alla base della
pronuncia di addebito della separazione -non appellata-, documentate dai numerosi referti medici
prodotti in atti, condotte poste in essere alla presenza dei minori come lascia intendere la lettura
delle querele, atti a tal fine utilizzabili, non rileva certamente, ai fini della valutazione da effettuare
in questa sede, la circostanza che tali comportamenti violenti non siano mai stati rivolti direttamente
contro i figli, atteso il grave pregiudizio per i piccoli rappresentato dagli episodi di violenza
assistita, posti in essere dal loro padre, incurante delle ripercussione che le proprie deplorevoli
condotte avrebbero avute sui bambini.
Del resto, le querele -debitamente supportate dai non equivoci referti medici con descrizione delle
lesioni e prognosi per gg. 7, 5, 20 e 6- parlano di tentativo di strangolamento, morsi, bottiglie,
martelli e coltelli utilizzati per colpire o tentare di colpire la N., pugni, calci, richieste di aiuto a gran
voce da parte di mamma e figli, interventi di Carabinieri e vicini di casa, che hanno provveduto ad
allontanare i bambini -cui il padre impediva di aprire la porta- trovati terrorizzati e in lacrime.
Si tratta all'evidenza di gravi condotte che certamente hanno recato pregiudizio ai minori, creando
per loro un ambiente familiare tutt'altro che sereno e favorevole ad una equilibrata e sana crescita
psico-fisica, ma soprattutto poco tutelante e per nulla attento alle loro esigenze evolutive, per essere
stati continuamente esposti, per quanto detto, ad episodi di violenza che gravemente pesano e
continueranno a pesare sulla loro crescita.
A tanto devono, poi, aggiungersi le ulteriori condotte che evidenziano lo scarso interesse del padre
per il benessere dei bambini, considerata la mancata contribuzione al loro mantenimento e la
prolungata assenza.
Al riguardo non sembrano per nulla sufficienti a spiegare i mancati incontri dell'appellante con i
figli la dedotta indisponibilità dei servizi sociali ad incontri durante il fine settimana posto che,
peraltro, tale "giustificazione" non è neanche conciliabile con il dichiarato e risalente stato di
disoccupazione del D..
Pertanto, ritiene la Corte che nel caso in esame si deve escludere la sussistenza delle condizioni per
disporre l'affidamento condiviso dei figli, che presuppone una costante condivisione tra i genitori di
tutti i compiti di cura materiale e morale ad essi relativi ed una assunzione paritaria di tutte le
responsabilità connesse al ruolo genitoriale.
Nella specie la mancata partecipazione del padre alla vita dei figli, sotto ogni profilo, e quindi il
mancato adempimento agli obblighi di cura, assistenza ed educazione nei loro confronti fanno venir
meno ai presupposti per la pronuncia di affidamento condiviso.
Sul punto si richiama una recente sentenza della Cassazione -numero 26587 del 2009- secondo cui
la regola dell'affidamento condiviso "è derogabile solo ove la sua applicazione risulti
pregiudizievole per l'interesse del minore, come nel caso in cui il genitore non affidatario si sia reso
totalmente inadempiente all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento in favore dei figli
minori ed abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto tali comportamenti
sono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido
condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente".
L'eventuale esiguità del reddito non giustifica la protratta inadempienza all'obbligo di mantenimento
da parte del genitore, che rivela in tal modo la mancanza di qualsiasi impegno volto a soddisfare le
esigenze del figlio, e il mancato esercizio del diritto di visita è sintomatico della inidoneità del
genitore a farsi carico delle esigenze morali e materiali del figlio e a garantirgli la serenità e la
stabilità affettiva cui ha diritto e quindi della incapacità di affrontare le maggiori responsabilità
connesse all'affidamento condiviso.
Ebbene, tale condotta del D. di apparente interesse ma sostanziale disinteresse alla crescita e al
benessere dei figli è tutt'ora permanente come evidenziato dalla relazione dei servizi sociali,
incaricati dalla Corte di adoperarsi per il ripristino delle relazioni padre-figli perdurando sin dal
2011 l'assenza di contatti tra i medesimi -vedi dichiarazione rese all'udienza dalla N.-. Nella
relazione si rappresenta l'irreperibilità del D. che, dopo aver fornito agli operatori del servizio un
numero di cellulare sul quale poter essere contattato, è "sparito" risultando l'apparecchio sempre
spento -vedi relazione in data 27.3.2013-. Del resto l'appellante non è mai stato neanche presente
alle udienze dinanzi alla Corte così ulteriormente dimostrando il suo disinteresse per la presente
vicenda e soprattutto per il recupero del rapporto con i bambini, confermando le valutazioni di
inaffidabilità del medesimo come padre, non potendosi "contare" realmente su una sua fattiva ma
soprattutto responsabile e costante partecipazione alla cura e alla crescita dei minori.
Gli elementi in atti appaiono più che sufficienti ai fini delle valutazioni da effettuarsi in questa sede,
non ravvisandosi la necessità dell'espletamento della sollecitata c.t.u. che, peraltro, attesa la
situazione descritta, nulla potrebbe aggiungere in ordine allo stato dei rapporti padre e figli e alla
capactità genitoriale dell'appellante.
All'affidamento esclusivo e al conseguente collocamento dei minori consegue la conferma
dell'assegnazione della casa familiare all'appellata.
Tutto quanto sopra esposto consente di ritenere la fondatezza anche della decisione sulla necessità
di incontri protetti tra padre e figli, da realizzarsi con le modalità indicate nella sentenza impugnata.
Quanto, infine, alle statuizioni economiche, deve osservarsi che l'obbligo del padre di contribuire al
mantenimento del figlio è sancito dalla legge e discendente dal rapporto genitoriale, sicché non è
conforme al diritto una decisione che sollevi l'obbligato dal contribuire al mantenimento dei propri
figli.
Invero, il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all'articolo 147
c.c. impone ai genitori di far fronte, secondo le rispettive possibilità, ad una molteplicità di esigenze
dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico,
sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una
stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione,
mentre il parametro di riferimento, ai fini della corretta determinazione del rispettivo concorso negli
oneri finanziari è costituito, giusto disposto dell'articolo 148 c.c., non soltanto dalle rispettive
sostanze ma anche dalla rispettiva capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge,
con espressa valorizzazione non soltanto delle risorse economiche individuali, ma anche delle
accertate potenzialità reddituali.
Dunque, si ritiene che correttamente il Tribunale abbia provveduto a determinare il contributo
paterno nell'entità stabilita, da ritenersi congrua, avuto riguardo anche alle potenzialità reddituali
dell'appellante, per come risultano in atti, attesa la professionalità del medesimo e i trascorsi
lavorativi di tutto rispetto.
Né rileva, ai fini di un esonero dall'obbligo di contribuzione -che, comunque, non sarebbe
ammissibile- il dedotto licenziamento imputato a condotte di rilievo disciplinare, tenute dal
medesimo in passato, e ciò anche in considerazione di quanto documentalmente provato dal
difensore dell'appellata che il D. ha aperto un'attività in proprio -parafarmacia in Aprilia, via
Mascagni n. 9- così evidenziando non solo che non risponde a verità che il predetto non abbia fonti
di reddito ma che, anzi, abbia migliorato la sua condizione, rispetto a quella precedente di
dipendente di una farmacia. Inoltre, una tale circostanza per di più evidenzia che l'appellante ha
potuto certamente contare, per l'avvio di una tale attività, sulla disponibilità di mezzi economici di
non scarso rilievo, che smentiscono le lamentate condizioni di indigenza.
Va al riguardo osservato che l'appellante, che tale rilevante avvio commerciale non aveva
dichiarato, ha viceversa ammesso quanto scoperto dall'appellata, limitandosi a dedurre l'intervenuta
chiusura dell'attività, senza di tanto naturalmente fornire prova.
Comunque, come già detto, ai fini della determinazione dell'obbligo contributivo del genitore deve
tenersi conto delle potenzialità reddituali che, nel caso del D., non possono ritenersi di poco conto.
Ma deve ancora aggiungersi che l'entità del contributo di Euro 400,00 per entrambi i figli è
certamente non sovradimensionato avuto riguardo all'età dei minori e alle loro esigenze, non solo
alimentari ma anche abitative, di studio e di vita di relazione, e rappresenta certamente il minimo
esigibile anche qualora dovesse ritenersi la reale esistenza delle altre famiglie, cui il D. sarebbe
tenuto a provvedere. Inoltre, deve intendersi proporzionato anche ai redditi e alle sostanze di
entrambi i genitori oltre che alle rispettive capacità di lavoro, avuto riguardo, quanto all'appellata ai
redditi risultanti dalle dichiarazioni fiscali e alle risultanze degli estratti di conto corrente -estratti
che l'appellante si è ben guardato dal depositare, allegando la mera indisponibilità degli stessi
laddove la Corte aveva richiesto la ben più concludente dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
Non si ritiene, invece, di dover accedere alla richiesta incidentale di riconoscimento di un maggiore
assegno comprensivo anche delle spese straordinarie, atteso che proprio l'imprevedibilità di queste
impedisce, in assenza di precisi elementi in ordine al loro ammontare, l'adozione di una formula
onnicomprensiva.
Va rigettata la richiesta di adozione di "provvedimenti" riguardo al mutuo gravante sulla casa
familiare atteso che, per un verso non si specifica quale genere di provvedimento si dovrebbe
assumere e per altro verso una domanda del genere non è stata ritualmente avanzata in primo grado
-vedi comparsa di costituzione e memoria conclusionale-.
Comunque, va al riguardo osservato che l'oggetto del procedimento in questione, è quella di
determinazione dell'assegno di mantenimento e delle altre circostanze relative al rapporto tra i
coniugi.
Ai sensi dell'articolo 40 c.p.c., novellato dalla legge numero 353 del 1990, è consentito dallo stesso
processo il cumulo di domande soggette a riti diversi, soltanto in presenza di ipotesi qualificate di
connessione (articolo 31,32, 34, 35, e 36), così escludendo la possibilità di proporre più domande
connesse soggettivamente ai sensi dell'articolo 33 e dell'articolo 183 c.p.c. e soggette a riti diversi.
Dunque, la specialità del presente rito e la celerità cui esso è improntato comportano criteri
applicativi dell'articolo 36 c.p.c. ben più restrittivi di quelli affermatisi con riguardo alle
controversie ordinarie posto che il presente giudizio è caratterizzato da fasi e da ritmi accelerati,
incompatibili con la modifica dell'originario oggetto del giudizio fuori degli stretti limiti fissati "ex
lege". Pertanto, anche quando la domanda proposta non ecceda la competenza del giudice adito, non
basta il semplice "collegamento obiettivo" con la domanda principale per giustificare il
"simultaneus processus" -vedi cassazione 15271 del 2006- ma occorre che sia rigorosamente
dipendente dal titolo proprio della domanda attrice ovvero da tali titolo dipendente come "mezzo di
eccezione".
Ciò posto, è del tutto evidente che la domanda concernente il mutuo gravante sulla casa familiare
attiene alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi e, pertanto, deve ritenersi
estranea all'oggetto del presente giudizio, trattandosi per converso di domanda autonoma afferente
ad altre voci dell'assetto patrimoniale derivato dalla separazione personale.
L'esito della controversia e la totale soccombenza dell'appellante comportano la condanna di questi
alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'appellata, spese che si liquidano come da
dispositivo e il cui pagamento deve disporsi a favore dello stato ex art. 133 D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
la Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da D.V. nonché sull'appello
incidentale proposto da N. II K.J. avverso la sentenza n. 813 del Tribunale di Tivoli in data 1320.5.2010, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così provvede: rigetta l'appello principale e
quello incidentale; condanna il D. alla rifusione delle spese di giudizio in favore della N., che si
liquidano in complessivi Euro 5.400,00 oltre IVA e CA come per legge; v. l'art. 133 D.P.R. n. 115
del 2002 dispone che il pagamento sia effettuato allo Stato.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio il 10 luglio 2013.
Depositata in Cancelleria il 15 ottobre 2013.