REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Napoli, Sezione Persone e Famiglia, composta dai Sig.ri Magistrati: 1) Dott. Alessandro Cocchiara Presidente rel. 2) Dott. Annamaria D’Andrea Consigliere 3) Dott. Geremia Casaburi Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello, rubricata al numero n.88/13 di ruolo generale e vertente TRA C.M. M. (c.f.omissis), elett.te dom.ta in Portici, corso Garibaldi n.85, presso lo studio degli avv.ti Leopoldo, Ermanno e Luciano Spedaliere, che la rappresentano e difendono giusta procura a margine della citazione in appello; Appellante E A.D., elett.te dom.to in Napoli, corso V. Emanuele n.670, presso l’avv. Domenico Visone, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione; Appellato Nonché Procuratore Generale in sede; Interventore OGGETTO: appello avverso sentenza n.2201/12 del Tribunale di Nola in tema di annullamento del matrimonio. CONCLUSIONI PRECISATE DALLE PARTI Le parti si riportano alle rispettive conclusioni in atti; il P.G.:chiede il rigetto dell’appello. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione del 20.6.2002 Carotenuto Maria Maddalena premesso di aver contratto in data 12.9.1999 matrimonio con A.D. e che non era stato possibile consumarlo per il rifiuto dello stesso ad avere l’unione carnale riconducibile a problemi psichici e fisici dello stesso coniuge, non conosciuti dall’istante prima del matrimonio (anche perché durante il fidanzamento il medesimo l’aveva ingannata proponendo l’immagine di uomo vissuto ed esperto sessualmente), conveniva innanzi al Tribunale di Nola l’A. per sentir dichiarare la nullità del matrimonio per essere stata indotta in errore sulle qualità personali del marito e, quindi sentirlo condannare al pagamento dell’indennità di cui all’art. 129 bis c.c. e al risarcimento dei danni. Si costituiva il convenuto che eccepiva l’improponibilità dell’azione di annullamento in quanto proposta oltre il termine di decadenza previsto dall’art. 122 c.c. e in via riconvenzionale, premesso che il matrimonio non era stato consumato per i comportamenti offensivi, denigratori e villani del coniuge che avevano impedito l’unione carnale, chiedeva la cessazione degli effetti civili del matrimonio ex art. 3, lett. f, L. n.898/70 e il risarcimento dei danni. All’esito dell’istruttoria che contemplava l’interrogatorio formale deferito all’attrice, l’escussione dei testi indicati dalle parti e l’espletamento di una consulenza psicodiagnostica, il Tribunale di Nola, con sentenza n. 2201 del 20.7.12, riteneva innanzitutto abbandonata dal convenuto la domanda di divorzio sulla quale peraltro si era pronunciato il Tribunale di Torre Annunziata con sentenza n. 140/12; in secondo luogo riteneva che l’attrice fosse decaduta dall’azione di annullamento in quanto la stessa aveva dedotto di aver avuto certezza dell’errore sin dal viaggio di nozze e che vi era stata coabitazione durata un anno e mezzo, come del resto confermato dalla stessa madre dell’attrice; in terzo luogo riteneva che non vi era prova né dell’anteriorità, né della perpetuità, né dell’insuperabilità delle accertate disfunzioni sessuali. Pertanto, dichiarava l’improponibilità della domanda volta alla dichiarazione di nullità del matrimonio e rigettava le altre domande attorie e la domanda riconvenzionale risarcitoria, compensando le spese del giudizio tra le parti. Avverso tale sentenza, pubblicata il 17.8.12 e notificata il 7.12.2012, con citazione del 3.1.2013, proponeva appello la Carotenuto, la quale, in sintesi, deduceva di aver avuto contezza delle disfunzioni erettili del marito solo qualche mese dopo la celebrazione del matrimonio e che comunque la coabitazione era stata continuativa solo per qualche mese e comunque non era rappresentativa di un’effettiva convivenza. In secondo luogo richiamando le deposizioni testimoniali e in particolare quelle del tutto inattendibili dei testi di comodo indotti dall’A. e contestando le risultanze della consulenza tecnica, di cui chiedeva la rinnovazione affinché fosse affidata ad un esperto della materia, contestava il giudizio di non anteriorità, non perpetuità e non insuperabilità della riscontrata disfunzione erettile. In terzo luogo deduceva che indipendentemente dall’accoglimento delle domande ex artt. 122 e 129 bis c.c., aveva diritto al risarcimento dei danni conseguenti al comportamento scorretto, illegittimo, illecito ed inopportuno dell’A. tenuto con evidente dolo, mala fede e colpa grave. Pertanto, l’appellante così concludeva: “1) ad integrale riforma della sentenza di primo grado, dichiarare la nullità del matrimonio intercorso tra le parti in data 12.9.1999, ai sensi e per gli effetti dell’art.122 c.c.; 2) condannare l’Auricchio a corrispondere alla Carotenuto l’indennizzo di cui all’art. 129 bis c.c., somma da quantificarsi in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione come per legge; 3) in ogni caso ed in via ulteriore, condannare l’A. a risarcire la Carotenuto di ogni danno subito e subendo ai sensi degli artt. 2043, 2059 c.c. e dell’art. 2 Cost., attraverso il pagamento di quella somma che si determinerà in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione come per legge; con vittoria di spese e competenze da attribuire ai procuratori anticipatari”. Si costituiva tempestivamente l’appellato che chiedeva il rigetto dell’infondato gravame e chiedeva la condanna dell’appellante al pagamento delle spese e competenze dei due gradi del giudizio. Precisate, all’udienza del 23.10.2013, le conclusioni riportate in epigrafe, la causa è stata riservata a sentenza con i termini di cui all’art.190 c.p.c.; le parti hanno poi depositato comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Il, primo motivo di appello è infondato e deve essere pertanto respinto. Ed invero, può considerarsi pacifico tra le parti anche perché accertato dal consulente nominato in prime cure che la “malattia” dell’appellato che avrebbe impedito lo svolgimento della vita coniugale e in particolare la normale congiunzione carnale, è costituita da una disfunzione erettile “relativa” e cioè che si manifesta nel momento in cui, pur essendosi eretto il pene a seguito di eventuali manipolazioni, l’erezione viene meno ovvero non è sufficiente a consentire la penetrazione della vagina. Infatti, a prescindere dalle cause fisiche (escluse dal consulente) o psicogene di tale disfunzione, è stata la stessa appellante ad aver sempre ribadito che non conosceva prima del matrimonio tale patologia significativa di una impotentia coeundi, perché durante il fidanzamento (durato quattro anni) sia per convinzioni religiose sia perché “consigliata” dalla madre (che in sede di escussione testimoniale si è lasciata sfuggire che aveva imposto alla figlia tale regola di condotta) non aveva mai consumato il rapporto con la penetrazione, essendosi i fidanzati limitati a reciproche stimolazioni manuali ed orali che non avevano evidenziato disfunzioni erettili del partner (v. l’anamnesi –colloqui- allegata alla relazione del c.t.u. dott. Rosanna Nappi). Già nella prima notte di nozze l’appellato, a dire dell’appellante, confessò la sua incapacità a sostenere un normale rapporto con la penetrazione vaginale e la stessa appellante ha affermato “gli chiedevo di provarci, insistevo … se non ci proviamo come fai a sapere che non ci riesci? … Le prime volte, quando lo mettevo alle strette, lui aveva l’erezione, gli prendevo la mano e la portavo al mio seno o giù, lui aveva l’erezione ma poi piano piano la perdeva e lì finiva tutto” (v. dati anamnestici raccolti dal consulente). Ora, tenuto conto del fatto che, nella materia, l'esattezza più o meno integrale della conoscenza non deve necessariamente intendersi con riferimento alla diagnosi tecnica (patogenica e strutturale) dello stato anormale, ma rapportata anche alle sue manifestazioni esteriori e percepibili e da chiunque mediamente valutabili quanto alla loro incidenza negativa sulle relazioni interpersonali ed in specie sulle relazioni coniugali (Cassazione civile, sez. I, 14/04/1994, n. 3508), non v’è chi non veda, come esattamente ritenuto dal primo giudice, che l’appellante sia venuta a conoscenza della disfunzione erettile dell’appellato sin dai primi giorni della vita matrimoniale, a nulla rilevando la comunicazione di tale consapevolezza fatta dai coniugi ai rispettivi genitori, solo nel mese di marzo 2000, né che nel frattempo (e quindi prima) la Carotenuto non avesse mai smesso di stimolare il marito anche comprando cassette porno o somministrando al marito viagra, perché tali comportamenti presupponevano appunto la consapevolezza della disfunzione e costituivano un tentativo di superarla. Dunque, collocata la piena consapevolezza da parte dell’appellante della disfunzione erettile del marito sin dai primi giorni della vita coniugale, deve considerarsi verificata la decadenza dall’azione proposta solo con la citazione del 20.6.2002. Infatti, è sempre dal racconto della vita matrimoniale, fatto dall’appellante al consulente, che si evince in modo non equivoco che vi è stata coabitazione ininterrotta dei coniugi prima in quel di Livorno e poi a Terzigno (presso i genitori dell’appellato), tant’è che la stessa madre dell’appellante ha riferito che i coniugi hanno convissuto per un anno e mezzo. E che si sia trattato di convivenza coniugale e cioè che i coniugi abbiano inteso costituire la communio vitae, che caratterizza il vincolo matrimoniale nella sua interezza, lo ha confermato proprio l’appellante allorché ha riferito al consulente che, al di là delle frustrazioni subite per quella situazione, si è adoperata per superarla (acquisto di video cassette, viagra) anche con il marito (i coniugi si rivolsero ad uno psicologo e sessuologo iniziando anche una terapia interrotta dopo due mesi per decisione dell’appellante), sino a che, nel mese di febbraio 2001, decisero di separarsi. In altri termini, la convivenza protrattasi per oltre un anno dalla scoperta della disfunzione erettile del marito, caratterizzata dai tentativi di superare l’inconveniente, può essere considerata come circostanza che sana o conferma il matrimonio viziato. Dovendosi confermare la decisione di improponibilità della domanda di annullamento del matrimonio, resta assorbita la disamina del secondo motivo di gravame che attiene a questioni sul fondamento dell’azione preclusa e che hanno costituito oggetto di un evidente obiter dictum da parte del primo giudice. Non può essere accolto nemmeno il terzo motivo di gravame perché l’art. 129 bis c.c. disciplina le conseguenze risarcitorie (e cioè il coniuge in buona fede può chiedere l’indennità corrispondente al mantenimento per tre anni ovvero dare prova del maggior danno sofferto) in capo al coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio, di modo che nella specie, preclusa l’azione di annullamento, manca il presupposto delazione risarcitoria. Quanto al regolamento delle spese di lite, va osservato che l’appellato pur avendo concluso per la condanna alle spese dei due gradi di giudizio non ha proposto uno specifico motivo di censura in ordine ai motivi per i quali il primo giudice ha ritenuto di dover compensare le spese del primo grado, sicché rispetto ad esse la richiesta predetta è inammissibile. Le spese del giudizio di appello, nella misura liquidata in dispositivo secondo i nuovi parametri di riferimento, seguono la soccombenza dell’appellante e vanno distratte all’avv. Domenico Visone che ne ha fatto richiesta ex art. 93 c.p.c. . P.Q.M. La Corte d'Appello di Napoli, Sezione Persone e Famiglia, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) rigetta l’appello proposto da C.M. M. avverso la sentenza n. 2201/12 del Tribunale di Nola; 2) condanna C. M M. al pagamento delle spese competenze del giudizio di appello che liquida in € 1.980,00 per onorari, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge e che distrae in favore dell’avv. Domenico Visone. Così deciso in Napoli, in data 29.1.2014 Il Presidente est.