Vincere all`estero e rinunciare in Italia
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Vincere all`estero e rinunciare in Italia
A cura di Alfredo Martini Vincere all’estero e rinunciare in Italia A colloquio con Piero PETRUCCO, a capo di un’impresa specializzata in microtunnel e fondazioni che compete con successo sul mercato internazionale delle infrastrutture, dove tecnologia e innovazione sono fattori molto più premianti che nel nostro paese. uidare un’azienda specializzata nelle costruzioni in giro per il mondo. È quello che sta capitando negli ultimi anni ai fratelli Piero e Vittorio Petrucco e alla loro impresa di costruzioni di Basiliano in provincia di Udine, la Icop. Terza generazione con una storia alle spalle di opere pubbliche e una specializzazione fino all’inizio del nuovo secolo in fondazioni. Per Piero Petrucco “una specializzazione che oggi è tornata in auge, ma con sistemi e tecnologie ovviamente tutti diversi. Ed è sulla tecnologia e sulle soluzioni innovative che si gioca la partita della competizione internazionale”. Lo è in modo particolare per specializzazioni che hanno a che fare con reti e infrastrutture. È questo il fattore determinante che ha fatto di un’azienda italiana un’impresa di successo sui mercati internazionali. Ma andiamo per ordine, cominciando con un po’ di storia. G La vicenda della Icop ci consente di ragionare con Petrucco su alcuni aspetti non secondari di come funziona oggi il mercato delle infrastrutture in Italia e all’estero. È dagli anni settanta del secolo scorso che la Icop ope- È SULLA TECNOLOGIA E SULLE SOLUZIONI INNOVATIVE CHE SI GIOCA LA PARTITA DELLA COMPETIZIONE INTERNAZIONALE ra nel campo delle fondazioni. Poi nel 1993, in seguito a una visita al Bauma, la fiera internazionale che si tiene a Monaco di Baviera, abbiamo deciso di ampliare la nostra attività acquistando macchine specifiche nel campo delle perforazioni dall’esterno, macchine per microtunnel. Con questa tecnologia innovativa, soprattutto per l’Italia, ci siamo proposti nel settore delle reti e dei gasdotti in particolare e fino al 2000 siamo stati l’unica impresa italiana specializzata in microtunnel. In questo modo abbiamo supplito alla crisi del tradizionale mercato delle fondazioni, continuando anche ad operare nel settore delle opere speciali in cemento armato. Poi attraverso alcuni nostri clienti, fra cui Snam, Sicim e Implenia, abbiamo avuto la possibilità di lavorare all’estero per gruppi come Shell e Bp. Prima in Inghilterra e in Svizzera, poi anche oltre oceano, in Messico e in Oriente. Queste esperienze sono state determinanti per analizzare e comprendere alcuni aspetti fondamentali di come funzionano i diversi mercati esteri. In particolare ci siamo resi conto dell’importanza di conoscere il contesto, ma anche la cultura e le logiche normative dei diversi paesi. Per restare competitivi non bastava avere competenze tecniche ed essere bravi, era necessario acquisire conoscenze e sviluppare nuove reti relazionali. La strada che abbiamo intrapreso è stata quella di individuare persone competenti e autorevoli sul piano tecnico. Così è stato con l’assunzione in azienda di un ingegnere tedesco e uno di origini malesi, che ci hanno consentito di radicarci in Germania e di sviluppare una strategia specifica in Medio ed Estremo Oriente. Poi sono arrivate altre opportunità e anche qualche colpo di fortuna, che in un’attività imprenditoriale non guastano di certo. Soffermiamoci sul mercato europeo e sulle criticità che troppo spesso, in particolare in passato, hanno messo in difficolta molte imprese italiane. Penso all’esperienza nella ricostruzione di Berlino, ma non solo. Lavorare in Europa richiede standard molto elevati soprattutto sul piano della pianificazione dei lavori, della sicurezza e della rigorosa rispondenza tra quanto previsto dal progetto e la sua realizzazione. Il nostro vantaggio è che nelle perforazioni la progetta- INNOVARE 19 SEGUE VINCERE ALL’ESTERO E RINUNCIARE IN ITALIA zione è abbastanza semplice. In Europa i controlli in corso d’opera sono quotidiani e molto rigorosi. Ci sono un elevato senso di responsabilità e competenze indiscutibili. Si riscontrano talvolta rigidità eccessive, con le quali tuttavia dobbiamo fare i conti e saperle gestire. Essere consapevoli di questo consente di superare ostacoli inaspettati, così come di cogliere opportunità che portano a un consolidamento sul mercato. Un esempio è il lavoro che stiamo facendo in Danimarca nella costruzione della metropolitana di Copenhagen. Qui siamo subentrati a un’altra impresa italiana che si era ritirata. Dovevamo fare una stazione e restare qualche mese. Ora stiamo lavorando su sei stazioni, sono passati tre anni e finiremo nel 2016. Non è stato facile, ma ci siamo affermati io credo per tre qualità soprattutto: una maggiore produttività, dovuta a una mentalità più flessibile rispetto al lavoro, ma anche a un livello di specializzazione molto elevato, un’alta competenza tecnica e gestionale della produzione e una rispondenza puntuale alle richieste da parte della committenza. Un aspetto questo non secondario. Sicurezza, qualità e precisione sono tre fattori fondamentali per essere competitivi. IN ITALIA C’È SCARSA ATTENZIONE AGLI ASPETTI TECNICI E AL VALORE IMPRENDITORIALE IN TERMINI DI ORGANIZZAZIONE E DI QUALITÀ DELLA MANO D’OPERA O DEI MACCHINARI 20 Civiltà di cantiere Parlava anche di fortuna. Quando e dove è successo? Tra il 1996 e il 2001 avevamo fatto alcuni lavori a Montecarlo. Poi siamo tornati in Francia, a Parigi, un paio di anni fa per fondazioni in subbappalto per la Presspali France, un’azienda italiana storica che in seguito a difficoltà nel 2013 ha liquidato la succursale francese e ha ceduto il ramo di azienda relativo agli scavi. Più per amor di patria che credendo di essere competitivi abbiamo partecipato all’asta indetta dal Tribunale di Parigi. E abbiamo vinto, soprattutto perché abbiamo garantito l’occupazione dei 15 dipendenti. Così ci siamo rafforzati ereditando un portafoglio lavori decisamente interessante. A questo punto è scattato il caso. Tra i concorrenti alla gara c’era anche Eiffage, una delle tre maggiori aziende di costruzioni francese, 14 miliardi di fatturato annuo, specializzata tra l’altro in reti energetiche, che aveva al suo interno un settore microtunnel ma non una struttura dedicata alle fondazioni. Non ci conoscevano, così sono venuti in Friuli e poi ci hanno proposto di vendere ma nonostante un’offerta interessante con mio fratello abbiamo rifiutato. Ci hanno allora proposto una joint venture per il mercato francese che prevede di fare insieme e in esclusiva tutti i lavori di fondazione e consolidamento. Il primo lavoro acquisito è stato il primo lotto della metropolitana Grand Paris (250 chilometri e 77 stazioni da realizzare in 15 anni, per un valore di oltre 250 miliardi) con la stazione di Port du Clichy. Quindi vi state specializzando in metropolitane? Abbiamo iniziato nel 2001 in Italia poi nel 2008 siamo OGGI È SEMPRE PIÙ IMPORTANTE DISPORRE DI UNA CULTURA A 360 GRADI, PER ESEMPIO SAPENDO AFFRONTARE ANCHE LA PROGETTAZIONE FINANZIARIA DELLE OPERE DA REALIZZARE andati a Salonicco, nel 2012 a Copenhagen, ora a Parigi. Abbiamo lavorato alla metropolitana di Roma e di Napoli, ma lì è stato tutto diverso. Il contesto non aiuta. Abbiamo avuto problemi, tanto che nel 2011 ci siamo sfilati. In Italia c’è scarsa attenzione agli aspetti tecnici e al valore imprenditoriale in termini di organizzazione e di qualità della mano d’opera o dei macchinari, non si attribuisce valore alla tecnologia e alle competenze. Tutto si gioca sul prezzo. Che per opere complesse è una tragedia o una fortuna per alcuni… Basti pensare che in Francia la quotazione media è di 400 euro al metro di scavo, mentre in Italia hanno affidato lavori a 185 euro. Con ciò non si può fare di tutta un’erba un fascio. Abbiamo realizzato anche opere importanti nel nostro paese, oserei dire ardite, come nel caso di Savona con la realizzazione di una condotta sotterranea (sotto il mare, l’autostrada e la ferrovia) dotata di nastri per il trasporto del carbone dalle navi al deposito. Alcune esperienze italiane rafforzano la nostra capacità competitiva, ma in genere oggi operiamo su mercati avanzati caratterizzati da forte trasformazione territoriale e potenziamento infrastrutturale. Dal Bahrein al Qatar, alla Malesia. Sono questi alcuni poli di sviluppo dove le tecnologie e un curriculum qualitativamente riconosciuto fanno la differenza. A questo aspetto ne aggiungerei un altro che riguarda la dimensione e le caratteristiche di molte imprese italiane che lavorano all’estero con successo. Accanto al valore del capitale umano, che resta una caratteristica spesso decisiva, costituisce un atout vincente il fatto di essere un’impresa media fortemente specializzata in un contesto dominato da grandi imprese mondiali che non sempre hanno la convenienza o un modello organizzativo e di business che prevede certe attività all’interno. Come vi ponete oggi rispetto al mercato italiano? Come dicevo, partecipare a gare pubbliche con gli attuali criteri di selezione e il meccanismo del massimo ribasso, senza una progettazione reale, è incompatibile con la struttura, gli investimenti e la qualità offerti da un’impresa come la nostra. Come altre imprese medie seguiamo alcuni grandi clienti nel settore delle reti energetiche che ancora possono selezionare sulla base della qualità. Per far fronte alla forte contrazione del mercato tradizionale stiamo individuando anche altre opportunità in cui siano previsti finanziamenti privati. Ad esempio siamo entrati nella concessione per la realizzazione e gestione della nuova piattaforma logistica di Trieste insieme a un operatore portuale triestino e all’Interporto di Bologna. Un’operazione interessante mista pubblico privato, che rappresenta una sfida ma che può diventare un modello. È una questione culturale. Troppo spesso le nostre imprese si affidano unicamente a fattori come l’esperienza o una conoscenza specialistica. Oggi invece è sempre più importante disporre di una cultura a 360 gradi, per esempio sapendo affrontare anche la progettazione finanziaria delle opere da realizzare. Creare le opportunità, giocare in attacco e non più in difesa. Per fare questo dobbiamo crescere culturalmente come sistema italiano delle costruzioni. INNOVARE 21