Report Vertigine, Bari
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Report Vertigine, Bari
N. 2/2015 REPORT CORSO CRS Direttore del corso Prof. DOMENICO PETRONE Dott. MICHELE RAGUSO BARI 24-25 settembre 2015 REPORT DEL CORSO DI AGGIORNAMENTO LA VERTIGINE TRA PRESENTE E FUTURO REPORT REPORT DEL CORSO DI AGGIORNAMENTO LA VERTIGINE TRA PRESENTE E FUTURO BARI, 24-25 settembre 2015 NOTA DELL’EDITORE Il presente volume riprende i principali contenuti di questo evento formativo, con l’obiettivo di renderli disponibili a un pubblico più ampio e di offrire informazioni e indicazioni condivise per un miglioramento della pratica clinica. In particolare, i testi che seguono sono una rielaborazione originale, a cura della redazione di Sintesi InfoMedica, delle relazioni presentate durante l’evento da D. Petrone (Anatomo-fisiologia del sistema vestibolare), P. Vannucchi (Semeiotica e bedside examination), M. Raguso (Valutazione funzionale del sistema audio-vestibolare), A.P. Casani (La vertigine periferica), V. Marcelli (La vertigine centrale), A. Martini (Ruolo delle malformazioni labirintiche nella vertigine), A. Messina (Neuroplasticità e acufeni), A.P. Casani (La vertigine vascolare), G. Guidetti (Dizziness e panico vestibolare), N. Quaranta (La scelta terapeutica: chirurgica), M.L. Manfrin (La scelta terapeutica: medica), G. Guidetti (La scelta terapeutica: riabilitativa), G.A. Libonati (Vertigini posizionali: VPPB e varianti), A. Messina (La vertigine: controversie diagnostiche e medico-legali) e della tavola rotonda conclusiva. I testi, rivisti dai rispettivi relatori, sono stati riassunti e integrati con le opinioni emerse dalle discussioni tenutesi nel corso dei lavori. SOMMARIO Presentazione del corso Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo di illustrazioni e tabelle, alla registrazione su microfilm o in database, o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La riproduzione di quest’opera, anche se parziale, è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d’autore ed è soggetta all’autorizzazione dell’editore. La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge. © Sintesi InfoMedica S.r.l. Sebbene le informazioni contenute nella presente opera siano state accuratamente vagliate al momento della stampa, l’editore non può garantire l’esattezza delle indicazioni sui dosaggi e sull’impiego dei prodotti menzionati e non si assume pertanto alcuna responsabilità sui dati riportati, che dovranno essere verificati dal lettore consultando la bibliografia di pertinenza. Copyright © 2016 by Sintesi InfoMedica S.r.l. Via Ripamonti, 89 - 20141 Milano (MI) Tel. +39 02 56665.1 - Fax +39 02 97374301 Realizzato e distribuito con il contributo incondizionato di 2 3 Anatomo-fisiologia del sistema vestibolare 3 Semeiotica e bedside examination 4 Valutazione funzionale del sistema audio-vestibolare 5 La vertigine periferica 6 La vertigine centrale 9 Ruolo delle malformazioni labirintiche nella vertigine 10 Neuroplasticità e acufeni 12 La vertigine vascolare 14 Dizziness e panico vestibolare 15 La scelta terapeutica: Chirurgica 17 La scelta terapeutica: Medica 18 La scelta terapeutica: Riabilitativa 19 Vertigini posizionali: VPPB e varianti 20 La vertigine: controversie diagnostiche e medico-legali 22 CORSO CRS PRESENTAZIONE DEL CORSO Domenico Petrone Direttore U.O. di Otorinolaringoiatria - P.O. Di Venere, Bari La vestibologia ha compiuto progressi significativi negli ultimi decenni: si è giunti a una conoscenza più approfondita delle cause della vertigine, si sono evolute tecniche diagnostiche più avanzate e si sono ampliate le possibilità terapeutiche. L’otorinolaringoiatra continua a mantenere in quest’ambito un ruolo da protagonista, la sua competenza non si limita infatti ad orientare la diagnosi verso una patologia di sede, periferica o centrale, ma è possibile oggigiorno inquadrare perfettamente l’origine della patologia, individuare il recettore non funzionante e trattare opportunamente il paziente nella fase di recupero funzionale. Questo Corso vuole pertanto essere un punto di incontro tra esperti del settore al fine di fornire le opportune conoscenze teoriche ed i consigli pratici per riconoscere e trattare i disturbi vertiginosi. In particolare verranno affrontati i principali aspetti semeiologici differenziali tra una vertigine periferica, centrale e psicogena ed illustrate le moderne tecniche diagnostiche utilizzate nella pratica clinica. Le esercitazioni pratiche infine serviranno ai presenti per acquisire le competenze specifiche in ambito diagnostico e riabilitativo. ANATOMO-FISIOLOGIA DEL SISTEMA VESTIBOLARE Domenico Petrone Direttore U.O. di Otorinolaringoiatria - P.O. Di Venere, Bari Ipoacusia e popolazione anziana I l sistema vestibolare assicura l’equilibrio, registrando la posizione e il movimento della testa nello spazio. Contribuisce all’orientamento spaziale e al mantenimento del tono posturale agendo in sinergia con gli altri due apparati responsabili dell’equilibrio corporeo: il somatosensitivo e il visivo. Il sistema vestibolare monitora le informazioni provenienti da ognuno dei movimenti nei sei “gradi di libertà” delle tre dimensioni dello spazio: tre movimenti di traslazione e tre di rotazione. I primi sono garantiti dall’utricolo e dal sacculo, i secondi dai canali semicircolari (SC): organi sensoriali ripieni di endolinfa che costituiscono il sistema vestibolare. L’utricolo e il sacculo, definiti organi otolitici, sono responsabili dell’orientamento della testa rispetto alla gravità e alle accelerazioni lineari, rispettivamente per il piano orizzontale il primo, per quello verticale il secondo. Nella loro faccia interna è situata la macula, una piccola area sensoriale coperta da una membrana otolitica, nella quale sono immersi cristalli di carbonato di calcio detti otoliti in contatto con le cellule sensoriali: le cellule ciliate vestibolari. Ogni cellula ciliata possiede delle stereociglia e un chinociglio, posti all’estremità apicale. Alla base e alle pareti laterali delle cellule ciliate si instaura il contatto sinaptico con le terminazioni del nervo vestibolare. I canali SC sono orientati perpendicolarmente l’uno rispetto all’altro: ogni canale registra l’accelerazione angolare in uno dei tre piani dello spazio. In uno dei due bracci di ogni canale è presente l’ampolla, un rigonfiamento in cui sono situate le cellule sensoriali ciliate, im- merse in una sostanza gelatinosa, mucopolisaccaridica, detta cupola. Le cellule ciliate si caratterizzano per la presenza di un chinociglio e di 40-70 stereociglia, disposte ad altezza degradante dall’apice del chinociglio, con una polarità morfologica che si ripercuote a livello funzionale (Figura 1). (a) Chinociglio (b) Stereociglia Corpo basale Efferente Afferente Figura 1. Cellule ciliate vestibolari Quando le stereociglia si flettono verso il chinociglio, si ha una depolarizzazione, cioè un’eccitazione, per aumento della frequenza di scarica dei potenziali d’azione delle fibre del nervo vestibolare. 3 REPORT Quando è il chinociglio a flettersi verso le stereociglia, si verifica una iperpolarizzazione, cioè un’inibizione per la ridotta frequenza di impulsi. Questi processi coinvolgono numerosi neurotrasmettitori, come l’acetilcolina, il glutammato e l’aspartato, amminoacidi eccitatori, e il GABA, inibitore. In condizioni di riposo, le cellule ciliate presentano una costante attività elettrica di base (potenziale spontaneo a riposo), che garantisce il mantenimento del tono posturale della muscolatura scheletrica. La stimolazione vestibolare è inviata al sistema nervoso centrale (SNC) come una variazione di questo potenziale spontaneo a riposo. I canali SC sono caratterizzati da una polarizzazione funzionale, determinata dai rapporti tra chinociglio e stereociglia. In ciascuna cresta, i chinocigli delle cellule sono orientati nella medesima direzione, verso l’utricolo per i canali SC orizzontali, in direzione opposta per quelli verticali. Quando la testa inizia a ruotare, l’inerzia dell’endolinfa presente nei canali SC provoca una deflessione della cupola nel senso opposto a quello della rotazione. Questo causa la deflessione delle cellule ciliate delle creste ampollari e si attiva la fase di eccitazione. Quando la rotazione diventa costante, l’attività delle cellule ciliate ritorna ai livelli di base. All’arresto della rotazione, l’endolinfa continua il proprio movimento, mentre il canale SC si ferma: si verifica così una stimolazione dal lato opposto a quello di partenza. Fenomeni analoghi avvengono a livello dell’utricolo e del sacculo. Durante un movimento lineare della testa, gli otoliti, più densi dell’endolinfa, tendono a rimanere indietro per la loro inerzia, rispetto alla deflessione che si sta compiendo. Nel sistema vestibolare lo stimolo è il risultato di una serie di impulsi di segno opposto provenienti dalle cellule ciliate dei due lati. Quando l’attività elettrica di un lato aumenta, quella del controlaterale dimi- nuisce. Quando questo non accade compare la vertigine. Le afferenze vestibolari, trasportate dal nervo omonimo, penetrano nel tronco encefalico dividendosi in due contingenti diretti al vestibolocerebello e ai nuclei vestibolari. Le informazioni provenienti da entrambi i lati sono unite dalle fibre commessurali interposte tra i nuclei vestibolari. Costituite da cellule di tipo I (neuroni eccitatori) e di tipo II (inibitori), queste fibre intervengono nei meccanismi di compenso vestibolare. Gli impulsi provenienti dai nuclei vestibolari raggiungono il cervelletto, che è connesso al sistema vestibolare direttamente e indirettamente. Dal cervelletto vengono reinviati impulsi al sistema vestibolare per una perfetta integrazione tra i due sistemi. Dai nuclei vestibolari partono connessioni con il sistema oculo-motorio mediante le vie vestibolo-oculari, tramite le quali si realizza il riflesso omonimo (VOR), che consente la rotazione degli occhi in direzione uguale e contraria rispetto alla rotazione della testa, per mantenere l’immagine visiva stabile sulla retina. Il sistema vestibolare è connesso poi con il midollo spinale attraverso le vie vestibolo-spinali (VS), che consentono l’integrazione delle attività motorie riflesse posturali con le afferenze vestibolari e con input extravestibolari visivi, uditivi, tattili. Le connessioni del sistema vestibolare con la corteccia sono rappresentate da una via diretta vestibolo-talamica, e una indiretta vestibolo-cerebello-talamica, che raggiungono le aree parieto-temporali. Tali connessioni permettono l’apprezzamento dell’orientamento spaziale cosciente, la modulazione dei riflessi motori durante i movimenti volontari, una ricostruzione spaziale “interna” e garantiscono una “memoria cosciente” della propria posizione nello spazio. SEMEIOTICA E BEDSIDE EXAMINATION Paolo Vannucchi Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Medicina Traslazionale, Università di Firenze L a bedside examination, se ben utilizzata, permette di inquadrare adeguatamente gran parte dei pazienti. I passaggi fondamentali sono l’anamnesi, l’osservazione del paziente in stazione eretta, un rapido studio dell’oculomotricità, l’esecuzione di due test semplici, ma molto importanti, come l’Head Impulse Test (HIT) e l’Head Shaking Test (HST), la valutazione del nistagmo, con o senza fissazione visiva. Dopo queste indagini si può passare alla semeiotica strumentale. Una buona anamnesi è irrinunciabile: fare domande opportune e ascoltare il paziente aiuta a comprendere molte delle caratteristiche della vertigine (modalità di insorgenza, durata, sensazione di rotazione o instabilità, senso orizzontale o verticale della vertigine, modalità di conclusione, associazione con altri sintomi, otologici e non, concomitanza con la cefalea); questi dati sono estremamente utili per guidare il medico verso la diagnosi corretta. Lo studio del nistagmo va eseguito con e senza gli occhiali di Frenzel, perché il confronto tra le due modalità fornisce elementi importanti per la diagnosi. Il paziente deve essere valutato in diverse posizioni (seduto, 4 supino, fianco Dx, fianco Sn e con testa iperestesa) oltre che con le manovre di Dix-Hallpike. Nella valutazione del nistagmo sono molto utilizzate anche la video-oculoscopia e la video-oculografia: la prima permette di registrare i dati e di confrontarli nel tempo, mentre la seconda fornisce informazioni quantitative, soprattutto per la valutazione dell’oculomotricità. L’HIT è di particolare importanza nella valutazione del paziente in acuto. In presenza di una vertigine acuta, un HIT negativo suggerisce un buon funzionamento del recettore periferico, e un possibile problema a livello dei nuclei. Questo test può generare dei falsi positivi, ma, quando è palesemente positivo, dà una certezza quasi assoluta che si tratti di una vertigine periferica. Il video-HIT si rivela utile nello studio dei canali verticali. L’Head Shaking è un test poco specifico, ma molto sensibile. La comparsa di un “perverted nistagmus”, cioè di un nistagmo verticale a seguito di un’oscillazione orizzontale, è fortemente indicativa di un problema centrale, ma è un evento piuttosto raro. Questo test contribuisce a confermare i risultati di altre valutazioni, ma non è sufficiente per formulare una CORSO CRS diagnosi di sede. I potenziali evocati miogenici vestibolari (VEMPs) rappresentano una raffinata metodica di semeiotica strumentale, che consente di studiare i recettori maculari. Lo studio dei VEMPs è indispensabile se l’anamnesi e la valutazione dei nistagmi portano a ipotizzare la presenza di una sindrome di Minor ma, in generale, questo test non è sufficiente per giungere a una diagnosi. Anche se aspecifico, il test della verticale visiva soggettiva (VVS) è interessante, perché può essere eseguito direttamente al letto del paziente, utilizzando semplicemente un secchio, un filo da pesca con piombino e un goniometro. Alla base del secchio, sia all’interno sia all’esterno, è disegnato un raggio. Il paziente inserisce la testa nel secchio e lo ruota finché non vede il raggio interno perfettamente verticale. Se il paziente pone il raggio verticale il filo a piombo si sovrappone al raggio esterno se invece inclina aprirà un angolo la cui ampiezza verrà data dal goniometro. In fase acuta l’inclinazione deve essere verso il lato leso: in caso contrario, occorre mettere in discussione l’eventuale ipotesi di alterazione periferica (Figura 1). Molto utili sono anche le prove termiche, che possono essere eseguite con diverse modalità. Oggi la metodica più utilizzata è quella di Fitzgerald-Hallpike, in cui il paziente è in posizione distesa, con la testa sollevata di 30 gradi, in modo che i canali laterali siano in posizione verticale, ed è stimolato con 250 cc di acqua a 30 e a 44 °C. Pur stimolando un solo labirinto per volta, a bassa frequenza, questo test è fondamentale per porre una diagnosi di deficit labirintico monolaterale. Le sedie rotatorie sono strumenti estremamente interessanti, ma poco utilizzabili in ambito clinico, sia per i tempi, sia per i costi elevati, sia perché forniscono informazioni limitate. Utili per studiare il sistema da un punto di vista fisiologico, dovrebbero essere riservate a strutture che si occupano di ricerca. Anche la stabilometria statica e dinamica dovrebbero essere riservate a strutture di livello più elevato: pur fornendo informazioni interessanti, non consentono di formulare una diagnosi. Un aspetto di semplice valutazione, ma di rilevante importanza ai fini diagnostici, è osservare Figura 1. Test Verticale Visiva Soggettiva se il paziente vertiginoso riesce a mantenere o no la stazione eretta. In fase acuta l’interessamento delle strutture periferiche consente al paziente di mantenere, anche se a fatica, una stazione eretta: questo non accade in chi ha un coinvolgimento delle strutture centrali. L’esame vestibolare è, dunque, una sorta di mosaico, in cui occorre assemblare varie tessere per ottenere una quantità di informazioni sufficiente per formulare una diagnosi corretta. VALUTAZIONE FUNZIONALE DEL SISTEMA AUDIO-VESTIBOLARE Michele Raguso D.M. Responsabile U.O. Otorinolaringoiatria - Ospedale della Murgia – Altamura, Bari A lle vertigini si associano frequentemente anche disturbi uditivi, e viceversa: ciò è dovuto agli stretti rapporti di vicinanza che intercorrono tra il sistema vestibolare e quello uditivo. Dopo un’anamnesi approfondita, un’indagine strumentale delle vie uditive o vestibolari deve stabilire l’entità del deficit e la topografia della lesione, per risalire alle cause della malattia. Nella diagnostica audiologica l’esame principe è l’audiometria soggettiva tonale, che identifica la soglia uditiva alle varie frequenze, per via aerea e ossea, evidenziando un possibile deficit uditivo e la sua entità. L’audiometria tonale permette di individuare anche la sede della lesione. In un’ipoacusia di tipo trasmissivo, risulta ridotta solo la soglia per via aerea: questo indica la presenza di una patologia dell’orecchio esterno o medio. Nell’ipoacusia percettiva, originata da una patologia a livello cocleare o retrococleare, si osserva, invece, una riduzione di pari entità di entrambe le soglie. Altre indagini fondamentali sono l’audiometria vocale, l’impedenzometria, i potenziali evocati uditivi e le otoemissioni acustiche. L’audiometria vocale valuta la menomazione sociale del paziente e fornisce informazioni di tipo quantitativo, oltre ad indicare la sede di lesione. L’impedenzometria valuta l’elasticità o compliance del sistema timpano-ossiculare. L’esame è costituito, in realtà, da due test: la timpanometria e lo studio del riflesso stapediale. La prima rileva la variazione di impedenza del sistema timpano-ossiculare, al variare della pressione nel condotto uditivo esterno. In condizioni fisiologiche si ottiene una curva a 5 REPORT campana (Tipo A), mentre un timpanogramma piatto (Tipo B) indica la presenza di una patologia dell’orecchio medio. Un picco della compliance in presenza di una pressione negativa (Tipo C) è indice, invece, di una patologia tubarica, mentre timpanogrammi con andamento “seghettato” (Tipo D ed E), segnalano una probabile discontinuità della catena ossiculare (Figura 1). La valutazione del riflesso stapediale fornisce utili indicazioni nello studio delle patologie trasmissive, cocleari e retrococleari. I potenziali evocati uditivi indagano l’attività elettrica che si sviluppa nel trasferimento dell’informazione acustica al sistema nervoso centrale: consentono di valutare il livello di soglia e di trarre indicazioni sull’eziologia dell’ipoacusia e sulla sede del processo patologico. L’elettrococleografia, o studio dei potenziali immediati, valuta l’attività elettrica a livello dell’orecchio interno, per verificare la funzionalità del recettore periferico. L’ABR, o studio dei potenziali veloci, è la metodica più utilizzata e valuta, invece, l’attività elettrica che si sviluppa nei primi 10 millisecondi, nel trasferimento dell’impulso elettrico dal nervo acustico al collicolo inferiore. L’attività elettrica viene registrata sotto forma di cinque onde, generate dall’attività di diversi centri nervosi. Si valutano la comparsa delle onde, l’ampiezza e, soprattutto, la latenza: un rallentamento nella progressione dell’impulso fornisce indicazioni sull’esistenza di una sofferenza a un determinato livello e sulla probabile sede di lesione. Vi è infine l’elettroencefaloaudiometria, o studio dei potenziali lenti, che valuta l’attività elettrica che si sviluppa a livello corticale. La funzionalità del sistema uditivo può essere valutata anche con le otoemissioni acustiche. La loro genesi è riconducibile a meccanismi attivi delle cellule ciliate esterne e a fenomeni osmotici. Le otoemissioni percorrono a ritroso il tragitto delle onde sonore, dalla coclea alla membrana timpanica, fino al condotto uditivo esterno, dove sono captate. Questa metodica fornisce informazioni solo sulla funzionalità delle cellule ciliate del recettore periferico. La valutazione funzionale del sistema vestibolare riguarda le funzioni vestibolari, la funzione visuo-oculomotoria e il sistema posturale. La funzione vestibolare è valutata con le metodiche obiettive descritte nella relazione precedente, e con esami strumentali (prove caloriche, rotatorie e galvaniche, i VEMPs, il video HIT), per alcuni di questi ci si avvale dell’elettronistagmografia o della videonistagmografia. Le prove rotoacceleratorie possono essere rotatorie (prova di Bárány, cupolometria, prova di Montandon) o pendolari (stimolazione mantenuta, stimolazione smorzata). Eseguendo rotazioni in senso orario e antiorario, si stimola l’attività dei canali SC laterali: Tipo A -600 -400 -200 0 Tipo B +200 +400 +600 -600 -400 -200 0 Tipo D -600 -400 -200 0 Tipo C +200 +400 +600 -600 -400 -200 0 +200 +400 +600 Tipo E +200 +400 +600 -600 -400 -200 0 +200 +400 +600 Figura 1. Esempi di timpanogramma sono costantemente valutati il nistagmo e, soprattutto, il rapporto tra la velocità angolare della fase lenta del nistagmo e la velocità della sedia, che fornisce indicazioni sul guadagno. I VEMPs, suddivisi in ocular VEMPs e cervical VEMPs, permettono di valutare l’attività dei recettori delle macule, rispettivamente dell’utricolo e del sacculo. L’esame può essere eseguito monoauralmente o binauralmente, in modo semplice e veloce, con un’immediata interpretazione dei risultati. I VEMPs permettono di valutare anche l’attività del nervo vestibolare inferiore e sono particolarmente utili per la diagnosi di deiscenza dei canali semicircolari e della sindrome di Ménière. Con l’HIT si valuta l’attività del riflesso vestibolo-oculomotore (VOR): può essere integrato con metodiche strumentali per controllare i movimenti saccadici di recupero. È una metodica di facile esecuzione, utile per la diagnosi differenziale tra forme periferiche e centrali, in condizioni d’emergenza. La partecipazione del sistema visivo al controllo dell’equilibrio viene valutata studiando la capacità di seguire delle immagini in movimento. I movimenti possono essere lenti (pursuit) o rapidi (saccadici, NOC): se ne esaminano la latenza, la velocità e la precisione di esecuzione. Per la valutazione della postura e dell’equilibrio si ricorre alla stabilometria: la posizione e la superficie del baricentro, la lunghezza e la velocità delle oscillazioni rappresentano i principali parametri analizzati. Queste numerose tecniche diagnostiche permettono di valutare l’entità del deficit uditivo-vestibolare e le relative cause: la diagnostica per immagini può, eventualmente, definire meglio la patologia. LA VERTIGINE PERIFERICA Augusto P. Casani Dipartimento di Patologia Medica, Chirurgica, Molecolare e dell’Area Critica, Sezione ORL, Università degli Studi di Pisa I 6 l deficit vestibolare acuto (DVA) monolaterale rappresenta la conseguenza della perdita improvvisa della funzione di un labirinto ed è caratterizzato dall’insorgenza di vertigine rotatoria acuta di lunga durata (superiore alle 24 ore) e segni di grave compromissione posturale, oltre che da intensi fenomeni neurovegetativi (nausea, vomito, ipotensione ecc.). L’eziologia certa di tale affezione rimane CORSO CRS perlopiù sconosciuta, anche se si ritiene che la causa più comune sia individuabile in un processo infiammatorio a genesi virale di cui l’Herpes simplex virus di tipo 1 sembra l’agente più spesso chiamato in causa. Tuttavia, non può essere esclusa a priori un’origine vascolare del DVA, legata a un’ostruzione dell’arteria uditiva interna o di un ramo di sua pertinenza, in particolare nelle persone anziane e/o con fattori di rischio cardiovascolare. Nella maggior parte dei casi il DVA è riconducibile a un interessamento delle strutture innervate dal nervo vestibolare superiore e irrorate dall’arteria vestibolare anteriore, ovvero il canale anteriore, il laterale e l’utricolo, o dal nervo vestibolare nella sua totalità; tuttavia, è descritta la possibilità di un interessamento selettivo del nervo vestibolare inferiore. Sebbene un episodio di DVA possa rappresentare la manifestazione di esordio della malattia di Ménière, l’osservazione del paziente nel tempo permetterà di denotare una ricorrenza delle crisi di vertigine oltre che delle problematiche uditive tipiche del disturbo, consentendo il giusto inquadramento dell’episodio stesso. Gli o-VEMPs in fase acuta potrebbero agevolare la diagnosi differenziale; tuttavia, considerando che la crisi vertiginosa della Ménière si risolve nell’arco di 12 ore, l’esame risulta scarsamente applicabile ed utile nella pratica clinica. È opportuno ricordare anche che un episodio di vertigine acuta prolungata non è necessariamente espressione di una problematica periferica, potendo essere manifestazione anche di un infarto a sede cerebellare o tronco-encefalica; una bedside examination condotta opportunamente può essere dirimente e agevolare la diagnosi differenziale. Nel corso di un DVA sono riconoscibili segni statici e segni dinamici. Trai primi riconosciamo: il nistagmo spontaneo, indice dello squilibrio tra i due emisistemi vestibolari, la lateropulsione e l’ocular tilt reaction (deviazione della verticale visiva soggettiva, disallineamento oculare valutabile mediante il cover test, tilt della testa), che esprime la compromissione otolitica. Tra i segni dinamici troviamo invece l’instabilità dinamica del paziente, a cui risulta difficile mantenere la posizione marciando sul posto (test di Unterberger), l’asimmetria del riflesso vestibolo-oculomotore (VOR) e il disallineamento del polo retinico o ciclotorsione oculare, valutabile solo con l’esame del fondo dell’occhio. Il nistagmo spontaneo osservabile nel corso di un DVA presenta le tipiche caratteristiche di un nistagmo vestibolare periferico (orizzontale o orizzontale-rotatorio, inibito dalla fissazione, monodirezionale con fase rapida diretta verso il labirinto sano e non mutabile variando la posizione del corpo e/o del capo del paziente e la direzione dello sguardo, di intensità e frequenza variabile in accordo con le leggi di Alexander) e mostra tendenza ad accentuarsi con manovre quali l’Head Shaking Test (HST) o il test vibratorio; proprio quest’ultimo test permane positivo evidenziando un nistagmo anche a distanza di mesi dall’episodio acuto. Dal momento che la fissazione inibisce il nistagmo, la sua osservazione dopo le fasi iniziali può richiedere la valutazione con occhiali di Frenzel o maschere ad infrarossi. Il sospetto di DVA viene avanzato principalmente su base clinico-anamnestica: ad una storia pertinente si associeranno tipicamente il nistagmo già descritto, un HST positivo e diretto verso il lato sano, un HIT positivo sul lato affetto e uno spin patologico verso il labirinto sede della lesione al test di Unterberger. La conferma del deficit avviene mediante ricorso alla prova calorica e al vHIT; quest’ultimo test, associato ai potenziali vestibolari evocati miogenici cervicali e oculari permetterà poi una topodiagnosi più accurata. Una volta superata la fase acuta, per l’instaurarsi di fenomeni di compenso centrale (insieme di meccanismi centrali che permettono di ripristinare una situazione funzionalmente normale anche in assenza di un labirinto), per il recupero funzionale del nervo vestibolare o grazie all’ottimizzazione degli altri input sensoriali (propriocettivo e visivo) si delinea una fase, definibile come subacuta, in cui il nistagmo spontaneo tende progressivamente ad attenuarsi fino a divenire subclinico ed evidenziabile esclusivamente con manovre di slatentizzazione (come ad esempio l’HST o il test vibratorio), il corredo sintomatologico si allevia ed il paziente riacquisisce gradualmente una normale performance posturale, statica prima e dinamica poi. In questa fase il deficit può essere dimostrato mediante prova calorica o video HIT. I meccanismi di compenso saranno tanto più rapidi ed efficaci quanto maggiore è la plasticità neuronale (i bambini hanno un compenso quasi immediato) e quanto più efficienti sono gli altri input sensoriali (l’anziano con neuropatie e disturbi visivi mostra un compenso molto più lento). In questa fase di compenso, da non sottovalutare è l’atteggiamento psicologico del paziente. L’esperienza della vertigine acuta è traumatica: nel paziente in cui residui una disabilità dopo l’evento avuto, è osservabile talora lo sviluppo di atteggiamenti ansiosi potenzialmente tali da rallentare fino a compromettere il recupero funzionale e il ritorno alla normalità e in grado di alterare in modo significativo la qualità di vita del paziente (vertigine posturale fobica o psicogena). In questo contesto può essere indicata una terapia con farmaci psicoattivi; tuttavia, considerato che se da un lato l’ansia tende a peggiorare l’outcome di una nevrite vestibolare, un adeguato livello di “tensione” è positivo in quanto la plasticità neuronale è meglio modulata in presenza di una quota ottimale di stress. È comunque necessario ricorrere con cautela agli ansiolitici per non limitare le possibilità di un recupero adeguato. Talvolta, dopo un DVA può capitare anche che il paziente, in caso di conflitto tra input visivo e vestibolare, tenda a prediligere il primo affidandosi totalmente ad esso, quadro definito come di “dipendenza visiva”. Dal momento che tale status interferisce con il pieno recupero, può essere opportuno intervenire impostando per il paziente un apposito ciclo di rieducazione vestibolare, che in questo caso prevede le stimolazioni ottico-cinetiche. Alcuni esami consentono di valutare l’evoluzione e l’outcome di un DVA. Uno studio ha rilevato come l’associazione di un HIT clinico alterato e un nistagmo vibratorio particolarmente positivo si associ ad una maggiore difficoltà del paziente a recuperare, indicando la necessità di intervenire precocemente con la riabilitazione vestibolare.1 Un altro esame di rilevante utilità ai fini di valutare la ripresa del paziente è la posturografia con superficie soffice. Secondo uno studio tedesco, la rilevazione della lunghezza dello sway, utilizzando una superficie soffice, rappresenta il miglior indicatore del follow up riabilitativo.2 Tuttavia, non sempre il livello di danno vestibolare misurato con esami strumentali risulta correlato alla sensazione soggettiva di vertigine ed al livello di “Functional Capacity” e sarà importante stabilire l’outcome non solo con analisi strumentali, in grado di fornire parametri oggettivi, ma anche con questionari inerenti la quality of life, atti a fornire dati soggettivi 7 REPORT attraverso i quali monitorare la reale ripresa funzionale del paziente. Come già accennato, un DVA può anche essere espressione di una problematica esclusiva della branca inferiore del nervo vestibolare o delle strutture afferenti ad essa. Si tratta di una patologia relativamente rara, che richiede tempi di recupero spesso minori, diagnosticabile tramite il ricorso ad esami strumentali (vHIT patologico solo sul piano del canale posteriore, normale sul piano dei canali anteriore e laterale, c-VEMPs alterati, o-VEMPs normali) e in cui è clinicamente osservabile un nistagmo spontaneo torsionale. La più elevata incidenza della nevrite vestibolare superiore è dovuta alla maggior lunghezza del nervo vestibolare superiore e a peculiarità anatomiche del condotto uditivo interno, che probabilmente contribuiscono alla compressione del nervo durante un fenomeno infiammatorio (Figura 1). Evento assai invalidante, soprattutto per l’oscillopsia che ne rappresenta il sintomo principale, ma fortunatamente poco comune è il deficit vestibolare bilaterale, riconducibile perlopiù a cause diverse rispetto agli eventi monolaterali. Oltre che tramite il ricorso al test calorico, alle prove rotatorie e all’HIT, che risulterà bilateralmente deficitario, è diagnosticabile mediante il test di acuità visiva, che prevede di far leggere al paziente la tavola ortottica facendo muovere la testa come durante l’HST: in caso di deficit si documenta la perdita di cinque o più righe in termini di acuità visiva. Di fronte ad un deficit bilaterale è indicato avviare un ciclo di rieducazione vestibolare, nella nostra esperienza determinante nel favorire il recupero del paziente. La patologia labirintica di maggior riscontro nell’arco della vita è rappresentata dalla Vertigine Parossistica Posizionale Benigna (VPPB), che costituisce anche la causa più frequente di vertigine con una prevalenza nella popolazione generale del 2,4-10%. I pazienti affetti sperimentano caratteristicamente vertigini rotatorie di breve durata (secondi), intense, a crisi, favorite da movimenti del capo o del corpo e associate ad una intensa sintomatologia neurovegetativa. L’ipotesi patogenetica più accreditata prevede che la VPPB sia imputabile al distacco di otoliti dalla macula dell’utricolo e alla loro dislocazione in uno dei tre canali semicircolari che diviene responsivo ai cambiamenti di posizione del capo rispetto all’asse di gravità. Più frequentemente la patologia è monolaterale e riguarda il canale semicircolare posteriore (di raro riscontro le forme bilaterali e/o pluricanalari); immediatamente meno coinvolto è il canale laterale, più raramente l’anteriore. L’eziologia della VPPB rimane perlopiù non compresa ed è classificata come idiopatica in più del 70% dei casi; solo quando un soggetto riferisce un trauma recente è possibile individuare un nesso di causa-effetto ed inquadrare il disturbo come post-traumatico. Laddove la VPPB si manifesti dopo un episodio di neurolabirintite e mostri carattere recidivante può esserne individuata l’origine vascolare. Al fine di ottenere la remissione del disturbo ci si avvale di manovre fisiche (liberatorie), ideate allo scopo di indurre la fuoriuscita degli ammassi otoconici dal canale respon- 8 Nervo vestibolare superiore • Canale orizzontale • Canale anteriore • Utricolo o VEMP • Sacculo (parte anterosuperiore) Anteriore, orizzontale SCC Nervo vestibolare inferiore • Canale posteriore Utricolo • Utricolo o VEMP a Nervo vestibolare Sacculo c Ganglio vestibolare b Nervo vestibolare inferiore Posteriore SCC Figura 1. I nervi vestibolari superiore e inferiore sabile dei sintomi. Non sussiste quindi indicazione a una terapia farmacologica se non sintomatica; tuttavia, poiché in un 30-40% dei pazienti trattati con un’efficace manovra liberatoria residuano instabilità (residual dizziness) e nausea di grado variabile e tali da risultare oltremodo invalidanti, è possibile intervenire con molecole che possono favorirne la riduzione inducendo quindi un miglioramento della qualità di vita e consentendo il normale svolgimento delle attività quotidiane. Altra patologia vestibolare periferica è la malattia di Ménière, affezione perlopiù idiopatica dell’orecchio interno imputabile allo sviluppo di idrope endolinfatico e caratterizzata da una triade sintomatologica rappresentata da ipoacusia, inizialmente fluttuante e sui toni gravi, fullness, acufene e vertigine ricorrente. La diagnosi viene perlopiù formulata su base clinica. I criteri elaborati da diverse società scientifiche internazionali, tra cui la Bárány Society e la European Association for Otology and Neuro-Otology, prevedono per la forma definita che vengano osservati due o più episodi di vertigine rotatoria, ognuno dei quali di durata da 20 minuti a 12 ore, in associazione ad un’ipoacusia documentata sulle basse e medie frequenze prima, durante o dopo uno degli episodi di vertigine. Di fronte a questi sintomi fluttuanti, la diagnosi non può che essere clinica. Una risonanza magnetica è comunque doverosa per la diagnosi differenziale (in particolare con il neurinoma dell’VIII). Bibliografia 1. Mandalà M, Nuti D. Long-term follow-up of vestibular neuritis. Ann N Y Acad Sci. 2009;1164:427-9. 2. Strupp M, Arbusow V, Maag KP, Gall C, Brandt T. Vestibular exercises improve central vestibulospinal compensation after vestibular neuritis. Neurology. 1998;51:838-44. CORSO CRS LA VERTIGINE CENTRALE Vincenzo Marcelli Asl Na-1 PO S. Giovanni Bosco, Napoli - Unina N ella vertigine centrale, semeiotica e strategia diagnostica sono identiche a quelle descritte per le forme di vertigine periferica. In un paziente acuto, un semplice esame clinico può consentire di arrivare a una precisa diagnosi differenziale tra forme periferiche e centrali. Le cause di vertigine centrale possono essere di natura vascolare, neoplastica o degenerativa: l’esordio più o meno acuto permette di orientarsi verso l’una o l’altra patologia. Dopo un’accurata anamnesi, la semeiologia indaga i segni vestibulo-oculomotori spontanei e generati da manovre cliniche, di tipo nistagmico e non nistagmico. I segni spontanei nascono da un’asimmetria statica del guadagno del riflesso vestibulo-oculomotore (VOR) e caratterizzano la fase acuta della vestibolopatia. La via gravicettiva, che consente agli occhi di mantenere un assetto corretto sul piano frontale, è costituita prevalentemente dalla macula dell’utricolo, con il contributo dei canali verticali, dai nuclei vestibolari, e da strutture centrali (nuclei oculomotori, fascicolo longitudinale mediale, nucleo interstiziale di Cajal, nucleo rostrale interstiziale del FLM). La via è ipsilaterale dal labirinto posteriore fino al bulbo, e diventa controlaterale dal bulbo in poi. Una lesione di questa via produce un disallineamento verticale dei globi oculari (skew deviation), che si accompagna a una ciclotorsione. Si possono osservare, inoltre, un tilt del capo e un’alterata percezione della verticalità. L’alterazione della statica oculare sul piano frontale fornisce precise indicazioni topografiche della sede della lesione: in caso di lesione labirintico-bulbare, infatti, i segni sono ipsilesionali, mentre in presenza di una lesione ponto-mesencefalica i segni sono controlesionali (Figura 1). Nella valutazione del nistagmo spontaneo posizionale, si indagano aspetti quantitativi (indagini strumentali) e qualitativi (bedside examination). Due aspetti qualitativi vanno osservati con particolare attenzione, qualora si sospetti una lesione centrale: il piano e la direzione (orizzontale, verticale, torsionale). Un nistagmo che batte in un unico piano desta sospetto, poiché difficilmente una lesione periferica può colpire un solo CS. Al contrario, una lesione periferica determina un nistagmo di tipo misto. Inoltre, se un nistagmo orizzontale può essere di origine tanto periferica quanto centrale, molto più difficilmente un nistagmo verticale o torsionale può essere generato da una lesione periferica. Non va trascurata, poi, la risposta alla fissazione visiva: un deficit di inibizione o un rinforzo paradosso escludono l’ipotesi di una lesione periferica. Anche i segni vestibulo-oculomotori generati da manovre cliniche possono essere nistagmici e non nistagmici. Tali manovre possono essere eseguite in assenza (il paziente non ha nistagmo spontaneo) o in presenza di un’asimmetria statica (il paziente ha un nistagmo spontaneo). Nel primo caso, la positività di tali manovre può accertare la presenza della cosiddetta “cicatrice vestibolare”: il paziente compensa perfettamente e, dopo un Head Shaking test, manifesta un nistagmo che batte verso il lato sano. In presenza di un’asimmetria statica, le manovre cliniche dovranno avere un effetto sul nistagmo spontaneo, se questo è di origine periferica, mentre non produrranno alcuna modifica sullo stesso se il nistagmo è di tipo ri MLF Vim Vce INC Mesencefalo III IV Ponte VIII VI S L M I Bulbo Utricolo CS Verticali Figura 1. Segni vestibulo-oculomotori spontanei, non nistagmici, e sede della lesione centrale. È il caso ad esempio dell’Head Shaking test. Inoltre, se eseguendo questo test sul piano orizzontale si genera un nistagmo down-beating, up-beating o torsionale, si tratta di una risposta perverted da dismodulazione centrale. Infine, la comparsa di un nistagmo dopo pochi cicli (HS da stimolo minimo) deve far sospettare una lesione cerebellare. Con il test di iperventilazione si può osservare la comparsa di un nistagmo transitorio, in assenza di nistagmo spontaneo, o un’inversione transitoria della direzione o del piano del nistagmo spontaneo. La comparsa di questi segni rappresenta un indice di patologie centrali, come una sclerosi multipla, uno schwannoma o una cerebellopatia. Per evidenziare segni di tipo non nistagmico si ricorre al test di Halmagyi e Curthoys, che utilizza rotazioni di piccola ampiezza, molto rapide, per escludere l’inseguimento visivo. La negatività del test in presenza di un nistagmo spontaneo sul piano orizzontale è suggestiva di lesione a carico dell’apparato vestibolare centrale. Queste brevi e semplici manovre sono così precise, che la scuola di Newman-Toker le ha raggruppate nell’acronimo HINTS (Head Impulse, 9 REPORT Nystagmus, Test of Skew deviation).1 L’alterazione di questi test indica la presenza di una lesione centrale, con una sensibilità superiore a quella di una risonanza eseguita in acuto. I segni visuo-oculomotori comprendono movimenti saccadici (MS) e di inseguimento lento (SP). I primi coinvolgono aree corticali differenti, a seconda del tipo di movimento.2 Gli MS volontari sono distinti in finalizzati, predittivi, antisaccadici, memorizzati ed endogeni. Negli MS finalizzati sono implicate diverse strutture che decidono quali movimenti eseguire e quando: tra queste, il collicolo superiore. Il tronco encefalico agisce da esecutore materiale, mentre l’azione di controllo è svolta dal cervelletto, che garantisce anche che gli occhi restino stabili in posizione eccentrica. Nei movimenti orizzontali la velocità è determinata dal ponte, mentre il mesencefalo provvede ai movimenti torsionali e verticali. Nello studio dei movimenti saccadici si può valutare la riduzione della velocità massima (Vmax), il corretto mantenimento dell’occhio in posizione eccentrica, e la precisione del movimento oculare: la variazione della latenza non è valutabile solo con la bedside examination. Una riduzione della velocità con cui il paziente muove gli occhi sul piano orizzontale è indicativa di una lesione del ponte: a questo segno se ne affiancano altri, come la paralisi coniugata orizzontale dello sguardo. Se il rallentamento è sui movimenti verticali, la lesione è localizzata invece a livello mesencefalico. L’instabilità eccentrica rappresenta un altro dato fondamentale, di significato topodiagnostico. Una lesione delle strutture flocculo-paraflocculari determina un nistagmo da sguardo eccentrico, con possibile rimbalzo. Bibliografia 1. Kattah JC, et al. HINTS to diagnose stroke in the acute vestibular syndrome: three-step bedside oculomotor examination more sensitive than early MRI diffusion-weighted imaging. Stroke. 2009 Nov;40(11):3504-10. 2. Pierrot-Deseilligny C, et al. Eye movement control by the cerebral cortex. Curr Opin Neurol. 2004 Feb;17(1):17-25. RUOLO DELLE MALFORMAZIONI LABIRINTICHE NELLA VERTIGINE Alessandro Martini Otorinolaringoiatria e Audiologia, Dipartimento di Neuroscienze, Padova I l miglioramento delle tecniche neuroradiologiche e delle competenze in campo genetico ha aumentato notevolmente le conoscenze nell’ambito delle disfunzioni vestibolari, permettendo di scoprire e comprendere molti aspetti - soprattutto di carattere eziologico - di queste malattie che, in precedenza, potevano non essere inquadrate e trattate nel modo più corretto; l’errato approccio terapeutico dovuto a un mancato riconoscimento di una determinata patologia è un problema serio, poiché può peggiorare ulteriormente un quadro clinico già di per sé severo. Approfondire le cause genetiche delle malattie vestibolari ha messo in luce come spesso una patologia, soprattutto se a carattere sindromico, non sempre presenti una chiara associazione tra la mutazione genica e la manifestazione dei sintomi: ne è un chiaro esempio la malattia di Ménière, un disturbo che i ricercatori, già negli anni ’80, avevano associato a un’ereditarietà familiare. Negli anni 2000 l’identificazione del gene COCH è riuscita a spiegare vari casi di Ménière osservati in aree specifiche, soprattutto in Olanda e in Belgio.1 Altri studi hanno messo in luce anche come diverse mutazioni di particolari loci del complesso HLA (Human Leucocyte Antigen) siano coinvolti nell’insorgenza della patologia;2,3 ancora, ricerche più recenti hanno riscontrato un coinvolgimento di alcune proteine di membrana espresse nelle cellule dell’orecchio interno, note come acquaporine nello sviluppo della malattia.4 Nessuna di queste mutazioni è però mai stata associata con tutti i casi di sindrome di Ménière diagnosticati. La fisiopatologia dell’udito è dunque sotto il controllo di centinaia di geni e ogni disfunzione uditiva ereditaria può essere 10 causata da una grande varietà di mutazioni in loci genici differenti. Al fine di poter avviare una terapia efficace e tempestiva è molto importante, con l’ausilio della radiologia, classificare correttamente le malformazioni vestibolari e dell’orecchio interno. Il tipo di malformazione comporta una diversa modalità di approccio da parte dello specialista e una corretta diagnosi consente di mettere in pratica il trattamento più opportuno per il singolo caso: alcune malformazioni possono infatti complicare l’approccio chirurgico, altre ancora possono rendere difficile il fitting dell’apparecchio e richiedere ripetuti mappaggi, altre ancora possono rappresentare una controindicazione assoluta all’impianto cocleare, come nel caso della LAMM (Labyrinthine Aplasia, Microtia, and Microdontia). La LAMM è una rarissima patologia a carattere ereditario: sebbene le anomalie non siano eclatanti, nei bambini affetti le orecchie appaiono più piccole e lievemente malformate, e anche i denti hanno un aspetto più piccolo della norma. Alla risonanza l’orecchio medio appare normale, ma, dopo la staffa, si osserva la completa mancanza del blocco cocleo-vestibolare (Figura 1). Ovviamente, in questo caso non è possibile eseguire l’impianto cocleare.5 In generale comunque gli impianti cocleari forniscono ottimi risultati, anche in presenza di malformazioni dovute a mutazioni geniche: in uno studio condotto tra il 1996 e il 2012 recentemente pubblicato è stato evidenziato che, su 426 bambini sottoposti a impianto, circa il 40% presentava malformazioni auricolari o cerebrali, ma gli esiti dell’intervento in questa coorte di pazienti si sono rivelati comunque molto buoni.6 CORSO CRS fenotipi aberranti. Dai risultati è emerso che le disfunzioni vestibolari sono attribuibili a mutazioni in svariati loci genici: alcune producono malformazioni grossolane, come per esempio le anomalie del gene CHD7, responsabile della sindrome CHARGE. Mutazioni in una cospicua serie di geni sono anche alla base della produzione di cellule ciliate deformi e disorganizzate: rientrano tra questi alcuni geni che codificano per le miosine, le caderine e le protocaderine. Altre malformazioni, ancora, sono causate da uno sviluppo anomalo del patch sensoriale in cui sono coinvolti, tra gli altri, i geni JAG1, SIX1 e SOX2: queste mutazioni determinano, ad esempio, anomalie o mancato sviluppo della crista anteriore o posteriore. Altri geni (PDS, FOXI1, HSC) causano problemi di omeostasi dei fluidi e malformazioni dell’orecchio interno. In ultimo, una serie di geni è responsabile della produzione di otoconi difettosi, che causano problemi di equilibrio. L’identificazione dei geni coinvolti e l’analisi funzionale delle proteine che essi codificano stanno quindi permettendo di comprendere meglio la fiFigura 1. Tac e risonanza magnetica di un caso di LAMM: le frecce indicano la staffa siopatologia del sistema uditivo: la ricerca è ancora (A e B) e il nervo facciale (C)5 molto lunga e complessa, ma una recente tecnica analitica, la NGS (Next Generation DNA SequenL’anomalia dell’orecchio interno riscontrata più comunemente nella cing), in grado di esaminare contemporaneamente circa 100 geni, pratica clinica è la sindrome dell’acquedotto vestibolare allargato sarà un ausilio fondamentale per ottenere questo obiettivo. (EVA, Enlarged Vestibular Aqueduct), cioè superiore a 1,5 mm.7 Questa sindrome causa, nel bambino o nell’adulto, una sordità improvvisa, di solito conseguente a un microtrauma, e una breve vertigine. Il trattamento cortisonico immediato consente una completa Bibliografia guarigione, ma se la patologia non viene curata, la perdita dell’udito 1. Verstreken M, et al. Hereditary otovestibular dysfunction and Ménière’s disè totale. Inoltre un acquedotto vestibolare allargato è stato osserease in a large Belgian family is caused by a missense mutation in the COCH gene. Otol Neurotol. 2001 Nov;22(6):874-81. vato in diverse altre patologie come, per esempio, la Pendred, una sindrome che può provocare l’insorgenza di disturbi tiroidei anche 2. Melchiorri L, et al. Human leukocyte antigen-A, -B, -C and -DR alleles and soluble human leukocyte antigen class I serum level in Ménière’s disease. gravi: ancora una volta dunque, un riconoscimento corretto temActa Otolaryngol Suppl. 2002;(548):26-9. pestivo del quadro clinico non è da considerarsi un mero eserci3. Rawal SG, et al. HLA-B27-associated bilateral Ménière disease. Ear Nose zio accademico, ma un’occasione preziosa per evitare evoluzioni Throat J. 2010;89(3):122-7. drammatiche ed evitabili della sintomatologia. 4. Ishyama G, et al. Immunohistochemical localization and mRNA expression Anche i modelli animali si sono rivelati importanti strumenti per of aquaporins in the macula utriculi of patients with Meniere’s disease and acoustic neuroma. Cell Tissue Res. 2010 Jun;340(3):407-19. approfondire le conoscenze riguardo alla genetica delle malattie vestibolari: essi permettono infatti di avere un riscontro diretto tra 5. Sensi A, et al. LAMM syndrome with middle ear dysplasia associated with compound heterozygosity for FGF3 mutations. Am J Med Genet A. 2011 l’alterazione genica e quella anatomopatologica. Analizzando un May;155A(5):1096-101. particolare tipo di topo knock out, detto circling mouse poiché, a 6. Busi M, et al. Cochlear Implant Outcomes and Genetic Mutations in Children causa di un difetto vestibolare, gira continuamente su se stesso, è with Ear and Brain Anomalies. Biomed Res Int. 2015;2015:696281. stato possibile indagare i geni deputati allo sviluppo della coclea e 7. Busi M, et al. Novel mutations in the SLC26A4 gene. Int J Pediatr Otorhinolaryngol. 2012 Sep;76(9):1249-54. del labirinto e le loro mutazioni, responsabili della manifestazione di 11 REPORT NEUROPLASTICITÀ E ACUFENI Aldo Messina Ambulatorio di Otoneurologia ed Acufenologia, A.O.U. Policlinico “Paolo Giaccone”, Palermo L’ acufene è la percezione di un suono in assenza di stimolazione sonora ambientale esterna o interna. Cianfrone e Cuda distinguono tre tipi di acufeni: quelli da deafferentazione, conseguenti a una sordità, quelli cross modali, dovuti a un’eccessiva stimolazione di una via del sistema nervoso periferico, prevalentemente trigeminale e quelli di natura psichiatrica. La genesi degli acufeni coinvolge numerose strutture del sistema nervoso centrale (SNC), in particolare il nucleo cocleare dorsale, il ventrale ed il collicolo inferiore. Svolgono un ruolo importante quattro mediatori chimici: il glutammato, il più potente eccitatore dell’SNC; l’acetilcolina, che esercita un’azione neuroplastica ed eccitatoria; il GABA, inibitore; la serotonina, che agisce da neuromodulatore. La morte di un neurone determina, a livello biochimico, se avviene per apoptosi e non per necrosi, i fenomeni della neurotossicità e della neurodegenerazione. Quando la morte neuronale è programmata, si ha l’apoptosi, un fenomeno attivo che non produce molecole di scarto. La necrosi neuronale, invece, è un evento non previsto e pericoloso, che lascia in circolo sostanze non completamente degradate, in grado di indurre reazioni anomale. Eccitotossicità, ossidazione, infiammazione, metalli pesanti, eventi vascolari, patologie come il diabete, il Parkinson, le demenze, sono solo alcuni degli eventi che possono causare la morte neuronale. I mediatori chimici prodotti in eccesso e non più metabolizzati, rimangono nell’SNC, danneggiandolo: questo fenomeno è definito eccitotossicità ed è causato, in particolare, dal glutammato. L’attività eccitatoria di quest’amminoacido si esercita a livello del nucleo cocleare dorsale, coinvolto nel determinismo degli acufeni, ma questo mediatore è implicato anche in molte funzioni cognitive: perciò si ritiene che possa essere una delle cause dell’Alzheimer. Il glutammato utilizza due recettori: l’AMPA e l’NMDA. Quest’ultimo è coinvolto nell’insorgenza delle patologie del sistema uditivo e vestibolare ed è molto sensibile alla concentrazione di calcio e zinco. Importante è anche il magnesio, che instaura un sinergismo con il glutammato: alte concentrazioni di questo elemento inibiscono il legame del glutammato al recettore NMDA, proteggendo l’organismo dai fenomeni di eccitotossicità. La morte neuronale può avvenire anche per fenomeni di ossidazione, determinati da un’iperproduzione locale di sostanze ad alto potere ossidante (catecolamine, specie reattive dell’ossigeno, nitrossido, etc.). L’organismo si protegge con sistemi antiossidanti endogeni (superossidodismutasi, glutatione), ma, con elevati livelli di ossidazione, tali sistemi diventano insufficienti e si producono danni cellulari rilevanti. Uno studio del 2010 ha evidenziato la presenza di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nella perilinfa, con conseguente danno dell’orecchio interno.1 Metalli e sostanze chimiche aumentano la flogosi neurogenica, producono un’iperstimolazione dei recettori NMDA, aumentano la quantità di perossido d’azoto, e quindi di acido nitrico, determinando un danno neurogenico, che diventa irreversibile. L’organismo non è 12 dotato di nessun meccanismo di protezione contro l’intossicazione da metalli, che viene trattata con la terapia chelante. L’équipe di acufenologia del Policlinico Giaccone di Palermo ha valutato con la spettrometria di massa persone che avevano acufeni, confrontandole con un gruppo di controllo privo di questo disturbo. Nei due gruppi non si è rilevata una differenza significativa nella concentrazione di mercurio, mentre quella del piombo è risultata significativamente più elevata nel gruppo acufenopatico. Sorprendentemente più bassa si è rivelata, però, la concentrazione di cromo nel gruppo con acufeni (Figura 1). La bassa concentrazione di cromo è responsabile della maggiore sensibilità ai danni da mercurio e da piombo. Il cromo è coinvolto nel metabolismo glucidico: questo metallo si comporta sempre come un acido di Lewis, con elettroni spaiati, determinando uno stress ossidativo. Entro certi limiti, la cellula riesce a proteggersi con la poli (ADP ribosio) polimerasi (PARP): quando questo meccanismo non è più sufficiente, il DNA si spezza, senza possibilità di riparazione, e la cellula muore per necrosi, rilasciando altre sostanze tossiche. Un ruolo molto importante è rivestito, poi, dai processi infiammatori, che sono caratterizzati da fenomeni cellulari e umorali, oltre che da alterazioni enzimatiche. Il SNC è in grado di ripararsi e rigenerarsi, attraverso reazioni di neuroriparazione, quando il danno è limitato, o di neuroplasticità, quando viene coinvolto l’intero sistema. La neuroplasticità si realizza attraverso due meccanismi: lo sprouting, che comprende fenomeni di rigenerazione, e il pruning, cioè la potatura di neuroni non funzionanti e inutili. Tempo fa si riteneva che la trasmissione periferia-cervello fosse punto a punto, ma Merzenich ha osservato come, invertendo chirurgicamente alcuni nervi, la trasmissione punto a punto non si invertisse e come, recidendo il nervo ulnare, dopo qualche mese, le sue proiezioni corticali fossero invase, per competitività, da quelle del nervo radiale. Similmente, se un acufene si è situato a livello corticale, ampliando le proprie zone da deafferentazione, l’area di una certa frequenza è invasa dalle terminazioni delle frequenze vicine. L’acufene da deafferentazione può essere anche visto come una sorta di arto fantasma: la deafferentazione uditiva crea una proiezione corticale inesistente. La terapia si diversifica in base al tipo di acufene e da quanto tempo è insorto. In caso di sordità, applicando una protesizzazione precoce e provando a curare il meccanismo metabolico della persona, probabilmente si impedisce la morte neuronale e si evita l’insorgenza degli acufeni. Nel caso di un acufene di lunga data l’avvenuta corticalizzazione rende inutile ogni approccio terapeutico. Gli acufeni cross modali non sono curabili con la protesi acustica, né con la terapia farmacologica. L’otoiatra deve comprendere quale, tra le tante possibili cause di questo tipo di acufeni, possa determinare un conflitto neuro-neuronale, prevalentemente nel sistema trigeminale, ma anche nel vagale. Gli acufeni cross CORSO CRS modali possono insorgere da stimoli provenienti dall’articolazione temporo-mandibolare (ATM), poiché le strutture dell’orecchio medio derivano evolutivamente dalla mandibola dei pesci. In questi casi, una prima valutazione consiste nell’osservare le modalità di deglutizione: se il soggetto fa smorfie e, soprattutto, infila la lingua fra i denti, ha una deglutizione disfunzionale. Si può verificare, inoltre, se la lunghezza del frenulo è adeguata e se l’ATM funziona correttamente. Da queste valutazioni si può cominciare a costruire un percorso per la cura degli acufeni. L’acufene cross modale può essere associato anche ad alterazioni cardiache e del nervo Mercurio Bibliografia 1. Ciorba A, et al. Reactive oxygen species in human inner ear perilymph. Acta Otolaryngol. 2010 Feb;130(2):240-6. 2. Pirodda A, et al. Possible influence on heart rate on tinnitus. Med Hypotheses. 2009 Jan;72(1):45-6. 3. Pirodda A, et al. Systemic hypotension and the development of acute sensorineural hearing loss in young healthy subjects. Arch Otolaryngol Head Neck Surg. 2001 Sep;127(9):1049-52. Piombo p=0,074 2,0 Pb (scala logaritmica) 6 4 2 0,50 Cromo * 1,00 Cr (scala logaritmica) p=0,2095 8 Hg vago. In quest’ambito, particolarmente importanti sono stati gli studi di Pirodda e Modugno.2,3 * 0,20 * p=0,0003 0,50 0,20 0,10 0,05 0,05 0 0,02 NO SI NO Acufeni SI Acufeni NO SI Acufeni Figura 1. Concentrazioni di metalli pesanti in soggetti acufenopatici e sani 13 REPORT LA VERTIGINE VASCOLARE Augusto P. Casani Dipartimento di Patologia Medica, Chirurgica, Molecolare e dell’Area Critica, Sezione ORL, Università degli Studi di Pisa L’ esperienza clinica, supportata da dati strumentali, epidemiologici e sperimentali, ci ha permesso ormai di osservare come una sintomatologia vertiginosa acuta possa essere riferibile non solo a cause di natura virale ma anche vascolare. È noto infatti che l’arteria uditiva interna, di pertinenza del circolo vertebro-basilare e responsabile dell’apporto di sangue all’orecchio interno, rappresenta un ramo terminale di piccolo calibro e privo di collaterali, pertanto estremamente suscettibile agli insulti di natura ischemica. Tra i rami di pertinenza dell’arteria uditiva interna, la vestibolare anteriore, che irrora il canale semicircolare superiore, il laterale e l’utricolo, risulta particolarmente suscettibile agli insulti ischemici, a causa delle piccole dimensioni e della totale assenza di collaterali (Figura 1). Inoltre, il circolo vertebro-basilare presenta una portata ematica non elevata, stimata pari al 20% di quella del circolo carotideo anteriore, a fronte di una maggior necessità di metaboliti e una particolare suscettibilità ad una riduzione del flusso ematico da parte dei tessuti da esso irrorati, nei quali ritroviamo la maggior parte delle strutture adibite al controllo dell’equilibrio. Quanto esposto spiega perché la vertigine rappresenta un sintomo comune dell’insufficienza vertebro-basilare (IVB) e talvolta l’unica e prima manifestazione isolata. Sia fenomeni di natura emorragica che ischemica, che si sviluppino con meccanismo trombo-embolico o emodinamico, possono essere alla base di una problematica vascolare in questo distretto. La Bárány Society ha elaborato dei criteri - che più si adattano ai neurologi che agli otoiatri - per diagnosticare la vertigine vascolare definita e probabile, che tuttavia non appaiono dirimenti. La sintomatologia non è specifica di sede e non necessariamente coesistono segni neurologici. Un lavoro storico di Grad e Baloh (1989) ha evidenziato come le vertigini episodiche e ricorrenti potrebbero avere un’origine vascolare e debbano essere opportunamente considerate e inquadrate in quanto possibile espressione di IVB e prodromo di un successivo più importante accidente vascolare.1 Nel 1956 Lindsay e Hemenway descrissero pazienti che a distanza di alcune settimane da un episodio di vertigine acuta periferica, avevano sviluppato crisi di vertigine posizionale ricorrente2 ipotizzando un danno a carico dell’arteria vestibolare anteriore a cui avrebbe fatto seguito un distacco di materiale otolitico utricolare e la successiva entrata del materiale stesso nel canale posteriore, funzionante in quanto irrorato dall’arteria vestibolo-cocleare rimasta integra e pertanto responsabile della sintomatologia rilevata. Le osservazioni riscontrate da questi autori furono tra le prime a supportare un’origine vascolare per una sintomatologia vertiginosa periferica. Una vertigine acuta isolata non rappresenta una manifestazione specifica per una sede periferica del disturbo e può essere espressione di una problematica vascolare a sede centrale. Ne sono esempi la sindrome di Wallenberg, o infarto laterale del bulbo, in cui l’iniziale interessamento della porzione più periferica del tronco può produr- 14 re sintomi di tipo periferico che si accompagnano comunque rapidamente a sintomi prettamente neurologici, e l’infarto cerebellare. Quest’ultima circostanza rappresenta una comune causa di vertiArteria uditiva interna Arteria vestibolare anteriore Canale semicircolare anteriore posteriore Arteria cocleare comune orizzontale Coclea Vestibolo Figura 1. Vascolarizzazione arteriosa delle strutture cocleo-vestibolari gine isolata, sebbene nella maggior parte dei casi si manifesti con sintomi neurologici associati molto evidenti e tali da rendere agevole la diagnosi. Tuttavia, il 16% degli infarti cerebellari isolati del territorio della PICA possono manifestarsi esclusivamente con una vertigine acuta in grado di simulare perfettamente una manifestazione ad origine periferica, evenienza che viene definita come pseudo acute peripheral vertigo (pseudo APV).3 Diviene in questo senso importante e decisivo il pronto riconoscimento di un episodio di vertigine isolata come espressione di una manifestazione periferica ovvero centrale. Lee et al. (2006) riportano come elementi di centralità siano rappresentati dal riscontro di un Head Impulse test clinico normale e un nistagmo gaze evoked; l’incapacità di riconoscere questi segni clinici sarebbe responsabile del 35% delle misdiagnosi in regime di pronto soccorso.4 Una bedside examination condotta accuratamente costituisce un momento fondamentale nell’approccio al paziente con vertigine acuta consentendo di sospettare un’origine CORSO CRS centrale del disturbo. In particolare, è riportato come il riscontro di un HIT negativo in associazione ad un nistagmo e una skew deviation con caratteristiche di centralità (HINTS positivo) permette nelle prime 48 ore di differenziare un infarto cerebellare da una vertigine periferica con una sensibilità superiore a quella della risonanza magnetica diffusion-weighted.5 Recentemente, all’HINTS è stata aggiunta la valutazione dell’ipoacusia (HINTS plus)6: nel 2008 uno studio ha stimato come i pazienti che accusano una sordità improvvisa siano esposti a un rischio di stroke vascolare 1,64 volte più elevato rispetto ai controlli nei successivi cinque anni.7 Il 7,4% degli infarti AICA esordisce infatti con una cocleovestibolopatia improvvisa in assenza di segni neurologici.8 Nella nostra esperienza anche una instabilità marcata del paziente ed una sintomatologia vertiginosa prolungata che non tende a miglioramenti significativi dopo 2-3 giorni devono costituire elementi di sospetto.9 L’osservazione clinica che pazienti con disequilibrio presentano spesso manifestazioni all’imaging cerebrale di ischemia vascolare cronica (leucoaraiosi) identificabili come lesioni iperintense alla risonanza magnetica nelle sequenze pesate in T2, ci ha motivato a voler indagare meglio i soggetti con tali reperti. Lo studio, condotto in collaborazione tra l’Università di Pisa e il Charing Cross Hospital di Londra, ha consentito di evidenziare come soggetti con quadri di disequilibrio da causa non spiegabile presentino un più alto grado di queste lesioni. Tali riscontri sottolineerebbero come la leucoaraiosi possa avere un ruolo nel predire fenomeni di instabilità e l’evoluzione verso altre più gravi problematiche. Ad ogni modo, una volta individuata l’eziologia vascolare di un disturbo dell’equilibrio, è opportuno procedere alla ricerca e, laddove possibile, alla correzione dei fattori di rischio eventualmente riscontrati. Relativa- mente all’approccio farmacologico, a questa categoria di pazienti si riconoscono farmaci ad azione vasoattiva e farmaci ad azione antiaggregante; tra questi ultimi ricordiamo come l’aspirina, a cui di frequente viene fatto ricorso, sia potenzialmente ototossica e come inizi a produrre un effetto antiaggregante dopo circa 15 giorni dall’inizio del trattamento. 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Neurology. 2014 Jul 8;83(2):169-73. 7. Lin HC, et al. Sudden sensorineural hearing loss increases the risk of stroke: a 5-year follow-up study. Stroke. 2008 Oct;39(10):2744-8. 8. Kim JS, et al. Isolated labyrinthine infarction as a harbinger of anterior inferior cerebellar artery territory infarction with normal diffusion-weighted brain MRI. J Neurol Sci. 2009 Mar 15;278(1-2):82-4. 9. Casani AP, et al. Cerebellar infarctions mimicking acute peripheral vertigo: how to avoid misdiagnosis? Otolaryngol Head Neck Surg. 2013 Mar;148(3):475-81. DIZZINESS E PANICO VESTIBOLARE Giorgio Guidetti Vertigo Center – Poliambulatorio Chirurgico Modenese - Modena S econdo Furman e Jacob, il disordine psichiatrico è associabile in diversi modi a una funzione o una disfunzione vestibolare, e, in alcuni casi, si sovrappone alle sindromi neurotologiche.1 I meccanismi neurofisiologici vedono implicate strutture centrali, tra le quali sono maggiormente coinvolti il locus coeruleus, l’amigdala, il cervelletto. Secondo Brandt le vertigini possono essere un sintomo di ansia, depressione, isteria, psicosi, sindrome post-traumatica e simulazione, ma possono rappresentare anche una sindrome definita (vertigine posturale fobica, agorafobia, acrofobia) o un correlato psicogeno in sindromi vertiginose organiche (personalità predisposte, disordini psichiatrici manifesti). Si è riscontrata una relazione tra la vertigine e gli attacchi di panico.1 Oltre il 70% dei pazienti accusa vertigini durante l’attacco, e le descrive come una sensazione generica di testa leggera. Nel 22-29% dei casi, però, la vertigine durante gli attacchi è descritta come rotatoria: talvolta i pazienti riferiscono una vertigine oggettiva anche tra gli attacchi. La vertigine è diventata un criterio diagnostico per gli attacchi di panico nel DSM IV ed è considerata una conseguenza dell’iperventilazione. Vertigini insorgono anche nella fobia dello spazio e del movimento, in cui il soggetto manifesta una paura eccessiva dell’esposizione a stimolazioni vestibolari intense e a conflitti visuo-vestibolari, con conseguente compromissione delle attività quotidiane e delle relazioni sociali. Questa fobia non è supportata da specifiche lesioni vestibolari, né da disturbi mentali. La presenza di lesioni vestibolari non è un aspetto irrilevante: secondo alcuni studi il 50% dei claustrofobici e degli agorafobici è portatore di vecchie lesioni vestibolari di cui non c’è memoria in anamnesi. Una vertigine puramente psicogena non deve essere una vera vertigine rotatoria, deve essere riprodotta dall’iperventilazione, deve essere preceduta da disturbi psichiatrici, deve manifestarsi in soggetti ansiosi o con fobie, deve essere esclusivamente associata ad altri sintomi di patologie psichiatriche riconosciute, e deve manifestarsi in assenza di vestibulopatie.2,3 Nella vertigine posturale fobica, descritta da Brandt, l’attacco può essere spontaneo o provocato da situazioni trigger, 15 REPORT 16 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 93 Primo 69 67 Ricorrenti % e ha una durata massima di pochi secondi. Si manifesta a intervalli irregolari ed è ricorrente. Il paziente si sente insicuro nella stazione eretta e nel camminare, ha paura di una morte imminente e ritiene la sua condizione una patologia organica.4 Il meccanismo psicosomatico sottende le reazioni fisiche alla patologia psichica. Rientrano tra i meccanismi psicosomatici l’aumento del guadagno del riflesso vestibolo-oculare (VOR) che si osserva nei soggetti in condizione di stress, il minor adattamento ai conflitti visuo-vestibolari, la modificazione della deviazione media degli occhi indotta dal VOR.5,6,7 La componente somatica dell’ansia comprende un aumento della paura e un’amplificazione dei sintomi del sistema nervoso autonomo, una maggior sensibilità agli stimoli vestibolari e all’iperventilazione. Si osserva, inoltre, l’accentuazione di sintomi neurologici, quali vertigini e parestesie. Secondo il DSM IV, il disturbo di somatizzazione richiede la compresenza di almeno quattro sintomi dolorosi a sede varia, due sintomi gastrointestinali, uno sessuale e uno pseudoneurologico, compresa la dizziness. La vertigine stessa, però, può essere ansiogena o condizionata dall’ansia. La vertigine è una patologia invalidante, non facilmente identificabile e localizzabile: per questo può provocare un’ansia reattiva, la slatentizzazione di una patologia depressiva o la strutturazione di un carattere evitante, fobico, chiuso. I meccanismi cognitivo-comportamentali, con la componente somatica dell’ansia, sono in grado di influenzare l’adattamento alle vestibulopatie. L’adattamento è considerato un processo di apprendimento: l’attenzione necessaria per l’apprendimento compete a livello corticale con vari processi, e le intense reazioni emotive interferiscono con i processi attentivi. La cronicizzazione dei sintomi vestibolari è condizionata dal timore di recidive ed è correlata all’ansia. Il distress psicologico è maggiore quando ci sono una forte identificazione del soggetto con la sua malattia e una forte risposta emozionale, quando il paziente non ha un’adeguata comprensione della sua condizione, quando ritiene che la sua patologia comporti serie conseguenze, quando la malattia potrà durare a lungo e non sarà facilmente controllabile.8 Queste caratteristiche si ritrovano nelle vertigini ricorrenti (Ménière o parossistiche posizionali). Studi recenti hanno illustrato come la paura, soprattutto per il futuro, sia in grado di provocare un andamento di tipo fobico. In un nostro studio, presso il servizio di vestibologia dell’ospedale di Carpi, abbiamo chiesto a 1000 pazienti cosa avessero provato al primo attacco di vertigine, mentre su altri 500 si sono valutate le sensazioni provate agli attacchi ricorrenti. L’indagine ha rivelato che, in entrambi i gruppi, le principali sensazioni erano la paura per il futuro e il timore di una malattia grave (Figura 1). L’esperienza nuova della vertigine provoca paura e reazione emozionale. Col passar del tempo diminuisce la paura del futuro, ma permane il timore di non poter vivere una vita normale. Uno studio ha riscontrato che, se la paura colpisce nel primo giorno, rappresenta una reazione normale e non comporta il rischio che si sviluppino elementi fobici o di panico.9 Se la paura dura una settimana, il rischio di avere un’evoluzione psichiatrica è del 20%; dopo sei settimane il rischio sale al 30%, per arrivare al 60% dopo sei mesi. Quanto più dura la paura, quindi, tanto maggiori sono le difficoltà di compenso. Queste evidenze, però, non sono risultate valide per i 31 7 Nessun timore 35 13 Panico 22 Timore per Grave il futuro patologia Figura 1. Sensazioni provate dai pazienti dopo un primo attacco o dopo attacchi ricorrenti di vertigini soggetti affetti da vertigine parossistica. Le aree coinvolte sono le regioni talamiche, l’amigdala, il locus coeruleus: i cortocircuiti si verificano soprattutto a livello limbico. La comparsa di una vertigine oggettiva è un segnale visivo in grado di evocare l’attivazione dell’amigdala. In particolari condizioni, attraverso il cervelletto si attivano dei meccanismi automatici di reazione: si ha, quindi, un rischio di memoria traumatica con reazioni abnormi, legata alle capacità cognitive del cervelletto (dismetria cognitiva). In presenza di un disturbo ricorrente o cronico è importante, dunque, indagare attentamente la sintomatologia. Di fronte a una vertigine acuta, per evitare che si vada verso la cronicizzazione e la fobia, è fondamentale tranquillizzare il paziente ed evitare il panico. Nei primi giorni della crisi si possono utilizzare farmaci sintomatici, incluse le benzodiazepine nei soggetti particolarmente emotivi. Può essere utile ricorrere a uno psicoterapeuta prima di formulare diagnosi azzardate. Bibliografia 1. Furman JM, Jacob RG. A clinical taxonomy of dizziness and anxiety in the otoneurological setting. J Anxiety Disord. 2001 Jan-Apr;15(1-2):9-26. 2. Simpson RB, et al. Psychiatric diagnoses in patients with psychogenic dizziness or severe tinnitus. J Otolaryngol. 1988 Oct;17(6):325-30. 3. Furman JM, Jacob RG. Psychiatric dizziness. Neurology. 1997 May;48(5):1161-6. 4. Brandt T. Phobic postural vertigo. Neurology. 1996 Jun;46(6):1515-9. 5. Yardley L, et al. Effects of anxiety arousal and mental stress on the vestibulo-ocular reflex. Acta Otolaryngol. 1995 Sep;115(5):597-602. 6. Viaud-Delmon I, et al. Adaptation as a sensorial profile in trait anxiety: a study with virtual reality. J Anxiety Disord. 2000 Nov-Dec;14(6):583-601. 7. Viaud-Delmon I, et al. Eye deviation during rotation in darkness in trait anxiety: an early expression of perceptual avoidance? Biol Psychiatry. 2000 Jan 15;47(2):112-8. 8. Kirby SE, Yardley L. The contribution of symptoms of posttraumatic stress disorder, health anxiety and intolerance of uncertainty to distress in Ménière’s disease. J Nerv Ment Dis. 2009 May;197(5):324-9. 9. Godemann F, et al. The impact of cognitions on the development of panic and somatoform disorders: a prospective study in patients with vestibular neuritis. Psychol Med. 2006 Jan;36(1):99-108. CORSO CRS LA SCELTA TERAPEUTICA: CHIRURGICA Nicola Quaranta U.O.C. Otorinolaringoiatria Universitaria, Università di Bari “A. Moro” L’ approccio chirurgico nel paziente vertiginoso viene adottato in presenza di patologie organiche o di vertigini recidivanti, in cui la terapia medica non sia riuscita ad apportare il beneficio sperato. La terapia chirurgica è adottata essenzialmente nei casi di malattia di Ménière, di vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) e di deiscenza del canale SC superiore. Alcune modalità di intervento conservano la funzione vestibolare residua, come la chirurgia del sacco endolinfatico, mentre altre prevedono l’ablazione dell’organo dell’equilibrio (labirintectomia chimica, neurectomia vestibolare). Descritta inizialmente nel 1927 da Portmann, che aveva ipotizzato un legame tra la malattia di Ménière e un aumento della pressione dei liquidi, la chirurgia del sacco endolinfatico si è evoluta negli anni ’60, per arrivare, nel ’96, alla decompressione del sacco e del seno sigmoide proposta da Shambaugh. La decompressione del sacco è ritenuta utile per drenare l’endolinfa, per ottenere una rivascolarizzazione della zona perisacculare o per far diffondere passivamente l’endolinfa. Per valutare i risultati di un trattamento in un paziente con malattia di Ménière è necessario far riferimento alla classificazione dell’American Academy of Otolaryngology-Head and Neck Surgery (AAO-HNS).1 Sono state definite sei classi di controllo delle vertigini: nella A e nella B si ha un controllo completo o sostanziale degli attacchi vertiginosi. Una review delle pubblicazioni relative al trattamento della malattia di Ménière, ha riscontrato come, in circa 600 pazienti trattati con varie tecniche chirurgiche, il controllo delle vertigini (classi A+B) raggiungesse percentuali comprese tra il 79 e l’89%, a seconda della tecnica.2 Il gruppo di Bari ha confermato questi dati sui pazienti seguiti per più di dieci anni.3 Confrontando, infatti, soggetti trattati con la decompressione del sacco e quelli con malattia di Ménière non rispondente alla terapia medica, che avevano rifiutato l’intervento, dopo dieci anni si è rilevato che il controllo completo o sostanziale delle vertigini era stato raggiunto dall’86% circa dei pazienti, in entrambi i gruppi. Valutando, però, gli stessi pazienti a due anni dal trattamento, è emersa una differenza statisticamente significativa, con una percentuale più elevata di pazienti con un buon controllo nel gruppo trattato chirurgicamente. Secondo una revisione della letteratura condotta dalla Cochrane Collaboration, la chirurgia del sacco endolinfatico è l’unico trattamento chirurgico della Ménière valutato in un trial randomizzato e controllato.4 L’analisi ha esaminato due studi, ma nessuno dei due, in realtà, ha evidenziato una reale efficacia di questo approccio chirurgico. Un altro studio ha parzialmente confermato questo dato, aggiungendo che questa tecnica chirurgica ha qualche effetto, di cui non si è ancora compreso, però, l’esatto meccanismo.5 La chirurgia del sacco endolinfatico sembra accelerare, dunque, la scomparsa delle vertigini, anche se non è ancora noto in quale modo. La labirintectomia chimica, mediante gentamicina, è una delle tecniche utilizzabili per l’ablazione vestibolare. Questa molecola ha un effetto vestibolotossico, è poco attiva sulle cellule ciliate interne della coclea e produce un danno anche a livello delle dark cells, che producono l’endolinfa. L’utilizzo della gentamicina dovrebbe ridurre, quindi, l’idrope endolinfatica. Il gruppo di Bari utilizza la gentamicina solo nei casi di vertigine invalidante, dopo il fallimento di una terapia medica di almeno sei mesi, e/o il fallimento della terapia chirurgica funzionale. La gentamicina, applicata all’orecchio medio, penetra in quello interno attraverso la membrana della finestra rotonda. L’effetto tossico è mantenuto per 7-10 giorni: per questo è preferibile somministrare il farmaco una volta la settimana. La casistica di Bari comprende 41 pazienti trattati con gentamicina intratimpanica (2/3 con 20 mg/ml, 1/3 con 40 mg/ml). Il follow up medio è stato di 46,5 mesi. Si è ottenuto un controllo sostanziale o completo delle vertigini (A+B) nel 95% circa dei casi, mentre si sono rilevati peggioramenti dell’udito nell’11-14% dei pazienti, rispettivamente con i 20 e i 40 mg/ml. Sorprendentemente si sono evidenziati anche miglioramenti della capacità uditiva nel 25% circa dei soggetti. Uno studio ha valutato mediante posturografia dinamica gli effetti sulla postura del trattamento con gentamicina.6 Immediatamente dopo la somministrazione, i pazienti con la Ménière hanno evidenziato uno score vestibolare inferiore, rispetto ai soggetti normali. Dopo sei mesi, però, si è rilevato un miglioramento significativo della componente vestibolare, evidenziato anche dal composite score, che è risultato migliore sia dello score pre-trattamento, sia di quello post-trattamento. Come atteso, non si sono osservate variazioni significative degli score somatosensoriali o visivi (Figura 1). La gentamicina migliora il controllo posturale, perché il paziente riesce a compensare. Quando anche il trattamento con gentamicina si rivela inefficace, si può ricorrere alla neurectomia vestibolare, che deafferenta i centri del labirinto posteriore. Nella casistica del gruppo barese, dopo due anni di follow up, il 65% circa dei soggetti con una Ménière recidivante, che avevano rifiutato il trat120 100 ** ** 80 * ** NC Prima 60 Dopo 40 6 mesi 20 0 Som Vis Vest Composite Figura 1. Effetti sulla postura del trattamento con gentamicina intratimpanica6 Som: score somatosensoriale; Vis: score visivo: Vest: score posturale; Composite: score composito 17 REPORT tamento chirurgico, aveva ancora vertigini. La percentuale di pazienti che accusavano ancora vertigini è scesa al 35% nel gruppo trattato con la chirurgia del sacco endolinfatico, al 7% in quello che aveva assunto gentamicina, e al 3% tra i soggetti sottoposti a neurectomia vestibolare. Il rischio di peggioramento dell’udito in seguito a una neurectomia è risultato pari al 20% e non significativamente differente rispetto alla gentamicina. Nei casi di vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) del posteriore, che non risponde ad altre terapie, è possibile recidere la fibra che innerva l’ampolla del posteriore o eseguire un’occlusione del canale SC posteriore. In conclusione, il trattamento chirurgico è indicato solo nei casi in cui la terapia medica non sia risultata efficace: l’intervento deve essere di prima intenzione funzionale nei soggetti con udito socialmente utile, e solo successivamente si può optare per interventi più o meno invasivi. Bibliografia 1. Committee on Hearing and Equilibrium guidelines for the diagnosis and evaluation of therapy in Ménière’s disease. American Academy of Otolaryngology-Head and Neck Foundation, Inc. Otolaryngol Head Neck Surg.1995 Sep;113(3):181-5. 2. Grant IL, Welling DB. The treatment of hearing loss in Ménière’s disease. Otolaryngol Clin North Am.1997 Dec;30(6):1123-44. 3. Quaranta N, et al. Risultati uditivi a distanza dopo neurotomia vestibolare associata a trattamento chirurgico del sacco endolinfatico. Acta Otorhinolaryngol Ital. 2001; 21:131-7. 4. Pullens B, et al. Surgery for Ménière’s disease. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013, Issue 2. Art. No.: CD005395. DOI: 10.1002/14651858. 5. Chung JW, et a. Histopathology after endolymphatic sac surgery for Ménière syndrome. Otol Neurotol. 2011 Jun;32(4):660-4. 6. Picciotti PM, et al. VEMPs and dynamic posturography after intratympanic gentamycin in Ménière’s disease. J Vestib Res. 2005;15(3):161-8. LA SCELTA TERAPEUTICA: MEDICA Marco Lucio Manfrin UOC di Otorinolaringoiatria, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Università di Pavia, Pavia L a terapia medica è potenzialmente indicata per tutti i pazienti vertiginosi, ad eccezione dei casi di vertigine parossistica. Si può intervenire sugli aspetti sintomatici e, ove possibile, su quelli eziologici e patogenetici. Le cellule di tipo I e di tipo II sensoriali dell’apparato vestibolare possono rappresentare un target terapeutico. Diverse negli aspetti morfologico-funzionali e nelle afferenze al sistema nervoso centrale (SNC), queste cellule utilizzano una nutrita serie di neurotrasmettitori chimici, tra cui i più importanti sono il glutammato e l’acetilcolina. Molto più complessa è la quantità di terminazioni nervose e di neurotrasmettitori che interagiscono con i neuroni dei nuclei vestibolari del SNC. Oltre al glutammato, rilasciato da queste cellule, fibre di diversa provenienza rilasciano dopamina, GABA, glicina, serotonina, istamina. Interferire con un farmaco in un equilibrio così complesso di neuromediatori, neuromodulatori e relativi recettori, non è semplice. Non va dimenticata, inoltre, l’esistenza della barriera ematoencefalica e di quella ematolabirintica, che si è cercato di superare attraverso la somministrazione topica. Tra i farmaci che possono agire sui neurotrasmettitori, i più noti sono la scopolamina e la betaistina, dotata di una complessa attività di tipo istaminergico. Un altro farmaco molto usato è la prometazina, che ha un effetto antistaminico, ma anche anticolinergico. Le benzodiazepine sono antagoniste del sistema GABAergico: vanno utilizzate in acuto per 2-3 giorni, ma poi devono essere sospese per favorire il compenso. Il baclofene è usato prevalentemente nel nistagmo periodico alternante, mentre la levosulpiride, un ottimo antiemetico e sedativo, sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nella gestione in acuto del paziente vertiginoso. Molto importanti sono anche i farmaci che agiscono sui canali ionici voltaggio-dipendenti. Alcuni sono più noti, come le diidropiridine, la nimodipina, la cinnarizina, la flunarizina, altri più insoliti, come l’antiaritmico verapamil, indicato in letteratura per la vertigine periferica, la lidocaina o la carbamazepina, l’unico farmaco in grado di generare nistagmo. Prediletta dai 18 neurologi è la 3,4-diaminopiridina, un bloccante dei canali del potassio: va ricordato, però che il blocco di tali canali può comportare gravi effetti collaterali. Nella vertigine parossistica posizionale la terapia medica non rappresenta la prima scelta, ma può essere necessario dover sedare dei sintomi neurovegetativi prima delle manovre liberatorie, utilizzando il dimenidrinato o la scopolamina. Negli Stati Uniti si pretratta con il diazepam. In caso di residual dizziness, una sensazione di instabilità che permane dopo le manovre liberatorie, si somministra la combinazione dimenidrinato più cinnarizina. Abbastanza rara è la vertigine posizionale non parossistica: l’utilizzo dei diuretici osmotici, come il mannitolo, risolve brillantemente questa vertigine, con una ridistribuzione della densità dei liquidi dell’orecchio interno. Alcuni farmaci possono avere effetti opposti sull’utricolo e sui canali semicircolari.1 Sono stati studiati quattro principi attivi (lorazepam, meclizina, prometazina, scopolamina), relativamente alla sensibilità utricolare, al guadagno delle prove rotatorie e alla funzione calorica totale. Ciascuno di questi farmaci produce un effetto su parti diverse del labirinto. L’unico che si è rivelato in grado di abbattere la sensibilità utricolare, il guadagno delle prove rotatorie e la calorica è la prometazina, che appartiene alla stessa famiglia del torecan. La terapia medica della malattia di Ménière prevede inizialmente un supporto di tipo dietetico-comportamentale, successivamente integrato dalla terapia medica. Inizialmente è stata proposta la dieta iposodica, cui ha fatto seguito l’iperidrica, basata sull’individuazione nell’orecchio interno delle acquaporine, che rispondono bene all’assenza di ormone antidiuretico. Si consiglia, inoltre, di eliminare l’alcol, la caffeina e la tiramina, un derivato dell’amminoacido tirosina, presente nei formaggi fermentati. Recentemente si è consigliato l’uso di speciali cereali processati, per innalzare i livelli di fattore antisecretivo, una proteina che esercita un’azione modulatoria sul metabolismo idrico e sul trasporto ionico. Uno studio ha riscontrato, però, come la prescrizione di un regime dietetico, soprattutto CORSO CRS nel paziente vertiginoso, abbia una compliance limitata e produca scarsi risultati.2 Il ruolo dei diuretici nel trattamento cronico della malattia di Ménière è ampiamente dibattuto. Secondo i sostenitori della teoria dell’ipoperfusione/riperfusione dell’orecchio interno, che porta a uno squilibrio metabolico e all’idrope endolinfatica, con il diuretico si riducono la volemia e la pressione arteriosa, favorendo l’ipoperfusione/riperfusione, con un conseguente effetto dannoso. Altri ipotizzano la crisi potassica e somministrano diuretici risparmiatori di potassio, mentre altri ancora utilizzano la furosemide o la torasemide, che sono ototossiche. In realtà, non vi sono evidenze del funzionamento dei diuretici nella malattia di Ménière. Il gruppo di Lalwani ha introdotto l’uso del cortisone, nell’ipotesi di una patogenesi immunitaria.3 Questa molecola è fortemente antiossidante e protegge le cellule dallo stress ossidativo presente nella Ménière. L’uso degli steroidi è sempre più emergente in ambito vestibologico, così come sta diventando sempre più rilevante il ruolo dei recettori dei neurosteroidi nei neuroni dei nuclei vestibolari. I neurosteroidi sembrano essere fondamentali nei meccanismi adattativi e di compenso di questi nuclei. Tutti i soggetti con malattia di Ménière confermata devono essere sottoposti a terapia farmacologica sistemica, per non meno di sei mesi. L’80-85% dei pazienti risponde ai trattamenti, anche se non c’è alcuna evidenza scientifica dell’efficacia della betaistina o dei diuretici. Questi pazienti possono essere trattati anche a livello intratimpanico con gentamicina, per ablare soprattutto l’afferenza fasica delle cellule di tipo I e delle dark cells, o con desametasone o metilprednisolone, che hanno un effetto antinfiammatorio, antiossidante, immunosoppressivo, protettivo della funzione delle acquaporine e di regolazione dell’omeostasi ionica. Uno studio ha confrontato il trattamento con gentamicina, rispetto a quello con desametasone, evidenziando un miglior controllo dei disturbi vertiginosi da parte della gentamicina.4 Il gruppo di Pavia sta valutando gli effetti del trattamento intratimpanico sulla qualità di vita (QoL) dei pazienti, rispetto alla terapia medica, utilizzando diversi indici (Dizziness Handicap Inventory, DHI; Self Rating Depression Scale, SDS; Specific Activity Scale, SAS). Lo studio ha evidenziato come i pazienti sottoposti a terapia medica abbiano un DHI peggiore (Figura 1). Per il deficit vestibolare acuto monolaterale la terapia sintomatica prevede l’uso di vestibolo-soppressori, come il valium, soprattutto 60 50 DHI 40 SDS 30 20 SAS 10 0 Terapia medica Terapia IT Figura 1. QoL dei pazienti con malattia di Ménière: confronto tra terapia medica e intratimpanica nelle fasi iniziali, per passare allo steroide nella fase intermedia: in quella tardiva si utilizzano farmaci che agevolano il compenso. La leucina è già utilizzata per eliminare alcuni tipi di nistagmo e favorire il compenso vestibolare: ora una sua formula modificata sembra essere in grado di accelerare il compenso.5 Per la terapia medica delle patologie cerebellari e dei nistagmi di origine centrale, la scuola tedesca ha iniziato a utilizzare farmaci bloccanti i canali del potassio. Generalmente oggi si somministrano la 4-aminopiridina e il chlorzoxazone, in grado di bloccare o di ridurre del 50% il nistagmo down-beating di origine cerebellare, e d’interferire nell’atassia episodica di tipo II. Bibliografia 1. Weerts AP, et al. Pharmaceutical countermeasures have opposite effects on the utricles and semicircular canals in man. Audiol Neurootol. 2012;17(4):235-42. 2. Luxford E, et al. Dietary modification as adjunct treatment in Ménière’s disease: patient willingness and ability to comply. Otol Neurotol. 2013 Oct;34(8):1438-43. 3. Coelho DH, Lalwani AK. Medical management of Ménière’s disease. Laryngoscope. 2008 Jun;118(6):1099-108. 4. Casani AP, et al. Intratympanic treatment of intractable unilateral Ménière disease: gentamicin or dexamethasone? A randomized controlled trial. Otolaryngol Head Neck Surg. 2012 Mar;146(3):430-7. 5. Günther L, et al. N-acetyl-L-leucine accelerates vestibular compensation after unilateral labyrinthectomy by action in the cerebellum and thalamus. PLoS One. 2015 Mar 24;10(3):e0120891. LA SCELTA TERAPEUTICA: RIABILITATIVA Giorgio Guidetti Vertigo Center - Poliambulatorio Chirurgico Modenese - Modena S econdo quanto riscontrato da una review della Cochrane Collaboration, la terapia riabilitativa della vertigine ha un’efficacia statisticamente significativa e non causa effetti collaterali.1 La plasticità di un sistema rappresenta la capacità di adattarsi morfologicamente o funzionalmente a una nuova condizione. Il sistema vestibolare può adattarsi attraverso lo sprouting, cioè con la costruzione di nuovi collegamenti attraverso la plasticità sinaptica e del singolo neurone, o ricorrendo alle funzioni cognitive (abitudine, apprendimento, memoria, nuova modulazione dei segnali). Il compenso è l’azione vicariante, la sostituzione sensoriale: un altro organo cerca di sostituire il meccanismo che è stato danneggiato. Nel compenso si hanno una riespressione neurotrofica, la nascita di nuovi neuroni, lo sprouting di nuovi terminali e l’attribuzione di un nuovo peso ad altri sensori. Al compenso devono affiancarsi l’adattamento di tutto il SNC e la creazione di nuove strategie, che annullino gli effetti delle funzioni perse. Si aggiungono, inoltre, le sostituzioni comportamentali, i processi di riapprendimento, fino al rimodellamento delle mappe corticali. Ogni soggetto è adattato alla propria realtà: quando si verifica un disadattamento per una lesione acuta, si ha una prima riorganizzazione rapida, cui fa seguito una riorganizzazione più lenta.2 Nel caso della funzione vestibolare, la riorganizzazione rapida determina innanzitutto il blocco del nistagmo, poi ripristina il movimento della testa e, di seguito, del resto del corpo (strategia top-down). 19 REPORT Neurectomia vestibolare monolaterale IV Performance L’adattamento è un fenomeno complesso e non omogeneo, diverso nei vari soggetti. Nei primi due giorni, ogni individuo che abbia subito un evento vestibolare acuto non si muove, perché il movimento causa sofferenza e accentua la sintomatologia. Uno studio sulle scimmie ha verificato come, nell’arco dei primi sette giorni, i soggetti liberi di muoversi riacquisiscano un livello di normalità funzionale superiore rispetto a quello dei soggetti immobilizzati, perché stimolano meccanismi di adattamento che sarebbero soppressi dall’azione dei sedativi o dalla permanenza forzata a letto (Figura 1).3 Uno studio di Lacour ha riscontrato come il 50% dei soggetti vertiginosi diventi propriocettivo-dipendente, mentre il rimanente 50% diventa visivo-dipendente.4 L’esame stabilometrico statico permette di stabilire se un paziente diventerà visivo- o propriocettivo-dipendente, consentendo di scegliere la metodica riabilitativa più adatta. Trattare un propriocettivo-dipendente (bambino, sportivo) con una metodica basata sul segnale visivo, è, infatti, del tutto controproducente. Tipici visivo-dipendenti sono, invece, gli anziani. L’adattamento è l’apprendimento di nuovi schemi, basato sulla memoria procedurale, cioè sulla capacità di apprendere gradualmente nuovi schemi motori. L’apprendimento procedurale è lento e progressivo: prevede una fase di acquisizione delle informazioni utili per eseguire il compito, una fase di composizione, in cui si combinano i movimenti successivi, e una fase di proceduralizzazione, in cui si memorizza l’intera procedura e si ha la realizzazione automatica dell’abilità appresa. Nei primi cinque giorni, l’organo responsabile di questo tipo di apprendimento è soprattutto il cervelletto. L’età, il sesso, la patologia concomitante dell’SNC, i livelli di stress e di paura, le caratteristiche cognitive e lo stile di vita possono interferire con il processo di proceduralizzazione. Uno studio ha confrontato le aree attivate da un cervello giovane e da uno anziano durante la navigazione spaziale.5 Mentre nel cervello giovane le aree attivate sono posteriori, nell’anziano si attivano aree della corteccia frontale: nel soggetto giovane si attivano processi automatici, mentre la persona anziana deve pensare al proprio movimento, impiegando un tempo dieci volte superiore a quello necessario per un comportamento automatico. Il processo cognitivo richiede la neurogenesi: per quanto nella persona anziana sia ridotta, non impedisce di ottenere risultati. Una review ha evidenziato, infatti, come gli esiti della riabilitazione siano identici, a lungo termine, nel soggetto anziano e nel giovane: il processo è soltanto più lento.6 Lo stress interagisce in modo negativo sull’apprendimento, sulla memorizzazione e sul richiamo dei processi di informazione, anche se, nei primi giorni della crisi, un modesto livello di stress aiuta a far ripartire i vari meccanismi. Una volta che l’adattamento si è consolidato, invece, anche modesti livelli di stress sono in grado di alterare la capacità di processare le informazioni spaziali, e lo stress cronico o ricorrente mantiene attivati i meccanismi amigdalici che portano a memorizzare maggiormente Liberi di muoversi III Immobilizzati II I 0 2 7 14 21 Giorni dopo la neurectomia 30 Figura 1. Recupero funzionale, dopo neurectomia vestibolare in animali liberi di muoversi o immobilizzati 3 le esperienze negative. Il cervelletto, poi, immagazzina la risposta adattativa. Se, dopo aver facilitato le esperienze dinamiche, somministrato farmaci neurotropi e rassicurato il paziente, si rileva comunque una difficoltà di adattamento, occorre valutare quale sotto-sistema sia il meno adattato. Quindi vanno individuate le relative cause, per un loro eventuale trattamento. Se le cause non sono rimovibili e il disturbo rimane cronico, si procede con la rieducazione vestibolare. La terapia ambulatoriale è nettamente più efficace di quella domiciliare o ospedaliera. I trattamenti devono essere eseguiti sul singolo paziente, in modo personalizzato, da personale esperto che utilizzi adeguatamente la strumentazione necessaria. In pochi centri, altamente specializzati, si adottano protocolli diversi, in base all’esperienza, alle aspettative e alla struttura del paziente: la terapia riabilitativa deve protrarsi per almeno 5-7 giorni. Bibliografia 1. Hillier SL, Hollohan V. Vestibular rehabilitation for unilateral peripheral vestibular dysfunction. Cochrane Database Syst Rev. 2007 Oct 17;(4):CD005397. 2. Balaban CD, et al. Top-down approach to vestibular compensation: translational lessons from vestibular rehabilitation. Brain Res. 2012 Oct 30;1482:101-11. 3. Lacour M, et al. Modifications and development of spinal reflexes in the alert baboon (Papio papio) following an unilateral vestibular neurotomy. Brain Res. 1976 Aug 27;113(2):255-69. 4. Lacour M, et al. Sensory strategies in human postural control before and after unilateral vestibular neurotomy. Exp Brain Res. 1997 Jun;115(2):300-10. 5. Moffat SD, et al. Age differences in the neural systems supporting human allocentric spatial navigation. Neurobiol Aging. 2006 Jul;27(7):965-72–6. 6. Howe TE, et al. Exercise for improving balance in older people. Cochrane Database Syst Rev. 2007 Oct 17;(4):CD004963. VERTIGINI POSIZIONALI: VPPB E VARIANTI Giacinto Asprella Libonati U.O. di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale, Ospedale “Giovanni Paolo II”, Policoro (www.otorinopolicoro.it ) L 20 a vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) ha, spesso, una risoluzione immediata dopo una manovra correttamente eseguita. È causata da un disturbo meccanico all’interno del labirinto, dove otoliti staccati dalla macula utricolare flottano nell’endolinfa e impegnano uno o più canali semicircolari (SC) (canalolitiasi). Qui si aggregano e spingono la colonna di liquido CORSO CRS endolinfatico, rendendo sensibile alla gravità la cupola del canale interessato, trasformandola in un recettore di accelerazioni lineari. La vertigine è posizionale, come il nistagmo, che è parossistico, cioè transitorio, non persistente, di breve durata, con una tipica evoluzione nel tempo. La classificazione più pratica delle varie VPPB si basa sul canale interessato. Si possono, quindi, avere VPPB del canale posteriore (75-80% dei casi), orizzontale o laterale (15-25%), anteriore (1-2%). Si può verificare meno frequentemente una cupulolitiasi, in cui gli otoliti si attaccano alla cupola, rendendola più pesante rispetto all’endolinfa circostante. Nella mia esperienza personale la cupulolitiasi può rappresentare l’evoluzione delle canalolitiasi non trattate. Per diagnosticare la VPPB del canale posteriore si utilizzano la manovra di Dix-Hallpike o quella di Semont. Nella manovra di Dix-Hallpike, dopo una breve latenza (10-15 s) parte il tipico nistagmo parossistico, con una componente rotatoria e una verticale in alto-up beating. Nella manovra di Semont, utilizzata a scopo diagnostico, è importante muovere il paziente nel piano del canale interessato e osservare la risposta nistagmica. Il nistagmo della canalolitiasi del posteriore ha una fase rapida torsionale (riferita al punto a ore 12 della cornea), che batte verso l’orecchio affetto, mentre la componente verticale è sempre up beating: è un nistagmo lievemente dissociato, parossistico, che inverte la direzione quando il paziente torna in posizione seduta. Durante l’osservazione dei nistagmi da canalolitiasi del posteriore, è importante prestare attenzione a dove il paziente dirige lo sguardo, perché la posizione degli occhi nell’orbita può modificare la componente torsionale e verticale, la prima si amplifica guardando vero il lato affetto. In un paziente con un nistagmo posizionale, indice di una probabile VPPB, una prima valutazione diagnostica può essere rappresentata dall’Head Pitch Test. Se la valutazione del nistagmo è indicativa di una VPPB del CSP, si può procedere con una manovra diagnostica di Dix-Hallpike, durante la quale (I posizione), la comparsa di un nistagmo tipico della canalolitiasi del posteriore conferma il sospetto diagnostico. Si può procedere allora con la manovra di riposizionamento dei canaliti, CRP secondo Epley, mettendo il paziente con testa iperestesa sul lato controlaterale (II posizione). La comparsa di un nistagmo con le stesse caratteristiche di quello diagnostico (consensuale), indica che gli otoliti stanno procedendo nella direzione corretta, verso la crus comune. Successivamente, si pone il paziente a faccia in giù, ruotando il capo di 135° verso il lato sano (III posizione). Qui normalmente compare un nistagmo puro down beating, indice del fatto che gli otoliti stanno percorrendo la crus comune e che la manovra è eseguita correttamente. Infine, si mette il paziente in posizione seduta (IV posizione): un nistagmo down beating indica la fuoriuscita degli otoliti dalla crus comune per tornare nell’utricolo (nistagmo liberatorio). La manovra non è efficace quando il nistagmo, passando dalla posizione diagnostica al lato controlaterale, inverte la direzione: in questo caso, gli otoliti stanno refluendo verso l’ampolla del canale posteriore interessato. L’evento peggiore è la comparsa di un nistagmo orizzontale, indice di un avvenuto canal switch, cioè il passaggio degli otoliti a un canale diverso da quello interessato inizialmente. La VPPB del canale orizzontale (HC-VPPB) è caratterizzata da un nistagmo parossistico orizzontale puro, bidirezionale e biposizionale che si osserva eseguendo il Supine Head Yaw Test. Esistono due varianti di HC-VPPB: la geotropa, più frequente (75%), e l’apogeotropa. Nella canalolitiasi si ha una risposta parossistica, mentre nella cupola pesante (cupulolitiasi) si osserva un nistagmo apogeotropo, non parossistico, ma di lunga durata. La forma apogeotropa più fre- quente è la canalolitiasi apogeotropa, che si osserva solitamente nel paziente valutato dopo pochi giorni dall’insorgenza dei sintomi. Se il ritardo è maggiore, la canalolitiasi evolve in una cupulolitiasi. Nella forma apogeotropa gli otoliti flottano in prossimità della cupola ampollare, mentre nella forma geotropa si posizionano nell’emibraccio posteriore del canale laterale. Il nistagmo osservato in posizione seduta e testa eretta è chiamato Nistagmo Pseudo-Spontaneo (NPS), in quanto può mimare un nistagmo spontaneo da Neuronite Vestibolare. Il Nistagmo Pseudo-Spontaneo batte verso l’orecchio affetto nella forma apogeotropa, e verso il lato sano in quella geotropa. Per la diagnosi differenziale si esegue l’Head Pitch Test in posizione seduta, se il nistagmo cambia direzione flettendo ed estendendo il capo è uno Pseudo-Spontaneo e non un vero spontaneo. Si deve eseguire successivamente il posizionamento da seduto a supino e l’Head Yaw Test, ruotando il capo da lato a lato in posizione supina, con il capo sollevato 30° rispetto al lettino. Alcune regole consentono di diagnosticare quale sia il lato affetto nelle VPPB del canale orizzontale. La direzione del nistagmo più intenso, eseguendo l’Head Yaw Test è sempre verso l’orecchio affetto. La direzione del nistagmo Pseudo-Spontaneo, evocato in posizione seduta, e di quello evocato nel passaggio da seduto a supino, è verso il lato sano nelle forme geotrope, e verso quello affetto nelle apogeotrope. Per la seconda legge di Ewald, uno stimolo eccitatorio nel canale orizzontale evoca una risposta più intensa rispetto a uno stimolo inibitorio: nelle forme geotrope lo stimolo eccitatorio si ottiene ruotando il capo verso il lato affetto, in quelle apogeotrope verso quello sano. La posizione forzata di Vannucchi, è la manovra liberatoria più semplice, utilizzabile nella VPPB del canale orizzontale, e lavora in funzione della sola gravità. Nelle forme geotrope il paziente deve stare per l’intera notte sul lato sano, per favorire la decantazione degli otoliti all’esterno del canale interessato. Nelle forme apogeotrope la posizione è sul lato affetto, per far migrare gli otoliti nell’emibraccio anteriore, trasformando la forma apogeotropa in geotropa. La manovra di Gufoni è simile a quella di Semont: è una manovra brusca, che sfrutta un’inerzia positiva, mediante la quale gli otoliti si muovono nella stessa direzione in cui è stata eseguita la manovra. Le tecniche di barbecue prevedono brusche rotazioni di 90° del capo del paziente, sempre verso il lato sano. Nella variante di Vannucchi-Asprella (Figura 1), il numero di step va rapportato alla risposta nistagmica, se si vuole seguire un approccio basato sull’osservazione step by step del nistagmo in tempo reale. La sequenza viene ripetuta almeno cinque volte. La riduzione o la scomparsa del nistagmo che si osserva dopo lo step rapido, indicano la fuoriuscita degli otoliti dal canale. La manovra di Asprella è una tecnica mista, che sfrutta accelerazioni rapide, con inerzia positiva: associa uno step di barbecue con un posizionamento sul lato sano per 30 minuti (Figura 2). Nella VPPB del canale orizzontale, segni prognostici della correttezza delle manovre di barbecue sono la presenza di un nistagmo orizzontale, che batte verso il lato sano, e la riduzione dell’intensità del nistagmo nell’esecuzione dello step rapido. Un nistagmo che batte verso il lato affetto indica un movimento degli otoliti nella direzione sbagliata, mentre un nistagmo torsionale suggerisce uno switch canalare. Nel caso di VPPB del canale anteriore, una valida manovra liberatoria è quella di Vannucchi, in cui il paziente, da seduto col capo girato verso il lato affetto, viene portato rapidamente a faccia in giù sul lato affetto; si effettua poi un tilt di 180° sul lato controlaterale raggiungendo la posizione a faccia in su e con la testa lievemente iperestesa fuori dal lettino. 21 REPORT A B C Figura 2. Manovra liberatoria di Asprella D Figura 1. Manovra di Vannucchi-Asprella Un’altra opzione è rappresentata dalla manovra di Yacovino, che non richiede la diagnosi del lato affetto: 1° step da seduto a supino con testa iperestesa in posizione centrale; 2° step si flette il capo il più possibile sino a toccare il torace con il mento; 3° step ritorno in posizione seduta. Bibliografia 1.Asprella-Libonati G. Lateral canal BPPV with Pseudo- Spontaneous Nystagmus masquerading as vestibular neuritis in acute vertigo: A series of 273 cases. J Vestib Res. 2014;24(5-6):343-9. 2. Asprella-Libonati G. Benign Paroxysmal Positional Vertigo and Positional Vertigo Variants. Int J Otorhinolaryngol Clin. 2012;4(1):25-40. - free fulltext available online: http://www.jaypeejournals.com/eJournals/ShowText. aspx?ID=3561&Type=FREE&TYP=TOP&IN=_eJournals/images/JPLOGO. gif&IID=280&isPDF=YES 3. Asprella-Libonati G. Benign Paroxysmal Positional Vertigo. Chap. In: Carmona S., Asprella-Libonati G.. Neuro-Otology. Third edition. Buenos Aires 2011, Akadia ed. http://www.otorinomatera.it/libri.html 4. Asprella-Libonati G. “La Terapia della Labirintolitiasi: strategie di intervento individualizzato.” In: atti congressuali Aggionamenti di Vestibologia – Ed. Grunenthal-Formenti - Fiuggi - 2004. 5. Asprella-Libonati G. Gravity Sensitive Cupula of Posterior Semicircular Canal. In online supplementary information (pp188-199) of the Basic and Clinical Ocular Motor and Vestibular Research: A Tribute to John Leigh, edited by J Rucker and DS Zee, NYAS, New York, Ann. NY Acad. Sci. Vol. 1233, Sept 2011. 6. Asprella-Libonati G. Diagnostic and Treatment Strategy of the Lateral Semicircular Canal Canalolithiasis. Acta Otorhinolaryngol Ital 2005;25:277-83. 7. Asprella-Libonati G. Pseudo-Spontaneous nystagmus: a new clinical sign to diagnose the affected side in Lateral Semicircular Canal Benign Paroxysmal Positional Vertigo. Acta Otorhinolaryngol Ital 2008;28:73-8. 8. Asprella-Libonati G. Lateral Semicircular Canal Benign Paroxysmal Positional Vertigo diagnostic signs. Letter to the Editor. Acta Otorhinolaryngol Ital 2010;30:222-4. 9. Asprella-Libonati G. Gravity sensitive cupula: light/heavy cupula of lateral semicircular canal (LSC). J Vest Res. 2010;20:208-9. 10. Asprella-Libonati G, Epley JM. Management of positional vertigo: a nystagmus-based approach. Abstract Book 25° Barany society Meeting. S7-1, p.89, Kyoto Japan March 31-April 3 2008. 11.Asprella-Libonati G, Gagliardi G. “Step by step” treatment of lateral semicircular canal canalolithiasis under videonystagmoscopic examination. Acta Otorhinolaryngol Ital. 2003;23:10-5. 12.Asprella-Libonati G, Gufoni M. Vertigine parossistica da CSL: manovre di barbecue ed altre varianti. In: Nuti D, Pagnini P, Vicini C, eds. Atti della XIX Giornata di Nistagmografia Clinica. Milano: Formenti 1999; 321-36. 13. Epley JM, Asprella Libonati G. Endolymphatic Density Changing Positional Nystagmus. Abstract Book 25° Barany society Meeting. O2-6, p.140, Kyoto Japan March 31-April 3 2008. Risorse ONLINE: http://www.otorinomatera.it/ http://www.researchgate.net/profile/Giacinto_Asprella_Libonati/publications/ LA VERTIGINE: CONTROVERSIE DIAGNOSTICHE E MEDICO-LEGALI Aldo Messina Ambulatorio di Otoneurologia ed Acufenologia, A.O.U. Policlinico “Paolo Giaccone”, Palermo L’ articolo 583 del codice penale punisce in maniera diretta chiunque danneggi anche in modo minimo un organo di senso. Ma il sistema vestibolare rientra nella definizione di organo di senso? Il sistema dell’equilibrio, infatti, è composto da diversi recettori appartenenti all’apparato visivo, al propriocettivo, 22 al vestibolare, e ha il supporto dell’integrazione cerebellare. Per il codice penale l’indebolimento permanente (esito stabilizzato di una lesione) di un organo di senso rappresenta un’aggravante: è sufficiente che l’evento stabilizzato sia apprezzabile o strumentalmente appena rilevabile. Se consideriamo pertanto il sistema dell’equilibrio CORSO CRS un organo di senso sarà sufficiente pertanto che sia indebolita in modo permanente anche una delle componenti del sistema, determinando un’insufficienza funzionale anche solo apprezzabile. L’indebolimento permanente deve essere valutato con un apposito esame clinico (bedside examination), che evidenzi le ripercussioni dell’evento lesivo sul soggetto. Un altro aspetto importante è il tempo necessario per considerare permanente una lesione vestibolare. Quando il referto valido è stato scritto prima che siano trascorsi sei mesi tra l’evento traumatico e la visita, si è in presenza di una lesione temporanea. Gli eventi neurologici si intendono stabilizzati (ma è una convenzione) circa sei mesi dopo l’evento traumatico. Questo criterio può non essere valido per il sistema vestibolare, che sappiamo essere in grado di immagazzinare nella memoria traumatica l’evento che, pertanto, determina conseguenze anche dopo diversi anni: questo aspetto, però, non viene valutato dalla legislazione. Relativamente ai rapporti di causa ed effetto, per stabilire se un evento è realmente la causa della lesione, si deve far ricorso alla cosiddetta criteriologia medico-legale. Il criterio cronologico definisce per quanto tempo il soggetto è stato esposto a una noxa patogena, mentre il patogenetico definisce se realmente quella noxa sia in grado di determinare un danno. Altri criteri sono il topografico, la probabilità lesiva, la continuità fenomenica e, infine, l’epidemiologico. L’applicazione della criteriologia è diversa, però, nel codice penale e in quello civile. In penale, laddove l’eventuale pena comprometterebbe la libertà dell’individuo, diritto costituzionalmente previsto, sarà necessario che la criteriologia agisca “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, pertanto, nel dubbio si assolve. In civile, nel ragionevole dubbio di concederà il beneficio. La percentuale di invalidità per ogni patologia è stabilita da specifiche tabelle, elaborate nel 1992: una percentuale superiore al 74% garantisce un assegno di invalidità. Per le condizioni non previste dalle tabelle, come, ad esempio, l’impianto cocleare o la Malattia di Ménière, il perito dovrà identificare la malattia prevista in tabella che determini una condizione invalidante analoga a quella osservata. Inoltre la percentuale di invalidità totale non corrisponderà alla somma dei singoli valori determinati da ogni malattia, ma è calcolata con il calcolo riduzionistico e dalla relativa formula di Balthazard. Anche in questo caso va fatta una distinzione. La legge obbliga a differenziare le malattie concorrenti, che riguardano lo stesso organo o apparato, da quelle malattie coesistenti, cioè presenti contemporaneamente nello stesso individuo. Il fine è quello di non “sforare” nell’impossibile. Nel caso delle malattie coesistenti, se la validità globale dell’individuo è ovviamente del 100%, la somma delle singole malattie non può superare il 100%. E relativamente alle concorrenti, se la completa disfunzione di un organo è valutata ad esempio 30%, la somma delle patologie di quell’organo non potrà superare il 30%. L’analisi della valutazione delle patologie otoneurologiche dà adito ad alcune perplessità. Paradossalmente il testo della normativa per l’invalidità civile, riguardante l’apparato vestibolare (DM 05/02/1992), attribuisce alle forme centrali la metà del valore di quelle periferiche. Così la sindrome vestibolare centrale è valutata l’11-20%, mentre la sindrome vestibolare il 31-40%, e la vertigine parossistica posizionale benigna ha la medesima percentuale della vertigine cerebellare centrale (11-20%). Agli acufeni è stata analogamente attribuita una percentuale particolarmente bassa (2%): la normativa, inoltre, parla di acufeni permanenti o subcontinui, insorti da più di tre anni. I medici, però, non indicano sostanzialmente mai gli acufeni sul referto che poi viene letto dal medico legale. Anche la malattia di Ménière non è stata inserita nelle tabelle del 1992. Come già detto, dobbiamo “ricavarci” la percentuale invalidante sommando i valori della triade (in realtà tetrade) sintomatologica. Se si considerano vertigini, sordità e acufeni come patologie concorrenti, si può arrivare anche a un’invalidità totale pari al 63%; se, invece, si considerano come coesistenti, la percentuale scende al 54%. Un’analisi statistica di 200 referti medico-legali di tutta Italia ha rilevato, per il 60% di questi, una valutazione della malattia di Ménière compresa tra il 35 e il 40%, mentre per il 30% dei referti la valutazione si attestava tra il 60 e il 67% (Figura 1). 60% 50% 40% 30% Valuta 35-40% 20% Valuta 60-67% 10% 0% Ménière e IC Figura 1. Analisi di referti medico-legali della malattia di Ménière Pazienti con la medesima patologia possono avere valutazioni differenti a seconda del proprio luogo di residenza, e della maggiore o minore competenza della commissione esaminatrice. La valutazione medico-legale del danno otofunzionale e otovestibolare è particolarmente complessa, soprattutto se si devono valutare lesioni permanenti. La legge 27 del 24/3/2012 afferma che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. Una bedside examination ben fatta, con la registrazione di un video agli infrarossi, potrebbe essere considerata una metodica obiettiva ma sarà necessario che la VIS (Società italiana di Vestibologia) identifichi i criteri di osservazione sia del V.O.R. (Riflesso Oculomotore) del S.V.R. (Riflesso Vestibolo Spinale) e delle eventuali conseguenze neuropsicologiche purché a carattere permanente, e ne indichi la relativa valutazione. In tutta sincerità ignoro cosa sia una vertigine ben sistematizzata identificata nel DM 05.02.92 con il codice 4105 e valutata 1-10%. In psichiatria “delirio sistematizzato” è quello strutturato secondo una logica coerenza. Può una vertigine obbedire ad una logica coerenza? Ancora più complesso l’eventuale riconoscimento come malattia invalidante degli acufeni e ancor di più delle complicanze neuropsicologiche delle vertigini. Le infermità psichiche, infatti, potranno essere considerate in ambiente medico legale solo se permanenti ed attestate da specialisti competenti, che non sono gli otoneurologi ma i neuropsichiatri. Questi ultimi non considereranno però i risultati di test (comunque poco oggettivabili) tipo DHI ma scale (sempre soggettive), come quella per la valutazione globale del funzionamento (VGF). Riusciremo ad uniformare i due linguaggi? Ogni medico infine può svolgere il ruolo di consulente medico legale per il tribunale, perché il giudice è libero di chiamare chiunque ritenga più idoneo. Per l’iscrizione all’albo dei periti, invece, è richiesta la partita IVA. 23 Cod. 50002347