Come al solito ci pensa Draghi, la Ue ringrazia
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Come al solito ci pensa Draghi, la Ue ringrazia
Poste Italiane s.p.a. - sped. in abb. post. d.l. 353/2003 (conv. in l. 27.02.2004, n.46) art.1, comma 1, dcb roma Venerdì 5 Settembre 2014 Anno XII • N°171 1,00 ALLEANZA ATLANTICA FESTA UNITÀ CINA VATICANO La Nato dal volto umano. Dopo Rasmussen tocca a Stoltenberg, A PAGINA 3 scampato a Utoya Il piglio della Madia spiazza il duro Angeletti. E sugli statali tiene il punto A PAGINA 2 La sindrome cinese e il coraggio della Chiesa A PAGINA 5 di Hong Kong BCE CONTRO LA CRISI EDITORIALE FRANCOFORTE TAGLIA I TASSI La strategia di SuperMario e quella dei veri premier Scene di lotta tra poteri nella Capitale ROBERTO SOMMELLA C he mondo è quello in cui l’unico uomo al comando in Europa è un banchiere centrale e le sue mosse sono salutate come se venissero da un governo tecnocratico della Provvidenza? È un pianeta dove i governi, oltre a cedere sovranità, hanno perso anche l’unico potere che gli restava, quello della politica. È una riflessione che va fatta con grande chiarezza nel giorno in cui la Banca centrale europea ha di fatto azzerato il costo del denaro e avviato un progetto di riacquisto titoli che sarà il preludio ad un vero piano Marshall, per ora pubblico e poi forse pri- vato, per risollevare dalle secche della recessione un intero continente. La soddisfazione, il sospiro di sollievo, che si è elevato da tutte le capitali e in primo luogo dalle borse, non deve sviare l’attenzione da una constatazione amara. L’Unione Europea esiste solo sulla carta, non ha una guida espressa dal popolo, forte o debole che sia, e continua ad essere divisa tra chi appoggia il programma di Mario Draghi, Francia e Italia in primis, e chi di fatto a Berlino ancora lo avversa. SEGUE A PAGINA 4 VERTICE NATO Aiutare l’Ucraina, senza nuove guerre fredde U no strano vertice quello della Nato in Galles. Era nato per celebrare la fine dell’operazione in Afghanistan e un capitolo nuovo in Asia Centrale, ma – come spesso accade – le cose andranno in tutt’altro modo. L’agenda si è affollata di temi caldi, forse troppi per essere affrontati tutti seriamente. Ma a Newport, oltre ad affrontare la crisi ucraina e quella irachene, l’Alleanza atlantica è alla ricerca di se stessa. Un destino tormentato, il suo. Nata come sappiamo per garantire la sicurezza europea di fronte al Patto di Varsavia, poi protagonista nelle varie crisi dell’ex Jugoslavia, lanciata nelle montagne afghane dopo l’undici settembre, costretta infine ad un’anomala campagna libica, oggi la Nato è nuovamente chiamata in causa in Europa orientale. Perché questi periodici ritorni sulla scena? La risposta è che si tratta di un’organizzazione più comprensiva delle altre, includendo Europa e Nord America, e poi perché possiede una tradizione operativa unica al mondo. Interessante il percorso degli Stati Uniti: storicamente paese leader, negli ultimi anni avevano preso le distanze dall’Alleanza. SEGUE A PAGINA 3 RENZI Chi l’ha detto che le riforme non portano consenso? A Come al solito ci pensa Draghi, la Ue ringrazia Per rilanciare l’export la Banca centrale riduce ai minimi il costo del denaro. I mercati festeggiano, spread a 138. Adesso tocca ai governi RAFFAELLA CASCIOLI a mossa ha sorpreso. Eppure la partita è solo a metà strada. Non solo perché all’appello mancano diversi giocatori, ovvero quegli stati che SuperMario richiama a fare la loro parte per la crescita prendendo slancio nelle riforme strutturali. Ma anche perché quelli in campo, cioè i membri del board della Bce, non hanno un’identità di vedute e hanno dovuto trovare un compromesso. Dopo l’intervento di agosto a Jackson Hole il presidente della Bce Mario Draghi non ha deluso le aspettative dei mercati che anzi sono stati addirittura presi in contropiede dall’annuncio dell’Eurotower del taglio di 10 punti base dei tre tassi principali a partire dal 10 settembre. Una misura motivata dal contrasto alla deflazione e dettata dall’urgenza di indebolire l’euro rispetto al dollaro così da consentire un aumento dell’export dell’eurozona. Obiettivo raggiunto visto che ieri l’euro è calato sul biglietto verde sotto quota 1,30 ai minimi da luglio 2013. Anche le Borse hanno festeggiato con Milano che ha chiuso a 1,82% seguita da Madrid (1,96%), Parigi (1,65%) e Francoforte (1,02%). Lo spread Bund-Btp è sceso a quota 138 tornando ai livelli pre-crisi. Un taglio inaspettato che definisce una volta per tutte il pavimento dei tassi dell’eurozona, con quello di riferimento passato dallo 0,15% allo 0,05%. Una soglia che non sarà abbassata ulteriormente, ha aggiunto Draghi, che ha portato da -0,10% a -0,20% il tasso sui depositi che la Bce custodisce per conto delle banche commerciali. Utilizzati tutti i margini di politica monetaria sui tassi, Draghi punta così a preparare il terreno per le prossime iniezioni di liquidità finalizzate a rilanciare i prestiti alle aziende: le banche dovrebbero ora superare eventuali esitazioni a partecipare a queste operazioni. L’eurozona sarà inondata di liquidità che dovrebbe trasmettersi all’economia reale. Se sul taglio dei tassi l’unanimità non è stata raggiunta soprattutto per le resistenze tedesche di fronte allo spettro dell’inflazione, è «l’unanime determinazione del consi- sformato profondamente il loro paese, hanno sempre vinto le elezioni, e si sono ritirati da vincitori nel rimpianto generale (Gonzales e Mitterrand hanno governato 14 anni, Blair dieci e Clinton otto). Sulla Stampa il professor Ricolfi prende le due dichiarazioni contrapposte – di Renzi e di Nardella – per elaborare la teoria dei “due renzismi”: l’uno populista e scarsamente riformatore, l’altro aristocratico e finalmente incisivo. Cercare il consenso degli elettori, però, non è populismo: è la natura della democrazia. SEGUE A PAGINA 4 Gli eroi di Piccolo. C’è anche il premier Jella Il default del paese, la tbc, ebola, le mummie e i morti che camminano. Ha smesso di portare i voti, adesso Beppe porta solo jella. glio» a intervenire ancora contro i rischi di bassa inflazione ad aprire un interrogativo. Quanto lontano Draghi può ancora spingere la Bce? SuperMario ha annunciato per autunno una sorta di placebo di quantitative easing, che pure potrebbe produrre effetti sull’economia reale: gli acquisti da parte della Bce di Abs, ovvero derivati che si poggiano su prestiti effettuati dalle banche alle imprese. L’unica condizione che Draghi ha messo è che si tratti di titoli «semplici e trasparenti»; in pratica le banche non devono cedere alla tentazione di inserire negli Abs prestiti a rischio o deteriorati. Le cifre, però, non ci sono. Per Draghi è prematuro parlarne. Il tutto ovviamente aspettando i governi che devono reagire alla crisi mettendo mano alle riforme dei mercati del lavoro, dei beni e dei servizi. Draghi ha fatto molto, forse non tutto. Non ancora. Ora però i governi dell’eurozona non possono più sottrarsi e molto dipenderà da quello che accadrà il prossimo autunno. @raffacascioli L O S C R I T T O R E A M A N T OVA n n ROBIN FABRIZIO RONDOLINO a chi l’ha detto che per vincere le elezioni non bisogna far nulla di serio, e che chi invece fa le riforme vere viene poi bocciato dagli elettori? Non è forse vero il contrario? Dario Nardella, in un’intervista al Foglio uscita lo stesso giorno in cui Renzi diceva al Sole che governare non significa per forza scontentare, cita esplicitamente Schroeder, il cancelliere socialdemocratico che salvò la Germania e perse se stesso. Ma a tutti gli altri leader riformisti – da Gonzales a Mitterrand, da Blair a Clinton – è successo esattamente il contrario: hanno tra- STEFANO MENICHINI L ALESSANDRO MINUTO RIZZO M GIOVANNI DOZZINI C hissà se Matteo Renzi ha mai letto L’insostenibile leggerezza dell’essere. Chissà cosa ne pensa, o cosa ne penserebbe, di Tomáš, il protagonista del romanzo di Milan Kundera, quell’uomo incapace di aderire a pensieri diffusi e collettivi, così pervicacemente aggrappato alla libertà di scegliere, momento per momento, il proprio posto nel mondo. Francesco Piccolo, fresco vincitore dello Strega con un libro che da molti è stato considerato una sorta di manifesto letterario del renzismo, in questi giorni sarà a Mantova per la diciottesima edizione del Festival. Gli organizzatori gli hanno chiesto di spendere un po’ del proprio tempo, domenica alle 17 al Tempio di San Sebastiano, per raccontare al pubblico il suo eroe letterario. SEGUE A PAGINA 5 ll’inizio dell’estate per il sindaco di Roma sembrava solo questione di misurare i giorni prima della fine dell’avventura: troppo basso il gradimento in città, troppo ostile l’ambiente politico. Un buon rimescolamento in giunta, l’intervento di tutela da parte di Renzi, e oggi Marino pare più solido. Se non ancora con i cittadini, almeno coi partiti il rapporto pare raddrizzato. Finché durerà. La Capitale verrà presto investita, più duramente di qualsiasi altra città, dall’onda di rimbalzo della rottura tra il governo e l’universo della pubblica amministrazione, a Roma una vera galassia. Ma prima ancora, le virtù del ceto politico capitolino si stanno misurando in partite simboliche della capacità di gestire rapporti con poteri deboli, forti o fortissimi: trovare il giusto equilibrio tra gli eroici giovani che cercano di tenere aperti i luoghi della cultura, come il cinema America, e le logiche di mercato che li chiudono; restituire decoro alle strade del centro limitando l’espansione selvaggia dei ristoratori, sapendo però che appoggia qui tanta parte dell’economia cittadina; ridare funzionalità minima ai disastrati servizi dei trasporti e della raccolta dei rifiuti. Infine (anche se le grane sarebbero diecimila altre) dimostrare che dopo decenni di paralisi si può tornare a investire in grandi opere, attirando capitali di cui c’è bisogno assoluto, e qui la storia è quella del nuovo stadio del calcio voluto dagli americani proprietari della Roma. Dopo una trattativa durissima, la giunta ha dato un via libera parziale. L’amministrazione s’è dimostrata abile, ha strappato molto agli americani e al loro alleato, il costruttore Parnasi: dovranno pagare più del previsto e dare più garanzie. Com’è giusto, in una città dove è stato versato tanto cemento, pagato caro e poi abbandonato. La fatica maggiore però Marino l’ha dovuta fare per tenersi neutrale nella guerra che al progetto ha dichiarato il vero potere forte cittadino, il costruttore Caltagirone, mobilitando il suo giornale e il coté politico (prevalentemente Pd) sul quale sa di poter contare. Più che i sogni dei tifosi o i calcoli degli americani, si tratta alla fine di garantire il principio di un mercato aperto, non più riserva di caccia dei soliti noti. Marino ha retto alla prova, presto la palla passerà a Zingaretti in Regione. È una storia locale, certo, ma anche un bel test, a proposito di “cambia verso”, della nuova autonomia che la politica rivendica e deve mostrare di meritare. @smenichini Chiuso in redazione alle 20,30