Pubblico e privato pari sono: il contratto a tempo determinato nella

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Pubblico e privato pari sono: il contratto a tempo determinato nella
Pubblico e privato pari sono: il contratto a tempo determinato nella
giurisprudenza della CGUE
di C. Carta - 18 ottobre 2016
Tre sentenze della Corte di Giustizia, tutte pubblicate in data 14 settembre 2016, si sono
pronunciate contemporaneamente sulla compatibilità del diritto spagnolo con la direttiva
1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e
CEEP sul lavoro a tempo determinato. Le due clausole dell’accordo quadro oggetto
d’interesse nelle predette pronunce sono la n. 5, sulle misure di prevenzione degli abusi
derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato, e la n. 4, sul principio di non discriminazione fra i lavoratori a tempo
determinato rispetto a coloro che siano stati assunti con un contratto a tempo indeterminato.
In tutti i casi considerati, si trattava di lavoratori assunti a tempo determinato presso una
amministrazione pubblica. La CGUE, facendo perno sulla salvaguarda degli obiettivi
dell’accordo quadro, ha precisato alcune questioni che sono d’interesse, probabilmente, non
solo per l’interpretazione dell’accordo quadro, ma anche per il costante uso del principio di
non discriminazione nell’argomentazione della giurisprudenza comunitaria e per le
conclusioni della Corte sulle conseguenze del licenziamento legittimo.
Proprio argomentando sulla base del principio di non discriminazione, la CGUE ha precisato
(nelle due case riunite oggetto della prima pronuncia, C-184/15 e C-197/15) che qualora
l’ordinamento nazionale preveda che all’uso abusivo della successione di contratti di lavoro
a tempo determinato debba susseguire il diritto alla conservazione del posto, questa misura
dovrà essere estesa anche al settore pubblico o sostituita, ove sussistano ragioni legittime di
differenziazione fra pubblico e privato, da una misura egualmente efficace; inoltre, le regole
processuali non devono essere di ostacolo ai lavoratori assunti a tempo determinato nel
settore pubblico nel momento in cui intendano far valere il proprio diritto ad un uso non
abusivo della successione di contratti a tempo indeterminato.
Nella seconda pronuncia (sulla causa C-16/15) la Corte si è concentrata sulle ragioni
obiettive che potrebbero giustificare, in base alla clausola 5, il ricorso ad un contratto a
tempo determinato. Il caso riguardava il settore sanitario, nel quale, a detta della Corte, è ben
possibile che una sostituzione temporanea di un altro dipendente al fine di soddisfare le
esigenze provvisorie del datore di lavoro in termini di personale possa costituire una ragione
obiettiva. Tuttavia, non sarebbe altrettanto lecito adoperare tale giustificazione in modo tanto
sistematico da far fronte ad esigenze di fatto permanenti attraverso contratti di natura
temporanea. A questo proposito, la Corte sembra voler dare un suggerimento agli Stati,
ricordando che «la discrezionalità dell’amministrazione quando si tratta di creare posti
strutturali (…) permette di creare un posto fisso» o «di convertire un contratto a tempo
determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato» e che queste sarebbero modalità
efficaci per contrastare l’uso abusivo dei contratti temporanei. Una disciplina nazionale non
può pertanto, considerare di per sé giustificato da ragioni obiettive l’uso di contratti a
termine nel settore pubblico sanitario, ma deve obbligare l’amministrazione a creare posti
strutturali che pongano fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario
occasionale quando il bisogno di personale è a carattere permanente.
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Nell’ultima delle tre sentenze (pronunciatasi sulla causa C-596/14), non ci si concentra tanto
sui temi “classici” dell’obiettività delle ragioni giustificative o del divieto di successione
abusiva quanto su una questione che interessa la disciplina del licenziamento. Per la Corte, il
principio di non discriminazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro implica che,
se si prevede un’indennità per la risoluzione del contratto a tempo indeterminato, la stessa
debba essere prevista per i lavoratori assunti a tempo determinato comparabili, senza che la
mera circostanza di essere lavoratori a termine possa giustificare di per sé il diverso
trattamento. Secondo la precedente giurisprudenza della Corte, sarebbero «condizioni di
impiego», le indennità triennali di servizio; non si vede perché non dovrebbe esserlo,
pertanto, l’indennità attribuita al lavoratore a causa della cessazione del contratto di lavoro
intercorrente con il suo datore di lavoro. La discriminazione starebbe nel fatto che nel diritto
spagnolo, quando cessa un contratto di lavoro per ragioni oggettive, il lavoratore ha diritto
ad una indennità, a meno che non sia stato assunto con contratto di «interinidad» o di
formazione (che sono a tempo determinato). Se ne ricava un principio nuovo sulla disciplina
delle conseguenze economiche del licenziamento legittimo, le quali non potranno essere
previste solo per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, ma dovranno sussistere anche
per gli altri. Ciò prescinde dal fatto che la cessazione del rapporto a tempo indeterminato
avviene per motivi oggettivi sopraggiunti e giustificati, mentre nel caso del contratto a tempo
determinato la prevedibilità della cessazione del rapporto è connaturata all’apposizione di un
termine.
Nel complesso, “la tripletta” del 14 settembre 2016 non aggiunge forse nulla di inaspettato
all’interpretazione dell’accordo quadro; i punti più interessanti sono forse altri.
In primo luogo, rileva l’affermazione della necessità – in effetti, a prescindere dall’esistenza
di un contratto a termine – che non vi sia discriminazione nell’effettività dei diritti dei
lavoratori a seconda che siano stati assunti nel settore pubblico o in quello privato. Con
riferimento al contratto a termine, ciò comporta che, sebbene le amministrazioni pubbliche
possano essere regolamentate da leggi specifiche che impediscono la creazione di posti fissi
per esigenze legittime di finanza pubblica, ciò non può comportare lo svuotamento dei
principi dell’accordo quadro. Nel caso in cui l’esigenza non sia temporanea, le
amministrazioni non possono legittimamente farvi fronte con una successione di contratti a
termine. Il problema ricorda qualcosa, probabilmente, al giurista italiano. Nel nostro
ordinamento, il principio del buon andamento della pubblica amministrazione ha spesso
finito per aprire la porta a successioni di contratti a termine, nei casi in cui le risorse
economiche non sembravano compatibili con la creazione di posti fissi banditi per concorso
pubblico. Per il diritto dell’Unione, non ha alcun rilievo, inoltre, che le ragioni oggettive
trovino fondamento nell’esistenza di una legge, la quale impedisca, ad esempio, l’assunzione
a tempo indeterminato nel settore sanitario. La legge, se non prevede meccanismi volti ad
impedire un uso distorto del contratto a termine, è illegittima. Con buona pace della
distinzione fra pubblico e privato, cara agli ordinamenti nazionali. Così come, sotto il profilo
del licenziamento, la Corte ci dice che non rileva la circostanza che il datore concluda un
contratto di cui si prevede già il termine o un contratto a tempo indeterminato: il lavoratore,
se ha diritto ad un’indennità per la cessazione del rapporto, ne ha diritto a prescindere dal
tipo di contratto con il quale sia stato assunto. Con buona pace – si può forse ripetere la
locuzione – di un altro genere di distinzioni care agli ordinamenti nazionali, quelle di diritto
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privato, in cui tradizionalmente si collega il pagamento di un’indennità a eventi
imprevedibili tali da giustificare la cessazione di un rapporto che, al momento della
conclusione del contratto, si immaginava a tempo indeterminato.
Cinzia Carta, dottoranda di ricerca nell’Università di Bologna
Visualizza i documenti: C. giust., 14 settembre 2016, C-596/14; C. giust., 14 settembre
2016, C-184/15, C-197/15; C. giust., 14 settembre 2016, C-16/15
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