LA NUOVA SARDEGNA Un galeone spagnolo nei fondali del Sinis
Transcript
LA NUOVA SARDEGNA Un galeone spagnolo nei fondali del Sinis
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna Beni culturali della Sardegna Segni di una grande civiltà Rassegna stampa a cura del Servizio Promozione Testata LA NUOVA SARDEGNA Data 13 maggio 2009 Pagina 7 Sezione Sardegna Un galeone spagnolo nei fondali del Sinis Otto mesi fa la segnalazione, la Soprintendenza non interviene dall’inviato ENRICO CARTA SAN VERO MILIS. Un po’ di scirocco e un colpo di fortuna. Dal fondo del mare di Putzu Idu, nello scorso mese di ottobre, spunta qualcosa che attira l’attenzione di due sub. È un pezzo di legno e subito capiscono che sotto c’è qualcosa di più grande e dal valore inestimabile. Seguono altre immersioni, sino a quando ogni dubbio viene scacciato. A tre metri di profondità, sotto qualche centimetro di sabbia c’è un’antica nave. La successiva ispezione della Soprintendenza confermerà la prima ipotesi, ovvero che si tratta di un galeone spagnolo o portoghese, che solcava il Mediterraneo a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento affondato per un incendio, oppure assalito dei predoni. Chissà come andò in quei giorni lontani mezzo millennio? Qui si entra nel campo delle ipotesi suggestive, mentre Marco Montanari e Marco Testarella, i due sub che hanno ritrovato il relitto, snocciolano certezze. Le loro ispezioni sono state assai difficili, visti i pochi mezzi che hanno a disposizione per operare in maniera scientifica sott’acqua. Gli esiti delle immersioni e del contatto con il galeone affondato sono più che altro legati ad alcune brillanti intuizioni e a conoscenze storiche personali. Sino all’ultimo hanno avuto il dubbio che si potesse trattare, magari, di un peschereccio di qualche decennio fa, affondato e mai recuperato dai pescatori. Ma quando è stato esaminato da vicino il materiale con cui erano saldate tra loro le travi hanno avuto solo certezze: solo rame e piombo, niente viti o bulloni che potessero far pensare a qualcosa di industriale o comunque prodotto in tempi assai più recenti. Il relitto quindi dovrebbe essersi adagiato lì, in un fondale alto tre metri e ad appena cinquanta metri dalla battigia della spiaggia di Putzu Idu, cinque secoli fa quando le navi spagnole solcavano i mari e sceglievano spesso come approdo proprio le coste occidentali della Sardegna, all’epoca sotto il loro dominio. Le dimensioni, al momento, si possono solo intuire dall’esame di alcune parti del galeone, che ha un argano di quasi due metri, che probabilmente serviva per issare le vele o tirare su l’ancora. La grandezza di altre travi del ponte, spinate in rame, fanno pensare che il relitto possa essere lungo una quarantina di metri. Per ora non è dato sapere molto di più, perché il vascello resta nascosto e custodito da diversi centimetri di sabbia. In effetti il ritrovamento è stato abbastanza casuale. I due sub si erano immersi nello scorso ottobre per riprovare alcuni esercizi e iniziarsi ai rudimenti della fotografia subacquea. Il fato ha voluto che proprio quel giorno le correnti marine fossero mosse dal vento di scirocco, che ha fatto emergere alcune piccole parti della nave affondata: alcuni bagli del ponte, ampi tratti della coperta, spinotti di giunzione in rame, fasciame delle murate dello scafo e l’argano di straordinaria fattura. Scattano le segnalazioni ai carabinieri, alla Capitaneria e alla fine interviene la Sovrintendenza di Cagliari. Da ottobre però è passato tanto tempo e sul ritrovamento, tenuto celato per evitare le scorribande di predatori, è calato il silenzio. Ovviamente tra lo sconcerto dei due amici sub. Eppure Oristano sarebbe proprio il posto giusto in cui agire. A mettersi all’opera, ad esempio, potrebbero essere l’Università con il suo corso specialistico in Archeologia subacquea e la Soprintendenza che potrebbe imprimere una svolta alle ricerche: quel relitto può essere essere un simbolo del museo archeologico che San Vero Milis aspetta da anni.