BENGASI i miei ultimi ricordi d`infanzia

Transcript

BENGASI i miei ultimi ricordi d`infanzia
1
BENGASI
i miei ultimi ricordi d’infanzia
10 - 06 -1940 01- 02 -1941
Da pochi giorni erano cominciate le vacanze scolastiche per l'Estate e il
caldo africano era cominciato e come si notava! Stava per terminare una di
quelle comuni tormente di GHIBLI e nel pomerigio, nessuno osava camminare
per le strade. Io avevo ultimato le lezioni nella mia Scuola Elementare,
all'Istituto LA SALLE.
Stavo attraversando la Piazza Municipio, (adesso “Omar El Muktar”) in
direzione della via Kasser Ahmed, forse per andare all’Istituto La Salle, sito
nella via Fiume, per informarmi quando avrei potuto ritirare la mia Licenza
Elementare.
Ero appena arrivato in detta Piazza, al lato della Moschea musulmana
“Giama El Chebir”, adiacente al mercato arabo “Suk el Dlam”, quando vidi un
assembramento di persone che ascoltavano alcuni altoparlanti che
informavano che l’Italia era entrata in guerra a fianco della Germania, contro
l’Inghilterra e la Francia.
Era il giorno 11 giugno 1940, alle ore 13,30 circa.
Gli altoparlanti del Municipio di Bengasi ne davano l’informazione, però
Benito Mussolini aveva dichiarato la guerra il 10 di Giugno, all’imbrunire, a
Roma, evidentemente le comunicazioni con la Libia erano “lente”.
Data la mia età, non mi fu facile capire bene il significato di quei
continui comunicati, alternati con solenne marce militari ed inni fascisti.
Avevo 12 anni e 3 mesi e andavo all’Istituto per ritirare, come dicevo, la
“mia” Licenza, per poi presentarla alla Segretaria della Scuola Media, alla quale
dovevo ora iscrivermi e sita nella stessa Via Fiume. Peró, considerato l’insolito
movimento nella Piazza, ripresi la via Sidi Salem, passai sotto l’arco, e dopo
percorsi la via Sidi Oman e quidi Sidi Said per tornare al nº 46, della via dove
abitavo per, commentare l’accaduto coi miei.
All’incrocio fra Sidi Oman e Sidi Said vi era un “almacen”, era pieno di
arabi che festeggiando l’inizio della guerra, che secondo loro, era contro gli
“ebrei”, ragion per la quale gli ebrei della zona si rinchiudevano tutti nelle loro
case e mettevano davanti le loro porte, bandiere italiane per cosí far credere
agli arabi che li abitavano famiglie italiane e cosí evitare eventuali problemi. La
presenza immediata dei carabinieri italiani e di quelli arabi, gli Zaptié, evitó che
le cose si complicassero per gli ebrei.
La mia casa aveva: alla sua destra, una casa di ebrei e alla sinistra una
di arabi, eccellenti persone in tutti e due i casi, di fronte avevamo la casa del
Maresciallo dei carabinieri con la sua famiglia. Avevano una bambina di nome
“Mara” di circa 3 o 4 anni.
Le notizie che venivano trasmesse da Radio Roma erano confuse,
euforiche ed ottimistiche e piú che altro sembrava che si stesse festeggiando
qualcosa di importante ma facile.
Giá all’imbrunire, la notizia si era sparsa in tutta la città e solo si
notava tra la gente eccitazione mista ad allegria.
Il ventidue di Giugno, solamente dodici giorni dopo il nostro ingresso
nelle ostilità, la Francia si arrendeva, naturalmente per merito unico dei
tedeschi. Il Maresciallo Petain, il militare più decorato della Francia, firmava
l’armistizio e collaborava attivamente coi tedeschi.
Mio fratello Melo si trovava attestato col suo 21° Reggimento di
Artiglieria motorizzata nella ”Ridotta Capuzzo”, lungo la frontiera con l’Egitto,
gia da vari mesi mentre Dante, fidanzato di mia sorella Lina, era attestato nella
Difesa Costiera della Regia Marina a Bengasi.
2
La mia famiglia era composta dai miei genitori (44 anni e 40 anni ) da
due fratelli: (Melo: 20 anni e Tanino: 16 anni) ed una sorella (Lina:18 anni),
una famiglia giovane ed affiatatissima! Eravamo realmente uno per tutti e tutti
per uno.
Mia madre era la regina della casa e mio padre reggeva la sua ditta di
autotrasporti composta da quattro autocarri: un ”FIAT 21”, due “FIAT 34” ed
un “LANCIA 3RO”. I due “34” avevano il rimorchio e tutti erano con motori
Diesel, dedicati al trasporto di merci, (poiché in Libia, non esistevano “linee
ferrate”), e una vettura: Fiat “Balilla”, credo, mod.’38. Il Garage dei camioni era
al Fuheiat, nell’area del “Ristorante ed Hotel BOSCO LITTORIO”, allora
conosciutissimo perché vi alloggiavano soptratutto gli ufficiali di alto rango.
Questo Ristorante e Hotel, era l’unico che a Bengasi, quando per
qualsiasi motivo mancava la corrente, aveva luce elettrica, giacchè aveva
gruppi elettrogeni propri. La sua ubicazione era la seguente: uscendo dalla
Berca (km 5) per andare all’aeroporto di Benina (km.20), all’ottavo km, sulla
sinistra (Lato Sud) vi era una Caserma per un Reggimento di Ascari (soldati
eritrei), poco piu´ avanti vi era la caserma del 21° Reggimento di Artiglieria,
(dove prestava servizio mio fratello Melo, come Sergente), poco pi’u avanti
ancora vi era a destra, il Giardino Zoologico chiamato “Bosco Littorio”.
Mio zio Angelo Valastro, in Libia sin dal 1912-1913, appena occupata,
fu uno dei pionieri di Bengasi. Lui, realizzò la prima “tranvia” a cavallo che
univa la Berca con Bengasi (circa 5 km). Quasi di fronte al Giardino Bosco
Littorio, e fece costruire un grande e moderno Hotel Ristorante che chiamó
pure Bosco Littorio.
L´Hotel aveva terreni, dove si facevano pure corse di cavalli, luoghi per
giuocare con le Bocce, piscine per bagnarsi, autorimesse, e vivai di fiori, con
grandi riserve di acqua, la cui distribuzione, agli arabi della zona, era gratuita.
Le domeniche, tutte le riunioni familiari dei Valastro e dei Musmarra si
relizzavano al “Bosco Littorio”
Mio fratello Melo, arruolatosi volontario nell’Esercito, aveva da pochi
mesi finito il suo corso nell’Accademia militare di Tripoli ed era stato destinato
al 21° Reggimento di Artiglieria con sede al Fueihat (Bengasi), pure vicinissimo
all’Hotel Ristorante Bosco Littorio del nostro zio Angelo, però vi rimase solo
pochi mesi poiché il suo Reggimento, per apparenti esercizi militari, per
“manovre”, fu traslocato quasi nella sua totalità, dal Fueihat alla Frontiera con
l’Egitto (sic!) nel mese di Marzo o Febbraio 1940, ed il dieci di Giugno,(allo
scoppio della Guerra) già si trovava in prima linea, nella Ridotta Capuzzo, di
fronte a Sollum (Egitto, inglese).
Mio fratello Tanino stava con noi a Bengasi e lavorava nel ”Patronato Nazionale
per l’Assistenza Sociale”, nel quale era entrato, appena si era diplomato
Ragioniere. Mia sorella Lina stava in casa.
Fatte queste precisazioni, sará ora più facile andare avanti.
Nei giorni seguenti al dieci di Giugno, l‘ottimismo era elevato, infatti il
ventidue di Giugno la Francia si arrendeva e dopo pochi giorni, le truppe
italiane in Africa Orientale, occupavano BERBERA, capitale della Somalia
britannica, mentre i nostri alleati e camerati tedeschi, in Europa avanzavano
strepitosamente su tutti i fronti. La vittoria era sicura, la guerra non si
sarebbe prolungata più del prossimo 15 di Agosto per i più ottimisti, mentre i
meno ottimisti, dicevano che la guerra doveva esser necessariamente una
“blitzkrieg” (guerra lampo) da vincersi in meno di due anni, altrimenti
l’avremmo persa senza dubbio. (Questi ultimi, disgraziatamente, furono
profeti.)
Una cosa strana successe la notte dell’undici giugno alla frontiera tra la
Cirenaica e l’Egitto.
Gli inglesi, fecero prigionieri nella Ridotta Capuzzo (Ex Sidi Omar), vari
soldati e ufficiali italiani in un breve “raid comando”, senza nemmeno sparare
un colpo, dovuto al fatto che ancora l’esercito italiano alla frontiera “non
sapeva” che già eravamo in guerra.
3
Melo, mio fratello, raccontava poi la ”faccenda”, meravigliato, giacché lui
si trovava nella Ridotta Capuzzo e non fu preso prigioniero, per pura casualità.
Peró torniamo a Bengasi, ov’ero io e tutta la mia famiglia.
La guerra, inaspettata, non fu cosí, sebbene per alcuni mesi le cose
siano andate bene in Libia. Infatti, gli italiani eran entrati in Egitto ed erano
arrivati pure a Sidi El Barrani il 15 di Settembre 1940 e più esattamente fino a
MAKTILA (25 km ad est di Sidi El Barrani), e Melo dal fronte, ottimista, ci
prometteva di portare “un portafoglio con pelle d’inglese”. Ci diceva lui, che,
quando al Fronte lui stesso caricava il suo cannone 105/28, baciava il
proiettile e gli diceva: ”Oh Dio, fagli fare il massimo effetto contro il nostro
nemico”.
Per l’allegria e l’entusiasmo suscitato da quest’occupazione ed avanzata
italiana, su Sidi El Barrani, il Prefetto di Bengasi: l’On. Epifani, organizzó una
festa, per il 16 Settembre, alle ore venti, onde fare un discorso riferito
all’evento, nella Piazza della Prefettura, però tale discorso, non si poté
concretare perché nel momento in cui avrebbe dovuto cominciare,suonarono
per la prima volta a Bengasi, le sirene d’allarme e tutta la gente si disperse
allarmata velocemente: erano le ore venti circa di quella sera!
Aerei inglesi avevano attaccato e bombardato l’aeroporto militare di
Benina (20 km da Bengasi). Poi, verso le 21,30 ricominció, il silenzio! Più
tardi, a mezzanotte, si sentí uno strano avvicinarsi di aerei, ricordo che mia
madre disse: ”Meno male, stanno arrivando i nostri”, ed immediatamente una
volta ancora l’allarme con la risposta dell’artiglieria antiaerea italiana, che
allora ci sembrava poderosa e che dopo vedemmo, quanto era ridicola!. Non
ricordo dov’era mio padre, peró mia madre, Lina, Tanino, il gatto, ed io ci
mettemmo sotto il letto, sicuri così di stare protetti. I boati delle bombe ci
stordivano, non capivamo nulla, non avevamo nessuna esperienza né
conoscimento. Saranno state due ore di bombardamento, peró a noi sembró un
secolo e quando tutto finí, perfino, pensammo che l’artiglieria nostra avesse
distrutto tutti gli aerei incursori....e invece nó, neanche uno come semplice
dimostrazione; l’inesperienza, la poca ed arcaica Difesa Antiaerea, obbligò ad
usare contro gli aerei, l’artiglieria costiera della marina, che in quell’epoca era
unicamente per bersagli marittimi, inoltre il bombardamento dell’aeroporto
militare di Benina, aveva inutilizzato i caccia militari e le piste per il loro
decollo, per poter difendere eventualmente lo spazio aereo bengasino.
Il giorno seguente uscimmo da casa, e vedemmo distruzioni di edifici
interi, feriti, morti e mutilati che erano prelevati dalle macerie, da Esercito,
Croce Rossa, pompieri, volontari, ecc. ecc. Melo, stava a Sidi El Barrani, ed
venne a Bengasi verso Novembre per ritirare munizioni e portarle al fronte
marmarico, assieme ad un gruppo di soldati del suo reggimento. Nel tragitto,
dal fronte a Bengasi, durante un bombardamento a Derna, dove stava
passando, in un rifugio sotterraneo, s’incontrò improvvisamente con mio padre,
rifugiato, pure lui, nella stessa caverna: cose del destino!!!
Noi eravamo
sfollati nel Villaggio Baracca (80 km ad Est di Bengasi), da varie settimane,
giacchè i bombardamenti a Benagasi erano troppo frequenti: due, tre e quattro
volte al giorno.
IL GOVERNATORE GENERALE DELLA LIBIA:
MARESCIALLO ITALO BALBO
Intanto, nello stesso mese di Giugno in cui era cominciata la guerra, il
giorno 28, alle 17,30, Il Governatore della Libia, Maresciallo Italo Balbo, nel
tornare con il suo aereo, da una missione militare, fu abbattuto sopra la rada
di Tobruk dall’artiglieria dell’incrociatore SAN GIORGIO per un “errore”. ( Si
disse molti anni dopo, che lui sarebbe andato in Egitto per cedere agli inglesi,
la Colonia Libia e dichiararla indipendente, ragion per la quale il servzio
segreto lo avrebbe condannato a morte prima che tornasse a Bengasi,
potendogli cosi dare onori militari ed occultare il fine della missione,
4
evidentemente strana, evitando così di farlo passare come un traditore
dell’Italia e del Fascismo, di cui lui era uno dei quattro fondatori, assieme a
Mussolini.
Il suo corpo si distrusse. Io sono stato a salutare, assieme alla mia
mamma, la sua salma, nella Palazzina del Governatore, dove solo si vedeva la
bara funebre che lo conteneva (si presume) e sopra la stessa, la sua sciabola
dorata, il suo cappello militare bianco di Maresciallo dell’Aria e la bandiera
italiana: Era, ricordo, il 30 di Giugno od il 31, del 1940. Sembra che lui si
fosse accorto dall’inizio che l’entrata in guerra , sarebbe stato un gravissimo
errore politico per l’Italia. Lui grande fascista, era l’unico che aveva la forza e il
coraggio di contestare ciò, direttamente a Mussolini, e si dice che questi nel
1934, l’abbia mandato come Governatore in Libia per toglierselo di torno.
Nel 1938 ebbe un forte scontro col Duce per non volere accettare la
legge sulle questioni razziali, e che dimostró chiaramente con la sua legge del
“Suà-Suà”, nello stesso 1938: vedi Corriere della Sera del 24-12-2005. Fu un
gran protettore degli arabi.
In quanto alla sua morte accidentale, sorsero varie versioni, la verità
credo non si conoscerá mai. C’é un libro di Mondadori: “Tobruk 1940, la vera
storia della fine di Italo Balbo”, che presenta una versione abbastanza
documentata.
03.10.1940, GIOVEDì
Da varie notti, in conseguenza dei continui bombardamente inglesi su
Bengasi, all’imbrunire sfollavamo da Bengasi andando a “DRIANA” a 34 km a
est, (l’ex Adrianopolis, fondata dall’Imperatore Adriano), sulla “Litoranea
Balbia”. Un paesello desolato, con un lago circondato da palme e quattro
casette rustiche, arabe. Di notte si poteva dormire o osservare i
bombardamenti su Bengasi, come se stessimo assistendo ad un film, la
mattina tornavamo a Bengasi. Dormivamo al lato del lago in piccole tende.
Intanto, nasce a San Paolo del Brasile, una bambina: Elisa Sgarzi, figlia di
Manilo e di Paulina Martins, (lui italiano e lei brasiliana d’origine portoghese),
nel quartiere “Ipiranga”, persona che entro diciassette anni avrebbe cambiato
la mia vita e il mio destino! Io avevo dodici anni,6 mesi e 22 giorni.!
Quando Italo Balbo fu abbattuto con il suo aereo, Melo, lo vide cadere,
perché si trovava a Tobruck per motivi militari. Si disse pure che l’errore fu
voluto da Mussolini stesso, che non sopportava l’eccessivo protagonismo che
aveva acquisito Italo Balbo, in Libia, sopratutto da parte degli arabi che per lui
avevano una speciale predilezione. Fu lui, fra le altre cose, l’autore della legge
del “Suá-Suá” per la quale gli arabi avevano gli stessi diritti e doveri degli
italiani ed avevano inoltre la stessa nazionalità (Suá-Suá vuol dire infatti
“uguale-uguale). In realtà questa legge, già si praticava da molto tempo, prima
che la stessa nascesse, per questo motivo io ebbi come compagni nell’Istituto
La Salle diversi arabi mussulmani, uno dei quali: Mohammed Mousa fu poi
Ministro delle Relazioni Estere del Re Idriss El Senussi, quando gli inglesi
formarono in Libia, un loro Regno satellite: The United Kingdom of Lybia e del
quale io, da Buenos Aires, fui un correspondente della stampa locale. Durante
uno dei tantissimi bombardamenti notturni a Bengasi, una notte, mentre
stavamo tutti rifugiati nel rifugio della famiglia Costa, amicissimi di famiglia e
vicini di casa, che stava sotto il loro edificio di quattro o cinque piani, all’angolo
tra la via Generale Briccola e la Piazza Municipio, io, assieme ad ANTONIO
COSTA, (nato a Bengasi il 19.12.1926 e morto a Roma il 24.02.1942 come
profugo della Libia), unico figlio maschio dei Costa, quasi mio coetaneo e molto
amico, scoprimmo un caso di spionaggio, importante.
Dato che a Bengasi vi era, fra le altre,una discreta comunitá di indiani
(sudditi britannici) era logico che vi fosser pure spie. Antonio ed io, una notte
durante il bombardamento aereo, uscimmo dal rifugio per vedere nell’oscuritá,
se vi era qualcuno di notte che forniva informazioni ai piloti degli aerei inglesi
5
per mezzo di segnali luminosi. Oh che sorpresa! In pieno bombardamento, dal
quarto piano dell‘edificio Costa, da una finestra scoprimmo una trasmissione
luminosa in MORSE. Immediatamente informammo la Polizia, e in pochi
momenti, questa venne e prese i cinque indiani, “spie”, che si erano nascosti
sotto i letti o dentro gli armadi attaccapanni e che li portò via. L’indomani non
ci furono bombardamenti, e dopo, per molto tempo, gli aerei inglesi,
bombardavano ciecamente la città, senza conoscere obiettivi precisi.
Peró adesso comincia un periodo fatale, dovuto al fatto che l’8 Dicembre
del 1940, gli inglesi attaccarono in massa sul fronte marmarico, da Maktila al
Sud (dove stava allora mio fratello Melo, col Gruppo di artiglieria della
Divisione “Maletti”, la 1ª Div.ne Libica, la 2ª Div.ne LIBICA, la 64ª Div.ne
CAMICIE NERE e la 63ª Div.ne del XXI° Corpo d’Armata), con nuovi carri
armati (Matilda) blindati,ed impenetrabili dai proiettili anticarri d’allora e con
riforzi di varie divioni di Indiani, australiani ecc., cominciarono una avanzata
travolgente ed irrefrenabile.
Fu una battaglia breve, però feroce e travolgente. I mezzi corazzati
nemici erano poderosi. Quando tutto era già perso, e perfino le “Camicie nere”,
si erano arrese, solo i soldati della Prima Divisione Libica lottavano ancora. I
soldati libici, fecero il loro battesimo di sangue in forma sorprendetnte ed
eroica, e superarono agli stessi connazionali cattolici. L’Italia dovrà sempre
onorare quei soldati libici, (italiani islamici), che difesero la loro bandiera
italiana, tanto o meglio che gli stessi italiani d’Italia. Melo stesso rimase
meravigliato per la loro abnegazione.
Sebbene sia stata una sconfitta, l’esercito della rinata “Roma dei
Cesari”, fece un solo fronte contro l’avversario, senza fare, così, come
succedeva da più di duemila anni prima, nessuna differenza religiosa fra i
combattenti romani e quelli di altre religioni, né fra i civili, i discendenti e
conterranei dell’Imperatore romano ”SETTIMIO SEVERO”, nato a LEPTIS
MINOR, (adiacente a LEPTIS MAGNA, che dopo assorbì la MINOR, formando
così una sola città: LEPTIS MAGNA), mostrarono di essere degni discendenti
del Grande Imperatore.
Nel frattempo, la situazione per i civili, a Bengasi, si fece impossibile e le
donne e i bambini cominciarono a sfollare, dalla Cirenaica orientale e dopo da
quella occidentale. Mia madre, previgente come sempre, trasferí a Tripoli, con
la Cassa di Risparmio della Libia, tutto il denaro che aveva la nostra famiglia a
Bengasi, somma che arrivó a £. 131.000, (non sono molto sicuro dell’entità
della somma, dato che io ero un ragazzo allora, e non mi preoccupavo per nulla
del denaro della famiglia) soldi che poi, furono in parte il sostentamento col
quale vivimmo durante la guerra, oltre ad altre minime entrate extra (sussidi,
lavori di mio padre, ecc. ecc.) amministrati dalla migliore amministratrice che
sia esistita nel mondo: mia Madre!
E´ merito suo che noi, non siamo mai stati alloggiati nei campi dei
profughi, come la maggior parte degli italiani della Libia. E ció non lo dico, per
disprezzare loro, ma per ammirare ancora di più chi mi mise al mondo. Lo
stesso mio zio Angelo Valastro, super milionario e pioniere di Bengasi, andó a
finire e morí in un campo profughi di Lecce, in Italia.
Cosí il giorno 1 febbraio 1941, quando la disfatta era evidente e
travolgente, sfollai coi miei familiari da Bengasi, mentre gli inglesi e gli
australiani si trovavano a Derna, (circa 200 km ad Est di Bengasi). Mio padre,
come tanti altri, dovette cedere all’Esercito, i suoi camion e lui stesso fu
militarizzato immediatamente utilizzando il suo stesso Lancia 3RO, per conto
dell’Esercito, col grado di ”Sergente Maggiore”.
Tanino, nel Patronato fu pure militarizzato. Da mio fratello Melo,
nessuna notizia, solo si sapeva che c’erano migliaia e migliaia di morti e di
prigionieri. Con un’autocorriera militare “ad hoc”, partimmo verso Tripoli il
primo Febbraio: alle ore 13,40. Dalla autocorriera militare volli vedere per
l’ultima volta la mia cara Bengasi, che scompariva tra le moschee e le palme di
datteri.
6
Mio padre e lo stesso Tanino non potevano venire con noi: solamente
donne e bambini. Loro sarebbero partiti per Tripoli, appena gli sarebbe stato
permesso e con altri eventali mezzi di trasporto. Con noi viaggiava una
signora, con una figlia e un figlio, che con mia madre simpatizzò e parlavano
continuamente. Era la moglie di un capitano dell’esercito che rimaneva a difesa
di Bengasi. All’allontanarci dalla città, la signora a un tratto cominciò a
guardare dal finestrino suo, verso fuori, con molta insistenza, e ci disse che fra
pochi minuti saremmo passati davanti all’accampamento militare di suo
marito. E fù così, a un tratto ci indicò la tenda del comandante, suo marito, vi
era impressa con lettere bianche molto grandi: “T’AMO ITALIA MIA”.
Non ho mai potuto sapere se il Capitano ri riferiva alla nostra Patria o a
sua moglie che si chiamava pure ITALIA.
Era un giorno pieno di luce, color sabbia, poiché vi era un poco di
Ghibli (il vento del Sahara), e la corriera andava, andava, ed andava, piena di
donne e qualche ragazzo, fra i quali io. Non so se avevo fame, sete, caldo o
freddo, paura o che so io, eravamo tutti insensibili. Arrivammo ad Agedabia e si
fece rifornimento di combustibile, scendemmo e cercammo di trovare qualcosa
da mangiare, v’era un piccolo Suk arabo e con Lina riuscimmo a trovare e
comprare uno o due pagnotte, che un arabo aveva sotto il barracano che le
copriva. Poco dopo, ripartimmo malinconicamente: era il pomeriggio del primo
febbraio 1941. Queste date, per noi italiani d’Africa, anziani nostalgici della
nostra terra, non si possono mai dimenticare, sono indelebili, come il nostro
desiderio di ritornare a Bengasi
La notte fra il tre e il quattro, a Zuetina (Agedabia), fu preso prigioniero
mio padre che, assieme ad una colonna di automezzi militari, si spostava verso
Tripoli, col suo Lancia 3RO. Carri armati australiani e autoblindate avevano
circondato Bengasi e l’anello si chiudeva ad Agedabia contro il mare
(Operazione “Beda Fomm”). Noi (mia madre, Lina ed io) eravamo passati da li,
appena un giorno e mezzo prima e siamo riusciti ad andare a Tripoli! Tanino
passó il tre e ci raggiunse a Tripoli dopo più di una diecina di giorni, dato che
camminó con altre persone attraversando il deserto sahariano per non essere
catturato dagli inglesi. Mio padre, catturato dagli australiani, fu riportato a
Bengasi come prigioniero civile e la cittá cadde in mano agli inglesi il 6 di
Febbraio 1941.
L’ultimo autocarro di mio padre, il “3RO” col quale fu catturato, rimase
in mano degli australiani, i quali lasciarono la Libia appena seppero dell’arrivo
dei primi contingenti tedeschi equipaggiati con carri armati Panzer, poichè loro
sapevano che sarebbero andati a combattere solo contro gli italiani in Libia, le
cui armi erano improprie per affrontare una guerra moderna e meccanizzata, e
non contro i tedeschi che erano bene armati, per affrontare una guerra
moderna del tipo “Blitzkrieg”.
Ringrazio fervidamente la collaborazione dell’Arch. Angelo Nicosia,
([email protected]), ex compagno dell’Istituto La Salle di Bengasi, per aver
“pulito” il mio sbiadito italiano.
Ing. J.A.Musmarra
Buenos Aires
E.Mail: [email protected]