tu vuo` fa` il community organizer

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tu vuo` fa` il community organizer
TU VUO’ FA’
IL COMMUNITY
ORGANIZER
DIEGO GALLI
WWW.COMMUNITYORGANIZING.IT
Q
uesto libretto raccoglie alcuni estratti del blog che ho
tenuto durante i miei due mesi e mezzo di formazione come community organizer a Milwaukee. Il titolo
riprende il nome che diedi al blog, un po’ come monito a non
prendermi troppo sul serio, un po’ come risposta anticipata
all’obiezione che il “community organizing non potrà mai funzionare in Italia”. Pare che questa obiezione venga mossa anche negli Stati Uniti ogni volta che viene aperta un’organizzazione in una nuova città. Ed è stata fatta in Germania quando
Leo Penta ha dato avvio al Deutsches Institut für Community
Organizing, e in Francia quando Adrien Roux ha fondato l’Allyance citoyenne Grenoblois.
Certo, l’Italia non è l’America, e non si possono scopiazzare
modelli e pretendere che funzionino. Ma come cerco di raccontare in questo diario, il community organizing lavora soprattutto con degli universali umani: la forza delle relazioni, i
mentori, la differenza tra potere dominante e potere relazionale, la rabbia, il mondo come dovrebbe essere in contrapposizione al mondo come è.
La foto in copertina ritrae un giovane Barack Obama. Sono
venuto a conoscenza del community organizing leggendo,
all’epoca della sua prima corsa presidenziale, che da giovane
aveva lasciato la carriera da avvocato per lavorare come community organizer a Chicago.
Spero che sia una lettura interessante. E che riesca a trasmettere l’ispirazione che ha rappresentato per me vedere all’opera questa pratica dalla storia ormai quasi secolare. Una storia
che è venuto il momento che pianti le sue radici anche in Italia.
Io ho deciso di dedicarmi a questo. Ho scritto questo diario per
incontrare compagni di viaggio.
INDICE
Obama in bianco e nero 5
Che cos’è il community organizing
7
La cosa più radicale che insegniamo
11
Il mondo come dovrebbe essere
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Ritratti di quartiere17
Personalizzare e polarizzare
19
Guerra delle periferie… o community organizing? 25
La moltiplicazione dei pani e dei pesci
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Appendici33
Obama in b/n
La foto in bianco e nero ritrae un giovane Barack Obama alle prese con la registrazione al voto degli afroamericani
per le strade di Chicago.
Come racconta nella sua biografia “I
sogni di mio padre“, dopo gli studi all’università di Harvard e aver partecipato
a un training di 10 giorni a Los Angeles
organizzato dall’Industrial Areas Foundation, Obama lavorò tre anni come
community organizer a Chicago,
un’esperienza che ha influenzato profondamente la sua formazione umana
e politica.
“Quindi,” disse Martin tamponando la
macchia con un tovagliolo di carta, “perché qualcuno delle Hawaii vuole fare il
community organizer?”
Mi sedetti e gli raccontai qualcosa di me.
“Mmmm”, annuì mentre prendeva note
su un blocco pieno di linguette, “devi essere arrabbiato per qualcosa”.
“Che intendi?”
Scrollò le spalle. “Non so cosa esattamente. Ma qualcosa. Non fraintendermi,
la rabbia è un requisito di questo lavoro.
L’unica ragione per la quale qualcuno decide di diventare un organizer. Le persone adattate trovano lavori più rilassanti”.
A conclusione della sua esperienza
come direttore del Developing Communities Oroject di Chicago, Obama scrisse un saggio sulla rivista Illinois Issues
intitolato “Why Organize? Problems
and Promise in the Inner City“.
L’organizing parte dalla premessa che
1) i problemi che devono affrontare le
comunità dei quartieri poveri non sono
una conseguenza della mancanza di
soluzioni efficaci, ma della mancanza di
potere per implementare queste soluzioni; 2) che l’unico modo per le comunità
di costruire potere di lungo periodo è
organizzando le persone e il denaro
intorno a una visione comune; e 3) che
un’organizzazione praticabile può essere
conseguita se una leadership indigena a
base allargata – e non uno o due leader
carismatici – può unire insieme i diversi
interessi delle proprie organizzazioni locali. Questo significa portare chiese, associazioni di quartiere, gruppi di genitori
e ogni altra organizzazione in una data
comunità a pagare le rette, assoldare
organizers, fare ricerca, sviluppare la
leadership, tenere riunioni e campagne
educative, e iniziare a architettare piani
su un’insieme di questioni – lavoro, scuola, criminalità, etc. Una volta che questo
veicolo è stato formato, detiene il potere
per rendere i politici, la burocrazia e le
aziende più responsabili verso i bisogni
della comunità.
Per questo suo trascorso è stato più
volte etichettato dai repubblicani come
un pericoloso “radicale”. Newt Gingrich in campagna elettorale ha accusato Obama di «non saper tracciare la
differenza tra la Dichiarazione di Indipendenza americana e gli scritti di Saul
Alinsky».
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6
Che cos’è
il community organizing
Il community organizing è una tradizione di attivismo civico nata in America negli anni ’30 del secolo scorso il cui
fondatore, Saul Alinsky (30 gennaio
1909 – 12 giugno 1972), è stato definito
da Jaques Maritain uno dei «tre rivoluzionari degni di questo nome» di tutto l’occidente (Maritain 1977, 42). Dopo
aver organizzato con successo gli abitanti
del quartiere di Chicago dove avveniva
la lavorazione della carne, Alsinky iniziò
a essere chiamato a intervenire in varie
parti degli Stati Uniti, ottenne l’appoggio di organizzazione importanti come
la Diocesi di Chicago, formò molti degli
attivisti che guideranno i movimenti di
protesta americani come il leader degli agricoltori californiani Cesar Estrada
Chavez, e divenne negli anni ’60 un punto
di riferimento per il movimento studentesco (Hillary Clinton si laureò nel 1969
con una tesi dal titolo “There is only one
fight. An analysis of the Alinsky Model”).
Negli ultimi anni questa tradizione ha
avuto un incremento di attenzione pubblica anche grazie all’elezione di Barack
Obama alla presidenza degli Stati Uniti,
il quale dopo aver lasciato gli studi all’università di Harvard per partecipare a un
training di 10 giorni a Los Angeles organizzato dall’Industrial Areas Foundation,
lavorò tre anni come community organizer a Chicago, un’esperienza che come
racconta nella sua autobiografia ha influenzato profondamente la sua formazione umana e politica.
L’Industrial Areas Foundation (IAF),
fondata da Saul Alinksy nel 1940, è uno
dei più grandi network di organizzazioni
locali di community organizing negli Stati
Uniti, ed è l’unico che vanti organizzazioni
affiliate in altri paesi come il Canada, l’Australia, la Gran Bretagna e la Germania.
L’obiettivo del community organizing è
creare potere al livello delle comunità
locali. Gran parte dei problemi sociali,
secondo questa tradizione, non trovano soluzione perché esiste uno squilibrio strutturale di potere tra lo stato e il
mercato, da una parte, e la società civile
dall’altra. Finché questo squilibrio di potere non viene affrontato, gran parte dei
più pressanti problemi sociali resteranno
senza soluzione. «E’ per questo – spiega
Michael Gecan – che quando siamo chiamati da un leader religioso o di quartiere
di una città, gli diciamo che non verremo per risolvere un problema abitativo
o educativo o salariale. No, diciamo che
tenteremo di risolvere un problema più
fondamentale: un problema di potere».
Alinsky chiamava il community organizing “l’arte della politica relazionale”.
Il tipo di potere che tentano di far acquisire dalla comunità, infatti, è relazionale:
un “potere con gli altri” in opposizione al
“potere sugli altri”.
Come scriveva Danilo Dolci, “non si può
realizzare una società civile senza imparare a distinguere la forza–potere dalla
violenza–dominio”.
Quando arrivano in un territorio, di solito i quartieri più poveri e malfamati delle
città americane, gli organizers lavorano
alla paziente tessitura di relazioni con
quelle che chiamo le “istituzioni ancora”, le organizzazioni stabili della società
civile, anzitutto le chiese di ogni confessione religiosa e le scuole, ma anche
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sindacati, comitati di quartiere e centri
anziani. Il loro obiettivo è rafforzare le istituzioni della società civile.
La base del lavoro dei community organizers è rappresentato da quelli che definiscono “incontri relazionali”, incontri
faccia a faccia, della durata di 30-45 minuti,
con abitanti del territorio. «Le loro storie,
intuizioni e memorie sono più importanti
di un nome su una petizione o il contributo
a una campagna», si legge in una pubblicazione dell’Industrial Areas Foundation.
Gli organizer sanno già che almeno il 90% di
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questi incontri non porteranno a nulla. Ma
tra le persone che incontrano ci sono quelli
che definiscono i leader. Quando gli ho chiesto cosa intendessero per leader, Ojeda Hall,
una donna che ora guida l’organizzazione di
Baltimore, mi ha risposto che «un leader è
anzitutto una persona che ha un seguito, nel
senso che se chiama qualcuno questo viene. Non deve essere una persona potente o
nota. Anche una donna che riesce a crescere
da sola 6 figli per noi è un leader».
Uno dei principi fondativi del community
organizing è quella che chiamano “la legge
di ferro”: «non fare mai per gli altri quello
che possono fare da soli». Rob English, veterano di guerra, e esperto organizer trasferitosi a Baltimore dopo diversi anni di
attività a New York, mi ha spiegato come
BUILD, l’affiliata locale della IAF, «non è
un’organizzazione tematica, né territoriale. E’ un’organizzazione “culturale”. Il suo
campo di azione sono le relazioni umane
e il suo obiettivo è dare alle persone un
senso di potere, di capacità di agire».
Sono moltissime le campagne di successo
portate avanti dalle affiliate IAF. I campi su
cui hanno ottenuto i successi più rilevanti
sono i seguenti.
- Salario minimo vitale. Negli Stati Uniti
la IAF ha ottenuto l’approvazione nel corso
degli anni ’90 di una serie di risoluzioni per
la garanzia del salario minimo vitale in più
di 100 città degli Stati Uniti.
- Lavoro. In Texas, Lousiana e Arizona
sono riusciti a far finanziare un progetto
di formazione al lavoro, Project QUEST,
che ha ricevuto il premio per l’innovazione
dall’Università di Harvard e che ha portato
11.000 persone fuori della soglia di povertà.
- Scuole. L’Annenberg Institute for School
Reform ha dimostrato in uno studio come
grazie al lavoro di Austin Interfaith i risultati degli studenti nei test standard sono
migliorati in media del 15-19%, grazie al
coinvolgimenti attivo di insegnanti e genitori promosso dai community organizers.
A Baltimore l’affiliata IAF locale è riuscita
a dar vita a un’autorità per le gestione dei
programmi doposcuola, Child First, che
attualmente assicura programmi accademici, culturali e ricreativi per 1400 allievi
ogni anno.
- Case. L’affiliata IAF di New York, la East
Brookling Congregations, negli anni ‘80
ha dato vita a un progetto pilota di costruzione di 4.500 case a prezzi calmierati denominato “Neemia” (dal nome del
profeta che ricostruì Gerusalemme) solo
nella parte est di New York. A partire da
allora grazie all’azione delle affiliate IAF
sono state costruite oltre 6.000 abitazioni
a New York, Baltimora, Washington DC e
Filadelfia per famiglie con un reddito annuo sotto i 75.000 dollari, e ristrutturate
17.000 case.
- Assistenza sanitaria. Il gruppo IAF nel
Massachusetts, Greater Boston Interfaith
Organization, ha promosso la riforma sanitaria bipartisan del 2006 (firmata dall’allora governatore Mitt Romney) che ha
garantito la copertura sanitaria a 500.000
persone che ne erano prive e ispirato la
riforma della sanità di Obama.
- Pignoramenti e banche. In Virginia l’organizzazione affiliata VOICE negli ultimi due
anni ha contattato direttamente oltre 800
proprietari in difficoltà, mappato ogni singolo pignoramento, identificato le banche che
hanno emesso mutui subprime e quindi causato i pignoramenti, e costretto le principali
responsabili, Bank of America e JP Morgan,
ad assicurare 60 milioni di dollari in riduzione
dei debiti e remissione dei prestiti e 5 milioni
di dollari per ristrutturare le abitazioni deteriorate.
In Europa negli ultimi anni il community organizing ha iniziato a prendere piede in Gran
Bretagna con l’organizzazione Citizens UK,
in Germania con DICO – German Institute
for Community Organizing, in Francia con
Alliance citoyenne e in svariati paesi dell’Europa dell’est tramite le organizzazioni facenti
capo all’European Community Organizing
Network.
Inoltre, tentativi di introdurre il community
organizing sono stati condotti anche da alcuni partiti politici e sindacati, come il Labour
Party britannico, il Partito socialista danese, il
Trades Union Congress in Gran Bretagna. Il
governo britannico guidato da David Cameron, nell’ambito del progetto Big society, ha
finanziato un programma di formazione di
5000 community organizer in tutto il Regno
Unito.
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La cosa più radicale
che insegniamo
Siamo nel collegio di sole donne Alverno
creato da un ordine religioso di suore nel
1887. Tutti gli ingredienti per apparire come
un luogo tradizionalista. E’ l’opposto. Non ci
sono voti alla fine dell’anno né per gli esami.
Le allieve sono chiamate a valutare gli insegnanti e i programmi attraverso discussioni
aperte. Solo il 30% delle allieve è cattolico, il
resto di altre fedi o non credente. Ci sono organizzazioni sia degli insegnanti che delle allieve apertamente femministe. Incoraggiano
la partecipazione politica. E hanno anche un
corso di community organizing.
Lo insegna Kathleen a volte. La prima volta
che l’ho accompagnata a una lezione, nelle
presentazioni iniziali (un rito immancabile
in qualsiasi riunione organizzata dalla IAF)
un’allieva ci dice che da grande vuole fare
la presidente degli Stati Uniti. La rivedo poi
all’assemblea pubblica convocata da Common Ground lo scorso 19 ottobre e alla valutazione successiva. Giorni dopo siamo di
nuovo alla sua università in attesa di un incontro con una docente. Lei vede Kathleen e
si avvicina subito. “Ci sono un sacco di cose
che non mi sono piaciute all’assemblea. Ero
molto delusa e molte altre persone lo erano”.
Kathleen la guarda in modo del tutto aperto e le chiede: “interessante. E perché?”. Lei
inizia a dirle che non era riuscita a intervenire nella valutazione. Che l’uomo che la conduceva non era interessato agli input, solo
a dire il suo punto di vista. Che le slide non
funzionavano e non si vedevano. Che c’era
troppa religione e sembrava che volesse essere imposta ai presenti, tanto che un’amica
che era con lei se n’era andata.
Kathleen ascolta, spiega che la valutazione
è per loro in parte un momento di insegnamento per cui c’è un ruolo importante svolto
dall’organizer, che la loro base è composta
da chiese, però è molto interessata alla sua
impressione perché non è la prima volta che
la sente. Il suo ascolto è incredibilmente accogliente. Le sue domande sono tutte rivolte
ad aprire il mondo del suo interlocutore. Così
che una conversazione nata con una serie di
rimostranze e delusioni si trasforma in un
racconto sulla storia di questa ragazza, sull’origine della sua rabbia, sulla sua famiglia e i
valori che le ha passato sua madre, sul suo
essere lesbica, il suo rapporto con lo sport,
con la religione. E mentre lei parla Kathleen
trova il modo di raccontare anche di sé, cogliendo connessioni con la vita di questa ragazza. A un certo punto il mio istinto mi dice
una cosa. Questa ragazza dice che vuole fare
politica per combattere la disuguaglianza,
che vuole cambiare le cose, che vuole ottenere risultati su cui far convergere gli altri, ma
non sembra disposta ad ascoltare. Io a quel
punto le avrei detto qualcosa tipo: “ma per
fare questo devi anche imparare ad ascoltare gli altri…” utilizzando il patrimonio di
fiducia conquistato fino ad allora e l’autorevolezza del community organizer. Kathleen,
nello stesso istante in cui lo penso, le fa questa domanda: “E a chi presti ascolto rispetto
a queste cose nella tua vita?”. Non c’è giudizio,
c’è curiosità. Non c’è fretta di ottenere qualcosa. E’ così in quasi ogni incontro a cui partecipo con lei. Proprio nel momento in cui la
conversazione sembra su un binario morto,
proprio quando sarei tentato di cambiare
argomento, puntualizzare, chiedere all’altro
di fare qualcosa o dire come andrebbe fatta,
Kathleen fa una domanda che riapre la discussione mettendo l’altra persona al centro.
E’ come guidare ascoltando.
E’ una vera e propria arte quella di Kathleen.
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KATHLEEN PATRÒN,
COMMUNITY ORGANIZER
DI COMMON GROUND
E’ l’arte dell’incontro relazionale. L’invenzione
di questo strumento del community organizing non si deve ad Alinsky ma al suo successore alla guida dell’Industrial Areas Foundation, Ed Chambers. «La cosa più radicale che
insegniamo» lo definisce nel suo libro “Roots
for Radicals”. Nelle dispense del training svolto da Common Ground oggi si legge:
Gli incontri non sono fatti per vendere
alcunché, né Common Ground, né una
campagna, né la tua organizzazione.
Sono fatti per condividere i tuoi interessi
e la tua storia e per comprendere la storia e gli interessi dell’altra persona. Stai
cercando di costruire forse una relazione basata su valori e interessi comuni
per far diventare il mondo un posto
migliore.
Kathleen è un’artista dell’ascolto e della capacità di incontrare le motivazioni profonde degli altri perché è questa l’attività a cui i
community organizer dedicano la maggior
parte del loro tempo. Ed è questa la sonda,
lo strumento e il territorio dove incontrano
quelli che diventeranno i leader dell’organizzazione di cittadini in grado di esercitare
potere a cui danno vita ovunque avviano
questo processo.
La ragazza prosegue dicendo che per lei il
community organizing è troppo lento, lei
vuole arrivare al potere, essere eletta, perché
così potrà cambiare le cose. Perché chi sta al
potere non ascolta i bisogni delle persone. Allora Kathleen si attacca qui, alla sua affermazione, per spiegarle come vede il community
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organizing.
La maggior parte dell’attivismo non è
relazionale. Ricordo che quando ero in
Sudafrica non ho mai visto tante persone manifestare per i diritti degli animali.
Mi ricordo che guidavo dalla periferia
al centro città, e nello stesso tragitto
ho prima visto un ragazzino di colore
che defecava per strada e poi una manifestazione di bianchi arrabbiati per i
diritti delle balene. Entrare in relazione
con le persone ti costringe ad avere uno
sguardo difficile su te stesso e questo
spaventa le persone.
Quando sento queste parole le ricollego
subito al senso di spossatezza, a volte di tristezza, di svuotamento che mi danno alcuni
di questi incontri. Dietro l’apparente noia c’è
in realtà un disagio, un cercare riparo dalla
realtà dell’altro e dalla fatica del mettercisi in
relazione. Spesso perché l’altro ci dice qualcosa su di noi che preferiamo non vedere.
La ragazza quando è andata via aveva un
senso di potere in più. Era stata ascoltata.
Aveva criticato in gran parte ingiustamente
il community organizing, ma dall’altra parte
non ha incontrato una difesa o una risposta
ideologica, ma una volontà sincera di capire
le sue ragioni. E una persona che le ha fatto
domande sulla sua vita, che le ha comunicato la possibilità di mostrare la sua rabbia e la
sua identità.
L’incontro relazionale è un’arte. Ed è la cosa
più radicale che mi stanno insegnando.
Il mondo
come dovrebbe essere
Uno dei momenti ricorrenti nel community organizing è la formazione. E’ un’attività continua a cui viene dedicata molta
attenzione e alla quale vengono invitate
a partecipare le persone più interessanti
e promettenti che gli organizer incontrano attraverso gli incontri relazionali.
Siamo in un’aula della Marquette University, l’università privata cattolica più
prestigiosa di Milwaukee. L’università
aderisce a Common Ground e uno dei
modi in cui contribuisce è offrendo le
proprie aule per i training.
Per introdurre l’argomento gli organizer
partono sempre da “il mondo come dovrebbe essere”. Non esisterebbe nessuna possibilità di cambiamento se non ci
fosse dentro di noi un’immagine di un
mondo come dovrebbe essere.
“Quali sono le caratteristiche del mondo
come dovrebbe essere?”
“Dove hai imparato a immaginare un
mondo così?”
“Chi te lo ha insegnato?”
Rusty Borkin va alla lavagna e raccoglie
quello che dicono i partecipanti. Dignità.
Casa e cibo per tutti. Uguaglianza. Amore. Giustizia.
Ce lo hanno insegnato i nostri genitori.
Qualcuno lo ha appreso in Chiesa. Altri
dai libri, a scuola, o grazie alla conoscenza di persone che hanno ammirato.
E cosa si contrappone al mondo come
dovrebbe essere?
“Il mondo come è”, risponde qualcuno.
A quel punto veniamo divisi in coppie.
Quando nella vostra vita avete realizzato che il “mondo come è” è diverso dal
“mondo come dovrebbe essere”? Raccontatelo al vostro compagno.
Lamont, un giovane uomo di colore, mi
racconta di quando passò un intero fine
settimana nella casa del figlio di un collega bianco del padre. Una villa di lusso
con piscina e stanze grandi, e cibo abbondante. Tornato a casa non poté fare
a meno di raccontare entusiasta l’esperienza ai suoi amici. Ma non aveva idea
della reazione che avrebbe suscitato.
“Ci hai traditi, non sei più parte di noi!”.
“Ti senti superiore, eh?”. “Sei andato con
quella gente perché ci disprezzi”. Con
poche battute Lamont si trovò di colpo
solo, con dentro un senso di colpa e insieme di ribellione.
Provo a immaginare un’esperienza del
genere, io che non sono di colore, io che
sono dalla parte privilegiata della linea di
divisione. Provo a parlare del momento
in cui io ho realizzato il mondo come è. Il
liceo, le dinamiche di esclusione all’interno dei gruppi, il sentirmi tagliato fuori,
diverso, solo perché timido e introverso
più del normale. Non è la razza, non è la
società, ma infondo è un meccanismo simile. Il tuo gruppo di appartenenza che
non ti accetta per quello che sei. Alcune diversità che la nostra società non sa
accogliere, integrare, rendere motivo di
ricchezza invece che di incomprensione.
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Lamont mi dice che con il tempo ha
potuto inquadrare quell’episodio all’interno di quello che oggi definisce il
“self-hate” (l’odio contro sé stessi) che
gli afroamericani nutrono a causa della
loro condizione di esclusione e marginalità. Ma allora si sentì in colpa, isolato,
misero. Non andò più a casa del figlio
del collega del padre. Il “mondo come è”
aveva fatto ingresso nella sua vita.
“Cosa avete provato ascoltando la storia
del vostro compagno?” chiede Rusty.
Rusty sa che quella parola verrà fuori. Ed
è quello che aspetta. In inglese la parola
anger significa rabbia. Etimologicamen-
dice Bob Connolly in una riunione dello
staff in cui si valuta il training.
Questo non significa che il punto sia sfogare la propria rabbia e trasformarla in
odio verso un nemico. Per questo parlano di “cold anger”, una rabbia trasformata, focalizzata, e legata a una visione.
Il lavoro del community organizing è insegnare a vivere nella tensione che esiste tra il mondo come è e il mondo come
dovrebbe essere, sapendo che non si
uniranno mai definitivamente. «La tensione di cui parlo non è un problema
che deve essere risolto, è la condizione
umana. Abbracciare questa tensione è
il nostro destino spirituale», scrive Ed
RUSTY BORKIN, COMMUNITY
ORGANIZER DI COMMON
GROUND, DURANTE IL TRAINING
te deriva da un termine utilizzato da
un’antica lingua germanica, angra, che
significa perdita e dolore.
«La rabbia salutare viene dalla perdita.
Guardi il tuo quartiere e vedi che non
è più come prima. Oppure la perdita
riguarda quello che potrebbe essere e
non è», spiega Kathleen.
«Questa rabbia è il fluido che sanguina
dall’amore quando lo tagli». E’ il sentimento su cui più lavorano gli organizer. E’ quello che cercano nelle persone
«perché è la rabbia l’energia che ti darà il
coraggio necessario per superare il bisogno di approvazione e la paura di agire»,
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Chambers nel suo Roots for Radicals.
«L’interesse per il mondo come dovrebbe essere separato dalla capacità di
analisi e azione nel mondo come è marginalizza e sentimentalizza la moralità e
l’etica».
Dopo la rabbia, l’altra parola che gli organizer si sforzano di far reinterpretare
e rivalutare è il potere. «Questa parola – dice Kathleen – solitamente mette
paura a molte persone. Qui dentro comprendiamo molto meglio la parola amore. Ma noi insegniamo alle persone che
sentono amore per gli altri a comprendere il potere».
Il potere è la capacità di agire. E’ lo strumento che serve per portare il mondo
come è più vicino a come dovrebbe essere. Assume due forme principali nelle
società moderne. Denaro organizzato
e persone organizzate. Il community
organizing è una specifica cultura di organizzazione della società civile fondata
sul «potere delle persone organizzate
per agire insieme in modo consistente e
persistente».
tati di quartiere, organizzazioni non profit, scuole, sindacati, piccole imprese, in
grado di fornire costantemente centinaia di persone per campagne prolungate
nel tempo su singole questioni.
Si fonda su queste modalità operative:
Organizer professionali. Reclutano, agitano, insegnano e elaborano strategie
insieme ai leader.
La creazione di relazioni viene prima di
qualsiasi campagna, perché è così che
i community organizer creano il potere
delle organizzazioni dei cittadini. Il community organizing parte dal riconoscere
che «in ogni comunità c’è grande talento e grandi leader. Ma sono isolati e le
loro voci non sono ascoltate». Il primo
strumento del community organizing è
quindi l’incontro relazionale. «L’organizzazione è costruita intorno alle capacità
apprese attraverso gli incontri relazionali faccia a faccia, che costruiscono relazioni, scoprono gli interessi delle persone, e svelano i leader».
Base allargata. Le organizzazioni di cittadini sono associazioni di organizzazioni,
non di individui: chiese, moschee, comi-
Leadership collettiva. Persone relazionali di fede, impegno, rabbia salutare, che
sono aperte alla formazione, vogliose di
crescere, capaci di fornire un seguito e
formare altri.
Azioni. Iniziative specifiche dirette a
persone con il potere reale di risolvere
il problema sollevato. Ogni azione ha
uno specifico risultato finale in mente e
“non marciamo tanto per marciare”. L’azione è nella reazione. Infatti, «la nostra
azione mette in moto la loro reazione, e
allora è nostro compito utilizzare quella reazione per intraprendere la nostra
azione successiva».
Responsabilità. Una cultura basata su
leader che si mantengono responsabili
uno di fronte all’altro, così come chiedono di fare ai politici, le aziende e l’amministrazione pubblica.
UN BAMBINO DECORA UNA FINESTRA DELLA
CHIESA PRESBITERIANA TIPPECANOE DI
MILWAUKEE, UNA DELLE ORGANIZZAZIONI
MEMBRE DI COMMON GROUND
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DOOR TO DOOR IN SHERMAN PARK.
UNA DELLE CASE PIGNORATE A SHERMAN
PARK. COMMON GROUND HA MESSO DI
FRONTE A OGNUNA LA BANCA RESPONSABILE DELLO STATO DI ABBANDONO
Ritratti di quartiere
- Steven e Janice sono i primi che mi incontrato sa tracciare una linea di selasciano entrare in casa. A Milwaukee parazione netta nel proprio isolato tra
fa già – 8°, è quasi buio e non è piace- proprietari e affittuari, tra le case manvole camminare per un quartiere che so tenute bene, e quelle no.
essere pericoloso a bussare alle porte
delle persone. Sono una coppia di co- – Milwaukee è la città più razzialmenlore, entrambi quasi non hanno i denti. te segregata di tutti gli Stati Uniti. Il
Effetti dell’assistenza sanitaria privata quartiere in cui mi trovo, Sherman Park,
e del muro che ancora divide bianchi e è storicamente uno dei pochi quartieri
neri in questo Paese. Sono sulla sessan- integrati della città. A prevalenza afroatina, c’è la loro nipotina con loro, e mi mericano, ci vivono anche bianchi, una
dicono che è la prima casa che riescono comunità di ebrei ortodossi, e ha un
ad acquistare. La casa è stata ristruttu- settore storico con case che risalgono
rata grazie alla campagna di Common all’800. La crisi dei mutui subprime ha
Ground diretta alle banche responsabili colpito duramente il quartiere. Le centidel pignoramento di oltre 10.000 case a naia di case pignorate, riconoscibili per
Milwaukee tra il 2007 e il 2008, l’80% del- le tristemente tipiche tavole di laminato
le quali è stato acquistato attraverso un inchiodate su porte e finestre, restano
mutuo subprime. Grazie a una campa- abbandonate, divengono ricettacolo di
gna durata due anni, Common Ground attività criminali, e fanno crollare il prezè riuscita ad ottenere da 5 tra le banche zo di mercato di tutte le case confinanti.
più grandi del paese 33 milioni di dollari La conseguenza è che gli abitanti più beper finanziare la ristrutturazione delle nestanti si spostano verso altri quartieri,
case abbandonate a seguito dei pigno- e chi non ha la possibilità di farlo resta.
ramenti. Steven mi mostra due parti Negli Stati Uniti molti servizi pubblici,
stuccate del muro del salone. Ci sono tra cui le scuole, dipendono dalle tasse
due buchi dietro lo stucco, causati da sulla proprietà immobiliare e variano
proiettili sparati in strada, durante una da quartiere a quartiere. In altre parole
sparatoria, a gennaio.
i servizi pubblici dipendono dal valore
delle case del quartiere in cui sono for– Dovete immaginarli i quartieri delle niti. Il circolo vizioso che ne deriva può
città americane. Non sono le nostre trasformare in pochissimo tempo un
strade imprigionate da palazzine. Sono quartiere della classe media in un ghetcase unifamiliari con l’esterno di legno, to. E’ avvenuto in migliaia di luoghi negli
la porta che da su un piccolo portico, un Stati Uniti a seguito della crisi del 2008.
pezzo di prato e poi la strada. Dietro il
garage, a cui si accede attraverso degli – Bill è il vicino di Steven e Janice. Sono
appositi vicoli. Costa molto mantenere loro a suggerirmi di parlare con lui dopo
queste case, riscaldarle, tagliare il prato. aver sentito lo scopo della mia visita:
C’è un disprezzo diffuso nei confronti raccogliere abitanti del quartiere intedegli affittuari. Ogni persona che ho ressati a lavorare insieme per migliora17
re Sherman Park. Quando lo incontro, uscito. Ora aiuta gli altri che sono meno
come altri, mi dice che il problema mag- fortunati di lui a risollevarsi. Quando gli
giore che ha il quartiere è l’incremento chiedo come è riuscito a farlo, anche lui
di affittuari. Sono solitamente più poveri, mi risponde che è stato Dio.
hanno meno cura delle proprie case e
del quartiere. Passa almeno mezz’ora – «Gli incontri relazionali sono la cosa
del nostro incontro per spiegarmi la più radicale che insegniamo perché non
storia della questione razziale in Ame- possono essere fatti su internet. L’80%
rica. Cerco di impiegare quanto ho im- della comunicazione umana è non verparato sull’importanza di fare domande bale» diceva proprio oggi Bob Connolly a
per portare la conversazione dal ritratto un gruppo di seminartisi della Chiesa epidi un sistema ingiusto che sembra non scopale durante un training sul commuavere vie d’uscita alla sua esperienza nity organizing. Mentre lo dice penso ai
personale. Scopro così che è stato in momenti in cui mi sento a disagio in questi
prigione per 15 anni. Avrebbe dovuto incontri. Molte delle persone che mi invitarestarci per tutta la vita. Ha ucciso 3 per- no nelle loro case hanno delle storie molto
sone, anche se per autodifesa. Aveva tre dure alle spalle. Arrivo io a bussare alla loro
ergastoli. Ha fatto appello e ha avuto porta, bianco, con il mio accento italiano,
una consistente riduzione di pena. Dice catapultato qui 3 mesi per “fare esperienche è stato Dio. Sono in molti a dire così. za”. In più l’incontro relazionale non è un’inLa sua casa è ora sotto pignoramen- tervista. E’ un incontro. Non puoi farlo sento. Uscito dal carcere a 50 anni, l’unica za mettere in gioco qualcosa di te, senza
possibilità di lavoro è stata per lui apri- parlare della tua storia, delle ragioni della
re una piccola impresa. Ma le cose non tua rabbia. Lo faccio ma a volte mi sembra
vanno sempre bene. E negli ultimi mesi forzato. Tutto questo fa parte dell’autovanon ha potuto più pagare il mutuo.
lutazione che ogni community organizer fa
della sua attività. E da lì un organizer impa– Poi ci sono le giovani coppie bianche. ra gran parte di quello che deve imparare.
Ne ho incontrate tre che hanno acqui- Quel senso di disagio e impaccio, che è uno
stato una delle case ristrutturare da strumento di apprendimento e crescita
Common Ground. Caitlin e John, Kurt e straordinario, lo si può provare soltanto in
Vanessa, Desanne e John. Provengono un incontro faccia a faccia.
dalla classe media, hanno bambini piccoli e quando gli chiedo che cosa li ha – Questo è l’assignment che mi ha dato
spinti a comprare una casa in un quar- il mio supervisore, Jonathan Lange.
tiere a prevalenza afroamericano, dove Contattare le persone che hanno acquiogni notte si sentono spari di pistola, e stato a prezzi accessibili una delle case
sono costretti a portare ogni giorno i figli ristrutturate grazie a Common Ground,
in scuole a chilometri di stanza perché o che hanno beneficiato di un fondo crequelle del quartiere sono pessime, mi ri- ato dalle banche su pressione di Comspondono tutti nello stesso modo: la no- mon Ground per effettuare riparazioni.
stra fede. Hanno deciso di vivere in quel Sono circa una sessantina di persone.
quartiere per combattere la divisione L’incarico che mi hanno dato è conorazziale e “per portare una luce”. Un al- scerle attraverso un incontro relazionatro uomo che incontro, Robert, è invece le, organizzare prima della mia partenza
un afroamericano ex tossicodipenden- una riunione, e capire se tra loro ci sono
te ed ex membro di una gang. Quando potenziali leader interessati a lavorare
gli hanno rifiutato l’ennesima richiesta insieme per continuare a salvare questo
di trattamento di disintossicazione, ha quartiere dal processo di ghettizzazione
capito che aveva toccato il fondo e ne è e impoverimento.
18
Personalizzare
e polarizzare
Questa è una storia in quattro scene. Riguar- “mortgage servicing companies” (compagnie
da l’esercizio del potere nelle nostre città. E’ di gestione mutui) e il loro profitto deriva dalle
una storia su quello che con uno slogan effi- commissioni su ogni pagamento che ottengocace è stato definito il potere dell’1% di acca- no dai debitori. Acquistano milioni di questi
parrarsi le risorse del restante 99. Ma è anche debiti senza sapere chi c’è dietro. Il loro unico
una storia di quello che l’1% di quel 99%, se interesse è trarre profitto da pratiche di cui le
ben organizzato e attrezzato, può fare per in- banche sono ben contente di potersi liberare.
vertire la situazione.
Tra queste società anonime figura Nationstar
mortgage. Detiene un portfolio di 375 miliardi
Prima scena. 30 settembre, Caffé Hollander, di dollari tra debiti e mutui. Del portfolio dell’aMilwaukee. Il giorno dopo il mio arrivo negli zienda fanno parte, solo nella città di MilwauStati Uniti. Bob Connolly, il fondatore di Com- kee, 2.963 mutui, 172 case su cui è stato avmon Ground, arriva a una riunione entusiasta viato il pignoramento, e 83 proprietà zombie.
per una notizia che ha appena ricevuto. Allie
Gardner, la community organizer ventireen- Quello che Allie aveva appena scoperto era
ne che lavora in uno dei quartieri di Milwau- che il proprietario di maggioranza e il prekee più colpiti dai pignoramenti delle case, ha sidente del board di Nationstar era Wesley
scoperto una connessione impensabile. Stava Edens, l’uomo che stavano tentando di inindagando sulle cosiddette “proprietà zom- contrare da più di un anno, da quando cioè
bie”, le case abbandonate a causa di una mi- era divenuto uno dei proprietari dei Bucks, la
naccia di pignoramento che le banche hanno squadra di pallacanestro locale.
deciso di non effettuare per non doversi sobbarcare i costi del mantenimento e delle tasse. Cambiamo scena. Siamo a fine ottobre
Molte di queste case zombie, che si calcolano nell’aula 105 della Marquette University duessere circa 152 mila in tutti gli Stati Uniti, sono rante il training sul community organizing rigestite da società a responsabilità limitata volto ai leader. Le 25 persone di ogni razza e
(LLC) che acquistano pacchetti di debiti, mutui confessione religiosa che lo seguono hanno
e proprietà vacanti dalle banche. Si chiamano appena simulato un incontro, realmente av-
FAIR PLAY È LA CAMPAGNA DI COMMON
GROUND PER DECIDERE SE I SOLDI PUBBLICI DEVONO ESSERE INVESTITI PER UN
NUOVO STADIO DI UNA SQUADRA MILIARDARIA, O PER I CAMPI SPORTIVI DELLE
SCUOLE PUBBLICHE DELLA CITTÀ
19
venuto pochi giorni prima, tra quattro rappresentanti di Common Ground e il presidente
e il direttore generale della Camera di commercio della città di Milwaukee. Dovevano
negoziare la richiesta avanzata da Common
Ground di associare alla richiesta di fondi per la
costruzione di un nuovo stadio della squadra
di pallacanestro locale, i Bucks (costo stimano
500 milioni di dollari), 150 milioni di dollari
destinati alla ricostruzione di tutti gli impianti
sportivi delle scuole pubbliche di Milwaukee.
Keisha Krumm, dopo lo svolgimento del role
playing, spiega la storia della campagna. Gli
organizer le chiamano “campagne di estrazione”. Quando c’è un investimento pubblico
rilevante – sempre a beneficio di costruttori,
finanzieri e multinazionali – chiedono che una
parte almeno dei soldi investiti per queste
mega opere vadano a finanziare investimenti
di cui possa beneficiare l’intera cittadinanza.
E non solo nel centro della città, ma in tutti i
quartieri. In questo caso la richiesta suonava
così: «se fondi pubblici dovranno essere usati
per costruire un nuovo stadio, allora almeno
150 milioni di questi fondi devono essere usati
per migliorare gli impianti sportivi e gli spazi ricreativi nelle scuole pubbliche di Milwaukee».
La NBA, che detiene in franchising i diritti su
tutte le squadre di pallacanestro, nelle condizioni di acquisto dei Bucks ha inserito che se
entro 3 anni non verrà costruito un nuovo
stadio della pallacanestro a Milwaukee eserciterà il diritto di riacquistare la squadra insieme
a quello di spostarla in un’altra città. Subito i
nuovi proprietari hanno messo sul piatto
quanto erano disposti ad investire. In totale
300 milioni. Lasciando intendere che il restante, circa 200 milioni, doveva essere garantito
da investimenti pubblici.
Per comprendere la posta in gioco ricapitoliamo la vicenda mettendo accanto delle cifre.
Wesley Edens e Marc Lasry, i due nuovi proprietari della squadra, possiedono insieme
una ricchezza pari a 2,9 miliardi di dollari. A
ottobre si è aggiunto nella proprietà un altro
finanziere, Jamie Dinan, n. 297 nella lista degli
uomini più ricchi d’America stilata da Forbes,
con un patrimonio del valore di 2,2 miliardi. La
NBA dal canto suo ha appena firmato un’estensione del suo contratto per i diritti televisivi del valore di 24 miliardi di dollari, che diviso
in parti uguali fra le 30 squadre in franchising
assicurerà ai Bucks 89 milioni di dollari all’anno. Perché queste persone stanno chiedendo
allo Stato del Wisconsin di finanziare il proprio
stadio con 200 milioni di dollari presi dalle
tasse dei cittadini? La risposta è semplice. Si
tratta di uno degli innumerevoli casi in cui la
ricchezza organizzata realizza la “cattura politica” delle istituzioni.
Cambiamo di nuovo scena. Siamo all’asLA CARICATURA DI WESLEY EDENS PROIETTATA ALL’ASSEMBLEA DI COMMON
GROUND DEL 19 OTTOBRE DI FRONTE A
750 PERSONE E LA STAMPA
20
semblea dei delegati di Common Ground
dello scorso 19 ottobre. Si attendono circa
1000 persone. «Voi siete i coconduttori dell’assemblea» dice Jonathan Lange alla decina di
volontari del floor team. «E’ importante che
capiate cosa deve succedere perché siete gli
occhi e le orecchie dell’assemblea. Questo è
il momento della personalizzazione e della
polarizzazione. Non si può combattere il sistema, la Camera di commercio, i Bucks. Bisogna
capire chi è che prende le decisioni e personalizzare. E bisogna polarizzare. Oggi non è il
giorno delle sfumature di grigi. Oggi è bianco
e nero. Buoni e cattivi. Poi verrà il momento in
cui dovremo depolarizzare, ma non oggi. E voi
dovete aiutare a far sì che questo emerga in
modo chiaro».
La scoperta di Allie Gardner sul ruolo di uno
dei proprietari dei Bucks, Wesley Edens, nel
problema delle proprietà zombie a Milwaukee fornisce gli ingredienti perfetti per personalizzare e polarizzare le richieste di Common
Ground. Mostrano le foto delle proprietà
abbandonate detenute da Nationstar, il reddito annuale di Edens e poi chiedono alle
750 persone presenti, alla presenza di due
consiglieri comunali e della stampa: «Perché
Wesley Edens viene a chiedere fondi pubblici
a Milwaukee mentre è responsabile del deterioramento dei suoi quartieri?».
Non tutti sono a loro agio con questa tattica.
Nei giorni successivi arrivano diverse reazioni
di dissenso da parte di alcuni leader dell’organizzazione. Keisha Krumm convoca una nuova assemblea interna per spiegare i motivi per
cui hanno dovuto polarizzare e personalizzare.
Nel libro del fondatore del community organizing, Saul Alinsky, una specie di bibbia per la
IAF, c’è un intero capitolo dedicato alle tattiche.
La tredicesima suona così: “scegli un target,
congelalo, personalizzalo e polarizzalo”. Serve
per ottenere una reazione da parte dei potenti individuati come target, e far sì che l’organizzazione dei cittadini sia chiamata al tavolo
delle trattative invece di essere ignorata. Esattamente quello che stava accadendo a Common Ground con la sua campagna. Dopo
più di due anni di studi, petizioni, conferenze
stampa e assemblee pubbliche Common
Ground non era riuscita ad ottenere neanche
un incontro con i proprietari dei Bucks. «Tutte
le nostre battaglie all’inizio sono battaglie per il
riconoscimento», dice Bob Connolly. All’inizio,
recita l’adagio, la migliore strategia per chi è al
potere è ignorarti.
Inoltre, c’è un argomento morale più profondo in questa tattica. Scrive sempre Alinsky:
«In una società urbana complessa e interconnessa, diventa sempre più difficile individuare chi deve essere chiamato
a rispondere di un qualsiasi male particolare. C’è un costante, e in qualche
misura legittimo, scaricarsi la responsabilità».
Questa argomentazione richiama in qualche
modo le considerazioni di Hannah Arendt sulla banalità del male.
«L’essenza del governo totalitario, e forse la natura di ogni burocrazia, è fare
degli uomini dei funzionari o dei meri
ingranaggi nella macchina amministrativa. (…) Siamo diventati molto abituati
dalla moderna psicologia e sociologia,
per non parlare della moderna burocrazia, a giustificare la responsabilità di
chi agisce per le sue azioni nei termini di
un tipo o l’altro di determinismo»
In un’intervista rilasciata durante l’assemblea
il presidente della Camera di Commercio Tim
Sheehy ha dichiarato che mentre era rimasto impressionato dall’impegno di Common
Ground per migliorare le strutture ricreazionali, era deluso per gli attacchi personali ai
proprietari dei Bucks. «Mi sembra che la parte
dell’evento più da comizio sia stata controproducente alla loro causa con gli attacchi e la demagogia contro leader imprenditoriali e della
comunità».
Il consigliere comunale Willie Wade ha dichiarato invece che Common Ground sta agendo
da bullo. «Sono fuori controllo. Marc e Wes (i
proprietari dei Bucks che il consigliere comu21
LE TESTIMONIANZE DI FRED E SUSIE, DUE
ALLIEVI SPORTIVI, SULLO STATO DEI CAMPI SPORTIVI NELLE SCUOLE PUBBLICHE DI
MILWAUKEE, ALL’ASSEMBLEA DI COMMON
GROUND
nale si vanta di chiamare per nome nell’intervista) devono avere a che fare con le persone
che prendono le decisioni, le persone che
sono elette. Common Ground si sbaglia nel
pensare di poter aggirare questo. Stanno dimostrando poco rispetto dei cittadini che ci
hanno eletto».
tà di Milwaukee. Deve venire a una riunione
organizzata da dei cittadini per capirci qualcosa. Bank of America non notifica alle autorità
quando vende la gestione dei mutui ad altre
società. La città stessa non sa chi è il proprietario di decine di case su cui cessa di ricevere
tasse e che risultano abbandonate nel catasto.
Scena finale. E’ il 4 dicembre 2014. Siamo
nella Chiesa episcopale Immanuel. Davanti a
circa 30 leader di Common Ground ci sono tre
rappresentanti di Nationstar mortgage che
hanno preso un volo appositamente per partecipare all’incontro. Prima di parlare ascoltano il giro di presentazioni. Oltre ai community
organizer, si trovano davanti quasi tutti i 30
cittadini che da ormai due anni ispezionano
una volta al mese una lista di 17 proprietà ciascuno che risultano abbandonate. Dopo ogni
ispezione redigono un rapporto: I vetri sono
rotti? L’erba è stata tagliata? C’è una notifica
attaccata alla porta? Le finestre sono tappate da lastre di compensato? Ci sono segni di
un’occupazione?
Hanno preparato una lista di richieste per i
rappresentanti di Nationstar, tra cui un elenco
di indirizzi di cui vogliono conoscere lo status
legale. La strategia di Common Ground per rivitalizzare Sherman Park, uno dei quartieri più
colpiti dai pignoramenti, è acquistare, ristrutturare e rivendere le proprietà abbandonate.
Uno dei punti qualificanti di questa strategia è
non lasciare mai un isolato finché tutte le case
non siano in buone condizioni. Hanno ottenuto 33 milioni di dollari dalle banche responsabili della crisi dei mutui subprime, ma si sono
dovuti fermare di fronte alle proprietà zombie
perché nessuno sembra esserne responsabile. «Freddie e Fannie sono il muro qui dietro a
destra e quello qui a sinistra. Ocwen è il muro
qui davanti. Tentare di parlare con loro è
come parlare con questi muri», dice Bob Con-
Tra i presenti c’è anche il procuratore della cit-
22
nolly quando i rappresentanti di Nationstar
danno come proprietari di alcune delle case
nella lista una di queste società. Società anonime, guidate da strutture senza volto. Che
decidono i destini di milioni di persone e interi
quartieri.
I leader e gli organizer di Common Ground
hanno una conoscenza molto approfondita
del patrimonio immobiliare di Sherman Park,
e conoscono il linguaggio legale e finanziario
legato ai pignoramenti. I rappresentanti di
Nationstar sono sorpresi. «Quando siamo venuti non avevamo idea a che tipo di incontro
saremmo andati incontro. Non era qualcosa
che avevamo pensato, ma credo che questa è
una pratica di consultazione e lavoro che possiamo creare con voi». Alla fine dell’incontro
danno un consenso a tutte le richieste di donazione di case da loro controllate avanzate
da Common Ground.
E così dopo aver esposto pubblicamente le
foto delle case abbandonate di Nationstar,
legando la denuncia al dibattito sul finanziamento pubblico di un nuovo stadio della pallacanestro, raccontato la telefonata di minacce
ricevuta da una leader di Common Ground,
una giovane madre ed ex insegnante, da uno
dei proprietari dei Bucks, Ted Kellner, e aver
ottenuto una buona copertura mediatica (tra
gli altri il New York Times), sono iniziate ad arrivare le reazioni che Common Ground cercava.
La prima è stata la presenza del presidente
della Camera di commercio Timothy Sheehy
tra il pubblico il giorno dell’assemblea. La seconda è stata una telefonata da parte di Ted
Kellner il giorno dopo, stavolta per chiedere
un incontro. Poi è arrivata la disponibilità di
Nationstar a un incontro e la disponibilità a
collaborare con Common Ground per porre
fine allo scandalo di proprietà abbandonate
e deteriorate di cui nessuno sembrava essere
responsabile.
Personalizzare e polarizzare. Per poi depolarizzare per arrivare a un compromesso
da cui le organizzazioni di cittadini possano
ottenere riconoscimento e benefici tangibili per la comunità. Questo non fermerà
il meccanismo impazzito del capitalismo
finanziario e immobiliare. Ma un quartiere
alla volta potrebbe riportare le comunità a
essere padrone e responsabili del proprio
futuro. Questa è anche la storia di decine
di città degli Stati Uniti, dove grazie all’Industrial Areas Foundation e la sua tradizione di
community organizing, i cittadini organizzati
acquisiscono il potere necessario a confrontare la ricchezza organizzata. E arrivare al
tavolo delle trattative.
KEISHA KRUMM MOSTRA LE IMMAGINI
DELLE PROPRIETÀ ZOMBIE DETENUTE DA
NATIONSTAR
23
NEL QUARTIERE OLIVER DI BALTIMORA
BUILD, L’AFFILIATA LOCALE DELLA IAF,
HA RISTRUTTURATO PIÙ DI 200 CASE ABBANDONATE PER RIVENDERLE A PREZZI
ACCESSIBILI RIDUCENDO LE CASE VUOTE
DAL 66% AL 16% DEL TOTALE E FACENDO
RISALIRE IL VALORE DI MERCATO DELLE
ABITAZIONI DEL 50% DAL 2010.
24
Guerra delle periferie…
o community organizing?
La New York della fine degli anni Settanta
era molto diversa da quella che conosciamo
oggi. Anni di recessione e declino industriale, l’esodo di milioni di bianchi nei sobborghi avevano lasciato in città i più poveri, e le
strade di quartieri come il Bronx e Brooklyn
invase da trafficanti di droga, prostituzione e
degrado urbano.
Michael Gecan, l’attuale direttore che mi ha
invitato qui negli Stati Uniti, dal vescovo Francis Mugavero della Diocesi di Brooklyn che
contava circa mezzo milione di cattolici, e da
altri leader religiosi, East Brooklyn Congregations (EBC) iniziò un’incredibile campagna di
rinnovamento urbano attraverso il community organizing.
Il 13 luglio del 1977 un black out di 25 ore
portò la città nel caos più totale. Scoppiarono
rivolte, saccheggi e incendi dolosi. Quando
le luci tornarono la polizia aveva arrestato
3.000 persone, e le prigioni non avevo una
capienza sufficiente per contenerle. La popolazione declinò in pochi anni da 8 a 7 milioni.
Partirono con piccole richieste che potevano
essere vinte, creando quindi fiducia nel processo in una popolazione che aveva perso
speranza. Pulizia dei locali dove veniva venduto cibo, segnaletica stradale, rinnovamento dei parchi, bonifica dei lotti di terra vuoti.
Diversi organizer formatisi nella Brooklyn est
in quegli anni mi hanno parlato di una sorta
di zona di guerra. Tuttavia è proprio lì che l’Industrial Areas Foundation ha ottenuto uno
dei suoi successi più straordinari. Guidata da
Successivamente EBC lanciò il suo piano per
la costruzione di 5.000 case a prezzi accessibili, per far sì che famiglie della classe media
potessero tornare ad abitare nel quartiere e
stabilizzarlo. Il progetto venne chiamato “Neemia” dal nome del profeta che ricostruì Ge-
BROOKLYN DOPO IL BLACK OUT DEL 1977
25
rusalemme. Parte raccogliendo finanziamenti
privati, e parte facendo pressione sul sindaco
per un piano di prestiti da parte della città ripagato man mano che le case venivano vendute, EBC riuscì nell’intento. E oggi quel quartiere
ha quest’aspetto.
A partire da allora grazie all’azione delle affiliate locali dell’Industrial Areas Foundation
sono state costruite o ristrutturate oltre 1.000
case a prezzi accessibili nel Bronx, 1000 a Baltimore, 250 a Washington. Qui a Milwaukee
in un solo quartiere e in soli 2 anni sono state
ristrutturate 57 case abbandonate a seguito
dei pignoramenti delle banche.
Bella storia, tuttavia come si applica a Tor Sapienza, Tor Bellamonaca, e alle tensioni sociali
esplose in questi ultimi mesi intorno all’immigrazione, i campi rom, l’occupazione degli alloggi popolari?
Di questo ho parlato nell’ultimo staff meeting
a cui ho partecipato qui a Milwaukee, condividendo alcuni dati e fatti sull’Italia aggiornati
agli ultimi eventi.
Il community organizing non ha sempre successo, tuttavia lo ha spesso, e dove nessuno
penserebbe che sia possibile un cambiamento. Quello su cui gli organizer dell’Industrial Areas Foundation ripongono fiducia è il
processo che hanno sviluppato e testato per
decenni, in decine di città, in almeno 5 paesi diversi. Per questo dedicano moltissimo del loro
tempo alla formazione a questo processo. E’
un modello inventato da Saul Alinsky negli
anni ’30 a Chicago, e che da allora è stato testato, ampliato, modificato incessantemente.
Potere relazionale
Rob English, veterano di guerra ed esperto
organizer, trasferitosi a Baltimore dopo diversi anni di attività a New York, mi spiega
come Build (Baltimoreans United for Leadership Development), l’affiliata locale della IAF,
«non è un’organizzazione tematica, né territoriale. È un’organizzazione “culturale”. Il suo
campo di azione sono le relazioni umane e il
26
suo obiettivo è dare alle persone un senso di
potere, di capacità di agire».
Il tema del potere è centrale. L’inchiesta
“Mafia capitale” dimostra chiaramente
come il terzo settore, nonostante i suoi
sforzi e buone intenzioni, possa divenire totalmente controllato da parte della
classe politica in combutta con imprese
private e criminalità organizzata. Il taglio
dei fondi pubblici e la conseguente chiusura di molte realtà è un altro esempio
di come la società civile priva di potere
sia in mano a decisioni prese da altri.
Per questo per gli organizer “il potere viene prima degli obiettivi”. Può sembrare
un’affermazione cinica, ma lavorando a
contatto diretto con le persone, gli organizer sanno che se è vero che il potere corrompe, «anche l’impotenza corrompe, forse in modo più pervasivo del potere». Saul
Alinsky ha descritto bene la frustrazione di
fronte a cui si trovano spesso gli attivisti
più generosi: «Quando parli con una persona qualsiasi ti trovi a confrontarti con
cliché, un insieme di risposte superficiali e
stereotipate, e una generale mancanza di
informazione». Quello che secondo Alinsky non è chiaro a molti attivisti, missionari e educatori, «è semplicemente che se le
persone sentono di non avere il potere di
cambiare una situazione negativa, allora
non pensano a come farlo».
Ma il community organizer si basa su
un potere diverso da quello che siamo
abituati a conoscere. Un potere relazionale, opposto a quello che definiscono il
potere dominante. Il potere relazionale
comporta la mobilitazione di molti. Il potere domaninante è esercitato da pochi.
Un altro modo di distinguerli è parlare di
“potere fra” e “potere sopra”.
Scrivono anche:
Una persona che conosce sé stessa è
in grado di fare un passo fuori da sé e
osservare le proprie reazioni. Per essere
efficace politicamente devi essere in grado di “andare fuori da te”.
Il potere, ripetono gli organizer, è esercitato
in due modi. Ricchezza organizzata e persone organizzate. Il potere della società civile
non potrà mai venire dalla ricchezza, ma
dall’organizzazione delle persone in modo
consistente e persistente.
Organizzazioni a base allargata
Quando arrivano in un territorio, di solito
i quartieri più poveri e malfamati delle città
americane, gli organizer lavorano alla paziente tessitura di relazioni con quelle che chiamo le “istituzioni ancora”, le organizzazioni
stabili della società civile, anzitutto le chiese
di ogni confessione religiosa e le scuole, ma
anche sindacati, comitati di quartiere e centri
anziani. Il loro obiettivo è rafforzare le istituzioni della società civile. «Le organizzazioni
dell’Industrial Areas Foundation costruiscono il loro potere sviluppando coalizioni multireligiose, multirazziali e multietniche».
La formazione di leader locali
«Per avere il potere di agire sui problemi
e cambiare il mondo c’è bisogno di organizzare le persone – moltissime persone».
I 25 incontri relazionali che ogni community organizer è tenuto a fare a settimana hanno come scopo principale quello
di trovare i leader locali. Un leader è una
persona che ha un seguito di persone che
può assicurare. Deve avere molte doti, ma
la prima è che deve sapersi relazionare.
strial Areas Foundation sono istituti per lo
sviluppo delle arti pubbliche della costruzione di relazioni, dell’analisi del potere,
nel negoziato e del compromesso, del
discorso pubblico e del giudizio politico».
Il ciclo dell’organizing
«Tutto il nostro lavoro inizia con l’ascolto»,
spiega Keisha Krumm durante il training
che chiamano “l’università di Common
Ground”. Una campagna di ascolto può
durare mesi, e implicare centinaia di incontri relazionali, decine di “sessioni di approfondimento” di gruppo, e anche azioni
porta a porta per ascoltare i bisogni e le
idee dei residenti. «Quello che sostiene
tutto il processo», spiega Keisha, «è comprendere le storie delle persone, le loro
motivazioni profonde, e quindi i loro interessi personali».
All’ascolto segue la ricerca. Vengono formati
team di ricerca per approfondire alcuni dei
temi emersi. «Prima di imbarcarci in un’azione facciamo tra le 50 e le 100 azioni di ricerca», spiega Keisha. Le domande a cui si cerca
di dare una risposta sono:
– Si tratta di un problema o di una questione?
C’è una domanda specifica a cui possiamo
lavorare? Chi ci deve seguire sarà in grado di
capire cosa vogliamo? Se vinciamo, ci sono
benefici reali, tangibili e misurabili per le persone? Ci sono delle storie per illustrate questa questione? C’è rabbia intorno a questo
problema?
«Per avere 1000 persone dobbiamo poter
contare su 75 persone che hanno un seguito», spiega Keisha Krumm. «Cerchiamo
persone di questo tipo che vogliono agire,
e con loro spendiamo la maggior parte del
nostro tempo».
– Leader?
Una volta individuati i leader vengono invitati alle numerose occasioni di formazione che i community organizer effettuano
di continuo. «Le organizzazioni dell’Indu-
– Possiamo vincere?
Abbiamo leader arrabbiati su questa questione che vogliono guidare una campagna?
In che modo questa campagna potrà aiutare
a formarli e svilupparli?
Con chi dobbiamo negoziare? Quali sono i
loro interessi profondi? Quali punti di forza
27
possiamo azionare rispetto a loro? Chi saranno i nostri alleati? Chi ci sarà contro?
I sei maggiori punti di forza dell’Industrial Areas Foundation
Fatto questo si passa all’“analisi del potere”. Per essere efficace, infatti, l’azione
concertata dei cittadini deve individuare
il target giusto, ossia «le persone che
possono dire dei sì o dei no, che possono effettivamente decidere». Nel caso
della campagna contro i pignoramenti
delle banche qui a Milwaukee, alla prima lettera inviata per chiedere un incontro, Well Fargo rispose: “grazie Common
Ground per avere richiesto un nostro
mutuo. Vi ricontatteremo al più presto”.
Ci volle molto tempo, incontri e ricerca
per individuare la persona giusta a cui
indirizzare l’azione. Alla fine Well Fargo
contribuì a donare insieme ad altre 4
banche responsabili oltre 33 milioni di
dollari per far fronte alle conseguenze
della crisi dei mutui subprime a Milwaukee.
1. Le organizzazioni IAF hanno un metodo in grado di sviluppare nelle persone
che ne fanno parte una cultura relazionale
2. Il loro focus sulle relazioni faccia a faccia radica la propria rete di associazioni
nei bisogni, interessi, risorse e istituzioni
locali
3. Iniziano, sostengono e valutano in
modo consistente soluzioni creative a
problemi complessi, a volte apparentemente irrisolvibili
4. Hanno un’ossessione per la comprensione delle relazioni di potere al fine di
lottare per il riconoscimento e il vantaggio strategico dei cittadini
5. Acuiscono la tensione tra i valori e il reale comportamento delle organizzazioni
che ne fanno parte
6. Investono nello sviluppo delle capacità
dei leader e degli organizer, sia concettuali che pratiche, che si traducono in
un’azione, valutazione e riflessione pubbliche.
Alla ricerca segue l’azione. «L’azione è
per un’organizzazione quello che l’ossigeno è per il corpo. Per essere efficace
deve essere indirizzata a calcolata. Non
viviamo per respirare, respiriamo per
vivere». Inoltre, «la vera azione è nella
reazione dell’avversario».
Per questo all’azione segue la valutazione. «Nelle buone organizzazioni civiche
– ha scritto il direttore della IAF Edward
Chambers – ogni azione pubblica è seguita da quella che chiamiamo valutazione, perché non vogliamo perdere
l’opportunità che l’azione ci ha fornito
per imparare. Non è tanto importante
quello che facciamo, quanto quello che
l’altra persona fa o come il mondo fisico
ci risponde. Le nostre azioni inducono le
loro reazioni e allora è nostro compito
usare quella reazione per intraprendere
la nostra azione successiva».
Tuttavia è un ciclo, e ogni volta ricomincia da capo. Ascolto, ricerca, azione, valutazione, ascolto,…
28
«Nel frattempo – scriveva Barack Obama
nel 1988 a conclusione della sua esperienza di community organizer a Chicago
– gli organizer continueranno a costruire
sui successi locali, imparare dai numerosi errori e reclutare e formare nuclei
piccoli ma crescenti di leader – madri in
assistenza sociale, postini, autisti degli
autobus e insegnanti, ognuno dei quali
ha una visione e memorie di quello che
le comunità possono essere. Infatti, la risposta alla domanda originale – perché
organizzare? – risiede in queste persone.
Nell’aiutare un gruppo di casalinghe a sedere al tavolo del negoziato con il sindaco della terza città più grande degli Stati
Uniti. In cambio, il community organizing
insegna come nient’altro la bellezza e la
forza delle persone comuni. E’ attraverso
le loro storie che gli organizer possono
dar forma a una senso di comunità non
solo per gli altri, ma anche per sè stessi».
La moltiplicazione
dei pani e dei pesci
Anche se le organizzazioni dell’Industrial Areas Foundation possono essere definite assolutamente laiche, e non hanno mai condotto
campagne su quelli che chiamiamo “temi eticamente sensibili”, la maggior parte dei loro
membri sono rappresentati da congregazioni religiose di ogni fede.
L’origine stessa dell’Industrial Areas Foundation è strettamente legata alla Chiesa cattolica americana. Saul Alinsky, che era un ebreo
non praticante, ricevette un sostegno sia
politico che economico decisivo dalla Chiesa
cattolica di Chicago. Nel 1941 scriveva:
Due forze sociali di base… fanno da
architrave… per determinare un cambiamento costruttivo nella vita del quartiere di Back of the yards (il quartiere
della lavorazione della carne di Chicago). Queste due istituzioni sociali elementari sono primo, la Chiesa cattolica,
secondo, il sindacato.
Negli anni ’60 il cardinale di Chicago Albert
Meyer assicurò alle tre organizzazioni di Alinsky nella città 150.000 dollari in tre anni. Jacques Maritain fu uno stretto amico di Alinsky
(vedi il libro curato da Lucio D’Ubaldo “Maritain e Alinsky: un’amicizia“, ed Il Mulino) e nel
1958 chiese all’Arcivescovo di Milano Montini,
il futuro Papa Paolo VI, di incontrarlo, cosa
che fece nel 1965 per esplorare la possibilità
di introdurre il community organizing in Italia. Nel 1969 infine, la Conferenza dei vescovi
cattolici degli Stati Uniti dette vita alla Catholic Campaign for Human Development con
l’obiettivo di raccogliere fondi “per gruppi
organizzati di poveri bianchi e di minoranze
etniche per sviluppare il potere economico e
politico delle loro comunità”. La Campagna
fu tra i principali finanziatori dell’Industrial
Areas Foundation negli anni ’70 e ’80.
Questo lascito è ancora vivo oggi. La maggior
parte dei membri di Common Ground sono
chiese, delle diverse denominazioni religiose
americane. Le chiese cattoliche hanno un
IL VESCOVO AUSILARIO DI CHICAGO
BERNARD J. SHEIL AL CENTRO, E
SAUL ALINSKY A DESTRA
29
UN RABBINO INTERVIENE ALL’ASSEMBLEA
DI COMMON GROUND. SONO PIÙ DI 50 LE
CONGREGAZIONI DI OGNI FEDE RELIGIOSA CHE ADERISCONO ALL’AFFILIATA IAF DI
MILWAUKEE
ruolo di primo piano, come nel caso della
parrocchia Saint Catherine a Sherman Park,
dove si svolgono molte delle riunioni dei leader locali. Tuttavia il rapporto tra organizing
e religione si fonda su una tensione costruttiva. Da una parte infatti i community organizer, dopo decenni a stretto contatto con le
chiese, hanno sviluppato un metodo per rafforzare le parrocchie attraverso quello che
chiamano “congregational development”.
Gli incontri relazionali, la creazione dei core
groups, e la formazione dei leader ha comportato per molte chiese sia un incremento
del numero dei fedeli, che una più forte connessione e senso di appartenenza. Dall’altra,
il community organizing comporta una sfida
per le chiese ad uscire fuori dal loro recinto.
Kathleen Patron ha avuto un’educazione cattolica. Ma poi ha smesso di andare in Chiesa.
All’Università ha incontrato però il pensiero
sociale della Chiesa cattolica e il community
organizing. Ora è la community organizer di
Common Ground per la zona sud di Milwaukee, a forte prevalenza latinoamerica e quindi
cattolica. In un intervento in una Chiesa dice:
30
Quello che cerchiamo di fare è cambiare la cultura dalla carità alla giustizia. Questo non è assolutamente per
squalificare il lavoro meraviglioso che
fate. Ma le mense per i poveri stanno
aumentando. Cerco persone che si chiedono perché questo accade. E cosa possiamo fare.
Nel libretto “Riflettendo con le scritture sul
community organizing” il reverendo Jeffrey K.
Krehbiel della Church of Pilgrims di Washingont D.C. scrive:
Gesù è visto da molte persone religiose
come un modello di umiltà modesta e
assenza di potere, mentre i community
organizers esultano nella virtù dell’interesse personale e la necessità del potere.
Subito dopo però passa a commentare passaggi delle scritture dove questa dicotomia è
messa in discussione, come quello della vedova che va ogni giorno a bussare alla porta
del giudice “che non aveva né timore di Dio
né rispetto delle persone” per chiedere che
le fosse concessa giustizia (Luca 18, 1-8).
L’insistenza della vedova porta il giudice a
cedere. Scrive il reverendo Krehbiel: “Ancora e ancora Gesù predica un’azione forte
e coraggiosa. La vedova si rifiuta di interpretare il ruolo che le è assegnato da una
cultura dominata dagli uomini. In una cultura in cui non ha voce, si rifiuta di restare
silenziosa”.
In un’altra pubblicazione legata all’Industrial Areas Foundation, curata dal Contextual Theology Centre di Londra, si legge:
Se la vita della Chiesa è camminare la
via delle croce, deve sfidare le ingiustizie,
non limitarsi a prendersi cura delle sue
vittime. Una Chiesa davvero fedele deve
perciò imparare a vivere con la tensione
e il conflitto. Deve essere sospettosa della collusione con l’ingiustizia, e ascoltare
il monito di Geremia contro il proclamare “pace dove non c’è pace” (Geremia,
6,14).
Bob Connolly è il fondatore di Common
Ground. Nato a Pittsburgh, in Pennsylvania, da adolescente entra in una seminario per farsi prete. Poi cambia strada.
Incontra Saul Alinksy nel 1972, poco
prima che morisse. Decide di diventare
un community organizer. A 30 anni si
ammala di cancro e lascia il lavoro. Sopravvissuto, crea una compagnia per
aiutare le chiese a raccogliere fondi. The
James Company da allora ha aiutato oltre 1.700 chiese a raccogliere 2 miliardi
di dollari complessivamente. A 52 anni
decide di tornare all’organizing e fonda
Common Ground nella città in cui vive,
Milwaukee.
In un training dedicato al congregational development (sviluppo delle chiese)
attraverso il community organizing racconta di una conversazione con un pastore che stava tendanto di convincere
a svolgere incontri relazionali. Il pastore
rispondeva che non aveva tempo.
Gli risposi: “ti assicuro che ti trovo io il
tempo”. L’ho convinto a farne 3 e gli è
piaciuto così tanto che ne è stato entusiasta. Bisogna togliere tempo alla
cultura burocratica: processi, riunioni,
carte. In favore di una cultura relazionale. Ora quel pastore spende 2 giorni
alla settimana in ufficio e 3 fuori a incontrare i suoi parrocchiani. Vi assicuro
che non ha mai avuto problemi con le
prediche.
Nel libretto del reverendo Jeffrey K. Krehbiel sulle scritture e l’organizing il primo
testo esaminato è la famosa parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Se
letta con attenzione, infatti, contiene una
spiegazione molto umana del senso del
miracolo. C’è una folla che li ha seguiti in
un luogo solitario per ascoltare la parola.
Sono “come pecore senza pastore” commenta Gesù. Si fa tardi e i discepoli si preoccupano di come sfamarli e chiedono a
Gesù di rimandarli indietro ai loro villaggi.
Ma Gesù dopo aver chiesto quanto cibo
c’era a disposizione, “cinque pani e due pesci”, ordina ai discepoli
di farli mettere tutti a sedere, a gruppi,
sull’erba verde. E sedettero tutti a gruppi
e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi
i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi
al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché
li distribuissero; e divise i due pesci fra
tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono,
e portarono via dodici ceste piene di
pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli
che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. (Marco 6, 39-44)
Commenta il reverendo Krehbiel riferendosi alla suddivisione in gruppi di 100 e di 50:
In quel momento la folla diventa una comunità. Inoltre, per rinforzare il loro ruolo
di leader, dopo aver benedetto e diviso i
pani e i pesci, Gesù da il cibo ai discepoli affinché lo distribuiscano alle persone.
Sono loro, non lui, che li sfamano.
31
Prosegue Krehbiel
Gesù insegna come organizzare la folla
in una comunità e come guardare più
profondamente per scoprire le risorse
abbondanti già presenti. (…) All’inizio i
discepoli vedono la folla come un peso,
un drenaggio delle loro energie, e una
responsabilità al di là delle loro capacità. (…) Gli organizer entrano in una comunità non per catalogare una litania
di deficit, ma per identificare e formare i leader. Mentre in molti programmi
sociali pastorali le chiese incontrano i
vicini nel punto del loro bisogno – attraverso mense della carità o accoglienza
dei senza tetto – nell’organizing le relazioni sono formate sui punti di forza.
(…) Molti leader ecclesiastici conoscono
la sensazione che ogni cosa dipenda da
loro, e tutti hanno avuto momenti in cui
i bisogni della congregazione sono stati
avvertiti come un peso. (…) Per molte
chiese, l’organizing richiede un riorientamento fondamentale del nostro approccio. La comunità intorno alla chiesa
ha risorse, non solo bisogni, e il nostro
ruolo è aiutare a identificarli.
La storia del community organizing si
basa sul lavoro di migliaia di chiese che
hanno riorientato parte della loro attività per organizzare coloro che “hanno
fame e sete di giustizia”. Facendolo hanno ricostruito interi quartieri, migliorato
le scuole pubbliche, finanziato programmi di inserimento lavorativo, combattuto la criminalità, aumentato l’accesso
all’assistenza sanitaria. Quella dell’Industrial Areas Foundation è anche la storia
di una chiesa aperta alla collaborazione
con altre fedi, in ascolto dei suoi fedeli,
pronta a battersi per la giustizia sociale
attraverso le innumerevoli risorse della
comunità in cui è radicata.
REV. BOBBY SINCLAIR, MT. OLIVE BAPTIST CHURCH
32
APPENDICI
KEISHA KRUMM DURANTE IL TRAINING SPIEGA
IL CICLO DELL’ORGANIZING
COMMUNITY ORGANIZING
DALLA A ALLA Z.
ABITUDINI DEL COMMUNITY
ORGANIZING
Inizia puntuale e termina puntuale. Riconosci te stesso e gli altri. Rendi conto di
quello che fai, in modo da poter chiedere pubblicamente agli altri di fare altrettanto. Prendi il potere che hai costruito e
testalo rispetto al potere degli altri. Porta
energia, gioia, e irriverenza nella piazza
pubblica, non solo ideologia, perbenismo
e ruoli. Non essere scoraggiato quando gli
altri non si impegnano. Fluisci intorno agli
ostacoli. Persisti in modi inaspettati.
Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s
guide to citizen action”, Anchor Books, 2004,
p. 88
[Il community organizing] richiede costante attenzione – disorganizzazione e
riorganizzazione – altrimenti scivolerà
in una modalità burocratica, o sarà
occupato da opportunistiche forze di
mercato, o semplicemente cesserà di
esistere. E deve lottare costantemente contro le tentazioni dell’isolamento,
dell’arroganza, e dei culti delle personalità carismatiche.
Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s
guide to citizen action”, Anchor Books, 2004,
p. 166
33
ALL’ASSEMBLEA DI COMMON GROUND SI DELINEANO I PASSI SUCCESSIVI DA INTRAPRENDERE PER
UNA CAMPAGNA A FAVORE DELLE SCUOLE, TRA
CUI UN’ASSEMBLEA CON PIÙ DI 1000 PERSONE
AZIONE
AGITARE
E’ quando più persone, focalizzandosi
su un problema specifico, coinvolgono
una persona al potere direttamente responsabile per tale problema al fine di
ottenere una reazione.
Nell’organizzare si parla di “agitare” le
persone e ciò che intendiamo è di portare le persone a riconoscere ciò che
già gli importa, e poi agire a partire da
questo.
Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s
guide to citizen action, Anchor Books, 2004,
p. 51
Edward T. Cambers, “Being triggers action”,
Acta publications, 2009, p. 13
COMMUNITY ORGANIZER
Che cosa intendo per “l’azione è nella
reazione”? Voglio dire che non è tanto
importante ciò che facciamo, quanto
quello che l’altra persona fa o come il
mondo fisico ci respinge. La nostra azione mette in moto la loro reazione, e allora è nostro compito utilizzare quella
reazione per intraprendere la nostra
azione successiva.
L’organizzatore IAF è un mentore, un
consigliere, un agitatore, un formatore
e un coach per le persone dell’organizzazione che lo o la impiegano. La missione dell’organizer è duplice: formare e
sviluppare i leader e assicurare la vittoria dell’organizzazione sui temi che ha
scelto di affrontare.
Edward T. Cambers, “Action creates public
life”, Acta publications, 2010, p. 30
“IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 33
34
FINANZIAMENTO
LA LEGGE DI FERRO
La gente, non importa quanto povera,
ha sempre trovato il modo di pagare
per quello che riteneva avesse veramente valore. E quando hanno pagato
con i propri soldi sudati, non i soldi del
governo o di una fondazione, ne sono
divenuti proprietari. E la proprietà – di
una casa, una congregazione, un’organizzazione, una nazione – incoraggia la
partecipazione, la responsabilità e l’impegno.
Crediamo in quella che noi chiamiamo
la legge di ferro: “mai fare per gli altri
quello che possono fare per se stessi”.
La legge di ferro implica che la forma
più preziosa e durevole di sviluppo – intellettuale, sociale, politico – è lo sviluppo che la gente sceglie liberamente e
possiede pienamente.
Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s
guide to citizen action”, Anchor Books, 2004,
p. 10
INCONTRI RELAZIONALI (ONE-TO-ONES)
Crediamo negli incontri relazionali, un
contatto faccia a faccia, uno-a-uno, al
fine di esplorare le possibilità di un rapporto pubblico. Si tratta di un’opportunità di 30 minuti di mettere da parte
le pressioni, i compiti e le scadenze del
giorno per sondare un’altra persona,
guardare nel suo talento, energia e visione. Il punto di vista dell’altra persona
è di valore primario. Le loro storie, intuizioni e ricordi sono più importanti di un
nome su una petizione o del contributo
ad una causa.
“IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 19
“IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 17
Senza un rispetto di base per l’intelligenza politica della gente comune, non vi
è la possibilità di formare un rapporto
autentico e reciproco.
Michael Gecan, “Freedom from and freedom for”, Acta publications, 2011, p. 34
MENTORI
Un’altra ragione per cui le persone non
agiscono è che non abbiamo più mentori ed eroi. Abbiamo celebrità. La differenza tra un mentore / eroe e una celebrità è che il primo incoraggia ad agire
mentre il secondo agisce in nostra vece.
Edward T. Cambers, “Being triggers action”,
Acta publications, 2009, p. 17
Un incontro relazionale solido porta in
primo piano le storie che rivelano gli impegni più profondi delle persone e le esperienze che hanno dato vita ai loro valori
centrali. Infatti, la cosa più importante che
accade in un buon incontro relazionale è
il racconto di storie che aprono una finestra sulle passioni che animano le persone. E’ la condivisione di storie che sostiene
e dà energia all’intero processo.
Perché le persone non agiscono più spesso e più efficacemente nella vita pubblica?
Se l’azione è un impulso naturale, perché
la gente lo evita? So che questo non avviene perché la gente è “apatica”, cioè “priva
di interesse e sentimenti”. Basta graffiare
la superficie anche poco con la maggior
parte delle persone e si scopre che si preoccupano molto di se stessi, degli altri e
del mondo. La ragione principale è che la
nostra cultura e il nostro sistema educativo ci insegna a non farlo. O almeno non
riesce a insegnarci ad agire e come agire.
Edward T. Cambers, “The power of relational
action”, Acta publications, 2009, pp. 21-2
Edward T. Cambers, “Being triggers action”,
Acta publications, 2009, p. 13
35
IL MONDO-COME-DOVREBBE-ESSERE
Stiamo cercando di muovere il mondo-come-è per farlo diventare un luogo
diverso, il mondo-come-potrebbe-essere.
Da dove viene questo “mondo-che-potrebbe-essere”? Proviene dalla nostra
immaginazione, dalle nostre anime, dai
nostri cuori, dalle nostre viscere.
Edward T. Cambers, “Action creates public
life”, Acta publications, 2010, p. 15
PEDAGOGIA
Il corpo trionfa sul cervello ogni volta, perché il corpo – nella sua totalità
– esprime la totalità della condizione
umana. I bambini, ad una età sempre
più giovane nella nostra cultura, sono
messi in una qualche scuola e la loro
modalità di apprendimento cambia
dall’imparare attraverso il corpo all’imparare con il cervello. Invece di sperimentare le cose, gli vengono dette, e alla
fine il sistema educativo prende il sopravvento a tal punto che smettono di
avere fiducia nel loro corpo e pensano
che la comprensione venga da parole e
concetti. Per essere in grado di riuscire
nella vita pubblica questi bambini – divenuti giovani adulti – devono riscoprire
come imparare con tutto il loro corpo.
Gli esseri umani ricevono doni alla nascita – enormi, potenti, doni per tutta la
vita – che non abbiamo sollecitato né
guadagnato. Questi doni sono incarnati
in noi. Per questo dobbiamo organizzare con i nostri corpi, non con le nostre
menti, e dobbiamo reinsegnare alle persone a fare questo.
Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s
guide to citizen action”, Anchor Books, 2004,
p. 163
POTERE
Il potere è semplicemente la capacità
di agire efficacemente con gli altri nel
mondo-come-è per renderlo di più il
mondo-come-potrebbe-essere.
Edward T. Cambers, “Being triggers action”,
Acta publications, 2009, p. 20
È per questo che quando siamo chiamati da un leader religioso o di quartiere di
una città, gli diciamo che non verremo
per risolvere un problema abitativo o
educativo o salariale. No, diciamo che
tenteremo di risolvere un problema più
fondamentale: un problema di potere.
Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s
guide to citizen action”, Anchor Books, 2004, p. 9
Noi crediamo nella costruzione di un
potere che è fondamentalmente reciproco, temperato dagli insegnamenti
delle tradizioni religiose e esercitato nel
contesto delle sempre mutevoli relazioni con i nostri leader, alleati e avversari.
“IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 19
STORIE
La parola relazione deriva dal verbo
latino relatio, che significa “raccontare”.
Quindi, le relazioni riguardano il “raccontare o creare una storia”.
Edward T. Cambers, “The body trumps the
brain”, Acta publications, 2008
Edward T. Cambers, “The power of relational
action”, Acta publications, 2009, p. 12
Al centro della cultura relazionale c’è
una convinzione rispetto alla capacità
della maggior parte delle persone di
crescere e svilupparsi.
VALUTAZIONE
36
Noi cresciamo e ci sviluppiamo e otteniamo saggezza attraverso l’azione, non
pensando ad agire. Ecco perché nelle
buone organizzazioni di cittadini, ogni
azione pubblica è seguita da ciò che
noi chiamiamo una valutazione, perché non vogliamo perdere l’occasione
che l’azione ci ha fornito per imparare.
Come ha reagito l’opposizione e come
abbiamo risposto a nostra volta? Che
cosa faremmo di diverso in futuro?
Quali sono i nostri prossimi passi? Senza azione, non ci può essere alcuna valutazione; e senza la valutazione, non ci
può essere comprensione né crescita.
Edward T. Cambers, “Being triggers action”,
Acta publications, 2009, p. 21
VITA PUBBLICA
Per effettuare con successo il salto dalla
vita privata alla vita pubblica, dobbiamo imparare ad agire in modo diverso.
La vita pubblica è illimitata e spalancata, ma dobbiamo agire in modo tale da
renderla reale e soddisfacente per noi
stessi. E’ sorprendente per me constatare quante persone non siano in grado
di fare questo salto. E’ più facile per gli
esseri umani rimanere nella vita privata.
La vita privata è l’arena della nostra famiglia di origine, dove l’amore è incondizionato, abbiamo a che fare solo con gli
amici e la famiglia e tensioni e conflitti si
suppone siano minimizzati. Il problema
è che coloro che ci hanno aiutato a im-
parare le lezioni della vita privata: i nostri genitori, i nostri insegnanti, il nostro
clero vogliono convincerci che la vita
privata è la vita più importante, che “la
famiglia è tutto ciò che conta”, che non
c’è “niente che tu possa fare” e che l’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è
ottenere un lavoro e crescere la nostra
famiglia.
Ma la vita pubblica è per molti versi ancora più importante che la nostra vita
privata, perché è nella vita pubblica che
troviamo la missione o lo scopo che ci è
stato dato dal nostro creatore. Dobbiamo uscire dei nostri modelli infantili, al
fine di scoprire chi siamo veramente in
relazione agli altri e in relazione con il
mondo.
Edward T. Cambers, “Action creates public
life”, Acta publications, 2010
Mentre la vita privata è dove sperimentiamo la mescolanza di spiriti umani al
livello più fondamentale, abbiamo bisogno anche della vita pubblica per uscire
fuori da noi stessi, lasciare i nostri segni
nel mondo, realizzare la nostra chiamata individuale o specifica vocazione.
Edward T. Cambers, “The power of relational
action”, Acta publications, 2009, p. 13
OGNI CAMPAGNA INIZIA CON L’ASCOLTO E LA RICERCA. NELLA FOTO IL RAPPORTO SULLE CAUSE
E CONSEGUENZE DEI PIGNORAMENTI NEL QUARTIERE DI SHERMAN PARK REDATTO ATTRAVERSO
QUESTIONARI, FOTOGRAFIE, INTERVISTE PORTA A
PORTA E AUDIZIONI DI ESPERTI DA 250 LEADER DI
COMMON GROUND.
37
NOTE
Dal 2003 ad oggi ho lavorato a Radio
Radicale, portato lì da una passione
politica, la stessa che mi ha fatto
scegliere scienze politiche invece che
antropologia al momento dell’iscrizione
all’università. Ma la passione per
l’antropologia è sempre rimasta. Una
passione per le relazioni, la comunità,
e la capacità di comprendere punti di
vista diversi.
Venni a sapere del community
organizing all’epoca della prima
campagna presidenziale di Obama,
leggendo nella sua biografia che per
ben 3 anni si era dedicato a questo da
giovane.
Mi è parso subito che lì si incontrassero
molti dei fili che avevo tentato di tirare
fino ad allora. Quello del coinvolgimento
attivo delle persone. Quello del lavoro
sulla comunità basato sulla coltivazione
dei talenti individuali e sulle “arti
morbide” dell’ascolto e della relazione
che avevo scoperto attraverso il teatro
sociale. E infine, la mia attrazione verso
una politica che sapesse andare “alla
radice” dei problemi, che è il significato
originario del termine radicale,
utilizzato da Saul Alinsky, il fondatore
del community organizing, nel suo
bestseller “Rules for radicals”.
Questo libretto raccoglie alcuni estratti
del blog che ho tenuto durante i miei
due mesi e mezzo di formazione come
community organizer a Milwaukee.
WWW.COMMUNITYORGANIZING.IT
Mi chiamo Diego Galli, classe 1977.
E sì, voglio fa’ il community organizer.