Leggi l`articolo di Teodoro Chiarelli
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LA STAMPA SABATO 7 GIUGNO 2014 Renzi non ci consideri una palude: crediamo nell’Italia, restiamo qui Il profitto deve essere legato al territorio che lo genera Marco Gay Presidente dei Giovani industriali Anche nella politica è giusto che chi ruba e chi corrompe sia espulso dal sistema ed esca del tutto dalla vita pubblica Maria Elena Boschi CANIO ROMANIELLO/OLYCOM Ministro delle Riforme Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi con il presidente dei Giovani industriali Marco Gay ieri a Santa Margherita “Fuori i corrotti da Confindustria” La sfida dei Giovani industriali: creiamo noi un milione di posti finanziando le start-up TEODORO CHIARELLI INVIATO A S. MARGHERITA (GE) Applaudono a scena aperta, tutti in piedi, don Luigi Ciotti, che viene a parlare di mafie, etica e legalità, «non quella malleabile e sostenibile di cui tanti si riempiono la bocca». Invocano un sistema «che non tollera i corrotti e i corruttori». Chiedono di cacciare da Confindustria chi corrompe e chi abbandona l’Italia. Si scagliano contro lo scudo fiscale, ma dicono «sì allo scudo industriale per il rimpatrio delle produzioni delocalizzate». Danno fiducia a Renzi, ma «a tempo determinato». Che non è una delega in bianco, ma è comunque un’apertura di credito rispetto ai dubbi e alle perplessità della Confindustria “senior” di Giorgio Squinzi. I Giovani industriali riuniti a Santa Margherita Ligure provano a smarcarsi dai padri come nei mitici anni Ottanta, vo- gliono tornare a svolgere un ruolo di critica e stimolo nei confronti dell’establishment. È evidente che il vento nuovo della politica renziana ha sedotto gli under quaranta. Vogliono contare e proporre, e pazienza per chi si ostina a considerarli solo dei figli di papà. Gay: «Chi delocalizza solo per sfruttare bassi costi della manodopera lasci l’associazione» Il nuovo presidente, il torinese Marco Gay, non usa giri di parole e chiama in causa direttamente il premier: «Peccato che Matteo Renzi non sia qui, potrebbe toccare con mano che noi siamo un pezzo di quel giorno nuovo che può iniziare. Presidente, non consideri Confindustria una palude, nè zanzare il caso MARCO SODANO li stimoli - che tutti considerano poderosi - della Banca centrale europea e le buone notizie sulla disoccupazione negli Stati Uniti ieri hanno continuato a spingere al rialzo sia le Borse europee sia Wall Street, tutte positive a fine seduta. Tra le migliori in Europa c’è Milano, che ha chiuso con l’indice Ftse Mib in progresso dell’1,54%, segnando il nuovo massimo da inizio anno. Rialzo trainato dai titoli bancari, che tra le blue chips italiane hanno un peso preminente e che dovrebbero essere i primi beneficiari della manovra Bce. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi s’è ridotto a 151 punti dopo aver toccato quota 140: metà esatta dalla soglia di 280 punti che l’ex premier Mario Monti aveva indicato, nei momenti più cupi della crisi del debito pubblico italiano, come il traguardo da raggiungere. I rendimenti sono tornati sui livelli di aprile 2011, prima della tempesta. La giornata s’è conclusa con la pagella di Standard&Poor’s sull’Italia: rating e outlook restano invariati (il primo a Bbb/a-2, il secondo negativo), spiega l’agenzia, sulla base delle «attese che il governo faccia progressi sulle importanti riforme strutturali e fiscali». È troppo presto per capire quanto del programma di governo sarà rea- G gli imprenditori». Poi, però, non si tira indietro a fare le pulci anche in casa propria. «Vogliamo un sistema che non tollera corrotti e corruttori. Che non sfregia la grande opportunità dell’Expo con l’ennesimo scandalo. Gli imprenditori onesti hanno tutto l’interesse a che il sistema economico sia sano: la legge sull’autoriciclaggio non ci spaventa, anzi». E aggiunge: «Puliamo la fedina penale del nostro Pil, l’Italia ha bisogno di essere credibile». I Giovani di Confindustria puntano il dito contro la delocalizzazione delle imprese che producono utili ma vanno alla ricerca di manodopera sempre più sottopagata. E allora, dice Gay: «Fuori da Confindustria chi corrompe, ma anche chi abbandona l’Italia». Perché non basta solo essere esempio di innovazione, alle imprese oggi viene chiesto di fare di più, di +1,54% essere esempio di etica, patriottismo e passione civile. «Esca anche chi non accetta che il legittimo profitto sia indissolubilmente legato al territorio che lo genera. Noi ci impegniamo a non lasciare l’Italia». Quindi aggiunge, a mo’ di sfida: un milione di posti lavoro? Li creiamo noi. E spiega: «Se ciascuno di noi incubasse o contribuisse alla creazione anche solo di una star up, in poco tempo avremmo 10 mila nuove imprese. Significa molto più di un milione di posti». Anche il ministro allo Sviluppo, la “collega” Federica guidi, è avvisata. «Piccoli aggiustamenti non bastano. Serve un progetto decennale. Chi fa impresa ha bisogno di orizzonti più ampi per investire». In prima fila, un’ammiratissima Maria Elena Boschi non si perde una parola del dibattito («Finalmente un ministro che non si limita alla 151 comparsata di rito», commenta più d’uno in sala). La titolare del dicastero delle Riforme rilancia: «Se giustamente Confindustria dice fuori chi corrompe, anche sul fronte dei politici noi diciamo che per chi ruba e chi corrompe è alto tradimento nei confronti della Repubblica e dei cittadini e che sia giusto che siano fuori anche loro». Riguardo all’Expo: «Immagino che già la prossima settimana possano essere conferiti i poteri al commissario Raffaele Cantone, stiamo lavorando al provvedimento normativo». Poi la Boschi parla della riforma del Senato e assicura che si farà prima dell’estate. «Non credo in una bocciatura da parte di Forza Italia, ci parliamo quotidianamente. Mi auguro anche che ci sia la possibilità con il Movimento Cinque Stelle di un dialogo, una fase nuova». 1,36 la Borsa lo spread l’euro Seduta brillante a Milano: i bancari hanno portato a un progresso pesante l’indice Ftse Mib In giornata la distanza tra Btp e bund tedesco s’è ridotta fino a 140 punti Il cambio con il dollaro è l’unica grandezza che non ha risentito delle mosse della Bce I mercati brindano con la Bce Lo spread torna ad aprile 2011 S&P: rating invariato per l’Italia “in attesa delle riforme” lizzato e in quali tempi, restano «il fardello del debito pubblico» e la stretta del credito. Sull’altro piatto della bilancia c’è però l’intervento della Bce: che induce l’agenzia a credere di più sulle prospettive di miglioramento dell’Europa (e infatti la stessa S&P ieri ha promosso il rating dell’Irlanda, ormai ex malato d’Europa). Ma nella giornata di ieri s’è parlato ancora soprattutto di Mario Draghi e del suo bazooka anti-deflazione. La cancelliera tedesca Angela Merkel lo ha invitato a Berlino per mercoledì prossimo. Sono tedesche le voci critiche che si sono levate più aspre contro le decisioni della Bce. È pur vero che il presidente della Bundesbank Weidmann ha gettato acqua sul fuoco, dan- do ragione a Draghi: «Se il tasso d’inflazione resta troppo basso troppo a lungo, si rischia uno sviluppo che blocca l’economia». È lo stesso Weidmann che nel 2012 si era opposto con tenacia al piano salva euro voluto da Draghi nel 2012. Soddisfatto invece il Ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, che parla di «mossa decisiva per rilanciare l’economia reale anche nell’Eurozona. Non è solo una manovra di carattere finanziario: con la svalutazione dell’euro ci potrà essere un recupero di crescita in diversi paesi e in particolare in Italia». Complimenti per Draghi dal presidente di Telecom Giuseppe Recchi: «È riuscito a esprimere capacità di negoziazione in un organismo com- plesso come la Bce, che finora non ha agito con la forza di altre banche centrali». Anche nel resto d’Europa i mercati hanno continuato la corsa post-Bce: tra tutte s’è fatta notare Madrid ( che ha chiuso a +1,73%), anche qui spinta dalle performance delle banche. La Francia ha segnato a sua volta un minimo storico di rendimento dei titoli decennali. L’unico protagonista della vicenda che continua a sembrare inamovibile la cosa avrà suscitato fastidio dalle parti di Francoforte - è l’euro: se giovedì la valuta europea era scesa a 1,35 contro il dollaro subito dopo l’annuncio dell’Eurotower, ieri ha recuperato terreno, arrivando a sfiorare quota 1,3680 per poi assestarsi a 1,3630. Primo Piano .5 . Taccuino MARCELLO SORGI Addio al rigore alla vigilia della presidenza italiana dell’Ue ul piano economico, gli effetti della decisione di Mario Draghi di abbassare al minimo assoluto, mai toccato prima, i tassi bancari nell’area euro si vedranno tra qualche mese. Ma su quello politico si intuiscono già, e proprio perchè cadono alla vigilia del semestre italiano di presidenza europea contrassegnano la volontà del presidente della Bce di incoraggiare una svolta nella politica di rigore imposta finora dalla Germania, e contestata ormai apertamente dai paesi che più hanno avvertito la scossa dei movimenti populisti nel voto del 25 maggio, Francia e Inghilterra. Senza correre troppo, si può dire che si stanno creando le condizioni per un ruolo diverso e nevralgico dell’Italia nella complicata partita che s’è aperta: un compito politico, di mediazione ma anche di decisione, tra la Germania che ha accolto positivamente l’intervento della Bce e gli altri paesi che premono per un allentamento dei vincoli e per dare ossigeno alle sofferenti economie nazionali, specie in vista di scadenze elettorali, come quelle attese proprio a Londra e a Parigi. La novità, legata anche alla scadenza del semestre, potrebbe segnare un cambiamento anche rispetto all’ultima volta in cui il governo italiano giocò un ruolo da protagonista sullo scenario dell’Unione. Mentre infatti Mario Monti, nel 2011 e 2012, aveva messo a frutto tutto il peso della sua credibilità personale di europeista ed ex-commissario Ue, inizialmente per evitare che l’Italia finisse come la Grecia, nella morsa dell’intervento dall’alto delle autorità europee, e successivamente, da super tecnico delle procedure e dei regolamenti che governano le stesse autorità, adoperando il diritto di veto per spostare gli equilibri in senso anti-Merkel, Matteo Renzi, da politico a tutto tondo, e da presidente in carica del semestre, potrebbe tentare di affiancare la Merkel e cercare di pilotare insieme a lei lo scongelamento della politica di rigore, che la Germania, se isolata, non sarebbe più in grado di evitare. Il modo in cui è cominciato il negoziato sulle nomine e la rinuncia, da parte della Cancelliera, alla candidatura di Juncker come presidente della Commissione, vanno sicuramente in questa direzione. La mossa di Draghi altrettanto. E la possibile firma di un documento comune, proprio sulla politica economica, potrebbe rappresentare nel prossimo vertice Ue la rivelazione di un movimento che allo stato è possibile soltanto intuire. In questa materia, si sa, ogni cautela è d’obbligo. E di qui a parlare di un asse tra il SuperMario di Francoforte e il Matteo di Roma, ce ne corre. Ma in politica, dice un vecchio detto, chi ha più filo tesse. S