Come al solito ci pensa Draghi, la Ue ringrazia

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Come al solito ci pensa Draghi, la Ue ringrazia
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art.1, comma 1, dcb roma
Venerdì 5 Settembre 2014
Anno XII • N°171
1,00
ALLEANZA ATLANTICA
FESTA UNITÀ
CINA VATICANO
La Nato dal volto umano. Dopo
Rasmussen tocca a Stoltenberg,
A PAGINA 3
scampato a Utoya
Il piglio della Madia spiazza il
duro Angeletti. E sugli statali
tiene il punto A PAGINA 2
La sindrome cinese e
il coraggio della Chiesa
A PAGINA 5
di Hong Kong
BCE
CONTRO LA CRISI
EDITORIALE
FRANCOFORTE TAGLIA I TASSI
La strategia di SuperMario
e quella dei veri premier
Scene di lotta
tra poteri
nella Capitale
ROBERTO SOMMELLA
C
he mondo è quello in cui l’unico uomo al comando in
Europa è un banchiere centrale e
le sue mosse sono salutate come
se venissero da un governo tecnocratico della Provvidenza?
È un pianeta dove i governi,
oltre a cedere sovranità, hanno
perso anche l’unico potere che gli
restava, quello della politica.
È una riflessione che va fatta
con grande chiarezza nel giorno
in cui la Banca centrale europea
ha di fatto azzerato il costo del
denaro e avviato un progetto di
riacquisto titoli che sarà il preludio ad un vero piano Marshall,
per ora pubblico e poi forse pri-
vato, per risollevare dalle secche
della recessione un intero continente.
La soddisfazione, il sospiro
di sollievo, che si è elevato da
tutte le capitali e in primo luogo
dalle borse, non deve sviare l’attenzione da una constatazione
amara.
L’Unione Europea esiste solo
sulla carta, non ha una guida
espressa dal popolo, forte o debole che sia, e continua ad essere divisa tra chi appoggia il programma di Mario Draghi, Francia e Italia in primis, e chi di
fatto a Berlino ancora lo avversa.
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VERTICE NATO
Aiutare l’Ucraina, senza
nuove guerre fredde
U
no strano vertice quello della Nato in Galles. Era nato
per celebrare la fine dell’operazione in Afghanistan e un capitolo nuovo in Asia Centrale, ma –
come spesso accade – le cose
andranno in tutt’altro modo. L’agenda si è affollata di temi caldi,
forse troppi per essere affrontati
tutti seriamente. Ma a Newport,
oltre ad affrontare la crisi ucraina
e quella irachene, l’Alleanza atlantica è alla ricerca di se stessa.
Un destino tormentato, il suo.
Nata come sappiamo per garantire la sicurezza europea di fronte al Patto di Varsavia, poi protagonista nelle varie crisi dell’ex
Jugoslavia, lanciata nelle montagne afghane dopo l’undici settembre, costretta infine ad un’anomala campagna libica, oggi la
Nato è nuovamente chiamata in
causa in Europa orientale. Perché
questi periodici ritorni sulla scena? La risposta è che si tratta di
un’organizzazione più comprensiva delle altre, includendo Europa e Nord America, e poi perché
possiede una tradizione operativa unica al mondo. Interessante
il percorso degli Stati Uniti: storicamente paese leader, negli ultimi anni avevano preso le distanze dall’Alleanza.
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RENZI
Chi l’ha detto che le riforme
non portano consenso?
A
Come al solito ci pensa
Draghi, la Ue ringrazia
Per rilanciare l’export la Banca centrale riduce ai minimi il costo del
denaro. I mercati festeggiano, spread a 138. Adesso tocca ai governi
RAFFAELLA
CASCIOLI
a mossa ha sorpreso. Eppure la
partita è solo a metà strada.
Non solo perché all’appello mancano diversi giocatori, ovvero quegli
stati che SuperMario richiama a
fare la loro parte per la crescita
prendendo slancio nelle riforme
strutturali. Ma anche perché quelli
in campo, cioè i membri del board
della Bce, non hanno un’identità di
vedute e hanno dovuto trovare un
compromesso.
Dopo l’intervento di agosto a
Jackson Hole il presidente della Bce
Mario Draghi non ha deluso le
aspettative dei mercati che anzi sono stati addirittura presi in contropiede dall’annuncio dell’Eurotower
del taglio di 10 punti base dei tre
tassi principali a partire dal 10 settembre. Una misura motivata dal
contrasto alla deflazione e dettata
dall’urgenza di indebolire l’euro rispetto al dollaro così da consentire
un aumento dell’export dell’eurozona. Obiettivo raggiunto visto che
ieri l’euro è calato sul biglietto verde
sotto quota 1,30 ai minimi da luglio
2013. Anche le Borse hanno festeggiato con Milano che ha chiuso a
1,82% seguita da Madrid (1,96%),
Parigi (1,65%) e Francoforte (1,02%).
Lo spread Bund-Btp è sceso a quota 138 tornando ai livelli pre-crisi.
Un taglio inaspettato che definisce una volta per tutte il pavimento dei tassi dell’eurozona, con quello di riferimento passato dallo 0,15%
allo 0,05%. Una soglia che non sarà
abbassata ulteriormente, ha aggiunto Draghi, che ha portato da
-0,10% a -0,20% il tasso sui depositi che la Bce custodisce per conto
delle banche commerciali. Utilizzati tutti i margini di politica monetaria sui tassi, Draghi punta così a
preparare il terreno per le prossime
iniezioni di liquidità finalizzate a
rilanciare i prestiti alle aziende: le
banche dovrebbero ora superare
eventuali esitazioni a partecipare a
queste operazioni. L’eurozona sarà
inondata di liquidità che dovrebbe
trasmettersi all’economia reale.
Se sul taglio dei tassi l’unanimità non è stata raggiunta soprattutto
per le resistenze tedesche di fronte
allo spettro dell’inflazione, è «l’unanime determinazione del consi-
sformato profondamente il loro
paese, hanno sempre vinto le
elezioni, e si sono ritirati da vincitori nel rimpianto generale
(Gonzales e Mitterrand hanno
governato 14 anni, Blair dieci e
Clinton otto).
Sulla Stampa il professor Ricolfi prende le due dichiarazioni
contrapposte – di Renzi e di Nardella – per elaborare la teoria dei
“due renzismi”: l’uno populista e
scarsamente riformatore, l’altro
aristocratico e finalmente incisivo. Cercare il consenso degli elettori, però, non è populismo: è la
natura della democrazia.
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Gli eroi di Piccolo.
C’è anche il premier
Jella
Il default del paese, la tbc, ebola,
le mummie e i morti che
camminano. Ha smesso di
portare i voti, adesso Beppe
porta solo jella.
glio» a intervenire ancora contro i
rischi di bassa inflazione ad aprire
un interrogativo.
Quanto lontano Draghi può ancora spingere la Bce? SuperMario
ha annunciato per autunno una sorta di placebo di quantitative easing,
che pure potrebbe produrre effetti
sull’economia reale: gli acquisti da
parte della Bce di Abs, ovvero derivati che si poggiano su prestiti effettuati dalle banche alle imprese.
L’unica condizione che Draghi ha
messo è che si tratti di titoli «semplici e trasparenti»; in pratica le
banche non devono cedere alla tentazione di inserire negli Abs prestiti a rischio o deteriorati. Le cifre,
però, non ci sono. Per Draghi è prematuro parlarne.
Il tutto ovviamente aspettando
i governi che devono reagire alla crisi mettendo mano alle riforme dei
mercati del lavoro, dei beni e dei
servizi. Draghi ha fatto molto, forse
non tutto. Non ancora. Ora però i
governi dell’eurozona non possono
più sottrarsi e molto dipenderà da
quello che accadrà il prossimo autunno.
@raffacascioli
L O S C R I T T O R E A M A N T OVA
n n ROBIN
FABRIZIO RONDOLINO
a chi l’ha detto che per vincere le elezioni non bisogna
far nulla di serio, e che chi invece
fa le riforme vere viene poi bocciato dagli elettori? Non è forse
vero il contrario?
Dario Nardella, in un’intervista al Foglio uscita lo stesso giorno in cui Renzi diceva al Sole che
governare non significa per forza
scontentare, cita esplicitamente
Schroeder, il cancelliere socialdemocratico che salvò la Germania e perse se stesso. Ma a tutti
gli altri leader riformisti – da
Gonzales a Mitterrand, da Blair
a Clinton – è successo esattamente il contrario: hanno tra-
STEFANO
MENICHINI
L
ALESSANDRO MINUTO RIZZO
M

GIOVANNI DOZZINI
C
hissà se Matteo Renzi ha mai
letto L’insostenibile leggerezza
dell’essere. Chissà cosa ne pensa,
o cosa ne penserebbe, di Tomáš,
il protagonista del romanzo di
Milan Kundera, quell’uomo incapace di aderire a pensieri diffusi
e collettivi, così pervicacemente
aggrappato alla libertà di scegliere, momento per momento, il
proprio posto nel mondo. Francesco Piccolo, fresco vincitore
dello Strega con un libro che da
molti è stato considerato una
sorta di manifesto letterario del
renzismo, in questi giorni sarà a
Mantova per la diciottesima edizione del Festival. Gli organizzatori gli hanno chiesto di spendere un po’ del proprio tempo, domenica alle 17 al Tempio di San
Sebastiano, per raccontare al
pubblico il suo eroe letterario.
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ll’inizio dell’estate per il sindaco di Roma sembrava solo
questione di misurare i giorni prima della fine dell’avventura: troppo basso il gradimento in città,
troppo ostile l’ambiente politico.
Un buon rimescolamento in
giunta, l’intervento di tutela da
parte di Renzi, e oggi Marino pare
più solido. Se non ancora con i cittadini, almeno coi partiti il rapporto pare raddrizzato. Finché durerà.
La Capitale verrà presto investita, più duramente di qualsiasi
altra città, dall’onda di rimbalzo
della rottura tra il governo e l’universo della pubblica amministrazione, a Roma una vera galassia.
Ma prima ancora, le virtù del ceto
politico capitolino si stanno misurando in partite simboliche della
capacità di gestire rapporti con
poteri deboli, forti o fortissimi:
trovare il giusto equilibrio tra gli
eroici giovani che cercano di tenere
aperti i luoghi della cultura, come
il cinema America, e le logiche di
mercato che li chiudono; restituire
decoro alle strade del centro limitando l’espansione selvaggia dei ristoratori, sapendo però che appoggia qui tanta parte dell’economia cittadina; ridare funzionalità
minima ai disastrati servizi dei
trasporti e della raccolta dei rifiuti.
Infine (anche se le grane sarebbero
diecimila altre) dimostrare che dopo decenni di paralisi si può tornare a investire in grandi opere, attirando capitali di cui c’è bisogno
assoluto, e qui la storia è quella del
nuovo stadio del calcio voluto dagli
americani proprietari della Roma.
Dopo una trattativa durissima,
la giunta ha dato un via libera parziale. L’amministrazione s’è dimostrata abile, ha strappato molto
agli americani e al loro alleato, il
costruttore Parnasi: dovranno pagare più del previsto e dare più garanzie. Com’è giusto, in una città
dove è stato versato tanto cemento, pagato caro e poi abbandonato.
La fatica maggiore però Marino l’ha dovuta fare per tenersi neutrale nella guerra che al progetto
ha dichiarato il vero potere forte
cittadino, il costruttore Caltagirone, mobilitando il suo giornale e il
coté politico (prevalentemente Pd)
sul quale sa di poter contare.
Più che i sogni dei tifosi o i calcoli degli americani, si tratta alla
fine di garantire il principio di un
mercato aperto, non più riserva di
caccia dei soliti noti. Marino ha
retto alla prova, presto la palla
passerà a Zingaretti in Regione. È
una storia locale, certo, ma anche
un bel test, a proposito di “cambia
verso”, della nuova autonomia che
la politica rivendica e deve mostrare di meritare. @smenichini
Chiuso in redazione alle 20,30