Report Vertigine, Bari

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Report Vertigine, Bari
N. 2/2015
REPORT
CORSO CRS
Direttore del corso
Prof. DOMENICO PETRONE
Dott. MICHELE RAGUSO
BARI
24-25 settembre 2015
REPORT DEL CORSO DI AGGIORNAMENTO
LA VERTIGINE
TRA PRESENTE E FUTURO
REPORT
REPORT DEL CORSO DI AGGIORNAMENTO
LA VERTIGINE TRA PRESENTE E FUTURO
BARI, 24-25 settembre 2015
NOTA DELL’EDITORE
Il presente volume riprende i principali contenuti di questo evento formativo, con l’obiettivo di renderli disponibili a un pubblico più ampio e di offrire
informazioni e indicazioni condivise per un miglioramento della pratica clinica.
In particolare, i testi che seguono sono una rielaborazione originale, a cura della redazione di Sintesi InfoMedica, delle relazioni presentate durante
l’evento da D. Petrone (Anatomo-fisiologia del sistema vestibolare), P. Vannucchi (Semeiotica e bedside examination), M. Raguso (Valutazione
funzionale del sistema audio-vestibolare), A.P. Casani (La vertigine periferica), V. Marcelli (La vertigine centrale), A. Martini (Ruolo delle malformazioni
labirintiche nella vertigine), A. Messina (Neuroplasticità e acufeni), A.P. Casani (La vertigine vascolare), G. Guidetti (Dizziness e panico vestibolare),
N. Quaranta (La scelta terapeutica: chirurgica), M.L. Manfrin (La scelta terapeutica: medica), G. Guidetti (La scelta terapeutica: riabilitativa), G.A.
Libonati (Vertigini posizionali: VPPB e varianti), A. Messina (La vertigine: controversie diagnostiche e medico-legali) e della tavola rotonda conclusiva.
I testi, rivisti dai rispettivi relatori, sono stati riassunti e integrati con le opinioni emerse dalle discussioni tenutesi nel corso dei lavori.
SOMMARIO
Presentazione del corso
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Realizzato e distribuito
con il contributo incondizionato di
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Anatomo-fisiologia del sistema vestibolare
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Semeiotica e bedside examination
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Valutazione funzionale del sistema audio-vestibolare
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La vertigine periferica
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La vertigine centrale 9
Ruolo delle malformazioni labirintiche nella vertigine
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Neuroplasticità e acufeni
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La vertigine vascolare 14
Dizziness e panico vestibolare 15
La scelta terapeutica: Chirurgica 17
La scelta terapeutica: Medica 18
La scelta terapeutica: Riabilitativa 19
Vertigini posizionali: VPPB e varianti
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La vertigine: controversie diagnostiche e medico-legali
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CORSO CRS
PRESENTAZIONE DEL CORSO
Domenico Petrone
Direttore U.O. di Otorinolaringoiatria - P.O. Di Venere, Bari
La vestibologia ha compiuto progressi significativi negli ultimi decenni: si è giunti a una conoscenza più approfondita delle cause
della vertigine, si sono evolute tecniche diagnostiche più avanzate e si sono ampliate le possibilità terapeutiche. L’otorinolaringoiatra
continua a mantenere in quest’ambito un ruolo da protagonista, la sua competenza non si limita infatti ad orientare la diagnosi verso
una patologia di sede, periferica o centrale, ma è possibile oggigiorno inquadrare perfettamente l’origine della patologia, individuare il
recettore non funzionante e trattare opportunamente il paziente nella fase di recupero funzionale. Questo Corso vuole pertanto essere
un punto di incontro tra esperti del settore al fine di fornire le opportune conoscenze teoriche ed i consigli pratici per riconoscere e trattare i disturbi vertiginosi. In particolare verranno affrontati i principali aspetti semeiologici differenziali tra una vertigine periferica, centrale
e psicogena ed illustrate le moderne tecniche diagnostiche utilizzate nella pratica clinica. Le esercitazioni pratiche infine serviranno ai
presenti per acquisire le competenze specifiche in ambito diagnostico e riabilitativo.
ANATOMO-FISIOLOGIA DEL SISTEMA VESTIBOLARE
Domenico Petrone
Direttore U.O. di Otorinolaringoiatria - P.O. Di Venere, Bari
Ipoacusia e popolazione anziana
I
l sistema vestibolare assicura l’equilibrio, registrando la posizione e il movimento della testa nello spazio. Contribuisce all’orientamento spaziale e al mantenimento del tono posturale agendo
in sinergia con gli altri due apparati responsabili dell’equilibrio corporeo: il somatosensitivo e il visivo. Il sistema vestibolare monitora
le informazioni provenienti da ognuno dei movimenti nei sei “gradi di
libertà” delle tre dimensioni dello spazio: tre movimenti di traslazione
e tre di rotazione. I primi sono garantiti dall’utricolo e dal sacculo, i
secondi dai canali semicircolari (SC): organi sensoriali ripieni di endolinfa che costituiscono il sistema vestibolare.
L’utricolo e il sacculo, definiti organi otolitici, sono responsabili
dell’orientamento della testa rispetto alla gravità e alle accelerazioni lineari, rispettivamente per il piano orizzontale il primo, per
quello verticale il secondo. Nella loro faccia interna è situata la
macula, una piccola area sensoriale coperta da una membrana
otolitica, nella quale sono immersi cristalli di carbonato di calcio
detti otoliti in contatto con le cellule sensoriali: le cellule ciliate
vestibolari. Ogni cellula ciliata possiede delle stereociglia e un
chinociglio, posti all’estremità apicale.
Alla base e alle pareti laterali delle cellule ciliate si instaura il contatto sinaptico con le terminazioni del nervo vestibolare.
I canali SC sono orientati perpendicolarmente l’uno rispetto
all’altro: ogni canale registra l’accelerazione angolare in uno dei
tre piani dello spazio.
In uno dei due bracci di ogni canale è presente l’ampolla, un
rigonfiamento in cui sono situate le cellule sensoriali ciliate, im-
merse in una sostanza gelatinosa, mucopolisaccaridica, detta
cupola. Le cellule ciliate si caratterizzano per la presenza di un
chinociglio e di 40-70 stereociglia, disposte ad altezza degradante dall’apice del chinociglio, con una polarità morfologica che
si ripercuote a livello funzionale (Figura 1).
(a)
Chinociglio
(b)
Stereociglia
Corpo basale
Efferente
Afferente
Figura 1. Cellule ciliate vestibolari
Quando le stereociglia si flettono verso il chinociglio, si ha una depolarizzazione, cioè un’eccitazione, per aumento della frequenza
di scarica dei potenziali d’azione delle fibre del nervo vestibolare.
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REPORT
Quando è il chinociglio a flettersi verso le stereociglia, si verifica
una iperpolarizzazione, cioè un’inibizione per la ridotta frequenza di
impulsi. Questi processi coinvolgono numerosi neurotrasmettitori,
come l’acetilcolina, il glutammato e l’aspartato, amminoacidi eccitatori, e il GABA, inibitore. In condizioni di riposo, le cellule ciliate
presentano una costante attività elettrica di base (potenziale spontaneo a riposo), che garantisce il mantenimento del tono posturale
della muscolatura scheletrica. La stimolazione vestibolare è inviata
al sistema nervoso centrale (SNC) come una variazione di questo
potenziale spontaneo a riposo.
I canali SC sono caratterizzati da una polarizzazione funzionale,
determinata dai rapporti tra chinociglio e stereociglia. In ciascuna
cresta, i chinocigli delle cellule sono orientati nella medesima direzione, verso l’utricolo per i canali SC orizzontali, in direzione opposta per quelli verticali. Quando la testa inizia a ruotare, l’inerzia
dell’endolinfa presente nei canali SC provoca una deflessione della
cupola nel senso opposto a quello della rotazione. Questo causa
la deflessione delle cellule ciliate delle creste ampollari e si attiva la
fase di eccitazione. Quando la rotazione diventa costante, l’attività
delle cellule ciliate ritorna ai livelli di base. All’arresto della rotazione, l’endolinfa continua il proprio movimento, mentre il canale SC
si ferma: si verifica così una stimolazione dal lato opposto a quello
di partenza. Fenomeni analoghi avvengono a livello dell’utricolo e
del sacculo. Durante un movimento lineare della testa, gli otoliti, più
densi dell’endolinfa, tendono a rimanere indietro per la loro inerzia,
rispetto alla deflessione che si sta compiendo.
Nel sistema vestibolare lo stimolo è il risultato di una serie di impulsi
di segno opposto provenienti dalle cellule ciliate dei due lati. Quando
l’attività elettrica di un lato aumenta, quella del controlaterale dimi-
nuisce. Quando questo non accade compare la vertigine.
Le afferenze vestibolari, trasportate dal nervo omonimo, penetrano
nel tronco encefalico dividendosi in due contingenti diretti al vestibolocerebello e ai nuclei vestibolari. Le informazioni provenienti da
entrambi i lati sono unite dalle fibre commessurali interposte tra i
nuclei vestibolari. Costituite da cellule di tipo I (neuroni eccitatori)
e di tipo II (inibitori), queste fibre intervengono nei meccanismi di
compenso vestibolare.
Gli impulsi provenienti dai nuclei vestibolari raggiungono il cervelletto, che è connesso al sistema vestibolare direttamente e indirettamente. Dal cervelletto vengono reinviati impulsi al sistema vestibolare per una perfetta integrazione tra i due sistemi. Dai nuclei
vestibolari partono connessioni con il sistema oculo-motorio mediante le vie vestibolo-oculari, tramite le quali si realizza il riflesso
omonimo (VOR), che consente la rotazione degli occhi in direzione
uguale e contraria rispetto alla rotazione della testa, per mantenere
l’immagine visiva stabile sulla retina.
Il sistema vestibolare è connesso poi con il midollo spinale attraverso le vie vestibolo-spinali (VS), che consentono l’integrazione delle
attività motorie riflesse posturali con le afferenze vestibolari e con
input extravestibolari visivi, uditivi, tattili. Le connessioni del sistema
vestibolare con la corteccia sono rappresentate da una via diretta
vestibolo-talamica, e una indiretta vestibolo-cerebello-talamica, che
raggiungono le aree parieto-temporali. Tali connessioni permettono
l’apprezzamento dell’orientamento spaziale cosciente, la modulazione dei riflessi motori durante i movimenti volontari, una ricostruzione spaziale “interna” e garantiscono una “memoria cosciente”
della propria posizione nello spazio.
SEMEIOTICA E BEDSIDE EXAMINATION
Paolo Vannucchi
Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Medicina Traslazionale, Università di Firenze
L
a bedside examination, se ben utilizzata, permette di inquadrare adeguatamente gran parte dei pazienti. I passaggi fondamentali sono l’anamnesi, l’osservazione del paziente in
stazione eretta, un rapido studio dell’oculomotricità, l’esecuzione di
due test semplici, ma molto importanti, come l’Head Impulse Test
(HIT) e l’Head Shaking Test (HST), la valutazione del nistagmo, con
o senza fissazione visiva. Dopo queste indagini si può passare alla
semeiotica strumentale.
Una buona anamnesi è irrinunciabile: fare domande opportune e
ascoltare il paziente aiuta a comprendere molte delle caratteristiche della vertigine (modalità di insorgenza, durata, sensazione di
rotazione o instabilità, senso orizzontale o verticale della vertigine,
modalità di conclusione, associazione con altri sintomi, otologici e
non, concomitanza con la cefalea); questi dati sono estremamente
utili per guidare il medico verso la diagnosi corretta. Lo studio del
nistagmo va eseguito con e senza gli occhiali di Frenzel, perché il
confronto tra le due modalità fornisce elementi importanti per la diagnosi. Il paziente deve essere valutato in diverse posizioni (seduto,
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supino, fianco Dx, fianco Sn e con testa iperestesa) oltre che con le
manovre di Dix-Hallpike. Nella valutazione del nistagmo sono molto
utilizzate anche la video-oculoscopia e la video-oculografia: la prima
permette di registrare i dati e di confrontarli nel tempo, mentre la
seconda fornisce informazioni quantitative, soprattutto per la valutazione dell’oculomotricità.
L’HIT è di particolare importanza nella valutazione del paziente in
acuto. In presenza di una vertigine acuta, un HIT negativo suggerisce un buon funzionamento del recettore periferico, e un possibile
problema a livello dei nuclei. Questo test può generare dei falsi positivi, ma, quando è palesemente positivo, dà una certezza quasi
assoluta che si tratti di una vertigine periferica. Il video-HIT si rivela utile nello studio dei canali verticali. L’Head Shaking è un test
poco specifico, ma molto sensibile. La comparsa di un “perverted
nistagmus”, cioè di un nistagmo verticale a seguito di un’oscillazione orizzontale, è fortemente indicativa di un problema centrale, ma
è un evento piuttosto raro. Questo test contribuisce a confermare
i risultati di altre valutazioni, ma non è sufficiente per formulare una
CORSO CRS
diagnosi di sede. I potenziali evocati miogenici vestibolari (VEMPs)
rappresentano una raffinata metodica di semeiotica strumentale,
che consente di studiare i recettori maculari. Lo studio dei VEMPs
è indispensabile se l’anamnesi e la valutazione dei nistagmi portano
a ipotizzare la presenza di una sindrome di Minor ma, in generale,
questo test non è sufficiente per giungere a una diagnosi. Anche
se aspecifico, il test della verticale visiva soggettiva (VVS) è interessante, perché può essere eseguito direttamente al letto del paziente, utilizzando semplicemente un secchio, un filo da pesca con
piombino e un goniometro. Alla base del secchio, sia all’interno sia
all’esterno, è disegnato un raggio. Il paziente inserisce la testa nel
secchio e lo ruota finché non vede il raggio interno perfettamente
verticale. Se il paziente pone il raggio verticale il filo a piombo si
sovrappone al raggio esterno se invece inclina aprirà un angolo la
cui ampiezza verrà data dal goniometro. In fase acuta l’inclinazione
deve essere verso il lato leso: in caso contrario, occorre mettere in
discussione l’eventuale ipotesi di alterazione periferica (Figura 1).
Molto utili sono anche le prove termiche, che possono essere eseguite con diverse modalità. Oggi la metodica più utilizzata è quella
di Fitzgerald-Hallpike, in cui il paziente è in posizione distesa, con
la testa sollevata di 30 gradi, in modo che i canali laterali siano in
posizione verticale, ed è stimolato con 250 cc di acqua a 30 e a
44 °C. Pur stimolando un solo labirinto per volta, a bassa frequenza,
questo test è fondamentale per porre una diagnosi di deficit labirintico monolaterale. Le sedie rotatorie sono strumenti estremamente
interessanti, ma poco utilizzabili in ambito clinico, sia per i tempi, sia
per i costi elevati, sia perché forniscono informazioni limitate. Utili
per studiare il sistema da un punto di vista fisiologico, dovrebbero
essere riservate a strutture che si occupano di ricerca. Anche la
stabilometria statica e dinamica dovrebbero essere riservate a strutture di livello più elevato: pur fornendo informazioni interessanti, non
consentono di formulare una diagnosi. Un aspetto di semplice valutazione, ma di rilevante importanza ai fini diagnostici, è osservare
Figura 1. Test Verticale Visiva Soggettiva
se il paziente vertiginoso riesce a mantenere o no la stazione eretta.
In fase acuta l’interessamento delle strutture periferiche consente al
paziente di mantenere, anche se a fatica, una stazione eretta: questo non accade in chi ha un coinvolgimento delle strutture centrali.
L’esame vestibolare è, dunque, una sorta di mosaico, in cui occorre
assemblare varie tessere per ottenere una quantità di informazioni
sufficiente per formulare una diagnosi corretta.
VALUTAZIONE FUNZIONALE DEL SISTEMA
AUDIO-VESTIBOLARE
Michele Raguso
D.M. Responsabile U.O. Otorinolaringoiatria - Ospedale della Murgia – Altamura, Bari
A
lle vertigini si associano frequentemente anche disturbi uditivi, e viceversa: ciò è dovuto agli stretti rapporti di vicinanza
che intercorrono tra il sistema vestibolare e quello uditivo.
Dopo un’anamnesi approfondita, un’indagine strumentale delle vie
uditive o vestibolari deve stabilire l’entità del deficit e la topografia
della lesione, per risalire alle cause della malattia. Nella diagnostica audiologica l’esame principe è l’audiometria soggettiva tonale,
che identifica la soglia uditiva alle varie frequenze, per via aerea e
ossea, evidenziando un possibile deficit uditivo e la sua entità. L’audiometria tonale permette di individuare anche la sede della lesione.
In un’ipoacusia di tipo trasmissivo, risulta ridotta solo la soglia per
via aerea: questo indica la presenza di una patologia dell’orecchio
esterno o medio. Nell’ipoacusia percettiva, originata da una patologia a livello cocleare o retrococleare, si osserva, invece, una riduzione di pari entità di entrambe le soglie. Altre indagini fondamentali
sono l’audiometria vocale, l’impedenzometria, i potenziali evocati
uditivi e le otoemissioni acustiche. L’audiometria vocale valuta la
menomazione sociale del paziente e fornisce informazioni di tipo
quantitativo, oltre ad indicare la sede di lesione. L’impedenzometria
valuta l’elasticità o compliance del sistema timpano-ossiculare. L’esame è costituito, in realtà, da due test: la timpanometria e lo studio
del riflesso stapediale. La prima rileva la variazione di impedenza
del sistema timpano-ossiculare, al variare della pressione nel condotto uditivo esterno. In condizioni fisiologiche si ottiene una curva a
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campana (Tipo A), mentre un timpanogramma piatto (Tipo B) indica
la presenza di una patologia dell’orecchio medio. Un picco della
compliance in presenza di una pressione negativa (Tipo C) è indice, invece, di una patologia tubarica, mentre timpanogrammi con
andamento “seghettato” (Tipo D ed E), segnalano una probabile
discontinuità della catena ossiculare (Figura 1).
La valutazione del riflesso stapediale fornisce utili indicazioni nello
studio delle patologie trasmissive, cocleari e retrococleari.
I potenziali evocati uditivi indagano l’attività elettrica che si sviluppa
nel trasferimento dell’informazione acustica al sistema nervoso centrale: consentono di valutare il livello di soglia e di trarre indicazioni
sull’eziologia dell’ipoacusia e sulla sede del processo patologico.
L’elettrococleografia, o studio dei potenziali immediati, valuta l’attività elettrica a livello dell’orecchio interno, per verificare la funzionalità del recettore periferico. L’ABR, o studio dei potenziali veloci,
è la metodica più utilizzata e valuta, invece, l’attività elettrica che
si sviluppa nei primi 10 millisecondi, nel trasferimento dell’impulso
elettrico dal nervo acustico al collicolo inferiore. L’attività elettrica
viene registrata sotto forma di cinque onde, generate dall’attività di
diversi centri nervosi. Si valutano la comparsa delle onde, l’ampiezza e, soprattutto, la latenza: un rallentamento nella progressione
dell’impulso fornisce indicazioni sull’esistenza di una sofferenza a
un determinato livello e sulla probabile sede di lesione. Vi è infine
l’elettroencefaloaudiometria, o studio dei potenziali lenti, che valuta
l’attività elettrica che si sviluppa a livello corticale.
La funzionalità del sistema uditivo può essere valutata anche con
le otoemissioni acustiche. La loro genesi è riconducibile a meccanismi attivi delle cellule ciliate esterne e a fenomeni osmotici. Le
otoemissioni percorrono a ritroso il tragitto delle onde sonore, dalla
coclea alla membrana timpanica, fino al condotto uditivo esterno,
dove sono captate. Questa metodica fornisce informazioni solo sulla funzionalità delle cellule ciliate del recettore periferico.
La valutazione funzionale del sistema vestibolare riguarda le funzioni
vestibolari, la funzione visuo-oculomotoria e il sistema posturale.
La funzione vestibolare è valutata con le metodiche obiettive descritte nella relazione precedente, e con esami strumentali (prove
caloriche, rotatorie e galvaniche, i VEMPs, il video HIT), per alcuni di
questi ci si avvale dell’elettronistagmografia o della videonistagmografia. Le prove rotoacceleratorie possono essere rotatorie (prova
di Bárány, cupolometria, prova di Montandon) o pendolari (stimolazione mantenuta, stimolazione smorzata). Eseguendo rotazioni in
senso orario e antiorario, si stimola l’attività dei canali SC laterali:
Tipo A
-600 -400 -200
0
Tipo B
+200 +400 +600 -600 -400 -200
0
Tipo D
-600 -400 -200
0
Tipo C
+200 +400 +600 -600 -400 -200
0
+200 +400 +600
Tipo E
+200 +400 +600 -600 -400 -200
0
+200 +400 +600
Figura 1. Esempi di timpanogramma
sono costantemente valutati il nistagmo e, soprattutto, il rapporto
tra la velocità angolare della fase lenta del nistagmo e la velocità della sedia, che fornisce indicazioni sul guadagno. I VEMPs, suddivisi
in ocular VEMPs e cervical VEMPs, permettono di valutare l’attività
dei recettori delle macule, rispettivamente dell’utricolo e del sacculo. L’esame può essere eseguito monoauralmente o binauralmente,
in modo semplice e veloce, con un’immediata interpretazione dei
risultati. I VEMPs permettono di valutare anche l’attività del nervo
vestibolare inferiore e sono particolarmente utili per la diagnosi di
deiscenza dei canali semicircolari e della sindrome di Ménière. Con
l’HIT si valuta l’attività del riflesso vestibolo-oculomotore (VOR): può
essere integrato con metodiche strumentali per controllare i movimenti saccadici di recupero. È una metodica di facile esecuzione,
utile per la diagnosi differenziale tra forme periferiche e centrali, in
condizioni d’emergenza. La partecipazione del sistema visivo al
controllo dell’equilibrio viene valutata studiando la capacità di seguire delle immagini in movimento. I movimenti possono essere lenti
(pursuit) o rapidi (saccadici, NOC): se ne esaminano la latenza, la
velocità e la precisione di esecuzione. Per la valutazione della postura e dell’equilibrio si ricorre alla stabilometria: la posizione e la
superficie del baricentro, la lunghezza e la velocità delle oscillazioni
rappresentano i principali parametri analizzati.
Queste numerose tecniche diagnostiche permettono di valutare
l’entità del deficit uditivo-vestibolare e le relative cause: la diagnostica per immagini può, eventualmente, definire meglio la patologia.
LA VERTIGINE PERIFERICA
Augusto P. Casani
Dipartimento di Patologia Medica, Chirurgica, Molecolare e dell’Area Critica, Sezione ORL, Università degli Studi
di Pisa
I
6
l deficit vestibolare acuto (DVA) monolaterale rappresenta la conseguenza della perdita improvvisa della funzione di un labirinto
ed è caratterizzato dall’insorgenza di vertigine rotatoria acuta di
lunga durata (superiore alle 24 ore) e segni di grave compromissione posturale, oltre che da intensi fenomeni neurovegetativi (nausea,
vomito, ipotensione ecc.). L’eziologia certa di tale affezione rimane
CORSO CRS
perlopiù sconosciuta, anche se si ritiene che la causa più comune
sia individuabile in un processo infiammatorio a genesi virale di cui
l’Herpes simplex virus di tipo 1 sembra l’agente più spesso chiamato in causa. Tuttavia, non può essere esclusa a priori un’origine
vascolare del DVA, legata a un’ostruzione dell’arteria uditiva interna
o di un ramo di sua pertinenza, in particolare nelle persone anziane
e/o con fattori di rischio cardiovascolare.
Nella maggior parte dei casi il DVA è riconducibile a un interessamento delle strutture innervate dal nervo vestibolare superiore e irrorate dall’arteria vestibolare anteriore, ovvero il canale anteriore, il
laterale e l’utricolo, o dal nervo vestibolare nella sua totalità; tuttavia,
è descritta la possibilità di un interessamento selettivo del nervo vestibolare inferiore. Sebbene un episodio di DVA possa rappresentare la manifestazione di esordio della malattia di Ménière, l’osservazione del paziente nel tempo permetterà di denotare una ricorrenza
delle crisi di vertigine oltre che delle problematiche uditive tipiche del
disturbo, consentendo il giusto inquadramento dell’episodio stesso.
Gli o-VEMPs in fase acuta potrebbero agevolare la diagnosi differenziale; tuttavia, considerando che la crisi vertiginosa della Ménière
si risolve nell’arco di 12 ore, l’esame risulta scarsamente applicabile
ed utile nella pratica clinica.
È opportuno ricordare anche che un episodio di vertigine acuta
prolungata non è necessariamente espressione di una problematica periferica, potendo essere manifestazione anche di un infarto
a sede cerebellare o tronco-encefalica; una bedside examination
condotta opportunamente può essere dirimente e agevolare la diagnosi differenziale.
Nel corso di un DVA sono riconoscibili segni statici e segni dinamici.
Trai primi riconosciamo: il nistagmo spontaneo, indice dello squilibrio tra i due emisistemi vestibolari, la lateropulsione e l’ocular tilt
reaction (deviazione della verticale visiva soggettiva, disallineamento
oculare valutabile mediante il cover test, tilt della testa), che esprime la compromissione otolitica. Tra i segni dinamici troviamo invece
l’instabilità dinamica del paziente, a cui risulta difficile mantenere la
posizione marciando sul posto (test di Unterberger), l’asimmetria del
riflesso vestibolo-oculomotore (VOR) e il disallineamento del polo
retinico o ciclotorsione oculare, valutabile solo con l’esame del fondo dell’occhio. Il nistagmo spontaneo osservabile nel corso di un
DVA presenta le tipiche caratteristiche di un nistagmo vestibolare
periferico (orizzontale o orizzontale-rotatorio, inibito dalla fissazione,
monodirezionale con fase rapida diretta verso il labirinto sano e non
mutabile variando la posizione del corpo e/o del capo del paziente
e la direzione dello sguardo, di intensità e frequenza variabile in accordo con le leggi di Alexander) e mostra tendenza ad accentuarsi
con manovre quali l’Head Shaking Test (HST) o il test vibratorio; proprio quest’ultimo test permane positivo evidenziando un nistagmo
anche a distanza di mesi dall’episodio acuto. Dal momento che la
fissazione inibisce il nistagmo, la sua osservazione dopo le fasi iniziali può richiedere la valutazione con occhiali di Frenzel o maschere
ad infrarossi.
Il sospetto di DVA viene avanzato principalmente su base clinico-anamnestica: ad una storia pertinente si associeranno tipicamente il
nistagmo già descritto, un HST positivo e diretto verso il lato sano,
un HIT positivo sul lato affetto e uno spin patologico verso il labirinto
sede della lesione al test di Unterberger. La conferma del deficit
avviene mediante ricorso alla prova calorica e al vHIT; quest’ultimo
test, associato ai potenziali vestibolari evocati miogenici cervicali e
oculari permetterà poi una topodiagnosi più accurata. Una volta
superata la fase acuta, per l’instaurarsi di fenomeni di compenso
centrale (insieme di meccanismi centrali che permettono di ripristinare una situazione funzionalmente normale anche in assenza
di un labirinto), per il recupero funzionale del nervo vestibolare o
grazie all’ottimizzazione degli altri input sensoriali (propriocettivo e
visivo) si delinea una fase, definibile come subacuta, in cui il nistagmo spontaneo tende progressivamente ad attenuarsi fino a divenire
subclinico ed evidenziabile esclusivamente con manovre di slatentizzazione (come ad esempio l’HST o il test vibratorio), il corredo
sintomatologico si allevia ed il paziente riacquisisce gradualmente
una normale performance posturale, statica prima e dinamica poi.
In questa fase il deficit può essere dimostrato mediante prova calorica o video HIT. I meccanismi di compenso saranno tanto più rapidi
ed efficaci quanto maggiore è la plasticità neuronale (i bambini hanno un compenso quasi immediato) e quanto più efficienti sono gli
altri input sensoriali (l’anziano con neuropatie e disturbi visivi mostra
un compenso molto più lento).
In questa fase di compenso, da non sottovalutare è l’atteggiamento
psicologico del paziente. L’esperienza della vertigine acuta è traumatica: nel paziente in cui residui una disabilità dopo l’evento avuto,
è osservabile talora lo sviluppo di atteggiamenti ansiosi potenzialmente tali da rallentare fino a compromettere il recupero funzionale
e il ritorno alla normalità e in grado di alterare in modo significativo
la qualità di vita del paziente (vertigine posturale fobica o psicogena). In questo contesto può essere indicata una terapia con farmaci
psicoattivi; tuttavia, considerato che se da un lato l’ansia tende a
peggiorare l’outcome di una nevrite vestibolare, un adeguato livello
di “tensione” è positivo in quanto la plasticità neuronale è meglio
modulata in presenza di una quota ottimale di stress. È comunque
necessario ricorrere con cautela agli ansiolitici per non limitare le
possibilità di un recupero adeguato.
Talvolta, dopo un DVA può capitare anche che il paziente, in caso di
conflitto tra input visivo e vestibolare, tenda a prediligere il primo affidandosi totalmente ad esso, quadro definito come di “dipendenza
visiva”. Dal momento che tale status interferisce con il pieno recupero, può essere opportuno intervenire impostando per il paziente
un apposito ciclo di rieducazione vestibolare, che in questo caso
prevede le stimolazioni ottico-cinetiche. Alcuni esami consentono di
valutare l’evoluzione e l’outcome di un DVA. Uno studio ha rilevato
come l’associazione di un HIT clinico alterato e un nistagmo vibratorio particolarmente positivo si associ ad una maggiore difficoltà del
paziente a recuperare, indicando la necessità di intervenire precocemente con la riabilitazione vestibolare.1 Un altro esame di rilevante
utilità ai fini di valutare la ripresa del paziente è la posturografia con
superficie soffice. Secondo uno studio tedesco, la rilevazione della
lunghezza dello sway, utilizzando una superficie soffice, rappresenta il miglior indicatore del follow up riabilitativo.2 Tuttavia, non sempre
il livello di danno vestibolare misurato con esami strumentali risulta
correlato alla sensazione soggettiva di vertigine ed al livello di “Functional Capacity” e sarà importante stabilire l’outcome non solo con
analisi strumentali, in grado di fornire parametri oggettivi, ma anche
con questionari inerenti la quality of life, atti a fornire dati soggettivi
7
REPORT
attraverso i quali monitorare la reale ripresa funzionale del paziente.
Come già accennato, un DVA può anche essere espressione di
una problematica esclusiva della branca inferiore del nervo vestibolare o delle strutture afferenti ad essa. Si tratta di una patologia
relativamente rara, che richiede tempi di recupero spesso minori,
diagnosticabile tramite il ricorso ad esami strumentali (vHIT patologico solo sul piano del canale posteriore, normale sul piano dei
canali anteriore e laterale, c-VEMPs alterati, o-VEMPs normali) e in
cui è clinicamente osservabile un nistagmo spontaneo torsionale.
La più elevata incidenza della nevrite vestibolare superiore è dovuta
alla maggior lunghezza del nervo vestibolare superiore e a peculiarità anatomiche del condotto uditivo interno, che probabilmente
contribuiscono alla compressione del nervo durante un fenomeno
infiammatorio (Figura 1).
Evento assai invalidante, soprattutto per l’oscillopsia che ne rappresenta il sintomo principale, ma fortunatamente poco comune è
il deficit vestibolare bilaterale, riconducibile perlopiù a cause diverse
rispetto agli eventi monolaterali. Oltre che tramite il ricorso al test
calorico, alle prove rotatorie e all’HIT, che risulterà bilateralmente
deficitario, è diagnosticabile mediante il test di acuità visiva, che
prevede di far leggere al paziente la tavola ortottica facendo muovere la testa come durante l’HST: in caso di deficit si documenta la
perdita di cinque o più righe in termini di acuità visiva. Di fronte ad
un deficit bilaterale è indicato avviare un ciclo di rieducazione vestibolare, nella nostra esperienza determinante nel favorire il recupero
del paziente.
La patologia labirintica di maggior riscontro nell’arco della vita è rappresentata dalla Vertigine Parossistica Posizionale Benigna (VPPB),
che costituisce anche la causa più frequente di vertigine con una
prevalenza nella popolazione generale del 2,4-10%. I pazienti affetti
sperimentano caratteristicamente vertigini rotatorie di breve durata (secondi), intense, a crisi, favorite da movimenti del capo o del
corpo e associate ad una intensa sintomatologia neurovegetativa.
L’ipotesi patogenetica più accreditata prevede che la VPPB sia imputabile al distacco di otoliti dalla macula dell’utricolo e alla loro dislocazione in uno dei tre canali semicircolari che diviene responsivo
ai cambiamenti di posizione del capo rispetto all’asse di gravità.
Più frequentemente la patologia è monolaterale e riguarda il canale
semicircolare posteriore (di raro riscontro le forme bilaterali e/o pluricanalari); immediatamente meno coinvolto è il canale laterale, più
raramente l’anteriore. L’eziologia della VPPB rimane perlopiù non
compresa ed è classificata come idiopatica in più del 70% dei casi;
solo quando un soggetto riferisce un trauma recente è possibile individuare un nesso di causa-effetto ed inquadrare il disturbo come
post-traumatico. Laddove la VPPB si manifesti dopo un episodio
di neurolabirintite e mostri carattere recidivante può esserne individuata l’origine vascolare. Al fine di ottenere la remissione del disturbo ci si avvale di manovre fisiche (liberatorie), ideate allo scopo
di indurre la fuoriuscita degli ammassi otoconici dal canale respon-
8
Nervo vestibolare superiore
• Canale orizzontale
• Canale anteriore
• Utricolo o VEMP
• Sacculo (parte
anterosuperiore)
Anteriore, orizzontale
SCC
Nervo vestibolare inferiore
• Canale posteriore
Utricolo
• Utricolo o VEMP
a
Nervo
vestibolare
Sacculo
c
Ganglio
vestibolare
b
Nervo
vestibolare
inferiore
Posteriore
SCC
Figura 1. I nervi vestibolari superiore e inferiore
sabile dei sintomi. Non sussiste quindi indicazione a una terapia
farmacologica se non sintomatica; tuttavia, poiché in un 30-40%
dei pazienti trattati con un’efficace manovra liberatoria residuano
instabilità (residual dizziness) e nausea di grado variabile e tali da
risultare oltremodo invalidanti, è possibile intervenire con molecole
che possono favorirne la riduzione inducendo quindi un miglioramento della qualità di vita e consentendo il normale svolgimento
delle attività quotidiane.
Altra patologia vestibolare periferica è la malattia di Ménière, affezione perlopiù idiopatica dell’orecchio interno imputabile allo sviluppo
di idrope endolinfatico e caratterizzata da una triade sintomatologica rappresentata da ipoacusia, inizialmente fluttuante e sui toni gravi, fullness, acufene e vertigine ricorrente. La diagnosi viene perlopiù
formulata su base clinica. I criteri elaborati da diverse società scientifiche internazionali, tra cui la Bárány Society e la European Association for Otology and Neuro-Otology, prevedono per la forma
definita che vengano osservati due o più episodi di vertigine rotatoria, ognuno dei quali di durata da 20 minuti a 12 ore, in associazione ad un’ipoacusia documentata sulle basse e medie frequenze
prima, durante o dopo uno degli episodi di vertigine. Di fronte a
questi sintomi fluttuanti, la diagnosi non può che essere clinica. Una
risonanza magnetica è comunque doverosa per la diagnosi differenziale (in particolare con il neurinoma dell’VIII).
Bibliografia
1. Mandalà M, Nuti D. Long-term follow-up of vestibular neuritis. Ann N Y Acad
Sci. 2009;1164:427-9.
2. Strupp M, Arbusow V, Maag KP, Gall C, Brandt T. Vestibular exercises improve central vestibulospinal compensation after vestibular neuritis. Neurology.
1998;51:838-44.
CORSO CRS
LA VERTIGINE CENTRALE
Vincenzo Marcelli
Asl Na-1 PO S. Giovanni Bosco, Napoli - Unina
N
ella vertigine centrale, semeiotica e strategia diagnostica
sono identiche a quelle descritte per le forme di vertigine
periferica. In un paziente acuto, un semplice esame clinico
può consentire di arrivare a una precisa diagnosi differenziale tra
forme periferiche e centrali. Le cause di vertigine centrale possono
essere di natura vascolare, neoplastica o degenerativa: l’esordio più
o meno acuto permette di orientarsi verso l’una o l’altra patologia.
Dopo un’accurata anamnesi, la semeiologia indaga i segni vestibulo-oculomotori spontanei e generati da manovre cliniche, di tipo
nistagmico e non nistagmico. I segni spontanei nascono da un’asimmetria statica del guadagno del riflesso vestibulo-oculomotore
(VOR) e caratterizzano la fase acuta della vestibolopatia. La via gravicettiva, che consente agli occhi di mantenere un assetto corretto
sul piano frontale, è costituita prevalentemente dalla macula dell’utricolo, con il contributo dei canali verticali, dai nuclei vestibolari, e da
strutture centrali (nuclei oculomotori, fascicolo longitudinale mediale, nucleo interstiziale di Cajal, nucleo rostrale interstiziale del FLM).
La via è ipsilaterale dal labirinto posteriore fino al bulbo, e diventa
controlaterale dal bulbo in poi. Una lesione di questa via produce un
disallineamento verticale dei globi oculari (skew deviation), che si accompagna a una ciclotorsione. Si possono osservare, inoltre, un tilt
del capo e un’alterata percezione della verticalità. L’alterazione della
statica oculare sul piano frontale fornisce precise indicazioni topografiche della sede della lesione: in caso di lesione labirintico-bulbare, infatti, i segni sono ipsilesionali, mentre in presenza di una lesione
ponto-mesencefalica i segni sono controlesionali (Figura 1).
Nella valutazione del nistagmo spontaneo posizionale, si indagano
aspetti quantitativi (indagini strumentali) e qualitativi (bedside examination). Due aspetti qualitativi vanno osservati con particolare attenzione, qualora si sospetti una lesione centrale: il piano e la direzione
(orizzontale, verticale, torsionale). Un nistagmo che batte in un unico
piano desta sospetto, poiché difficilmente una lesione periferica può
colpire un solo CS. Al contrario, una lesione periferica determina un
nistagmo di tipo misto. Inoltre, se un nistagmo orizzontale può essere di origine tanto periferica quanto centrale, molto più difficilmente un nistagmo verticale o torsionale può essere generato da una
lesione periferica. Non va trascurata, poi, la risposta alla fissazione
visiva: un deficit di inibizione o un rinforzo paradosso escludono l’ipotesi di una lesione periferica.
Anche i segni vestibulo-oculomotori generati da manovre cliniche
possono essere nistagmici e non nistagmici. Tali manovre possono
essere eseguite in assenza (il paziente non ha nistagmo spontaneo)
o in presenza di un’asimmetria statica (il paziente ha un nistagmo
spontaneo). Nel primo caso, la positività di tali manovre può accertare la presenza della cosiddetta “cicatrice vestibolare”: il paziente
compensa perfettamente e, dopo un Head Shaking test, manifesta
un nistagmo che batte verso il lato sano. In presenza di un’asimmetria statica, le manovre cliniche dovranno avere un effetto sul
nistagmo spontaneo, se questo è di origine periferica, mentre non
produrranno alcuna modifica sullo stesso se il nistagmo è di tipo
ri
MLF
Vim
Vce
INC
Mesencefalo
III
IV
Ponte
VIII
VI
S
L M
I
Bulbo
Utricolo
CS Verticali
Figura 1. Segni vestibulo-oculomotori spontanei, non nistagmici, e sede
della lesione
centrale. È il caso ad esempio dell’Head Shaking test. Inoltre, se
eseguendo questo test sul piano orizzontale si genera un nistagmo down-beating, up-beating o torsionale, si tratta di una risposta
perverted da dismodulazione centrale. Infine, la comparsa di un nistagmo dopo pochi cicli (HS da stimolo minimo) deve far sospettare
una lesione cerebellare. Con il test di iperventilazione si può osservare la comparsa di un nistagmo transitorio, in assenza di nistagmo
spontaneo, o un’inversione transitoria della direzione o del piano del
nistagmo spontaneo. La comparsa di questi segni rappresenta un
indice di patologie centrali, come una sclerosi multipla, uno schwannoma o una cerebellopatia.
Per evidenziare segni di tipo non nistagmico si ricorre al test di Halmagyi e Curthoys, che utilizza rotazioni di piccola ampiezza, molto
rapide, per escludere l’inseguimento visivo. La negatività del test in
presenza di un nistagmo spontaneo sul piano orizzontale è suggestiva di lesione a carico dell’apparato vestibolare centrale. Queste
brevi e semplici manovre sono così precise, che la scuola di Newman-Toker le ha raggruppate nell’acronimo HINTS (Head Impulse,
9
REPORT
Nystagmus, Test of Skew deviation).1 L’alterazione di questi test
indica la presenza di una lesione centrale, con una sensibilità superiore a quella di una risonanza eseguita in acuto.
I segni visuo-oculomotori comprendono movimenti saccadici (MS) e
di inseguimento lento (SP). I primi coinvolgono aree corticali differenti, a seconda del tipo di movimento.2 Gli MS volontari sono distinti in
finalizzati, predittivi, antisaccadici, memorizzati ed endogeni.
Negli MS finalizzati sono implicate diverse strutture che decidono
quali movimenti eseguire e quando: tra queste, il collicolo superiore.
Il tronco encefalico agisce da esecutore materiale, mentre l’azione
di controllo è svolta dal cervelletto, che garantisce anche che gli occhi restino stabili in posizione eccentrica. Nei movimenti orizzontali
la velocità è determinata dal ponte, mentre il mesencefalo provvede
ai movimenti torsionali e verticali. Nello studio dei movimenti saccadici si può valutare la riduzione della velocità massima (Vmax),
il corretto mantenimento dell’occhio in posizione eccentrica, e la
precisione del movimento oculare: la variazione della latenza non
è valutabile solo con la bedside examination. Una riduzione della
velocità con cui il paziente muove gli occhi sul piano orizzontale è
indicativa di una lesione del ponte: a questo segno se ne affiancano
altri, come la paralisi coniugata orizzontale dello sguardo. Se il rallentamento è sui movimenti verticali, la lesione è localizzata invece
a livello mesencefalico. L’instabilità eccentrica rappresenta un altro
dato fondamentale, di significato topodiagnostico. Una lesione delle
strutture flocculo-paraflocculari determina un nistagmo da sguardo
eccentrico, con possibile rimbalzo.
Bibliografia
1. Kattah JC, et al. HINTS to diagnose stroke in the acute vestibular syndrome: three-step bedside oculomotor examination more sensitive than early
MRI diffusion-weighted imaging. Stroke. 2009 Nov;40(11):3504-10.
2. Pierrot-Deseilligny C, et al. Eye movement control by the cerebral cortex.
Curr Opin Neurol. 2004 Feb;17(1):17-25.
RUOLO DELLE MALFORMAZIONI LABIRINTICHE
NELLA VERTIGINE
Alessandro Martini
Otorinolaringoiatria e Audiologia, Dipartimento di Neuroscienze, Padova
I
l miglioramento delle tecniche neuroradiologiche e delle competenze in campo genetico ha aumentato notevolmente le conoscenze nell’ambito delle disfunzioni vestibolari, permettendo di
scoprire e comprendere molti aspetti - soprattutto di carattere eziologico - di queste malattie che, in precedenza, potevano non essere inquadrate e trattate nel modo più corretto; l’errato approccio terapeutico dovuto a un mancato riconoscimento di una determinata
patologia è un problema serio, poiché può peggiorare ulteriormente
un quadro clinico già di per sé severo.
Approfondire le cause genetiche delle malattie vestibolari ha messo
in luce come spesso una patologia, soprattutto se a carattere sindromico, non sempre presenti una chiara associazione tra la mutazione genica e la manifestazione dei sintomi: ne è un chiaro esempio
la malattia di Ménière, un disturbo che i ricercatori, già negli anni ’80,
avevano associato a un’ereditarietà familiare. Negli anni 2000 l’identificazione del gene COCH è riuscita a spiegare vari casi di Ménière
osservati in aree specifiche, soprattutto in Olanda e in Belgio.1 Altri
studi hanno messo in luce anche come diverse mutazioni di particolari loci del complesso HLA (Human Leucocyte Antigen) siano coinvolti nell’insorgenza della patologia;2,3 ancora, ricerche più recenti
hanno riscontrato un coinvolgimento di alcune proteine di membrana espresse nelle cellule dell’orecchio interno, note come acquaporine nello sviluppo della malattia.4 Nessuna di queste mutazioni
è però mai stata associata con tutti i casi di sindrome di Ménière
diagnosticati. La fisiopatologia dell’udito è dunque sotto il controllo
di centinaia di geni e ogni disfunzione uditiva ereditaria può essere
10
causata da una grande varietà di mutazioni in loci genici differenti.
Al fine di poter avviare una terapia efficace e tempestiva è molto
importante, con l’ausilio della radiologia, classificare correttamente
le malformazioni vestibolari e dell’orecchio interno. Il tipo di malformazione comporta una diversa modalità di approccio da parte dello
specialista e una corretta diagnosi consente di mettere in pratica il
trattamento più opportuno per il singolo caso: alcune malformazioni
possono infatti complicare l’approccio chirurgico, altre ancora possono rendere difficile il fitting dell’apparecchio e richiedere ripetuti
mappaggi, altre ancora possono rappresentare una controindicazione assoluta all’impianto cocleare, come nel caso della LAMM
(Labyrinthine Aplasia, Microtia, and Microdontia). La LAMM è una
rarissima patologia a carattere ereditario: sebbene le anomalie non
siano eclatanti, nei bambini affetti le orecchie appaiono più piccole
e lievemente malformate, e anche i denti hanno un aspetto più piccolo della norma. Alla risonanza l’orecchio medio appare normale,
ma, dopo la staffa, si osserva la completa mancanza del blocco
cocleo-vestibolare (Figura 1). Ovviamente, in questo caso non è
possibile eseguire l’impianto cocleare.5
In generale comunque gli impianti cocleari forniscono ottimi risultati,
anche in presenza di malformazioni dovute a mutazioni geniche: in
uno studio condotto tra il 1996 e il 2012 recentemente pubblicato è
stato evidenziato che, su 426 bambini sottoposti a impianto, circa
il 40% presentava malformazioni auricolari o cerebrali, ma gli esiti
dell’intervento in questa coorte di pazienti si sono rivelati comunque
molto buoni.6
CORSO CRS
fenotipi aberranti. Dai risultati è emerso che le disfunzioni vestibolari sono attribuibili a mutazioni in
svariati loci genici: alcune producono malformazioni grossolane, come per esempio le anomalie del
gene CHD7, responsabile della sindrome CHARGE. Mutazioni in una cospicua serie di geni sono
anche alla base della produzione di cellule ciliate
deformi e disorganizzate: rientrano tra questi alcuni
geni che codificano per le miosine, le caderine e le
protocaderine. Altre malformazioni, ancora, sono
causate da uno sviluppo anomalo del patch sensoriale in cui sono coinvolti, tra gli altri, i geni JAG1,
SIX1 e SOX2: queste mutazioni determinano, ad
esempio, anomalie o mancato sviluppo della crista
anteriore o posteriore. Altri geni (PDS, FOXI1, HSC)
causano problemi di omeostasi dei fluidi e malformazioni dell’orecchio interno. In ultimo, una serie
di geni è responsabile della produzione di otoconi
difettosi, che causano problemi di equilibrio.
L’identificazione dei geni coinvolti e l’analisi funzionale delle proteine che essi codificano stanno
quindi permettendo di comprendere meglio la fiFigura 1. Tac e risonanza magnetica di un caso di LAMM: le frecce indicano la staffa
siopatologia del sistema uditivo: la ricerca è ancora
(A e B) e il nervo facciale (C)5
molto lunga e complessa, ma una recente tecnica
analitica, la NGS (Next Generation DNA SequenL’anomalia dell’orecchio interno riscontrata più comunemente nella
cing), in grado di esaminare contemporaneamente circa 100 geni,
pratica clinica è la sindrome dell’acquedotto vestibolare allargato
sarà un ausilio fondamentale per ottenere questo obiettivo.
(EVA, Enlarged Vestibular Aqueduct), cioè superiore a 1,5 mm.7
Questa sindrome causa, nel bambino o nell’adulto, una sordità improvvisa, di solito conseguente a un microtrauma, e una breve vertigine. Il trattamento cortisonico immediato consente una completa Bibliografia
guarigione, ma se la patologia non viene curata, la perdita dell’udito 1. Verstreken M, et al. Hereditary otovestibular dysfunction and Ménière’s disè totale. Inoltre un acquedotto vestibolare allargato è stato osserease in a large Belgian family is caused by a missense mutation in the COCH
gene. Otol Neurotol. 2001 Nov;22(6):874-81.
vato in diverse altre patologie come, per esempio, la Pendred, una
sindrome che può provocare l’insorgenza di disturbi tiroidei anche 2. Melchiorri L, et al. Human leukocyte antigen-A, -B, -C and -DR alleles and
soluble human leukocyte antigen class I serum level in Ménière’s disease.
gravi: ancora una volta dunque, un riconoscimento corretto temActa Otolaryngol Suppl. 2002;(548):26-9.
pestivo del quadro clinico non è da considerarsi un mero eserci3. Rawal SG, et al. HLA-B27-associated bilateral Ménière disease. Ear Nose
zio accademico, ma un’occasione preziosa per evitare evoluzioni
Throat J. 2010;89(3):122-7.
drammatiche ed evitabili della sintomatologia.
4. Ishyama G, et al. Immunohistochemical localization and mRNA expression
Anche i modelli animali si sono rivelati importanti strumenti per
of aquaporins in the macula utriculi of patients with Meniere’s disease and
acoustic neuroma. Cell Tissue Res. 2010 Jun;340(3):407-19.
approfondire le conoscenze riguardo alla genetica delle malattie
vestibolari: essi permettono infatti di avere un riscontro diretto tra 5. Sensi A, et al. LAMM syndrome with middle ear dysplasia associated with
compound heterozygosity for FGF3 mutations. Am J Med Genet A. 2011
l’alterazione genica e quella anatomopatologica. Analizzando un
May;155A(5):1096-101.
particolare tipo di topo knock out, detto circling mouse poiché, a 6. Busi M, et al. Cochlear Implant Outcomes and Genetic Mutations in Children
causa di un difetto vestibolare, gira continuamente su se stesso, è
with Ear and Brain Anomalies. Biomed Res Int. 2015;2015:696281.
stato possibile indagare i geni deputati allo sviluppo della coclea e 7. Busi M, et al. Novel mutations in the SLC26A4 gene. Int J Pediatr Otorhinolaryngol. 2012 Sep;76(9):1249-54.
del labirinto e le loro mutazioni, responsabili della manifestazione di
11
REPORT
NEUROPLASTICITÀ E ACUFENI
Aldo Messina
Ambulatorio di Otoneurologia ed Acufenologia, A.O.U. Policlinico “Paolo Giaccone”, Palermo
L’
acufene è la percezione di un suono in assenza di stimolazione sonora ambientale esterna o interna. Cianfrone e
Cuda distinguono tre tipi di acufeni: quelli da deafferentazione, conseguenti a una sordità, quelli cross modali, dovuti a
un’eccessiva stimolazione di una via del sistema nervoso periferico, prevalentemente trigeminale e quelli di natura psichiatrica.
La genesi degli acufeni coinvolge numerose strutture del sistema
nervoso centrale (SNC), in particolare il nucleo cocleare dorsale,
il ventrale ed il collicolo inferiore. Svolgono un ruolo importante
quattro mediatori chimici: il glutammato, il più potente eccitatore
dell’SNC; l’acetilcolina, che esercita un’azione neuroplastica ed
eccitatoria; il GABA, inibitore; la serotonina, che agisce da neuromodulatore. La morte di un neurone determina, a livello biochimico, se avviene per apoptosi e non per necrosi, i fenomeni della
neurotossicità e della neurodegenerazione. Quando la morte neuronale è programmata, si ha l’apoptosi, un fenomeno attivo che
non produce molecole di scarto. La necrosi neuronale, invece,
è un evento non previsto e pericoloso, che lascia in circolo sostanze non completamente degradate, in grado di indurre reazioni anomale. Eccitotossicità, ossidazione, infiammazione, metalli
pesanti, eventi vascolari, patologie come il diabete, il Parkinson,
le demenze, sono solo alcuni degli eventi che possono causare la
morte neuronale. I mediatori chimici prodotti in eccesso e non più
metabolizzati, rimangono nell’SNC, danneggiandolo: questo fenomeno è definito eccitotossicità ed è causato, in particolare, dal
glutammato. L’attività eccitatoria di quest’amminoacido si esercita a livello del nucleo cocleare dorsale, coinvolto nel determinismo
degli acufeni, ma questo mediatore è implicato anche in molte
funzioni cognitive: perciò si ritiene che possa essere una delle
cause dell’Alzheimer. Il glutammato utilizza due recettori: l’AMPA
e l’NMDA. Quest’ultimo è coinvolto nell’insorgenza delle patologie
del sistema uditivo e vestibolare ed è molto sensibile alla concentrazione di calcio e zinco. Importante è anche il magnesio, che
instaura un sinergismo con il glutammato: alte concentrazioni di
questo elemento inibiscono il legame del glutammato al recettore
NMDA, proteggendo l’organismo dai fenomeni di eccitotossicità.
La morte neuronale può avvenire anche per fenomeni di ossidazione, determinati da un’iperproduzione locale di sostanze ad alto
potere ossidante (catecolamine, specie reattive dell’ossigeno, nitrossido, etc.). L’organismo si protegge con sistemi antiossidanti
endogeni (superossidodismutasi, glutatione), ma, con elevati livelli
di ossidazione, tali sistemi diventano insufficienti e si producono danni cellulari rilevanti. Uno studio del 2010 ha evidenziato
la presenza di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nella perilinfa, con conseguente danno dell’orecchio interno.1 Metalli e sostanze chimiche aumentano la flogosi neurogenica, producono
un’iperstimolazione dei recettori NMDA, aumentano la quantità
di perossido d’azoto, e quindi di acido nitrico, determinando un
danno neurogenico, che diventa irreversibile. L’organismo non è
12
dotato di nessun meccanismo di protezione contro l’intossicazione da metalli, che viene trattata con la terapia chelante. L’équipe
di acufenologia del Policlinico Giaccone di Palermo ha valutato
con la spettrometria di massa persone che avevano acufeni, confrontandole con un gruppo di controllo privo di questo disturbo.
Nei due gruppi non si è rilevata una differenza significativa nella
concentrazione di mercurio, mentre quella del piombo è risultata
significativamente più elevata nel gruppo acufenopatico. Sorprendentemente più bassa si è rivelata, però, la concentrazione di cromo nel gruppo con acufeni (Figura 1).
La bassa concentrazione di cromo è responsabile della maggiore
sensibilità ai danni da mercurio e da piombo. Il cromo è coinvolto
nel metabolismo glucidico: questo metallo si comporta sempre
come un acido di Lewis, con elettroni spaiati, determinando uno
stress ossidativo. Entro certi limiti, la cellula riesce a proteggersi
con la poli (ADP ribosio) polimerasi (PARP): quando questo meccanismo non è più sufficiente, il DNA si spezza, senza possibilità di riparazione, e la cellula muore per necrosi, rilasciando altre
sostanze tossiche. Un ruolo molto importante è rivestito, poi, dai
processi infiammatori, che sono caratterizzati da fenomeni cellulari e umorali, oltre che da alterazioni enzimatiche.
Il SNC è in grado di ripararsi e rigenerarsi, attraverso reazioni di
neuroriparazione, quando il danno è limitato, o di neuroplasticità,
quando viene coinvolto l’intero sistema.
La neuroplasticità si realizza attraverso due meccanismi: lo
sprouting, che comprende fenomeni di rigenerazione, e il pruning, cioè la potatura di neuroni non funzionanti e inutili. Tempo
fa si riteneva che la trasmissione periferia-cervello fosse punto a
punto, ma Merzenich ha osservato come, invertendo chirurgicamente alcuni nervi, la trasmissione punto a punto non si invertisse
e come, recidendo il nervo ulnare, dopo qualche mese, le sue
proiezioni corticali fossero invase, per competitività, da quelle del
nervo radiale. Similmente, se un acufene si è situato a livello corticale, ampliando le proprie zone da deafferentazione, l’area di una
certa frequenza è invasa dalle terminazioni delle frequenze vicine.
L’acufene da deafferentazione può essere anche visto come una
sorta di arto fantasma: la deafferentazione uditiva crea una proiezione corticale inesistente.
La terapia si diversifica in base al tipo di acufene e da quanto
tempo è insorto. In caso di sordità, applicando una protesizzazione precoce e provando a curare il meccanismo metabolico della
persona, probabilmente si impedisce la morte neuronale e si evita
l’insorgenza degli acufeni. Nel caso di un acufene di lunga data
l’avvenuta corticalizzazione rende inutile ogni approccio terapeutico. Gli acufeni cross modali non sono curabili con la protesi acustica, né con la terapia farmacologica. L’otoiatra deve comprendere quale, tra le tante possibili cause di questo tipo di acufeni,
possa determinare un conflitto neuro-neuronale, prevalentemente
nel sistema trigeminale, ma anche nel vagale. Gli acufeni cross
CORSO CRS
modali possono insorgere da stimoli provenienti dall’articolazione
temporo-mandibolare (ATM), poiché le strutture dell’orecchio medio derivano evolutivamente dalla mandibola dei pesci. In questi
casi, una prima valutazione consiste nell’osservare le modalità di
deglutizione: se il soggetto fa smorfie e, soprattutto, infila la lingua
fra i denti, ha una deglutizione disfunzionale. Si può verificare,
inoltre, se la lunghezza del frenulo è adeguata e se l’ATM funziona
correttamente. Da queste valutazioni si può cominciare a costruire un percorso per la cura degli acufeni. L’acufene cross modale
può essere associato anche ad alterazioni cardiache e del nervo
Mercurio
Bibliografia
1. Ciorba A, et al. Reactive oxygen species in human inner ear perilymph. Acta
Otolaryngol. 2010 Feb;130(2):240-6.
2. Pirodda A, et al. Possible influence on heart rate on tinnitus. Med Hypotheses. 2009 Jan;72(1):45-6.
3. Pirodda A, et al. Systemic hypotension and the development of acute sensorineural hearing loss in young healthy subjects. Arch Otolaryngol Head Neck
Surg. 2001 Sep;127(9):1049-52.
Piombo
p=0,074
2,0
Pb (scala logaritmica)
6
4
2
0,50
Cromo
*
1,00
Cr (scala logaritmica)
p=0,2095
8
Hg
vago. In quest’ambito, particolarmente importanti sono stati gli
studi di Pirodda e Modugno.2,3
*
0,20
*
p=0,0003
0,50
0,20
0,10
0,05
0,05
0
0,02
NO
SI
NO
Acufeni
SI
Acufeni
NO
SI
Acufeni
Figura 1. Concentrazioni di metalli pesanti in soggetti acufenopatici e sani
13
REPORT
LA VERTIGINE VASCOLARE
Augusto P. Casani
Dipartimento di Patologia Medica, Chirurgica, Molecolare e dell’Area Critica, Sezione ORL, Università degli Studi
di Pisa
L’
esperienza clinica, supportata da dati strumentali, epidemiologici e sperimentali, ci ha permesso ormai di osservare
come una sintomatologia vertiginosa acuta possa essere
riferibile non solo a cause di natura virale ma anche vascolare.
È noto infatti che l’arteria uditiva interna, di pertinenza del circolo
vertebro-basilare e responsabile dell’apporto di sangue all’orecchio
interno, rappresenta un ramo terminale di piccolo calibro e privo
di collaterali, pertanto estremamente suscettibile agli insulti di natura ischemica. Tra i rami di pertinenza dell’arteria uditiva interna,
la vestibolare anteriore, che irrora il canale semicircolare superiore,
il laterale e l’utricolo, risulta particolarmente suscettibile agli insulti
ischemici, a causa delle piccole dimensioni e della totale assenza di
collaterali (Figura 1).
Inoltre, il circolo vertebro-basilare presenta una portata ematica non
elevata, stimata pari al 20% di quella del circolo carotideo anteriore,
a fronte di una maggior necessità di metaboliti e una particolare
suscettibilità ad una riduzione del flusso ematico da parte dei tessuti
da esso irrorati, nei quali ritroviamo la maggior parte delle strutture
adibite al controllo dell’equilibrio. Quanto esposto spiega perché la
vertigine rappresenta un sintomo comune dell’insufficienza vertebro-basilare (IVB) e talvolta l’unica e prima manifestazione isolata.
Sia fenomeni di natura emorragica che ischemica, che si sviluppino con meccanismo trombo-embolico o emodinamico, possono
essere alla base di una problematica vascolare in questo distretto.
La Bárány Society ha elaborato dei criteri - che più si adattano ai
neurologi che agli otoiatri - per diagnosticare la vertigine vascolare
definita e probabile, che tuttavia non appaiono dirimenti. La sintomatologia non è specifica di sede e non necessariamente coesistono segni neurologici. Un lavoro storico di Grad e Baloh (1989)
ha evidenziato come le vertigini episodiche e ricorrenti potrebbero avere un’origine vascolare e debbano essere opportunamente
considerate e inquadrate in quanto possibile espressione di IVB e
prodromo di un successivo più importante accidente vascolare.1
Nel 1956 Lindsay e Hemenway descrissero pazienti che a distanza
di alcune settimane da un episodio di vertigine acuta periferica, avevano sviluppato crisi di vertigine posizionale ricorrente2 ipotizzando
un danno a carico dell’arteria vestibolare anteriore a cui avrebbe
fatto seguito un distacco di materiale otolitico utricolare e la successiva entrata del materiale stesso nel canale posteriore, funzionante
in quanto irrorato dall’arteria vestibolo-cocleare rimasta integra e
pertanto responsabile della sintomatologia rilevata. Le osservazioni
riscontrate da questi autori furono tra le prime a supportare un’origine vascolare per una sintomatologia vertiginosa periferica. Una
vertigine acuta isolata non rappresenta una manifestazione specifica per una sede periferica del disturbo e può essere espressione
di una problematica vascolare a sede centrale. Ne sono esempi la
sindrome di Wallenberg, o infarto laterale del bulbo, in cui l’iniziale
interessamento della porzione più periferica del tronco può produr-
14
re sintomi di tipo periferico che si accompagnano comunque rapidamente a sintomi prettamente neurologici, e l’infarto cerebellare.
Quest’ultima circostanza rappresenta una comune causa di vertiArteria
uditiva
interna
Arteria
vestibolare
anteriore
Canale
semicircolare anteriore
posteriore
Arteria
cocleare
comune
orizzontale
Coclea
Vestibolo
Figura 1. Vascolarizzazione arteriosa delle strutture cocleo-vestibolari
gine isolata, sebbene nella maggior parte dei casi si manifesti con
sintomi neurologici associati molto evidenti e tali da rendere agevole
la diagnosi. Tuttavia, il 16% degli infarti cerebellari isolati del territorio
della PICA possono manifestarsi esclusivamente con una vertigine
acuta in grado di simulare perfettamente una manifestazione ad origine periferica, evenienza che viene definita come pseudo acute
peripheral vertigo (pseudo APV).3 Diviene in questo senso importante e decisivo il pronto riconoscimento di un episodio di vertigine
isolata come espressione di una manifestazione periferica ovvero
centrale. Lee et al. (2006) riportano come elementi di centralità siano rappresentati dal riscontro di un Head Impulse test clinico normale e un nistagmo gaze evoked; l’incapacità di riconoscere questi
segni clinici sarebbe responsabile del 35% delle misdiagnosi in regime di pronto soccorso.4 Una bedside examination condotta accuratamente costituisce un momento fondamentale nell’approccio al
paziente con vertigine acuta consentendo di sospettare un’origine
CORSO CRS
centrale del disturbo. In particolare, è riportato come il riscontro di
un HIT negativo in associazione ad un nistagmo e una skew deviation con caratteristiche di centralità (HINTS positivo) permette nelle
prime 48 ore di differenziare un infarto cerebellare da una vertigine periferica con una sensibilità superiore a quella della risonanza
magnetica diffusion-weighted.5 Recentemente, all’HINTS è stata
aggiunta la valutazione dell’ipoacusia (HINTS plus)6: nel 2008 uno
studio ha stimato come i pazienti che accusano una sordità improvvisa siano esposti a un rischio di stroke vascolare 1,64 volte
più elevato rispetto ai controlli nei successivi cinque anni.7 Il 7,4%
degli infarti AICA esordisce infatti con una cocleovestibolopatia improvvisa in assenza di segni neurologici.8 Nella nostra esperienza
anche una instabilità marcata del paziente ed una sintomatologia
vertiginosa prolungata che non tende a miglioramenti significativi
dopo 2-3 giorni devono costituire elementi di sospetto.9
L’osservazione clinica che pazienti con disequilibrio presentano
spesso manifestazioni all’imaging cerebrale di ischemia vascolare
cronica (leucoaraiosi) identificabili come lesioni iperintense alla risonanza magnetica nelle sequenze pesate in T2, ci ha motivato
a voler indagare meglio i soggetti con tali reperti. Lo studio, condotto in collaborazione tra l’Università di Pisa e il Charing Cross
Hospital di Londra, ha consentito di evidenziare come soggetti con
quadri di disequilibrio da causa non spiegabile presentino un più
alto grado di queste lesioni. Tali riscontri sottolineerebbero come la
leucoaraiosi possa avere un ruolo nel predire fenomeni di instabilità
e l’evoluzione verso altre più gravi problematiche. Ad ogni modo,
una volta individuata l’eziologia vascolare di un disturbo dell’equilibrio, è opportuno procedere alla ricerca e, laddove possibile, alla
correzione dei fattori di rischio eventualmente riscontrati. Relativa-
mente all’approccio farmacologico, a questa categoria di pazienti
si riconoscono farmaci ad azione vasoattiva e farmaci ad azione
antiaggregante; tra questi ultimi ricordiamo come l’aspirina, a cui di
frequente viene fatto ricorso, sia potenzialmente ototossica e come
inizi a produrre un effetto antiaggregante dopo circa 15 giorni dall’inizio del trattamento.
Bibliografia
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DIZZINESS E PANICO VESTIBOLARE
Giorgio Guidetti
Vertigo Center – Poliambulatorio Chirurgico Modenese - Modena
S
econdo Furman e Jacob, il disordine psichiatrico è associabile in diversi modi a una funzione o una disfunzione vestibolare,
e, in alcuni casi, si sovrappone alle sindromi neurotologiche.1
I meccanismi neurofisiologici vedono implicate strutture centrali, tra
le quali sono maggiormente coinvolti il locus coeruleus, l’amigdala,
il cervelletto. Secondo Brandt le vertigini possono essere un sintomo di ansia, depressione, isteria, psicosi, sindrome post-traumatica e simulazione, ma possono rappresentare anche una sindrome definita (vertigine posturale fobica, agorafobia, acrofobia) o un
correlato psicogeno in sindromi vertiginose organiche (personalità
predisposte, disordini psichiatrici manifesti). Si è riscontrata una
relazione tra la vertigine e gli attacchi di panico.1 Oltre il 70% dei
pazienti accusa vertigini durante l’attacco, e le descrive come una
sensazione generica di testa leggera. Nel 22-29% dei casi, però,
la vertigine durante gli attacchi è descritta come rotatoria: talvolta i
pazienti riferiscono una vertigine oggettiva anche tra gli attacchi. La
vertigine è diventata un criterio diagnostico per gli attacchi di panico
nel DSM IV ed è considerata una conseguenza dell’iperventilazione.
Vertigini insorgono anche nella fobia dello spazio e del movimento,
in cui il soggetto manifesta una paura eccessiva dell’esposizione
a stimolazioni vestibolari intense e a conflitti visuo-vestibolari, con
conseguente compromissione delle attività quotidiane e delle relazioni sociali. Questa fobia non è supportata da specifiche lesioni
vestibolari, né da disturbi mentali. La presenza di lesioni vestibolari
non è un aspetto irrilevante: secondo alcuni studi il 50% dei claustrofobici e degli agorafobici è portatore di vecchie lesioni vestibolari di cui non c’è memoria in anamnesi. Una vertigine puramente
psicogena non deve essere una vera vertigine rotatoria, deve essere riprodotta dall’iperventilazione, deve essere preceduta da disturbi psichiatrici, deve manifestarsi in soggetti ansiosi o con fobie,
deve essere esclusivamente associata ad altri sintomi di patologie
psichiatriche riconosciute, e deve manifestarsi in assenza di vestibulopatie.2,3 Nella vertigine posturale fobica, descritta da Brandt,
l’attacco può essere spontaneo o provocato da situazioni trigger,
15
REPORT
16
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
93
Primo
69
67
Ricorrenti
%
e ha una durata massima di pochi secondi. Si manifesta a intervalli
irregolari ed è ricorrente. Il paziente si sente insicuro nella stazione
eretta e nel camminare, ha paura di una morte imminente e ritiene la
sua condizione una patologia organica.4
Il meccanismo psicosomatico sottende le reazioni fisiche alla patologia psichica. Rientrano tra i meccanismi psicosomatici l’aumento
del guadagno del riflesso vestibolo-oculare (VOR) che si osserva
nei soggetti in condizione di stress, il minor adattamento ai conflitti visuo-vestibolari, la modificazione della deviazione media degli occhi indotta dal VOR.5,6,7 La componente somatica dell’ansia
comprende un aumento della paura e un’amplificazione dei sintomi
del sistema nervoso autonomo, una maggior sensibilità agli stimoli
vestibolari e all’iperventilazione. Si osserva, inoltre, l’accentuazione
di sintomi neurologici, quali vertigini e parestesie. Secondo il DSM
IV, il disturbo di somatizzazione richiede la compresenza di almeno
quattro sintomi dolorosi a sede varia, due sintomi gastrointestinali,
uno sessuale e uno pseudoneurologico, compresa la dizziness. La
vertigine stessa, però, può essere ansiogena o condizionata dall’ansia. La vertigine è una patologia invalidante, non facilmente identificabile e localizzabile: per questo può provocare un’ansia reattiva,
la slatentizzazione di una patologia depressiva o la strutturazione di
un carattere evitante, fobico, chiuso. I meccanismi cognitivo-comportamentali, con la componente somatica dell’ansia, sono in grado di influenzare l’adattamento alle vestibulopatie. L’adattamento è
considerato un processo di apprendimento: l’attenzione necessaria
per l’apprendimento compete a livello corticale con vari processi, e
le intense reazioni emotive interferiscono con i processi attentivi. La
cronicizzazione dei sintomi vestibolari è condizionata dal timore di
recidive ed è correlata all’ansia. Il distress psicologico è maggiore
quando ci sono una forte identificazione del soggetto con la sua
malattia e una forte risposta emozionale, quando il paziente non
ha un’adeguata comprensione della sua condizione, quando ritiene
che la sua patologia comporti serie conseguenze, quando la malattia potrà durare a lungo e non sarà facilmente controllabile.8 Queste
caratteristiche si ritrovano nelle vertigini ricorrenti (Ménière o parossistiche posizionali). Studi recenti hanno illustrato come la paura,
soprattutto per il futuro, sia in grado di provocare un andamento
di tipo fobico. In un nostro studio, presso il servizio di vestibologia dell’ospedale di Carpi, abbiamo chiesto a 1000 pazienti cosa
avessero provato al primo attacco di vertigine, mentre su altri 500 si
sono valutate le sensazioni provate agli attacchi ricorrenti. L’indagine ha rivelato che, in entrambi i gruppi, le principali sensazioni erano
la paura per il futuro e il timore di una malattia grave (Figura 1).
L’esperienza nuova della vertigine provoca paura e reazione emozionale. Col passar del tempo diminuisce la paura del futuro, ma
permane il timore di non poter vivere una vita normale. Uno studio
ha riscontrato che, se la paura colpisce nel primo giorno, rappresenta una reazione normale e non comporta il rischio che si sviluppino elementi fobici o di panico.9 Se la paura dura una settimana,
il rischio di avere un’evoluzione psichiatrica è del 20%; dopo sei
settimane il rischio sale al 30%, per arrivare al 60% dopo sei mesi.
Quanto più dura la paura, quindi, tanto maggiori sono le difficoltà di
compenso. Queste evidenze, però, non sono risultate valide per i
31
7
Nessun
timore
35
13
Panico
22
Timore per Grave
il futuro patologia
Figura 1. Sensazioni provate dai pazienti dopo un primo attacco o
dopo attacchi ricorrenti di vertigini
soggetti affetti da vertigine parossistica.
Le aree coinvolte sono le regioni talamiche, l’amigdala, il locus coeruleus: i cortocircuiti si verificano soprattutto a livello limbico.
La comparsa di una vertigine oggettiva è un segnale visivo in grado
di evocare l’attivazione dell’amigdala. In particolari condizioni, attraverso il cervelletto si attivano dei meccanismi automatici di reazione:
si ha, quindi, un rischio di memoria traumatica con reazioni abnormi,
legata alle capacità cognitive del cervelletto (dismetria cognitiva). In
presenza di un disturbo ricorrente o cronico è importante, dunque,
indagare attentamente la sintomatologia. Di fronte a una vertigine
acuta, per evitare che si vada verso la cronicizzazione e la fobia, è
fondamentale tranquillizzare il paziente ed evitare il panico. Nei primi giorni della crisi si possono utilizzare farmaci sintomatici, incluse
le benzodiazepine nei soggetti particolarmente emotivi. Può essere
utile ricorrere a uno psicoterapeuta prima di formulare diagnosi azzardate.
Bibliografia
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CORSO CRS
LA SCELTA TERAPEUTICA: CHIRURGICA
Nicola Quaranta
U.O.C. Otorinolaringoiatria Universitaria, Università di Bari “A. Moro”
L’
approccio chirurgico nel paziente vertiginoso viene adottato in presenza di patologie organiche o di vertigini recidivanti, in cui la terapia medica non sia riuscita ad apportare il
beneficio sperato. La terapia chirurgica è adottata essenzialmente
nei casi di malattia di Ménière, di vertigine parossistica posizionale
benigna (VPPB) e di deiscenza del canale SC superiore. Alcune
modalità di intervento conservano la funzione vestibolare residua,
come la chirurgia del sacco endolinfatico, mentre altre prevedono
l’ablazione dell’organo dell’equilibrio (labirintectomia chimica, neurectomia vestibolare).
Descritta inizialmente nel 1927 da Portmann, che aveva ipotizzato
un legame tra la malattia di Ménière e un aumento della pressione
dei liquidi, la chirurgia del sacco endolinfatico si è evoluta negli
anni ’60, per arrivare, nel ’96, alla decompressione del sacco e
del seno sigmoide proposta da Shambaugh. La decompressione
del sacco è ritenuta utile per drenare l’endolinfa, per ottenere una
rivascolarizzazione della zona perisacculare o per far diffondere
passivamente l’endolinfa. Per valutare i risultati di un trattamento
in un paziente con malattia di Ménière è necessario far riferimento
alla classificazione dell’American Academy of Otolaryngology-Head and Neck Surgery (AAO-HNS).1 Sono state definite sei classi di
controllo delle vertigini: nella A e nella B si ha un controllo completo
o sostanziale degli attacchi vertiginosi. Una review delle pubblicazioni relative al trattamento della malattia di Ménière, ha riscontrato
come, in circa 600 pazienti trattati con varie tecniche chirurgiche, il
controllo delle vertigini (classi A+B) raggiungesse percentuali comprese tra il 79 e l’89%, a seconda della tecnica.2 Il gruppo di Bari
ha confermato questi dati sui pazienti seguiti per più di dieci anni.3
Confrontando, infatti, soggetti trattati con la decompressione del
sacco e quelli con malattia di Ménière non rispondente alla terapia
medica, che avevano rifiutato l’intervento, dopo dieci anni si è rilevato che il controllo completo o sostanziale delle vertigini era stato
raggiunto dall’86% circa dei pazienti, in entrambi i gruppi. Valutando, però, gli stessi pazienti a due anni dal trattamento, è emersa
una differenza statisticamente significativa, con una percentuale
più elevata di pazienti con un buon controllo nel gruppo trattato
chirurgicamente. Secondo una revisione della letteratura condotta
dalla Cochrane Collaboration, la chirurgia del sacco endolinfatico
è l’unico trattamento chirurgico della Ménière valutato in un trial
randomizzato e controllato.4 L’analisi ha esaminato due studi, ma
nessuno dei due, in realtà, ha evidenziato una reale efficacia di
questo approccio chirurgico. Un altro studio ha parzialmente confermato questo dato, aggiungendo che questa tecnica chirurgica
ha qualche effetto, di cui non si è ancora compreso, però, l’esatto meccanismo.5 La chirurgia del sacco endolinfatico sembra
accelerare, dunque, la scomparsa delle vertigini, anche se non è
ancora noto in quale modo.
La labirintectomia chimica, mediante gentamicina, è una delle tecniche utilizzabili per l’ablazione vestibolare. Questa molecola ha
un effetto vestibolotossico, è poco attiva sulle cellule ciliate interne
della coclea e produce un danno anche a livello delle dark cells,
che producono l’endolinfa. L’utilizzo della gentamicina dovrebbe
ridurre, quindi, l’idrope endolinfatica. Il gruppo di Bari utilizza la
gentamicina solo nei casi di vertigine invalidante, dopo il fallimento
di una terapia medica di almeno sei mesi, e/o il fallimento della
terapia chirurgica funzionale. La gentamicina, applicata all’orecchio medio, penetra in quello interno attraverso la membrana della
finestra rotonda. L’effetto tossico è mantenuto per 7-10 giorni: per
questo è preferibile somministrare il farmaco una volta la settimana. La casistica di Bari comprende 41 pazienti trattati con gentamicina intratimpanica (2/3 con 20 mg/ml, 1/3 con 40 mg/ml).
Il follow up medio è stato di 46,5 mesi. Si è ottenuto un controllo
sostanziale o completo delle vertigini (A+B) nel 95% circa dei casi,
mentre si sono rilevati peggioramenti dell’udito nell’11-14% dei
pazienti, rispettivamente con i 20 e i 40 mg/ml. Sorprendentemente si sono evidenziati anche miglioramenti della capacità uditiva nel
25% circa dei soggetti.
Uno studio ha valutato mediante posturografia dinamica gli effetti
sulla postura del trattamento con gentamicina.6 Immediatamente
dopo la somministrazione, i pazienti con la Ménière hanno evidenziato uno score vestibolare inferiore, rispetto ai soggetti normali.
Dopo sei mesi, però, si è rilevato un miglioramento significativo
della componente vestibolare, evidenziato anche dal composite
score, che è risultato migliore sia dello score pre-trattamento, sia di
quello post-trattamento. Come atteso, non si sono osservate variazioni significative degli score somatosensoriali o visivi (Figura 1).
La gentamicina migliora il controllo posturale, perché il paziente
riesce a compensare. Quando anche il trattamento con gentamicina si rivela inefficace, si può ricorrere alla neurectomia vestibolare, che deafferenta i centri del labirinto posteriore. Nella casistica
del gruppo barese, dopo due anni di follow up, il 65% circa dei
soggetti con una Ménière recidivante, che avevano rifiutato il trat120
100
**
**
80
*
**
NC
Prima
60
Dopo
40
6 mesi
20
0
Som
Vis
Vest
Composite
Figura 1. Effetti sulla postura del trattamento con gentamicina intratimpanica6
Som: score somatosensoriale; Vis: score visivo: Vest: score posturale;
Composite: score composito
17
REPORT
tamento chirurgico, aveva ancora vertigini. La percentuale di pazienti che accusavano ancora vertigini è scesa al 35% nel gruppo
trattato con la chirurgia del sacco endolinfatico, al 7% in quello
che aveva assunto gentamicina, e al 3% tra i soggetti sottoposti
a neurectomia vestibolare. Il rischio di peggioramento dell’udito in
seguito a una neurectomia è risultato pari al 20% e non significativamente differente rispetto alla gentamicina.
Nei casi di vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) del
posteriore, che non risponde ad altre terapie, è possibile recidere
la fibra che innerva l’ampolla del posteriore o eseguire un’occlusione del canale SC posteriore. In conclusione, il trattamento
chirurgico è indicato solo nei casi in cui la terapia medica non
sia risultata efficace: l’intervento deve essere di prima intenzione
funzionale nei soggetti con udito socialmente utile, e solo successivamente si può optare per interventi più o meno invasivi.
Bibliografia
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LA SCELTA TERAPEUTICA: MEDICA
Marco Lucio Manfrin
UOC di Otorinolaringoiatria, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Università di Pavia, Pavia
L
a terapia medica è potenzialmente indicata per tutti i pazienti
vertiginosi, ad eccezione dei casi di vertigine parossistica. Si
può intervenire sugli aspetti sintomatici e, ove possibile, su
quelli eziologici e patogenetici. Le cellule di tipo I e di tipo II sensoriali
dell’apparato vestibolare possono rappresentare un target terapeutico. Diverse negli aspetti morfologico-funzionali e nelle afferenze al
sistema nervoso centrale (SNC), queste cellule utilizzano una nutrita
serie di neurotrasmettitori chimici, tra cui i più importanti sono il glutammato e l’acetilcolina. Molto più complessa è la quantità di terminazioni nervose e di neurotrasmettitori che interagiscono con i neuroni dei nuclei vestibolari del SNC. Oltre al glutammato, rilasciato
da queste cellule, fibre di diversa provenienza rilasciano dopamina,
GABA, glicina, serotonina, istamina. Interferire con un farmaco in un
equilibrio così complesso di neuromediatori, neuromodulatori e relativi recettori, non è semplice. Non va dimenticata, inoltre, l’esistenza della barriera ematoencefalica e di quella ematolabirintica, che
si è cercato di superare attraverso la somministrazione topica. Tra
i farmaci che possono agire sui neurotrasmettitori, i più noti sono la
scopolamina e la betaistina, dotata di una complessa attività di tipo
istaminergico. Un altro farmaco molto usato è la prometazina, che
ha un effetto antistaminico, ma anche anticolinergico. Le benzodiazepine sono antagoniste del sistema GABAergico: vanno utilizzate
in acuto per 2-3 giorni, ma poi devono essere sospese per favorire
il compenso. Il baclofene è usato prevalentemente nel nistagmo periodico alternante, mentre la levosulpiride, un ottimo antiemetico e
sedativo, sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nella gestione in acuto del paziente vertiginoso. Molto importanti sono anche
i farmaci che agiscono sui canali ionici voltaggio-dipendenti. Alcuni
sono più noti, come le diidropiridine, la nimodipina, la cinnarizina, la
flunarizina, altri più insoliti, come l’antiaritmico verapamil, indicato
in letteratura per la vertigine periferica, la lidocaina o la carbamazepina, l’unico farmaco in grado di generare nistagmo. Prediletta dai
18
neurologi è la 3,4-diaminopiridina, un bloccante dei canali del potassio: va ricordato, però che il blocco di tali canali può comportare
gravi effetti collaterali.
Nella vertigine parossistica posizionale la terapia medica non rappresenta la prima scelta, ma può essere necessario dover sedare
dei sintomi neurovegetativi prima delle manovre liberatorie, utilizzando il dimenidrinato o la scopolamina. Negli Stati Uniti si pretratta
con il diazepam. In caso di residual dizziness, una sensazione di
instabilità che permane dopo le manovre liberatorie, si somministra
la combinazione dimenidrinato più cinnarizina. Abbastanza rara è la
vertigine posizionale non parossistica: l’utilizzo dei diuretici osmotici, come il mannitolo, risolve brillantemente questa vertigine, con
una ridistribuzione della densità dei liquidi dell’orecchio interno. Alcuni farmaci possono avere effetti opposti sull’utricolo e sui canali
semicircolari.1 Sono stati studiati quattro principi attivi (lorazepam,
meclizina, prometazina, scopolamina), relativamente alla sensibilità
utricolare, al guadagno delle prove rotatorie e alla funzione calorica
totale. Ciascuno di questi farmaci produce un effetto su parti diverse del labirinto. L’unico che si è rivelato in grado di abbattere la
sensibilità utricolare, il guadagno delle prove rotatorie e la calorica
è la prometazina, che appartiene alla stessa famiglia del torecan.
La terapia medica della malattia di Ménière prevede inizialmente un
supporto di tipo dietetico-comportamentale, successivamente integrato dalla terapia medica. Inizialmente è stata proposta la dieta
iposodica, cui ha fatto seguito l’iperidrica, basata sull’individuazione nell’orecchio interno delle acquaporine, che rispondono bene
all’assenza di ormone antidiuretico. Si consiglia, inoltre, di eliminare
l’alcol, la caffeina e la tiramina, un derivato dell’amminoacido tirosina, presente nei formaggi fermentati. Recentemente si è consigliato l’uso di speciali cereali processati, per innalzare i livelli di fattore
antisecretivo, una proteina che esercita un’azione modulatoria sul
metabolismo idrico e sul trasporto ionico. Uno studio ha riscontrato, però, come la prescrizione di un regime dietetico, soprattutto
CORSO CRS
nel paziente vertiginoso, abbia una compliance limitata e produca
scarsi risultati.2 Il ruolo dei diuretici nel trattamento cronico della
malattia di Ménière è ampiamente dibattuto. Secondo i sostenitori
della teoria dell’ipoperfusione/riperfusione dell’orecchio interno, che
porta a uno squilibrio metabolico e all’idrope endolinfatica, con il
diuretico si riducono la volemia e la pressione arteriosa, favorendo
l’ipoperfusione/riperfusione, con un conseguente effetto dannoso.
Altri ipotizzano la crisi potassica e somministrano diuretici risparmiatori di potassio, mentre altri ancora utilizzano la furosemide o la
torasemide, che sono ototossiche. In realtà, non vi sono evidenze
del funzionamento dei diuretici nella malattia di Ménière.
Il gruppo di Lalwani ha introdotto l’uso del cortisone, nell’ipotesi di
una patogenesi immunitaria.3 Questa molecola è fortemente antiossidante e protegge le cellule dallo stress ossidativo presente nella
Ménière. L’uso degli steroidi è sempre più emergente in ambito vestibologico, così come sta diventando sempre più rilevante il ruolo
dei recettori dei neurosteroidi nei neuroni dei nuclei vestibolari. I neurosteroidi sembrano essere fondamentali nei meccanismi adattativi
e di compenso di questi nuclei. Tutti i soggetti con malattia di Ménière confermata devono essere sottoposti a terapia farmacologica
sistemica, per non meno di sei mesi. L’80-85% dei pazienti risponde
ai trattamenti, anche se non c’è alcuna evidenza scientifica dell’efficacia della betaistina o dei diuretici. Questi pazienti possono essere
trattati anche a livello intratimpanico con gentamicina, per ablare
soprattutto l’afferenza fasica delle cellule di tipo I e delle dark cells,
o con desametasone o metilprednisolone, che hanno un effetto antinfiammatorio, antiossidante, immunosoppressivo, protettivo della
funzione delle acquaporine e di regolazione dell’omeostasi ionica.
Uno studio ha confrontato il trattamento con gentamicina, rispetto
a quello con desametasone, evidenziando un miglior controllo dei
disturbi vertiginosi da parte della gentamicina.4
Il gruppo di Pavia sta valutando gli effetti del trattamento intratimpanico sulla qualità di vita (QoL) dei pazienti, rispetto alla terapia
medica, utilizzando diversi indici (Dizziness Handicap Inventory, DHI;
Self Rating Depression Scale, SDS; Specific Activity Scale, SAS). Lo
studio ha evidenziato come i pazienti sottoposti a terapia medica
abbiano un DHI peggiore (Figura 1).
Per il deficit vestibolare acuto monolaterale la terapia sintomatica
prevede l’uso di vestibolo-soppressori, come il valium, soprattutto
60
50
DHI
40
SDS
30
20
SAS
10
0
Terapia medica
Terapia IT
Figura 1. QoL dei pazienti con malattia di Ménière: confronto tra terapia
medica e intratimpanica
nelle fasi iniziali, per passare allo steroide nella fase intermedia: in
quella tardiva si utilizzano farmaci che agevolano il compenso. La
leucina è già utilizzata per eliminare alcuni tipi di nistagmo e favorire
il compenso vestibolare: ora una sua formula modificata sembra
essere in grado di accelerare il compenso.5 Per la terapia medica delle patologie cerebellari e dei nistagmi di origine centrale, la
scuola tedesca ha iniziato a utilizzare farmaci bloccanti i canali del
potassio. Generalmente oggi si somministrano la 4-aminopiridina e
il chlorzoxazone, in grado di bloccare o di ridurre del 50% il nistagmo down-beating di origine cerebellare, e d’interferire nell’atassia
episodica di tipo II.
Bibliografia
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LA SCELTA TERAPEUTICA: RIABILITATIVA
Giorgio Guidetti
Vertigo Center - Poliambulatorio Chirurgico Modenese - Modena
S
econdo quanto riscontrato da una review della Cochrane Collaboration, la terapia riabilitativa della vertigine ha un’efficacia
statisticamente significativa e non causa effetti collaterali.1 La
plasticità di un sistema rappresenta la capacità di adattarsi morfologicamente o funzionalmente a una nuova condizione. Il sistema vestibolare può adattarsi attraverso lo sprouting, cioè con la
costruzione di nuovi collegamenti attraverso la plasticità sinaptica
e del singolo neurone, o ricorrendo alle funzioni cognitive (abitudine, apprendimento, memoria, nuova modulazione dei segnali). Il
compenso è l’azione vicariante, la sostituzione sensoriale: un altro
organo cerca di sostituire il meccanismo che è stato danneggiato.
Nel compenso si hanno una riespressione neurotrofica, la nascita
di nuovi neuroni, lo sprouting di nuovi terminali e l’attribuzione di
un nuovo peso ad altri sensori. Al compenso devono affiancarsi
l’adattamento di tutto il SNC e la creazione di nuove strategie, che
annullino gli effetti delle funzioni perse. Si aggiungono, inoltre, le
sostituzioni comportamentali, i processi di riapprendimento, fino al
rimodellamento delle mappe corticali. Ogni soggetto è adattato alla
propria realtà: quando si verifica un disadattamento per una lesione
acuta, si ha una prima riorganizzazione rapida, cui fa seguito una
riorganizzazione più lenta.2 Nel caso della funzione vestibolare, la
riorganizzazione rapida determina innanzitutto il blocco del nistagmo, poi ripristina il movimento della testa e, di seguito, del resto del
corpo (strategia top-down).
19
REPORT
Neurectomia vestibolare
monolaterale
IV
Performance
L’adattamento è un fenomeno complesso e non omogeneo, diverso nei vari soggetti. Nei primi due giorni, ogni individuo che abbia
subito un evento vestibolare acuto non si muove, perché il movimento causa sofferenza e accentua la sintomatologia. Uno studio
sulle scimmie ha verificato come, nell’arco dei primi sette giorni, i
soggetti liberi di muoversi riacquisiscano un livello di normalità funzionale superiore rispetto a quello dei soggetti immobilizzati, perché
stimolano meccanismi di adattamento che sarebbero soppressi
dall’azione dei sedativi o dalla permanenza forzata a letto (Figura 1).3
Uno studio di Lacour ha riscontrato come il 50% dei soggetti vertiginosi diventi propriocettivo-dipendente, mentre il rimanente 50%
diventa visivo-dipendente.4 L’esame stabilometrico statico permette
di stabilire se un paziente diventerà visivo- o propriocettivo-dipendente, consentendo di scegliere la metodica riabilitativa più adatta.
Trattare un propriocettivo-dipendente (bambino, sportivo) con una
metodica basata sul segnale visivo, è, infatti, del tutto controproducente. Tipici visivo-dipendenti sono, invece, gli anziani.
L’adattamento è l’apprendimento di nuovi schemi, basato sulla memoria procedurale, cioè sulla capacità di apprendere gradualmente
nuovi schemi motori. L’apprendimento procedurale è lento e progressivo: prevede una fase di acquisizione delle informazioni utili per
eseguire il compito, una fase di composizione, in cui si combinano
i movimenti successivi, e una fase di proceduralizzazione, in cui si
memorizza l’intera procedura e si ha la realizzazione automatica
dell’abilità appresa. Nei primi cinque giorni, l’organo responsabile
di questo tipo di apprendimento è soprattutto il cervelletto. L’età,
il sesso, la patologia concomitante dell’SNC, i livelli di stress e di
paura, le caratteristiche cognitive e lo stile di vita possono interferire
con il processo di proceduralizzazione. Uno studio ha confrontato le
aree attivate da un cervello giovane e da uno anziano durante la navigazione spaziale.5 Mentre nel cervello giovane le aree attivate sono
posteriori, nell’anziano si attivano aree della corteccia frontale: nel
soggetto giovane si attivano processi automatici, mentre la persona
anziana deve pensare al proprio movimento, impiegando un tempo
dieci volte superiore a quello necessario per un comportamento automatico. Il processo cognitivo richiede la neurogenesi: per quanto
nella persona anziana sia ridotta, non impedisce di ottenere risultati.
Una review ha evidenziato, infatti, come gli esiti della riabilitazione
siano identici, a lungo termine, nel soggetto anziano e nel giovane:
il processo è soltanto più lento.6 Lo stress interagisce in modo negativo sull’apprendimento, sulla memorizzazione e sul richiamo dei
processi di informazione, anche se, nei primi giorni della crisi, un
modesto livello di stress aiuta a far ripartire i vari meccanismi. Una
volta che l’adattamento si è consolidato, invece, anche modesti livelli di stress sono in grado di alterare la capacità di processare le informazioni spaziali, e lo stress cronico o ricorrente mantiene attivati
i meccanismi amigdalici che portano a memorizzare maggiormente
Liberi di muoversi
III
Immobilizzati
II
I
0 2
7
14
21
Giorni dopo la neurectomia
30
Figura 1. Recupero funzionale, dopo neurectomia vestibolare in animali
liberi di muoversi o immobilizzati 3
le esperienze negative. Il cervelletto, poi, immagazzina la risposta
adattativa.
Se, dopo aver facilitato le esperienze dinamiche, somministrato farmaci neurotropi e rassicurato il paziente, si rileva comunque una
difficoltà di adattamento, occorre valutare quale sotto-sistema sia
il meno adattato. Quindi vanno individuate le relative cause, per
un loro eventuale trattamento. Se le cause non sono rimovibili e
il disturbo rimane cronico, si procede con la rieducazione vestibolare. La terapia ambulatoriale è nettamente più efficace di quella
domiciliare o ospedaliera. I trattamenti devono essere eseguiti sul
singolo paziente, in modo personalizzato, da personale esperto
che utilizzi adeguatamente la strumentazione necessaria. In pochi
centri, altamente specializzati, si adottano protocolli diversi, in base
all’esperienza, alle aspettative e alla struttura del paziente: la terapia
riabilitativa deve protrarsi per almeno 5-7 giorni.
Bibliografia
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VERTIGINI POSIZIONALI: VPPB E VARIANTI
Giacinto Asprella Libonati
U.O. di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale, Ospedale “Giovanni Paolo II”, Policoro
(www.otorinopolicoro.it )
L
20
a vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) ha,
spesso, una risoluzione immediata dopo una manovra correttamente eseguita. È causata da un disturbo meccanico
all’interno del labirinto, dove otoliti staccati dalla macula utricolare
flottano nell’endolinfa e impegnano uno o più canali semicircolari
(SC) (canalolitiasi). Qui si aggregano e spingono la colonna di liquido
CORSO CRS
endolinfatico, rendendo sensibile alla gravità la cupola del canale
interessato, trasformandola in un recettore di accelerazioni lineari.
La vertigine è posizionale, come il nistagmo, che è parossistico, cioè
transitorio, non persistente, di breve durata, con una tipica evoluzione nel tempo. La classificazione più pratica delle varie VPPB si basa
sul canale interessato. Si possono, quindi, avere VPPB del canale
posteriore (75-80% dei casi), orizzontale o laterale (15-25%), anteriore (1-2%). Si può verificare meno frequentemente una cupulolitiasi, in cui gli otoliti si attaccano alla cupola, rendendola più pesante
rispetto all’endolinfa circostante. Nella mia esperienza personale la
cupulolitiasi può rappresentare l’evoluzione delle canalolitiasi non
trattate.
Per diagnosticare la VPPB del canale posteriore si utilizzano la manovra di Dix-Hallpike o quella di Semont. Nella manovra di Dix-Hallpike, dopo una breve latenza (10-15 s) parte il tipico nistagmo parossistico, con una componente rotatoria e una verticale in alto-up
beating. Nella manovra di Semont, utilizzata a scopo diagnostico,
è importante muovere il paziente nel piano del canale interessato e
osservare la risposta nistagmica. Il nistagmo della canalolitiasi del
posteriore ha una fase rapida torsionale (riferita al punto a ore 12
della cornea), che batte verso l’orecchio affetto, mentre la componente verticale è sempre up beating: è un nistagmo lievemente
dissociato, parossistico, che inverte la direzione quando il paziente
torna in posizione seduta. Durante l’osservazione dei nistagmi da
canalolitiasi del posteriore, è importante prestare attenzione a dove
il paziente dirige lo sguardo, perché la posizione degli occhi nell’orbita può modificare la componente torsionale e verticale, la prima si
amplifica guardando vero il lato affetto.
In un paziente con un nistagmo posizionale, indice di una probabile
VPPB, una prima valutazione diagnostica può essere rappresentata
dall’Head Pitch Test. Se la valutazione del nistagmo è indicativa di
una VPPB del CSP, si può procedere con una manovra diagnostica
di Dix-Hallpike, durante la quale (I posizione), la comparsa di un nistagmo tipico della canalolitiasi del posteriore conferma il sospetto
diagnostico. Si può procedere allora con la manovra di riposizionamento dei canaliti, CRP secondo Epley, mettendo il paziente con
testa iperestesa sul lato controlaterale (II posizione). La comparsa di
un nistagmo con le stesse caratteristiche di quello diagnostico (consensuale), indica che gli otoliti stanno procedendo nella direzione
corretta, verso la crus comune. Successivamente, si pone il paziente a faccia in giù, ruotando il capo di 135° verso il lato sano (III posizione). Qui normalmente compare un nistagmo puro down beating,
indice del fatto che gli otoliti stanno percorrendo la crus comune e
che la manovra è eseguita correttamente. Infine, si mette il paziente
in posizione seduta (IV posizione): un nistagmo down beating indica
la fuoriuscita degli otoliti dalla crus comune per tornare nell’utricolo
(nistagmo liberatorio). La manovra non è efficace quando il nistagmo, passando dalla posizione diagnostica al lato controlaterale, inverte la direzione: in questo caso, gli otoliti stanno refluendo verso
l’ampolla del canale posteriore interessato. L’evento peggiore è la
comparsa di un nistagmo orizzontale, indice di un avvenuto canal
switch, cioè il passaggio degli otoliti a un canale diverso da quello
interessato inizialmente.
La VPPB del canale orizzontale (HC-VPPB) è caratterizzata da un
nistagmo parossistico orizzontale puro, bidirezionale e biposizionale
che si osserva eseguendo il Supine Head Yaw Test. Esistono due
varianti di HC-VPPB: la geotropa, più frequente (75%), e l’apogeotropa. Nella canalolitiasi si ha una risposta parossistica, mentre nella
cupola pesante (cupulolitiasi) si osserva un nistagmo apogeotropo,
non parossistico, ma di lunga durata. La forma apogeotropa più fre-
quente è la canalolitiasi apogeotropa, che si osserva solitamente nel
paziente valutato dopo pochi giorni dall’insorgenza dei sintomi. Se
il ritardo è maggiore, la canalolitiasi evolve in una cupulolitiasi. Nella
forma apogeotropa gli otoliti flottano in prossimità della cupola ampollare, mentre nella forma geotropa si posizionano nell’emibraccio
posteriore del canale laterale. Il nistagmo osservato in posizione seduta e testa eretta è chiamato Nistagmo Pseudo-Spontaneo (NPS),
in quanto può mimare un nistagmo spontaneo da Neuronite Vestibolare. Il Nistagmo Pseudo-Spontaneo batte verso l’orecchio affetto nella forma apogeotropa, e verso il lato sano in quella geotropa.
Per la diagnosi differenziale si esegue l’Head Pitch Test in posizione
seduta, se il nistagmo cambia direzione flettendo ed estendendo il
capo è uno Pseudo-Spontaneo e non un vero spontaneo. Si deve
eseguire successivamente il posizionamento da seduto a supino e
l’Head Yaw Test, ruotando il capo da lato a lato in posizione supina,
con il capo sollevato 30° rispetto al lettino.
Alcune regole consentono di diagnosticare quale sia il lato affetto
nelle VPPB del canale orizzontale. La direzione del nistagmo più intenso, eseguendo l’Head Yaw Test è sempre verso l’orecchio affetto. La direzione del nistagmo Pseudo-Spontaneo, evocato in posizione seduta, e di quello evocato nel passaggio da seduto a supino,
è verso il lato sano nelle forme geotrope, e verso quello affetto nelle
apogeotrope. Per la seconda legge di Ewald, uno stimolo eccitatorio nel canale orizzontale evoca una risposta più intensa rispetto a
uno stimolo inibitorio: nelle forme geotrope lo stimolo eccitatorio si
ottiene ruotando il capo verso il lato affetto, in quelle apogeotrope
verso quello sano.
La posizione forzata di Vannucchi, è la manovra liberatoria più semplice, utilizzabile nella VPPB del canale orizzontale, e lavora in funzione della sola gravità. Nelle forme geotrope il paziente deve stare
per l’intera notte sul lato sano, per favorire la decantazione degli
otoliti all’esterno del canale interessato. Nelle forme apogeotrope la
posizione è sul lato affetto, per far migrare gli otoliti nell’emibraccio
anteriore, trasformando la forma apogeotropa in geotropa. La manovra di Gufoni è simile a quella di Semont: è una manovra brusca,
che sfrutta un’inerzia positiva, mediante la quale gli otoliti si muovono nella stessa direzione in cui è stata eseguita la manovra. Le
tecniche di barbecue prevedono brusche rotazioni di 90° del capo
del paziente, sempre verso il lato sano. Nella variante di Vannucchi-Asprella (Figura 1), il numero di step va rapportato alla risposta
nistagmica, se si vuole seguire un approccio basato sull’osservazione step by step del nistagmo in tempo reale. La sequenza viene
ripetuta almeno cinque volte. La riduzione o la scomparsa del nistagmo che si osserva dopo lo step rapido, indicano la fuoriuscita
degli otoliti dal canale. La manovra di Asprella è una tecnica mista,
che sfrutta accelerazioni rapide, con inerzia positiva: associa uno
step di barbecue con un posizionamento sul lato sano per 30 minuti
(Figura 2).
Nella VPPB del canale orizzontale, segni prognostici della correttezza delle manovre di barbecue sono la presenza di un nistagmo
orizzontale, che batte verso il lato sano, e la riduzione dell’intensità
del nistagmo nell’esecuzione dello step rapido.
Un nistagmo che batte verso il lato affetto indica un movimento
degli otoliti nella direzione sbagliata, mentre un nistagmo torsionale suggerisce uno switch canalare. Nel caso di VPPB del canale
anteriore, una valida manovra liberatoria è quella di Vannucchi, in
cui il paziente, da seduto col capo girato verso il lato affetto, viene
portato rapidamente a faccia in giù sul lato affetto; si effettua poi
un tilt di 180° sul lato controlaterale raggiungendo la posizione a
faccia in su e con la testa lievemente iperestesa fuori dal lettino.
21
REPORT
A
B
C
Figura 2. Manovra liberatoria di Asprella
D
Figura 1. Manovra di Vannucchi-Asprella
Un’altra opzione è rappresentata dalla manovra di Yacovino, che
non richiede la diagnosi del lato affetto: 1° step da seduto a supino
con testa iperestesa in posizione centrale; 2° step si flette il capo il
più possibile sino a toccare il torace con il mento; 3° step ritorno in
posizione seduta.
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Risorse ONLINE:
http://www.otorinomatera.it/
http://www.researchgate.net/profile/Giacinto_Asprella_Libonati/publications/
LA VERTIGINE: CONTROVERSIE DIAGNOSTICHE E
MEDICO-LEGALI
Aldo Messina
Ambulatorio di Otoneurologia ed Acufenologia, A.O.U. Policlinico “Paolo Giaccone”, Palermo
L’
articolo 583 del codice penale punisce in maniera diretta
chiunque danneggi anche in modo minimo un organo di
senso. Ma il sistema vestibolare rientra nella definizione di
organo di senso? Il sistema dell’equilibrio, infatti, è composto da
diversi recettori appartenenti all’apparato visivo, al propriocettivo,
22
al vestibolare, e ha il supporto dell’integrazione cerebellare. Per il
codice penale l’indebolimento permanente (esito stabilizzato di una
lesione) di un organo di senso rappresenta un’aggravante: è sufficiente che l’evento stabilizzato sia apprezzabile o strumentalmente
appena rilevabile. Se consideriamo pertanto il sistema dell’equilibrio
CORSO CRS
un organo di senso sarà sufficiente pertanto che sia indebolita in
modo permanente anche una delle componenti del sistema, determinando un’insufficienza funzionale anche solo apprezzabile.
L’indebolimento permanente deve essere valutato con un apposito
esame clinico (bedside examination), che evidenzi le ripercussioni
dell’evento lesivo sul soggetto. Un altro aspetto importante è il tempo necessario per considerare permanente una lesione vestibolare.
Quando il referto valido è stato scritto prima che siano trascorsi sei
mesi tra l’evento traumatico e la visita, si è in presenza di una lesione
temporanea. Gli eventi neurologici si intendono stabilizzati (ma è
una convenzione) circa sei mesi dopo l’evento traumatico. Questo
criterio può non essere valido per il sistema vestibolare, che sappiamo essere in grado di immagazzinare nella memoria traumatica
l’evento che, pertanto, determina conseguenze anche dopo diversi anni: questo aspetto, però, non viene valutato dalla legislazione.
Relativamente ai rapporti di causa ed effetto, per stabilire se un
evento è realmente la causa della lesione, si deve far ricorso alla
cosiddetta criteriologia medico-legale. Il criterio cronologico definisce per quanto tempo il soggetto è stato esposto a una noxa
patogena, mentre il patogenetico definisce se realmente quella
noxa sia in grado di determinare un danno. Altri criteri sono il topografico, la probabilità lesiva, la continuità fenomenica e, infine,
l’epidemiologico. L’applicazione della criteriologia è diversa, però,
nel codice penale e in quello civile. In penale, laddove l’eventuale
pena comprometterebbe la libertà dell’individuo, diritto costituzionalmente previsto, sarà necessario che la criteriologia agisca “al di
là di ogni ragionevole dubbio” e, pertanto, nel dubbio si assolve. In
civile, nel ragionevole dubbio di concederà il beneficio.
La percentuale di invalidità per ogni patologia è stabilita da specifiche tabelle, elaborate nel 1992: una percentuale superiore al 74%
garantisce un assegno di invalidità. Per le condizioni non previste
dalle tabelle, come, ad esempio, l’impianto cocleare o la Malattia di
Ménière, il perito dovrà identificare la malattia prevista in tabella che
determini una condizione invalidante analoga a quella osservata.
Inoltre la percentuale di invalidità totale non corrisponderà alla somma dei singoli valori determinati da ogni malattia, ma è calcolata con
il calcolo riduzionistico e dalla relativa formula di Balthazard. Anche
in questo caso va fatta una distinzione. La legge obbliga a differenziare le malattie concorrenti, che riguardano lo stesso organo o
apparato, da quelle malattie coesistenti, cioè presenti contemporaneamente nello stesso individuo.
Il fine è quello di non “sforare” nell’impossibile. Nel caso delle malattie coesistenti, se la validità globale dell’individuo è ovviamente del
100%, la somma delle singole malattie non può superare il 100%.
E relativamente alle concorrenti, se la completa disfunzione di un
organo è valutata ad esempio 30%, la somma delle patologie di
quell’organo non potrà superare il 30%.
L’analisi della valutazione delle patologie otoneurologiche dà adito
ad alcune perplessità. Paradossalmente il testo della normativa per
l’invalidità civile, riguardante l’apparato vestibolare (DM 05/02/1992),
attribuisce alle forme centrali la metà del valore di quelle periferiche.
Così la sindrome vestibolare centrale è valutata l’11-20%, mentre la
sindrome vestibolare il 31-40%, e la vertigine parossistica posizionale benigna ha la medesima percentuale della vertigine cerebellare
centrale (11-20%). Agli acufeni è stata analogamente attribuita una
percentuale particolarmente bassa (2%): la normativa, inoltre, parla
di acufeni permanenti o subcontinui, insorti da più di tre anni. I medici, però, non indicano sostanzialmente mai gli acufeni sul referto
che poi viene letto dal medico legale.
Anche la malattia di Ménière non è stata inserita nelle tabelle del
1992. Come già detto, dobbiamo “ricavarci” la percentuale invalidante sommando i valori della triade (in realtà tetrade) sintomatologica. Se si considerano vertigini, sordità e acufeni come patologie
concorrenti, si può arrivare anche a un’invalidità totale pari al 63%;
se, invece, si considerano come coesistenti, la percentuale scende
al 54%. Un’analisi statistica di 200 referti medico-legali di tutta Italia
ha rilevato, per il 60% di questi, una valutazione della malattia di
Ménière compresa tra il 35 e il 40%, mentre per il 30% dei referti la
valutazione si attestava tra il 60 e il 67% (Figura 1).
60%
50%
40%
30%
Valuta
35-40%
20%
Valuta
60-67%
10%
0%
Ménière e IC
Figura 1. Analisi di referti medico-legali della malattia di Ménière
Pazienti con la medesima patologia possono avere valutazioni differenti a seconda del proprio luogo di residenza, e della maggiore o
minore competenza della commissione esaminatrice.
La valutazione medico-legale del danno otofunzionale e otovestibolare è particolarmente complessa, soprattutto se si devono valutare
lesioni permanenti. La legge 27 del 24/3/2012 afferma che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico
strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per
danno biologico permanente. Una bedside examination ben fatta,
con la registrazione di un video agli infrarossi, potrebbe essere considerata una metodica obiettiva ma sarà necessario che la VIS (Società italiana di Vestibologia) identifichi i criteri di osservazione sia del
V.O.R. (Riflesso Oculomotore) del S.V.R. (Riflesso Vestibolo Spinale)
e delle eventuali conseguenze neuropsicologiche purché a carattere permanente, e ne indichi la relativa valutazione. In tutta sincerità
ignoro cosa sia una vertigine ben sistematizzata identificata nel DM
05.02.92 con il codice 4105 e valutata 1-10%. In psichiatria “delirio
sistematizzato” è quello strutturato secondo una logica coerenza.
Può una vertigine obbedire ad una logica coerenza?
Ancora più complesso l’eventuale riconoscimento come malattia invalidante degli acufeni e ancor di più delle complicanze neuropsicologiche delle vertigini. Le infermità psichiche, infatti, potranno essere
considerate in ambiente medico legale solo se permanenti ed attestate da specialisti competenti, che non sono gli otoneurologi ma i
neuropsichiatri. Questi ultimi non considereranno però i risultati di
test (comunque poco oggettivabili) tipo DHI ma scale (sempre soggettive), come quella per la valutazione globale del funzionamento
(VGF). Riusciremo ad uniformare i due linguaggi?
Ogni medico infine può svolgere il ruolo di consulente medico legale
per il tribunale, perché il giudice è libero di chiamare chiunque ritenga più idoneo. Per l’iscrizione all’albo dei periti, invece, è richiesta
la partita IVA.
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Cod. 50002347