Legalità e bene comune sono valori fuori moda?

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Legalità e bene comune sono valori fuori moda?
caritas
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Domenica 14 maggio 2006
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APPROFONDIMENTI
Intervista a don Luigi Tellatin di “Libera, Associazioni nomi e numeri contro le mafie”
Legalità e bene comune
sono valori fuori moda?
L’ingiustizia quotidiana è fatta di lavoro nero, evasione fiscale, raccomandazioni
«Norberto Bobbio in un suo
scritto afferma che alla democrazia servono buone leggi e
buoni costumi. Ecco, credo
che la legalità sia la capacità di
darsi regole condivise, che siano rispettate da tutti e non solo dai più deboli. Perché le leggi siano adeguate devono essere accompagnate dalla solidarietà. Leggi e solidarietà sono
i due pilastri per camminare
verso la giustizia».
Don Luigi Tellatin, parroco
di Facca di Cittadella e referente regionale di “Libera, Associazioni nomi e numeri contro le mafie”, cita il grande filosofo torinese morto nel 2004
per spiegare il concetto di legalità come lo intendono a “Libera”, la rete fondata da don
Luigi Ciotti e Rita Borsellino
più di dieci anni fa.
Nel nostro Veneto l’illegalità
potrebbe sembrare un fenomeno lontano, che riguarda altre
zone del Paese: la Calabria della ’ndrangheta, la Sicilia della
mafia, la Puglia della Sacra corona unita, la Campania della
camorra. Eppure, a guardare
sotto il velo, forse, di un sottile
perbenismo, anche qui da noi
si può scorgere un atteggiamento, che sembra diffuso e
legittimato, dell’ognuno pensa
a sé, che considera il rispetto
della legge un optional al quale puoi aderire oppure no a seconda della convenienza, senza dare alcun valore al bene
comune. Lavoro nero, evasione fiscale, raccomandazioni,
ma anche piccole scortesie
quotidiane, come scavalcare
una fila, sono esempi di questi
atteggiamenti.
Don Luigi, è così?
«Direi di sì. È una questione
culturale: l’individualismo porta quasi naturalmente a forme
di illegalità. Più cresce la cultura dell’individualismo, più
facilmente cresce la cultura
del privilegio, dell’amico degli
amici e del culto della personalità, dell’illegalità diffusa.
Chi ci rimette sono ovviamente i più deboli. Con l’individualismo cala il senso dello stato
sociale e della politica con la
“P” maiuscola. E crescono isole di privilegio legate alle persone di potere. Porta a un atteggiamento che incide sull’etica: ciò che conta è l’interesse
personale, non il bene comune. Se per fare il mio interesse
devo non tener conto di alcune
regole, le infrango senza problemi.
Mi viene in mente, a proposito e tanto per parlare di vicende vicine a noi, la questione del rispetto dell’ambiente e
dello smaltimento dei rifiuti
tossico-nocivi: se il mio interesse mi porta a smaltirli in
modo non corretto per risparmiare, avvantaggiandomi, lo
faccio. Mi permetto anche di
distruggere l’ambiente, senza
tener conto di niente e di nessuno».
Stessa logica per l’evasione
fiscale?
«Certo. È la logica dell’interesse che non tiene conto
dell’umanità che ti circonda.
Per i cristiani non è questo il
concetto di giustizia che emerge dal Vangelo. L’umanità fra-
terna è quella di Gesù che dice
date a Dio quello che è di Dio,
e a Cesare quello che è di Cesare. Noi dovremmo dare a Dio
un’umanità nuova, riconciliata,
fraterna, ma se l’orizzonte culturale è essere forti e arrivare
primi, evidentemente la logica
della fraternità, dell’uguaglianza e della dignità di ciascuna
persona non trova tanti spazi
per svilupparsi.
Così però non consegniamo
più a Dio un uomo nella pienezza della sua dignità, ma un
essere legato alla logica della
competitività esasperata, che
porta al cinismo».
Se questa è la situazione,
su quali piani bisognerebbe
agire per cambiare le cose?
«Sugli stessi dell’antimafia.
Il primo è quello della repressione, dello Stato presente
nelle sue istituzioni, con forze
dell’ordine coordinate. Ma la
repressione da sola non basta,
serve un secondo piano di impegno, quello dei diritti, dello
Stato che con la sua presenza
garantisce quelli fondamentali
delle persone: diritto alla salute, con lo stato sociale; diritto
allo studio e al lavoro. Rispetto a quest’ultimo in particolare bisogna ricordare che la
“Si scrive potere, si pronuncia sfruttamento”.
flessibilità che diventa precarietà assoluta è iniqua: al Sud,
il 52 per cento dei giovani è
disoccupato e diventa terreno
di caccia della criminalità organizzata.
Ancora, lo Stato deve garantire il diritto alla casa e a
una qualità di vita dignitosa.
Dove non ci sono queste tutele è evidentemente facile che
si insinui la logica del privilegio. E quando ci sono meno
diritti e più privilegi cresce il
ruolo della mafia, o del clientelismo laddove la mafia è meno presente. Con mafia e
clientelismo le risposte ai bisogni dei cittadini non le dà lo
Stato, ma singole persone: i
mafiosi al Sud, i potenti al
Nord».
E il terzo piano di intervento contro l’illegalità
qual è?
«Il terzo piano di lotta alla
mafia e anche all’illegalità è
quello culturale, con il ruolo
fondamentale dell’educazione
alla democrazia, alla cittadinanza attiva, al rispetto delle
regole condivise. Qui si agisce
con percorsi a livello di scuola, di gruppi, di Chiesa, dove
ci sia non tanto il cinismo
dell’arrivare primi, quanto la
capacità di far emergere i valori importanti per la dignità
delle persone.
Anche papa Benedetto XVI
nell’enciclica Deus caritas est
dedica alcuni capitoli alla giustizia. Serve un mondo più
giusto anche economicamente: basti pensare che la criminalità organizzata incide per il
tre per cento sul prodotto interno lordo delle regioni meridionali; se si fosse vinta questa battaglia, il divario fra Sud
e Nord del Paese sarebbe sparito».
Lavoro nero.
E le nostre parrocchie cosa
possono fare?
«Possono partire dai contenuti del documento del ’92 dei
Vescovi sulla legalità e dall’ultima enciclica del Papa: la carità non è una funzione o strategia pastorale, ma è intrinsecamente legata al nostro essere comunità cristiana.
Paolo VI diceva che la politica è la forma più alta di carità.
Le nostre comunità dovrebbero diventare coscienza critica,
avviando laboratori concreti e
spazi dove si coltivano, si educano e si sperimentano valori
come la solidarietà e la condivisione di quella fraternità e di
quella giustizia che mettono in
pratica le beatitudini. Ce ne sono due dedicate alla giustizia e
una in particolare merita attenzione: dire “beati coloro che
hanno fame e sete di giustizia” significa, infatti, affermare che senza giustizia non c’è
possibilità di vita».
La coraggiosa presa di posizione di monsignor Bregantini, vescovo di Locri
«La scomunica per chi spara e uccide»
“Condanno questa ripetuta violazione della sacralità della vita”
La notizia è rimbalzata sui mezzi di co- abortire la vita dei nostri giovani, uccimunicazione a fine marzo: “Scomunica dendo e sparando, e delle nostre terre,
per chi spara e uccide”, parola di monsi- avvelenando i nostri campi, in applicagnor Giancarlo Maria Bregantini. Il ve- zione estensiva del Canone 1.398 Cjc,
scovo di Locri-Gerace, una delle zone a sentendo che questa grave sanzione giupiù alta densità di omicidi
d’Italia, ha infatti inviato
una lettera a tutti i parroci della diocesi per prendere posizione in modo
forte contro chi commette violenze, spara e uccide, facendo di fatto
“abortire” la vita dei giovani.
Il testo della lettera è
stato letto domenica 2
aprile in tutte le chiese
della diocesi di Locri.
«Condanno - ha scritto
il vescovo Bregantini - nel
più forte dei modi questa
ripetuta violazione della
santità della vita nella Locride. La condanno con la
scomunica. Quella stessa
scomunica che la Chiesa
lancia contro chi pratica
l’aborto, è ora doveroso,
purtroppo, lanciarla contro coloro che fanno Manifestazione di giovani contro la ‘ndrangheta
ridica ci aiuterà di certo a prendere
sempre più coscienza del tanto male che
ci avvolge, per poi saper reagire con fermezza e ulteriore impegno nel bene, nella difesa della vita, nella preghiera sempre più intensa per chi fa
il male, nella formazione
in parrocchia, seminando speranza nelle scuole,
negli oratori, nei gruppi
ecclesiali”.
Facendo riferimento ai
numerosi avvenimenti in
cui si è “violata la sacralità della vita”, in forme
diverse, ma tutte “ugualmente e gravemente feroci”, monsignor Bregantini ha sottolineato che
“tutto questo ci coinvolge, in profondo dolore”.
Per questo è necessario “risvegliare le nostre
coscienze, perché mai si
lascino abituare al male,
ma sempre possano attivare le necessarie forme
di reazione, nella logica
della Pasqua anche con
le tante lacrime versate
in questi giorni”.