Erano tutte favole quelle che gli avevano sempre

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Erano tutte favole quelle che gli avevano sempre
Erano tutte favole quelle che gli avevano sempre raccontato, eppure ad ascoltarle sembravano
talmente vere da viverle ogni volta che chiudeva gli occhi.
Non gli avevano mai parlato del mondo. Non gli avevano mai detto come era realmente la vita.
Se lo erano tenuti ben stretto come un tesoro. Non gli era dato saperlo, almeno per il momento.
E così, lui non aveva mai dimenticato come saltellavano i conigli nel giardino incantato, come
volavano i sogni, come erano luccicanti le stelle e com’era sempre calmo il mare.
Non era mai autunno perché gli alberi erano sempre verdi e pieni di frutti gustosi da raccogliere, il
contadino lavorava la terra e non si spaccava la schiena, non sudava, ma aveva sempre il sorriso
sulle labbra.
Il bambino vedeva gli gnomi scendere a valle dalla montagna, i nani lavorare in miniera, e non
erano stanchi, fischiettavano mentre si chiudevano nel loro minuscolo destino.
Se eri bello, poteva dirtelo uno specchio altrimenti il brutto anatroccolo diventava poi un
meraviglioso cigno.
E anche il gobbo trovava l’amore della sua vita, perché ognuno ha la sua metà della mela che
qualche volta poteva essere avvelenata.
Ma poi basta un principe e un suo bacio magico, e anche se veniva dato ad un orrendo ranocchio
tutto cambiava e si tramutava in un sorriso che poi si capovolgeva colorato come quell’arcobaleno
che non mancava mai a pioggia finita.
Una pioggia che vedevi in una gocciolina che scivolava via da un filo d’erba nella terra che non
diventava mai fango, perché i fiumi erano sempre al loro posto e scorrevano attraverso la ruota di
un minuscolo mulino bianco avvolto nel verde della campagna.
Dove i gatti indossavano stivali o suonavano e cantavano, ma non mangiavano mai i topi che
riuscivano sempre a fuggire nella loro tana a forma ovale scavata perfettamente nel muro sempre
bianco dove non tutti i topi erano grigi, ma avevano grandi occhioni e anche un cane amico di un
altro cane diverso e un papero che purtroppo se la passava sempre troppo male. Ma bastava essere
nipote dell’uomo giusto o essere invidioso del cugino fortunato che trovava quadrifogli e bigliettoni
che un maldestro lasciava cadere in un parco verde, dove le strade non sono grigie come i palazzi
vuoti così minuscoli in confronto a tutti quei robot che salvano il mondo ogni giorno, ognuno a suo
modo contro le forze del male.
Dove non potevi essere mai ucciso o mangiato vivo, e anche se succedeva bastava l’arrivo di un
cacciatore che tagliava il male da cui fuoriuscivano deliziosi occhietti e un cestino di dolci e funghi,
e anche la famiglia inghiottita da una balena dove si vive pescando un tonno dietro l’altro finché il
fumo non la farà starnutire, e così anche il più diverso tra i bambini diventa vero ai nostri occhi e al
cuore dolce come pareti di marzapane nel bel mezzo di un bosco dove se c’era qualcuno che voleva
mangiarti.
Ti attirava con la dolcezza di mille gusti e colori tra cui il rosso del fuoco nei suoi occhi e l’arancio
delle caramelle o della zucca che portava un topo al ballo come meraviglioso autista di una fanciulla
buona e sfortunata tanto da perdere la scarpina che la renderà regina tra le carte francesi umili
servitori durante una partita di polo con una bambina golosa di funghi che voleva crescere e poi
diventare bambina ancora e restarci per sempre per poter volare fino alla seconda stella e destra con
un po’ di polvere di fata o un po’ di zucchero e la canzoncina rendeva tutti più contenti anche
pulendo il pavimento o mettendo in ordine la stanza e rifacendo il letto che tra i tre era il più
morbido perché la zuppa era buona ma ce ne voleva per scegliere quella tiepida fatta di orzo e fieno
della casetta che fu soffiata via come pareti di fiammiferi che bruciavano nei loro occhi dietro la
sicura casa di chi invece di ridere e scherzare si era messo da parte abbastanza cibo per superare
l’inverno.
Chi non sapeva cantare come una cicala o non era veloce come una tartaruga che chi va piano va
sano e va dove lo porta il cuore al largo del mare dove un pescatore vede volare all’orizzonte la
balena del colore del ghiaccio come la neve riflessa negli occhi, che non è mai fredda ma calda
come il fuoco che dal camino riscalda le mie guance mentre la mamma cullandosi sulla sedia mi
raccontava