tu vuo` fa` il community organizer
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tu vuo` fa` il community organizer
TU VUO’ FA’ IL COMMUNITY ORGANIZER DIEGO GALLI WWW.COMMUNITYORGANIZING.IT Q uesto libretto raccoglie alcuni estratti del blog che ho tenuto durante i miei due mesi e mezzo di formazione come community organizer a Milwaukee. Il titolo riprende il nome che diedi al blog, un po’ come monito a non prendermi troppo sul serio, un po’ come risposta anticipata all’obiezione che il “community organizing non potrà mai funzionare in Italia”. Pare che questa obiezione venga mossa anche negli Stati Uniti ogni volta che viene aperta un’organizzazione in una nuova città. Ed è stata fatta in Germania quando Leo Penta ha dato avvio al Deutsches Institut für Community Organizing, e in Francia quando Adrien Roux ha fondato l’Allyance citoyenne Grenoblois. Certo, l’Italia non è l’America, e non si possono scopiazzare modelli e pretendere che funzionino. Ma come cerco di raccontare in questo diario, il community organizing lavora soprattutto con degli universali umani: la forza delle relazioni, i mentori, la differenza tra potere dominante e potere relazionale, la rabbia, il mondo come dovrebbe essere in contrapposizione al mondo come è. La foto in copertina ritrae un giovane Barack Obama. Sono venuto a conoscenza del community organizing leggendo, all’epoca della sua prima corsa presidenziale, che da giovane aveva lasciato la carriera da avvocato per lavorare come community organizer a Chicago. Spero che sia una lettura interessante. E che riesca a trasmettere l’ispirazione che ha rappresentato per me vedere all’opera questa pratica dalla storia ormai quasi secolare. Una storia che è venuto il momento che pianti le sue radici anche in Italia. Io ho deciso di dedicarmi a questo. Ho scritto questo diario per incontrare compagni di viaggio. INDICE Obama in bianco e nero 5 Che cos’è il community organizing 7 La cosa più radicale che insegniamo 11 Il mondo come dovrebbe essere 13 Ritratti di quartiere17 Personalizzare e polarizzare 19 Guerra delle periferie… o community organizing? 25 La moltiplicazione dei pani e dei pesci 29 Appendici33 Obama in b/n La foto in bianco e nero ritrae un giovane Barack Obama alle prese con la registrazione al voto degli afroamericani per le strade di Chicago. Come racconta nella sua biografia “I sogni di mio padre“, dopo gli studi all’università di Harvard e aver partecipato a un training di 10 giorni a Los Angeles organizzato dall’Industrial Areas Foundation, Obama lavorò tre anni come community organizer a Chicago, un’esperienza che ha influenzato profondamente la sua formazione umana e politica. “Quindi,” disse Martin tamponando la macchia con un tovagliolo di carta, “perché qualcuno delle Hawaii vuole fare il community organizer?” Mi sedetti e gli raccontai qualcosa di me. “Mmmm”, annuì mentre prendeva note su un blocco pieno di linguette, “devi essere arrabbiato per qualcosa”. “Che intendi?” Scrollò le spalle. “Non so cosa esattamente. Ma qualcosa. Non fraintendermi, la rabbia è un requisito di questo lavoro. L’unica ragione per la quale qualcuno decide di diventare un organizer. Le persone adattate trovano lavori più rilassanti”. A conclusione della sua esperienza come direttore del Developing Communities Oroject di Chicago, Obama scrisse un saggio sulla rivista Illinois Issues intitolato “Why Organize? Problems and Promise in the Inner City“. L’organizing parte dalla premessa che 1) i problemi che devono affrontare le comunità dei quartieri poveri non sono una conseguenza della mancanza di soluzioni efficaci, ma della mancanza di potere per implementare queste soluzioni; 2) che l’unico modo per le comunità di costruire potere di lungo periodo è organizzando le persone e il denaro intorno a una visione comune; e 3) che un’organizzazione praticabile può essere conseguita se una leadership indigena a base allargata – e non uno o due leader carismatici – può unire insieme i diversi interessi delle proprie organizzazioni locali. Questo significa portare chiese, associazioni di quartiere, gruppi di genitori e ogni altra organizzazione in una data comunità a pagare le rette, assoldare organizers, fare ricerca, sviluppare la leadership, tenere riunioni e campagne educative, e iniziare a architettare piani su un’insieme di questioni – lavoro, scuola, criminalità, etc. Una volta che questo veicolo è stato formato, detiene il potere per rendere i politici, la burocrazia e le aziende più responsabili verso i bisogni della comunità. Per questo suo trascorso è stato più volte etichettato dai repubblicani come un pericoloso “radicale”. Newt Gingrich in campagna elettorale ha accusato Obama di «non saper tracciare la differenza tra la Dichiarazione di Indipendenza americana e gli scritti di Saul Alinsky». 5 6 Che cos’è il community organizing Il community organizing è una tradizione di attivismo civico nata in America negli anni ’30 del secolo scorso il cui fondatore, Saul Alinsky (30 gennaio 1909 – 12 giugno 1972), è stato definito da Jaques Maritain uno dei «tre rivoluzionari degni di questo nome» di tutto l’occidente (Maritain 1977, 42). Dopo aver organizzato con successo gli abitanti del quartiere di Chicago dove avveniva la lavorazione della carne, Alsinky iniziò a essere chiamato a intervenire in varie parti degli Stati Uniti, ottenne l’appoggio di organizzazione importanti come la Diocesi di Chicago, formò molti degli attivisti che guideranno i movimenti di protesta americani come il leader degli agricoltori californiani Cesar Estrada Chavez, e divenne negli anni ’60 un punto di riferimento per il movimento studentesco (Hillary Clinton si laureò nel 1969 con una tesi dal titolo “There is only one fight. An analysis of the Alinsky Model”). Negli ultimi anni questa tradizione ha avuto un incremento di attenzione pubblica anche grazie all’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, il quale dopo aver lasciato gli studi all’università di Harvard per partecipare a un training di 10 giorni a Los Angeles organizzato dall’Industrial Areas Foundation, lavorò tre anni come community organizer a Chicago, un’esperienza che come racconta nella sua autobiografia ha influenzato profondamente la sua formazione umana e politica. L’Industrial Areas Foundation (IAF), fondata da Saul Alinksy nel 1940, è uno dei più grandi network di organizzazioni locali di community organizing negli Stati Uniti, ed è l’unico che vanti organizzazioni affiliate in altri paesi come il Canada, l’Australia, la Gran Bretagna e la Germania. L’obiettivo del community organizing è creare potere al livello delle comunità locali. Gran parte dei problemi sociali, secondo questa tradizione, non trovano soluzione perché esiste uno squilibrio strutturale di potere tra lo stato e il mercato, da una parte, e la società civile dall’altra. Finché questo squilibrio di potere non viene affrontato, gran parte dei più pressanti problemi sociali resteranno senza soluzione. «E’ per questo – spiega Michael Gecan – che quando siamo chiamati da un leader religioso o di quartiere di una città, gli diciamo che non verremo per risolvere un problema abitativo o educativo o salariale. No, diciamo che tenteremo di risolvere un problema più fondamentale: un problema di potere». Alinsky chiamava il community organizing “l’arte della politica relazionale”. Il tipo di potere che tentano di far acquisire dalla comunità, infatti, è relazionale: un “potere con gli altri” in opposizione al “potere sugli altri”. Come scriveva Danilo Dolci, “non si può realizzare una società civile senza imparare a distinguere la forza–potere dalla violenza–dominio”. Quando arrivano in un territorio, di solito i quartieri più poveri e malfamati delle città americane, gli organizers lavorano alla paziente tessitura di relazioni con quelle che chiamo le “istituzioni ancora”, le organizzazioni stabili della società civile, anzitutto le chiese di ogni confessione religiosa e le scuole, ma anche 7 sindacati, comitati di quartiere e centri anziani. Il loro obiettivo è rafforzare le istituzioni della società civile. La base del lavoro dei community organizers è rappresentato da quelli che definiscono “incontri relazionali”, incontri faccia a faccia, della durata di 30-45 minuti, con abitanti del territorio. «Le loro storie, intuizioni e memorie sono più importanti di un nome su una petizione o il contributo a una campagna», si legge in una pubblicazione dell’Industrial Areas Foundation. Gli organizer sanno già che almeno il 90% di 8 questi incontri non porteranno a nulla. Ma tra le persone che incontrano ci sono quelli che definiscono i leader. Quando gli ho chiesto cosa intendessero per leader, Ojeda Hall, una donna che ora guida l’organizzazione di Baltimore, mi ha risposto che «un leader è anzitutto una persona che ha un seguito, nel senso che se chiama qualcuno questo viene. Non deve essere una persona potente o nota. Anche una donna che riesce a crescere da sola 6 figli per noi è un leader». Uno dei principi fondativi del community organizing è quella che chiamano “la legge di ferro”: «non fare mai per gli altri quello che possono fare da soli». Rob English, veterano di guerra, e esperto organizer trasferitosi a Baltimore dopo diversi anni di attività a New York, mi ha spiegato come BUILD, l’affiliata locale della IAF, «non è un’organizzazione tematica, né territoriale. E’ un’organizzazione “culturale”. Il suo campo di azione sono le relazioni umane e il suo obiettivo è dare alle persone un senso di potere, di capacità di agire». Sono moltissime le campagne di successo portate avanti dalle affiliate IAF. I campi su cui hanno ottenuto i successi più rilevanti sono i seguenti. - Salario minimo vitale. Negli Stati Uniti la IAF ha ottenuto l’approvazione nel corso degli anni ’90 di una serie di risoluzioni per la garanzia del salario minimo vitale in più di 100 città degli Stati Uniti. - Lavoro. In Texas, Lousiana e Arizona sono riusciti a far finanziare un progetto di formazione al lavoro, Project QUEST, che ha ricevuto il premio per l’innovazione dall’Università di Harvard e che ha portato 11.000 persone fuori della soglia di povertà. - Scuole. L’Annenberg Institute for School Reform ha dimostrato in uno studio come grazie al lavoro di Austin Interfaith i risultati degli studenti nei test standard sono migliorati in media del 15-19%, grazie al coinvolgimenti attivo di insegnanti e genitori promosso dai community organizers. A Baltimore l’affiliata IAF locale è riuscita a dar vita a un’autorità per le gestione dei programmi doposcuola, Child First, che attualmente assicura programmi accademici, culturali e ricreativi per 1400 allievi ogni anno. - Case. L’affiliata IAF di New York, la East Brookling Congregations, negli anni ‘80 ha dato vita a un progetto pilota di costruzione di 4.500 case a prezzi calmierati denominato “Neemia” (dal nome del profeta che ricostruì Gerusalemme) solo nella parte est di New York. A partire da allora grazie all’azione delle affiliate IAF sono state costruite oltre 6.000 abitazioni a New York, Baltimora, Washington DC e Filadelfia per famiglie con un reddito annuo sotto i 75.000 dollari, e ristrutturate 17.000 case. - Assistenza sanitaria. Il gruppo IAF nel Massachusetts, Greater Boston Interfaith Organization, ha promosso la riforma sanitaria bipartisan del 2006 (firmata dall’allora governatore Mitt Romney) che ha garantito la copertura sanitaria a 500.000 persone che ne erano prive e ispirato la riforma della sanità di Obama. - Pignoramenti e banche. In Virginia l’organizzazione affiliata VOICE negli ultimi due anni ha contattato direttamente oltre 800 proprietari in difficoltà, mappato ogni singolo pignoramento, identificato le banche che hanno emesso mutui subprime e quindi causato i pignoramenti, e costretto le principali responsabili, Bank of America e JP Morgan, ad assicurare 60 milioni di dollari in riduzione dei debiti e remissione dei prestiti e 5 milioni di dollari per ristrutturare le abitazioni deteriorate. In Europa negli ultimi anni il community organizing ha iniziato a prendere piede in Gran Bretagna con l’organizzazione Citizens UK, in Germania con DICO – German Institute for Community Organizing, in Francia con Alliance citoyenne e in svariati paesi dell’Europa dell’est tramite le organizzazioni facenti capo all’European Community Organizing Network. Inoltre, tentativi di introdurre il community organizing sono stati condotti anche da alcuni partiti politici e sindacati, come il Labour Party britannico, il Partito socialista danese, il Trades Union Congress in Gran Bretagna. Il governo britannico guidato da David Cameron, nell’ambito del progetto Big society, ha finanziato un programma di formazione di 5000 community organizer in tutto il Regno Unito. 9 La cosa più radicale che insegniamo Siamo nel collegio di sole donne Alverno creato da un ordine religioso di suore nel 1887. Tutti gli ingredienti per apparire come un luogo tradizionalista. E’ l’opposto. Non ci sono voti alla fine dell’anno né per gli esami. Le allieve sono chiamate a valutare gli insegnanti e i programmi attraverso discussioni aperte. Solo il 30% delle allieve è cattolico, il resto di altre fedi o non credente. Ci sono organizzazioni sia degli insegnanti che delle allieve apertamente femministe. Incoraggiano la partecipazione politica. E hanno anche un corso di community organizing. Lo insegna Kathleen a volte. La prima volta che l’ho accompagnata a una lezione, nelle presentazioni iniziali (un rito immancabile in qualsiasi riunione organizzata dalla IAF) un’allieva ci dice che da grande vuole fare la presidente degli Stati Uniti. La rivedo poi all’assemblea pubblica convocata da Common Ground lo scorso 19 ottobre e alla valutazione successiva. Giorni dopo siamo di nuovo alla sua università in attesa di un incontro con una docente. Lei vede Kathleen e si avvicina subito. “Ci sono un sacco di cose che non mi sono piaciute all’assemblea. Ero molto delusa e molte altre persone lo erano”. Kathleen la guarda in modo del tutto aperto e le chiede: “interessante. E perché?”. Lei inizia a dirle che non era riuscita a intervenire nella valutazione. Che l’uomo che la conduceva non era interessato agli input, solo a dire il suo punto di vista. Che le slide non funzionavano e non si vedevano. Che c’era troppa religione e sembrava che volesse essere imposta ai presenti, tanto che un’amica che era con lei se n’era andata. Kathleen ascolta, spiega che la valutazione è per loro in parte un momento di insegnamento per cui c’è un ruolo importante svolto dall’organizer, che la loro base è composta da chiese, però è molto interessata alla sua impressione perché non è la prima volta che la sente. Il suo ascolto è incredibilmente accogliente. Le sue domande sono tutte rivolte ad aprire il mondo del suo interlocutore. Così che una conversazione nata con una serie di rimostranze e delusioni si trasforma in un racconto sulla storia di questa ragazza, sull’origine della sua rabbia, sulla sua famiglia e i valori che le ha passato sua madre, sul suo essere lesbica, il suo rapporto con lo sport, con la religione. E mentre lei parla Kathleen trova il modo di raccontare anche di sé, cogliendo connessioni con la vita di questa ragazza. A un certo punto il mio istinto mi dice una cosa. Questa ragazza dice che vuole fare politica per combattere la disuguaglianza, che vuole cambiare le cose, che vuole ottenere risultati su cui far convergere gli altri, ma non sembra disposta ad ascoltare. Io a quel punto le avrei detto qualcosa tipo: “ma per fare questo devi anche imparare ad ascoltare gli altri…” utilizzando il patrimonio di fiducia conquistato fino ad allora e l’autorevolezza del community organizer. Kathleen, nello stesso istante in cui lo penso, le fa questa domanda: “E a chi presti ascolto rispetto a queste cose nella tua vita?”. Non c’è giudizio, c’è curiosità. Non c’è fretta di ottenere qualcosa. E’ così in quasi ogni incontro a cui partecipo con lei. Proprio nel momento in cui la conversazione sembra su un binario morto, proprio quando sarei tentato di cambiare argomento, puntualizzare, chiedere all’altro di fare qualcosa o dire come andrebbe fatta, Kathleen fa una domanda che riapre la discussione mettendo l’altra persona al centro. E’ come guidare ascoltando. E’ una vera e propria arte quella di Kathleen. 11 KATHLEEN PATRÒN, COMMUNITY ORGANIZER DI COMMON GROUND E’ l’arte dell’incontro relazionale. L’invenzione di questo strumento del community organizing non si deve ad Alinsky ma al suo successore alla guida dell’Industrial Areas Foundation, Ed Chambers. «La cosa più radicale che insegniamo» lo definisce nel suo libro “Roots for Radicals”. Nelle dispense del training svolto da Common Ground oggi si legge: Gli incontri non sono fatti per vendere alcunché, né Common Ground, né una campagna, né la tua organizzazione. Sono fatti per condividere i tuoi interessi e la tua storia e per comprendere la storia e gli interessi dell’altra persona. Stai cercando di costruire forse una relazione basata su valori e interessi comuni per far diventare il mondo un posto migliore. Kathleen è un’artista dell’ascolto e della capacità di incontrare le motivazioni profonde degli altri perché è questa l’attività a cui i community organizer dedicano la maggior parte del loro tempo. Ed è questa la sonda, lo strumento e il territorio dove incontrano quelli che diventeranno i leader dell’organizzazione di cittadini in grado di esercitare potere a cui danno vita ovunque avviano questo processo. La ragazza prosegue dicendo che per lei il community organizing è troppo lento, lei vuole arrivare al potere, essere eletta, perché così potrà cambiare le cose. Perché chi sta al potere non ascolta i bisogni delle persone. Allora Kathleen si attacca qui, alla sua affermazione, per spiegarle come vede il community 12 organizing. La maggior parte dell’attivismo non è relazionale. Ricordo che quando ero in Sudafrica non ho mai visto tante persone manifestare per i diritti degli animali. Mi ricordo che guidavo dalla periferia al centro città, e nello stesso tragitto ho prima visto un ragazzino di colore che defecava per strada e poi una manifestazione di bianchi arrabbiati per i diritti delle balene. Entrare in relazione con le persone ti costringe ad avere uno sguardo difficile su te stesso e questo spaventa le persone. Quando sento queste parole le ricollego subito al senso di spossatezza, a volte di tristezza, di svuotamento che mi danno alcuni di questi incontri. Dietro l’apparente noia c’è in realtà un disagio, un cercare riparo dalla realtà dell’altro e dalla fatica del mettercisi in relazione. Spesso perché l’altro ci dice qualcosa su di noi che preferiamo non vedere. La ragazza quando è andata via aveva un senso di potere in più. Era stata ascoltata. Aveva criticato in gran parte ingiustamente il community organizing, ma dall’altra parte non ha incontrato una difesa o una risposta ideologica, ma una volontà sincera di capire le sue ragioni. E una persona che le ha fatto domande sulla sua vita, che le ha comunicato la possibilità di mostrare la sua rabbia e la sua identità. L’incontro relazionale è un’arte. Ed è la cosa più radicale che mi stanno insegnando. Il mondo come dovrebbe essere Uno dei momenti ricorrenti nel community organizing è la formazione. E’ un’attività continua a cui viene dedicata molta attenzione e alla quale vengono invitate a partecipare le persone più interessanti e promettenti che gli organizer incontrano attraverso gli incontri relazionali. Siamo in un’aula della Marquette University, l’università privata cattolica più prestigiosa di Milwaukee. L’università aderisce a Common Ground e uno dei modi in cui contribuisce è offrendo le proprie aule per i training. Per introdurre l’argomento gli organizer partono sempre da “il mondo come dovrebbe essere”. Non esisterebbe nessuna possibilità di cambiamento se non ci fosse dentro di noi un’immagine di un mondo come dovrebbe essere. “Quali sono le caratteristiche del mondo come dovrebbe essere?” “Dove hai imparato a immaginare un mondo così?” “Chi te lo ha insegnato?” Rusty Borkin va alla lavagna e raccoglie quello che dicono i partecipanti. Dignità. Casa e cibo per tutti. Uguaglianza. Amore. Giustizia. Ce lo hanno insegnato i nostri genitori. Qualcuno lo ha appreso in Chiesa. Altri dai libri, a scuola, o grazie alla conoscenza di persone che hanno ammirato. E cosa si contrappone al mondo come dovrebbe essere? “Il mondo come è”, risponde qualcuno. A quel punto veniamo divisi in coppie. Quando nella vostra vita avete realizzato che il “mondo come è” è diverso dal “mondo come dovrebbe essere”? Raccontatelo al vostro compagno. Lamont, un giovane uomo di colore, mi racconta di quando passò un intero fine settimana nella casa del figlio di un collega bianco del padre. Una villa di lusso con piscina e stanze grandi, e cibo abbondante. Tornato a casa non poté fare a meno di raccontare entusiasta l’esperienza ai suoi amici. Ma non aveva idea della reazione che avrebbe suscitato. “Ci hai traditi, non sei più parte di noi!”. “Ti senti superiore, eh?”. “Sei andato con quella gente perché ci disprezzi”. Con poche battute Lamont si trovò di colpo solo, con dentro un senso di colpa e insieme di ribellione. Provo a immaginare un’esperienza del genere, io che non sono di colore, io che sono dalla parte privilegiata della linea di divisione. Provo a parlare del momento in cui io ho realizzato il mondo come è. Il liceo, le dinamiche di esclusione all’interno dei gruppi, il sentirmi tagliato fuori, diverso, solo perché timido e introverso più del normale. Non è la razza, non è la società, ma infondo è un meccanismo simile. Il tuo gruppo di appartenenza che non ti accetta per quello che sei. Alcune diversità che la nostra società non sa accogliere, integrare, rendere motivo di ricchezza invece che di incomprensione. 13 Lamont mi dice che con il tempo ha potuto inquadrare quell’episodio all’interno di quello che oggi definisce il “self-hate” (l’odio contro sé stessi) che gli afroamericani nutrono a causa della loro condizione di esclusione e marginalità. Ma allora si sentì in colpa, isolato, misero. Non andò più a casa del figlio del collega del padre. Il “mondo come è” aveva fatto ingresso nella sua vita. “Cosa avete provato ascoltando la storia del vostro compagno?” chiede Rusty. Rusty sa che quella parola verrà fuori. Ed è quello che aspetta. In inglese la parola anger significa rabbia. Etimologicamen- dice Bob Connolly in una riunione dello staff in cui si valuta il training. Questo non significa che il punto sia sfogare la propria rabbia e trasformarla in odio verso un nemico. Per questo parlano di “cold anger”, una rabbia trasformata, focalizzata, e legata a una visione. Il lavoro del community organizing è insegnare a vivere nella tensione che esiste tra il mondo come è e il mondo come dovrebbe essere, sapendo che non si uniranno mai definitivamente. «La tensione di cui parlo non è un problema che deve essere risolto, è la condizione umana. Abbracciare questa tensione è il nostro destino spirituale», scrive Ed RUSTY BORKIN, COMMUNITY ORGANIZER DI COMMON GROUND, DURANTE IL TRAINING te deriva da un termine utilizzato da un’antica lingua germanica, angra, che significa perdita e dolore. «La rabbia salutare viene dalla perdita. Guardi il tuo quartiere e vedi che non è più come prima. Oppure la perdita riguarda quello che potrebbe essere e non è», spiega Kathleen. «Questa rabbia è il fluido che sanguina dall’amore quando lo tagli». E’ il sentimento su cui più lavorano gli organizer. E’ quello che cercano nelle persone «perché è la rabbia l’energia che ti darà il coraggio necessario per superare il bisogno di approvazione e la paura di agire», 14 Chambers nel suo Roots for Radicals. «L’interesse per il mondo come dovrebbe essere separato dalla capacità di analisi e azione nel mondo come è marginalizza e sentimentalizza la moralità e l’etica». Dopo la rabbia, l’altra parola che gli organizer si sforzano di far reinterpretare e rivalutare è il potere. «Questa parola – dice Kathleen – solitamente mette paura a molte persone. Qui dentro comprendiamo molto meglio la parola amore. Ma noi insegniamo alle persone che sentono amore per gli altri a comprendere il potere». Il potere è la capacità di agire. E’ lo strumento che serve per portare il mondo come è più vicino a come dovrebbe essere. Assume due forme principali nelle società moderne. Denaro organizzato e persone organizzate. Il community organizing è una specifica cultura di organizzazione della società civile fondata sul «potere delle persone organizzate per agire insieme in modo consistente e persistente». tati di quartiere, organizzazioni non profit, scuole, sindacati, piccole imprese, in grado di fornire costantemente centinaia di persone per campagne prolungate nel tempo su singole questioni. Si fonda su queste modalità operative: Organizer professionali. Reclutano, agitano, insegnano e elaborano strategie insieme ai leader. La creazione di relazioni viene prima di qualsiasi campagna, perché è così che i community organizer creano il potere delle organizzazioni dei cittadini. Il community organizing parte dal riconoscere che «in ogni comunità c’è grande talento e grandi leader. Ma sono isolati e le loro voci non sono ascoltate». Il primo strumento del community organizing è quindi l’incontro relazionale. «L’organizzazione è costruita intorno alle capacità apprese attraverso gli incontri relazionali faccia a faccia, che costruiscono relazioni, scoprono gli interessi delle persone, e svelano i leader». Base allargata. Le organizzazioni di cittadini sono associazioni di organizzazioni, non di individui: chiese, moschee, comi- Leadership collettiva. Persone relazionali di fede, impegno, rabbia salutare, che sono aperte alla formazione, vogliose di crescere, capaci di fornire un seguito e formare altri. Azioni. Iniziative specifiche dirette a persone con il potere reale di risolvere il problema sollevato. Ogni azione ha uno specifico risultato finale in mente e “non marciamo tanto per marciare”. L’azione è nella reazione. Infatti, «la nostra azione mette in moto la loro reazione, e allora è nostro compito utilizzare quella reazione per intraprendere la nostra azione successiva». Responsabilità. Una cultura basata su leader che si mantengono responsabili uno di fronte all’altro, così come chiedono di fare ai politici, le aziende e l’amministrazione pubblica. UN BAMBINO DECORA UNA FINESTRA DELLA CHIESA PRESBITERIANA TIPPECANOE DI MILWAUKEE, UNA DELLE ORGANIZZAZIONI MEMBRE DI COMMON GROUND 15 DOOR TO DOOR IN SHERMAN PARK. UNA DELLE CASE PIGNORATE A SHERMAN PARK. COMMON GROUND HA MESSO DI FRONTE A OGNUNA LA BANCA RESPONSABILE DELLO STATO DI ABBANDONO Ritratti di quartiere - Steven e Janice sono i primi che mi incontrato sa tracciare una linea di selasciano entrare in casa. A Milwaukee parazione netta nel proprio isolato tra fa già – 8°, è quasi buio e non è piace- proprietari e affittuari, tra le case manvole camminare per un quartiere che so tenute bene, e quelle no. essere pericoloso a bussare alle porte delle persone. Sono una coppia di co- – Milwaukee è la città più razzialmenlore, entrambi quasi non hanno i denti. te segregata di tutti gli Stati Uniti. Il Effetti dell’assistenza sanitaria privata quartiere in cui mi trovo, Sherman Park, e del muro che ancora divide bianchi e è storicamente uno dei pochi quartieri neri in questo Paese. Sono sulla sessan- integrati della città. A prevalenza afroatina, c’è la loro nipotina con loro, e mi mericano, ci vivono anche bianchi, una dicono che è la prima casa che riescono comunità di ebrei ortodossi, e ha un ad acquistare. La casa è stata ristruttu- settore storico con case che risalgono rata grazie alla campagna di Common all’800. La crisi dei mutui subprime ha Ground diretta alle banche responsabili colpito duramente il quartiere. Le centidel pignoramento di oltre 10.000 case a naia di case pignorate, riconoscibili per Milwaukee tra il 2007 e il 2008, l’80% del- le tristemente tipiche tavole di laminato le quali è stato acquistato attraverso un inchiodate su porte e finestre, restano mutuo subprime. Grazie a una campa- abbandonate, divengono ricettacolo di gna durata due anni, Common Ground attività criminali, e fanno crollare il prezè riuscita ad ottenere da 5 tra le banche zo di mercato di tutte le case confinanti. più grandi del paese 33 milioni di dollari La conseguenza è che gli abitanti più beper finanziare la ristrutturazione delle nestanti si spostano verso altri quartieri, case abbandonate a seguito dei pigno- e chi non ha la possibilità di farlo resta. ramenti. Steven mi mostra due parti Negli Stati Uniti molti servizi pubblici, stuccate del muro del salone. Ci sono tra cui le scuole, dipendono dalle tasse due buchi dietro lo stucco, causati da sulla proprietà immobiliare e variano proiettili sparati in strada, durante una da quartiere a quartiere. In altre parole sparatoria, a gennaio. i servizi pubblici dipendono dal valore delle case del quartiere in cui sono for– Dovete immaginarli i quartieri delle niti. Il circolo vizioso che ne deriva può città americane. Non sono le nostre trasformare in pochissimo tempo un strade imprigionate da palazzine. Sono quartiere della classe media in un ghetcase unifamiliari con l’esterno di legno, to. E’ avvenuto in migliaia di luoghi negli la porta che da su un piccolo portico, un Stati Uniti a seguito della crisi del 2008. pezzo di prato e poi la strada. Dietro il garage, a cui si accede attraverso degli – Bill è il vicino di Steven e Janice. Sono appositi vicoli. Costa molto mantenere loro a suggerirmi di parlare con lui dopo queste case, riscaldarle, tagliare il prato. aver sentito lo scopo della mia visita: C’è un disprezzo diffuso nei confronti raccogliere abitanti del quartiere intedegli affittuari. Ogni persona che ho ressati a lavorare insieme per migliora17 re Sherman Park. Quando lo incontro, uscito. Ora aiuta gli altri che sono meno come altri, mi dice che il problema mag- fortunati di lui a risollevarsi. Quando gli giore che ha il quartiere è l’incremento chiedo come è riuscito a farlo, anche lui di affittuari. Sono solitamente più poveri, mi risponde che è stato Dio. hanno meno cura delle proprie case e del quartiere. Passa almeno mezz’ora – «Gli incontri relazionali sono la cosa del nostro incontro per spiegarmi la più radicale che insegniamo perché non storia della questione razziale in Ame- possono essere fatti su internet. L’80% rica. Cerco di impiegare quanto ho im- della comunicazione umana è non verparato sull’importanza di fare domande bale» diceva proprio oggi Bob Connolly a per portare la conversazione dal ritratto un gruppo di seminartisi della Chiesa epidi un sistema ingiusto che sembra non scopale durante un training sul commuavere vie d’uscita alla sua esperienza nity organizing. Mentre lo dice penso ai personale. Scopro così che è stato in momenti in cui mi sento a disagio in questi prigione per 15 anni. Avrebbe dovuto incontri. Molte delle persone che mi invitarestarci per tutta la vita. Ha ucciso 3 per- no nelle loro case hanno delle storie molto sone, anche se per autodifesa. Aveva tre dure alle spalle. Arrivo io a bussare alla loro ergastoli. Ha fatto appello e ha avuto porta, bianco, con il mio accento italiano, una consistente riduzione di pena. Dice catapultato qui 3 mesi per “fare esperienche è stato Dio. Sono in molti a dire così. za”. In più l’incontro relazionale non è un’inLa sua casa è ora sotto pignoramen- tervista. E’ un incontro. Non puoi farlo sento. Uscito dal carcere a 50 anni, l’unica za mettere in gioco qualcosa di te, senza possibilità di lavoro è stata per lui apri- parlare della tua storia, delle ragioni della re una piccola impresa. Ma le cose non tua rabbia. Lo faccio ma a volte mi sembra vanno sempre bene. E negli ultimi mesi forzato. Tutto questo fa parte dell’autovanon ha potuto più pagare il mutuo. lutazione che ogni community organizer fa della sua attività. E da lì un organizer impa– Poi ci sono le giovani coppie bianche. ra gran parte di quello che deve imparare. Ne ho incontrate tre che hanno acqui- Quel senso di disagio e impaccio, che è uno stato una delle case ristrutturare da strumento di apprendimento e crescita Common Ground. Caitlin e John, Kurt e straordinario, lo si può provare soltanto in Vanessa, Desanne e John. Provengono un incontro faccia a faccia. dalla classe media, hanno bambini piccoli e quando gli chiedo che cosa li ha – Questo è l’assignment che mi ha dato spinti a comprare una casa in un quar- il mio supervisore, Jonathan Lange. tiere a prevalenza afroamericano, dove Contattare le persone che hanno acquiogni notte si sentono spari di pistola, e stato a prezzi accessibili una delle case sono costretti a portare ogni giorno i figli ristrutturate grazie a Common Ground, in scuole a chilometri di stanza perché o che hanno beneficiato di un fondo crequelle del quartiere sono pessime, mi ri- ato dalle banche su pressione di Comspondono tutti nello stesso modo: la no- mon Ground per effettuare riparazioni. stra fede. Hanno deciso di vivere in quel Sono circa una sessantina di persone. quartiere per combattere la divisione L’incarico che mi hanno dato è conorazziale e “per portare una luce”. Un al- scerle attraverso un incontro relazionatro uomo che incontro, Robert, è invece le, organizzare prima della mia partenza un afroamericano ex tossicodipenden- una riunione, e capire se tra loro ci sono te ed ex membro di una gang. Quando potenziali leader interessati a lavorare gli hanno rifiutato l’ennesima richiesta insieme per continuare a salvare questo di trattamento di disintossicazione, ha quartiere dal processo di ghettizzazione capito che aveva toccato il fondo e ne è e impoverimento. 18 Personalizzare e polarizzare Questa è una storia in quattro scene. Riguar- “mortgage servicing companies” (compagnie da l’esercizio del potere nelle nostre città. E’ di gestione mutui) e il loro profitto deriva dalle una storia su quello che con uno slogan effi- commissioni su ogni pagamento che ottengocace è stato definito il potere dell’1% di acca- no dai debitori. Acquistano milioni di questi parrarsi le risorse del restante 99. Ma è anche debiti senza sapere chi c’è dietro. Il loro unico una storia di quello che l’1% di quel 99%, se interesse è trarre profitto da pratiche di cui le ben organizzato e attrezzato, può fare per in- banche sono ben contente di potersi liberare. vertire la situazione. Tra queste società anonime figura Nationstar mortgage. Detiene un portfolio di 375 miliardi Prima scena. 30 settembre, Caffé Hollander, di dollari tra debiti e mutui. Del portfolio dell’aMilwaukee. Il giorno dopo il mio arrivo negli zienda fanno parte, solo nella città di MilwauStati Uniti. Bob Connolly, il fondatore di Com- kee, 2.963 mutui, 172 case su cui è stato avmon Ground, arriva a una riunione entusiasta viato il pignoramento, e 83 proprietà zombie. per una notizia che ha appena ricevuto. Allie Gardner, la community organizer ventireen- Quello che Allie aveva appena scoperto era ne che lavora in uno dei quartieri di Milwau- che il proprietario di maggioranza e il prekee più colpiti dai pignoramenti delle case, ha sidente del board di Nationstar era Wesley scoperto una connessione impensabile. Stava Edens, l’uomo che stavano tentando di inindagando sulle cosiddette “proprietà zom- contrare da più di un anno, da quando cioè bie”, le case abbandonate a causa di una mi- era divenuto uno dei proprietari dei Bucks, la naccia di pignoramento che le banche hanno squadra di pallacanestro locale. deciso di non effettuare per non doversi sobbarcare i costi del mantenimento e delle tasse. Cambiamo scena. Siamo a fine ottobre Molte di queste case zombie, che si calcolano nell’aula 105 della Marquette University duessere circa 152 mila in tutti gli Stati Uniti, sono rante il training sul community organizing rigestite da società a responsabilità limitata volto ai leader. Le 25 persone di ogni razza e (LLC) che acquistano pacchetti di debiti, mutui confessione religiosa che lo seguono hanno e proprietà vacanti dalle banche. Si chiamano appena simulato un incontro, realmente av- FAIR PLAY È LA CAMPAGNA DI COMMON GROUND PER DECIDERE SE I SOLDI PUBBLICI DEVONO ESSERE INVESTITI PER UN NUOVO STADIO DI UNA SQUADRA MILIARDARIA, O PER I CAMPI SPORTIVI DELLE SCUOLE PUBBLICHE DELLA CITTÀ 19 venuto pochi giorni prima, tra quattro rappresentanti di Common Ground e il presidente e il direttore generale della Camera di commercio della città di Milwaukee. Dovevano negoziare la richiesta avanzata da Common Ground di associare alla richiesta di fondi per la costruzione di un nuovo stadio della squadra di pallacanestro locale, i Bucks (costo stimano 500 milioni di dollari), 150 milioni di dollari destinati alla ricostruzione di tutti gli impianti sportivi delle scuole pubbliche di Milwaukee. Keisha Krumm, dopo lo svolgimento del role playing, spiega la storia della campagna. Gli organizer le chiamano “campagne di estrazione”. Quando c’è un investimento pubblico rilevante – sempre a beneficio di costruttori, finanzieri e multinazionali – chiedono che una parte almeno dei soldi investiti per queste mega opere vadano a finanziare investimenti di cui possa beneficiare l’intera cittadinanza. E non solo nel centro della città, ma in tutti i quartieri. In questo caso la richiesta suonava così: «se fondi pubblici dovranno essere usati per costruire un nuovo stadio, allora almeno 150 milioni di questi fondi devono essere usati per migliorare gli impianti sportivi e gli spazi ricreativi nelle scuole pubbliche di Milwaukee». La NBA, che detiene in franchising i diritti su tutte le squadre di pallacanestro, nelle condizioni di acquisto dei Bucks ha inserito che se entro 3 anni non verrà costruito un nuovo stadio della pallacanestro a Milwaukee eserciterà il diritto di riacquistare la squadra insieme a quello di spostarla in un’altra città. Subito i nuovi proprietari hanno messo sul piatto quanto erano disposti ad investire. In totale 300 milioni. Lasciando intendere che il restante, circa 200 milioni, doveva essere garantito da investimenti pubblici. Per comprendere la posta in gioco ricapitoliamo la vicenda mettendo accanto delle cifre. Wesley Edens e Marc Lasry, i due nuovi proprietari della squadra, possiedono insieme una ricchezza pari a 2,9 miliardi di dollari. A ottobre si è aggiunto nella proprietà un altro finanziere, Jamie Dinan, n. 297 nella lista degli uomini più ricchi d’America stilata da Forbes, con un patrimonio del valore di 2,2 miliardi. La NBA dal canto suo ha appena firmato un’estensione del suo contratto per i diritti televisivi del valore di 24 miliardi di dollari, che diviso in parti uguali fra le 30 squadre in franchising assicurerà ai Bucks 89 milioni di dollari all’anno. Perché queste persone stanno chiedendo allo Stato del Wisconsin di finanziare il proprio stadio con 200 milioni di dollari presi dalle tasse dei cittadini? La risposta è semplice. Si tratta di uno degli innumerevoli casi in cui la ricchezza organizzata realizza la “cattura politica” delle istituzioni. Cambiamo di nuovo scena. Siamo all’asLA CARICATURA DI WESLEY EDENS PROIETTATA ALL’ASSEMBLEA DI COMMON GROUND DEL 19 OTTOBRE DI FRONTE A 750 PERSONE E LA STAMPA 20 semblea dei delegati di Common Ground dello scorso 19 ottobre. Si attendono circa 1000 persone. «Voi siete i coconduttori dell’assemblea» dice Jonathan Lange alla decina di volontari del floor team. «E’ importante che capiate cosa deve succedere perché siete gli occhi e le orecchie dell’assemblea. Questo è il momento della personalizzazione e della polarizzazione. Non si può combattere il sistema, la Camera di commercio, i Bucks. Bisogna capire chi è che prende le decisioni e personalizzare. E bisogna polarizzare. Oggi non è il giorno delle sfumature di grigi. Oggi è bianco e nero. Buoni e cattivi. Poi verrà il momento in cui dovremo depolarizzare, ma non oggi. E voi dovete aiutare a far sì che questo emerga in modo chiaro». La scoperta di Allie Gardner sul ruolo di uno dei proprietari dei Bucks, Wesley Edens, nel problema delle proprietà zombie a Milwaukee fornisce gli ingredienti perfetti per personalizzare e polarizzare le richieste di Common Ground. Mostrano le foto delle proprietà abbandonate detenute da Nationstar, il reddito annuale di Edens e poi chiedono alle 750 persone presenti, alla presenza di due consiglieri comunali e della stampa: «Perché Wesley Edens viene a chiedere fondi pubblici a Milwaukee mentre è responsabile del deterioramento dei suoi quartieri?». Non tutti sono a loro agio con questa tattica. Nei giorni successivi arrivano diverse reazioni di dissenso da parte di alcuni leader dell’organizzazione. Keisha Krumm convoca una nuova assemblea interna per spiegare i motivi per cui hanno dovuto polarizzare e personalizzare. Nel libro del fondatore del community organizing, Saul Alinsky, una specie di bibbia per la IAF, c’è un intero capitolo dedicato alle tattiche. La tredicesima suona così: “scegli un target, congelalo, personalizzalo e polarizzalo”. Serve per ottenere una reazione da parte dei potenti individuati come target, e far sì che l’organizzazione dei cittadini sia chiamata al tavolo delle trattative invece di essere ignorata. Esattamente quello che stava accadendo a Common Ground con la sua campagna. Dopo più di due anni di studi, petizioni, conferenze stampa e assemblee pubbliche Common Ground non era riuscita ad ottenere neanche un incontro con i proprietari dei Bucks. «Tutte le nostre battaglie all’inizio sono battaglie per il riconoscimento», dice Bob Connolly. All’inizio, recita l’adagio, la migliore strategia per chi è al potere è ignorarti. Inoltre, c’è un argomento morale più profondo in questa tattica. Scrive sempre Alinsky: «In una società urbana complessa e interconnessa, diventa sempre più difficile individuare chi deve essere chiamato a rispondere di un qualsiasi male particolare. C’è un costante, e in qualche misura legittimo, scaricarsi la responsabilità». Questa argomentazione richiama in qualche modo le considerazioni di Hannah Arendt sulla banalità del male. «L’essenza del governo totalitario, e forse la natura di ogni burocrazia, è fare degli uomini dei funzionari o dei meri ingranaggi nella macchina amministrativa. (…) Siamo diventati molto abituati dalla moderna psicologia e sociologia, per non parlare della moderna burocrazia, a giustificare la responsabilità di chi agisce per le sue azioni nei termini di un tipo o l’altro di determinismo» In un’intervista rilasciata durante l’assemblea il presidente della Camera di Commercio Tim Sheehy ha dichiarato che mentre era rimasto impressionato dall’impegno di Common Ground per migliorare le strutture ricreazionali, era deluso per gli attacchi personali ai proprietari dei Bucks. «Mi sembra che la parte dell’evento più da comizio sia stata controproducente alla loro causa con gli attacchi e la demagogia contro leader imprenditoriali e della comunità». Il consigliere comunale Willie Wade ha dichiarato invece che Common Ground sta agendo da bullo. «Sono fuori controllo. Marc e Wes (i proprietari dei Bucks che il consigliere comu21 LE TESTIMONIANZE DI FRED E SUSIE, DUE ALLIEVI SPORTIVI, SULLO STATO DEI CAMPI SPORTIVI NELLE SCUOLE PUBBLICHE DI MILWAUKEE, ALL’ASSEMBLEA DI COMMON GROUND nale si vanta di chiamare per nome nell’intervista) devono avere a che fare con le persone che prendono le decisioni, le persone che sono elette. Common Ground si sbaglia nel pensare di poter aggirare questo. Stanno dimostrando poco rispetto dei cittadini che ci hanno eletto». tà di Milwaukee. Deve venire a una riunione organizzata da dei cittadini per capirci qualcosa. Bank of America non notifica alle autorità quando vende la gestione dei mutui ad altre società. La città stessa non sa chi è il proprietario di decine di case su cui cessa di ricevere tasse e che risultano abbandonate nel catasto. Scena finale. E’ il 4 dicembre 2014. Siamo nella Chiesa episcopale Immanuel. Davanti a circa 30 leader di Common Ground ci sono tre rappresentanti di Nationstar mortgage che hanno preso un volo appositamente per partecipare all’incontro. Prima di parlare ascoltano il giro di presentazioni. Oltre ai community organizer, si trovano davanti quasi tutti i 30 cittadini che da ormai due anni ispezionano una volta al mese una lista di 17 proprietà ciascuno che risultano abbandonate. Dopo ogni ispezione redigono un rapporto: I vetri sono rotti? L’erba è stata tagliata? C’è una notifica attaccata alla porta? Le finestre sono tappate da lastre di compensato? Ci sono segni di un’occupazione? Hanno preparato una lista di richieste per i rappresentanti di Nationstar, tra cui un elenco di indirizzi di cui vogliono conoscere lo status legale. La strategia di Common Ground per rivitalizzare Sherman Park, uno dei quartieri più colpiti dai pignoramenti, è acquistare, ristrutturare e rivendere le proprietà abbandonate. Uno dei punti qualificanti di questa strategia è non lasciare mai un isolato finché tutte le case non siano in buone condizioni. Hanno ottenuto 33 milioni di dollari dalle banche responsabili della crisi dei mutui subprime, ma si sono dovuti fermare di fronte alle proprietà zombie perché nessuno sembra esserne responsabile. «Freddie e Fannie sono il muro qui dietro a destra e quello qui a sinistra. Ocwen è il muro qui davanti. Tentare di parlare con loro è come parlare con questi muri», dice Bob Con- Tra i presenti c’è anche il procuratore della cit- 22 nolly quando i rappresentanti di Nationstar danno come proprietari di alcune delle case nella lista una di queste società. Società anonime, guidate da strutture senza volto. Che decidono i destini di milioni di persone e interi quartieri. I leader e gli organizer di Common Ground hanno una conoscenza molto approfondita del patrimonio immobiliare di Sherman Park, e conoscono il linguaggio legale e finanziario legato ai pignoramenti. I rappresentanti di Nationstar sono sorpresi. «Quando siamo venuti non avevamo idea a che tipo di incontro saremmo andati incontro. Non era qualcosa che avevamo pensato, ma credo che questa è una pratica di consultazione e lavoro che possiamo creare con voi». Alla fine dell’incontro danno un consenso a tutte le richieste di donazione di case da loro controllate avanzate da Common Ground. E così dopo aver esposto pubblicamente le foto delle case abbandonate di Nationstar, legando la denuncia al dibattito sul finanziamento pubblico di un nuovo stadio della pallacanestro, raccontato la telefonata di minacce ricevuta da una leader di Common Ground, una giovane madre ed ex insegnante, da uno dei proprietari dei Bucks, Ted Kellner, e aver ottenuto una buona copertura mediatica (tra gli altri il New York Times), sono iniziate ad arrivare le reazioni che Common Ground cercava. La prima è stata la presenza del presidente della Camera di commercio Timothy Sheehy tra il pubblico il giorno dell’assemblea. La seconda è stata una telefonata da parte di Ted Kellner il giorno dopo, stavolta per chiedere un incontro. Poi è arrivata la disponibilità di Nationstar a un incontro e la disponibilità a collaborare con Common Ground per porre fine allo scandalo di proprietà abbandonate e deteriorate di cui nessuno sembrava essere responsabile. Personalizzare e polarizzare. Per poi depolarizzare per arrivare a un compromesso da cui le organizzazioni di cittadini possano ottenere riconoscimento e benefici tangibili per la comunità. Questo non fermerà il meccanismo impazzito del capitalismo finanziario e immobiliare. Ma un quartiere alla volta potrebbe riportare le comunità a essere padrone e responsabili del proprio futuro. Questa è anche la storia di decine di città degli Stati Uniti, dove grazie all’Industrial Areas Foundation e la sua tradizione di community organizing, i cittadini organizzati acquisiscono il potere necessario a confrontare la ricchezza organizzata. E arrivare al tavolo delle trattative. KEISHA KRUMM MOSTRA LE IMMAGINI DELLE PROPRIETÀ ZOMBIE DETENUTE DA NATIONSTAR 23 NEL QUARTIERE OLIVER DI BALTIMORA BUILD, L’AFFILIATA LOCALE DELLA IAF, HA RISTRUTTURATO PIÙ DI 200 CASE ABBANDONATE PER RIVENDERLE A PREZZI ACCESSIBILI RIDUCENDO LE CASE VUOTE DAL 66% AL 16% DEL TOTALE E FACENDO RISALIRE IL VALORE DI MERCATO DELLE ABITAZIONI DEL 50% DAL 2010. 24 Guerra delle periferie… o community organizing? La New York della fine degli anni Settanta era molto diversa da quella che conosciamo oggi. Anni di recessione e declino industriale, l’esodo di milioni di bianchi nei sobborghi avevano lasciato in città i più poveri, e le strade di quartieri come il Bronx e Brooklyn invase da trafficanti di droga, prostituzione e degrado urbano. Michael Gecan, l’attuale direttore che mi ha invitato qui negli Stati Uniti, dal vescovo Francis Mugavero della Diocesi di Brooklyn che contava circa mezzo milione di cattolici, e da altri leader religiosi, East Brooklyn Congregations (EBC) iniziò un’incredibile campagna di rinnovamento urbano attraverso il community organizing. Il 13 luglio del 1977 un black out di 25 ore portò la città nel caos più totale. Scoppiarono rivolte, saccheggi e incendi dolosi. Quando le luci tornarono la polizia aveva arrestato 3.000 persone, e le prigioni non avevo una capienza sufficiente per contenerle. La popolazione declinò in pochi anni da 8 a 7 milioni. Partirono con piccole richieste che potevano essere vinte, creando quindi fiducia nel processo in una popolazione che aveva perso speranza. Pulizia dei locali dove veniva venduto cibo, segnaletica stradale, rinnovamento dei parchi, bonifica dei lotti di terra vuoti. Diversi organizer formatisi nella Brooklyn est in quegli anni mi hanno parlato di una sorta di zona di guerra. Tuttavia è proprio lì che l’Industrial Areas Foundation ha ottenuto uno dei suoi successi più straordinari. Guidata da Successivamente EBC lanciò il suo piano per la costruzione di 5.000 case a prezzi accessibili, per far sì che famiglie della classe media potessero tornare ad abitare nel quartiere e stabilizzarlo. Il progetto venne chiamato “Neemia” dal nome del profeta che ricostruì Ge- BROOKLYN DOPO IL BLACK OUT DEL 1977 25 rusalemme. Parte raccogliendo finanziamenti privati, e parte facendo pressione sul sindaco per un piano di prestiti da parte della città ripagato man mano che le case venivano vendute, EBC riuscì nell’intento. E oggi quel quartiere ha quest’aspetto. A partire da allora grazie all’azione delle affiliate locali dell’Industrial Areas Foundation sono state costruite o ristrutturate oltre 1.000 case a prezzi accessibili nel Bronx, 1000 a Baltimore, 250 a Washington. Qui a Milwaukee in un solo quartiere e in soli 2 anni sono state ristrutturate 57 case abbandonate a seguito dei pignoramenti delle banche. Bella storia, tuttavia come si applica a Tor Sapienza, Tor Bellamonaca, e alle tensioni sociali esplose in questi ultimi mesi intorno all’immigrazione, i campi rom, l’occupazione degli alloggi popolari? Di questo ho parlato nell’ultimo staff meeting a cui ho partecipato qui a Milwaukee, condividendo alcuni dati e fatti sull’Italia aggiornati agli ultimi eventi. Il community organizing non ha sempre successo, tuttavia lo ha spesso, e dove nessuno penserebbe che sia possibile un cambiamento. Quello su cui gli organizer dell’Industrial Areas Foundation ripongono fiducia è il processo che hanno sviluppato e testato per decenni, in decine di città, in almeno 5 paesi diversi. Per questo dedicano moltissimo del loro tempo alla formazione a questo processo. E’ un modello inventato da Saul Alinsky negli anni ’30 a Chicago, e che da allora è stato testato, ampliato, modificato incessantemente. Potere relazionale Rob English, veterano di guerra ed esperto organizer, trasferitosi a Baltimore dopo diversi anni di attività a New York, mi spiega come Build (Baltimoreans United for Leadership Development), l’affiliata locale della IAF, «non è un’organizzazione tematica, né territoriale. È un’organizzazione “culturale”. Il suo campo di azione sono le relazioni umane e il 26 suo obiettivo è dare alle persone un senso di potere, di capacità di agire». Il tema del potere è centrale. L’inchiesta “Mafia capitale” dimostra chiaramente come il terzo settore, nonostante i suoi sforzi e buone intenzioni, possa divenire totalmente controllato da parte della classe politica in combutta con imprese private e criminalità organizzata. Il taglio dei fondi pubblici e la conseguente chiusura di molte realtà è un altro esempio di come la società civile priva di potere sia in mano a decisioni prese da altri. Per questo per gli organizer “il potere viene prima degli obiettivi”. Può sembrare un’affermazione cinica, ma lavorando a contatto diretto con le persone, gli organizer sanno che se è vero che il potere corrompe, «anche l’impotenza corrompe, forse in modo più pervasivo del potere». Saul Alinsky ha descritto bene la frustrazione di fronte a cui si trovano spesso gli attivisti più generosi: «Quando parli con una persona qualsiasi ti trovi a confrontarti con cliché, un insieme di risposte superficiali e stereotipate, e una generale mancanza di informazione». Quello che secondo Alinsky non è chiaro a molti attivisti, missionari e educatori, «è semplicemente che se le persone sentono di non avere il potere di cambiare una situazione negativa, allora non pensano a come farlo». Ma il community organizer si basa su un potere diverso da quello che siamo abituati a conoscere. Un potere relazionale, opposto a quello che definiscono il potere dominante. Il potere relazionale comporta la mobilitazione di molti. Il potere domaninante è esercitato da pochi. Un altro modo di distinguerli è parlare di “potere fra” e “potere sopra”. Scrivono anche: Una persona che conosce sé stessa è in grado di fare un passo fuori da sé e osservare le proprie reazioni. Per essere efficace politicamente devi essere in grado di “andare fuori da te”. Il potere, ripetono gli organizer, è esercitato in due modi. Ricchezza organizzata e persone organizzate. Il potere della società civile non potrà mai venire dalla ricchezza, ma dall’organizzazione delle persone in modo consistente e persistente. Organizzazioni a base allargata Quando arrivano in un territorio, di solito i quartieri più poveri e malfamati delle città americane, gli organizer lavorano alla paziente tessitura di relazioni con quelle che chiamo le “istituzioni ancora”, le organizzazioni stabili della società civile, anzitutto le chiese di ogni confessione religiosa e le scuole, ma anche sindacati, comitati di quartiere e centri anziani. Il loro obiettivo è rafforzare le istituzioni della società civile. «Le organizzazioni dell’Industrial Areas Foundation costruiscono il loro potere sviluppando coalizioni multireligiose, multirazziali e multietniche». La formazione di leader locali «Per avere il potere di agire sui problemi e cambiare il mondo c’è bisogno di organizzare le persone – moltissime persone». I 25 incontri relazionali che ogni community organizer è tenuto a fare a settimana hanno come scopo principale quello di trovare i leader locali. Un leader è una persona che ha un seguito di persone che può assicurare. Deve avere molte doti, ma la prima è che deve sapersi relazionare. strial Areas Foundation sono istituti per lo sviluppo delle arti pubbliche della costruzione di relazioni, dell’analisi del potere, nel negoziato e del compromesso, del discorso pubblico e del giudizio politico». Il ciclo dell’organizing «Tutto il nostro lavoro inizia con l’ascolto», spiega Keisha Krumm durante il training che chiamano “l’università di Common Ground”. Una campagna di ascolto può durare mesi, e implicare centinaia di incontri relazionali, decine di “sessioni di approfondimento” di gruppo, e anche azioni porta a porta per ascoltare i bisogni e le idee dei residenti. «Quello che sostiene tutto il processo», spiega Keisha, «è comprendere le storie delle persone, le loro motivazioni profonde, e quindi i loro interessi personali». All’ascolto segue la ricerca. Vengono formati team di ricerca per approfondire alcuni dei temi emersi. «Prima di imbarcarci in un’azione facciamo tra le 50 e le 100 azioni di ricerca», spiega Keisha. Le domande a cui si cerca di dare una risposta sono: – Si tratta di un problema o di una questione? C’è una domanda specifica a cui possiamo lavorare? Chi ci deve seguire sarà in grado di capire cosa vogliamo? Se vinciamo, ci sono benefici reali, tangibili e misurabili per le persone? Ci sono delle storie per illustrate questa questione? C’è rabbia intorno a questo problema? «Per avere 1000 persone dobbiamo poter contare su 75 persone che hanno un seguito», spiega Keisha Krumm. «Cerchiamo persone di questo tipo che vogliono agire, e con loro spendiamo la maggior parte del nostro tempo». – Leader? Una volta individuati i leader vengono invitati alle numerose occasioni di formazione che i community organizer effettuano di continuo. «Le organizzazioni dell’Indu- – Possiamo vincere? Abbiamo leader arrabbiati su questa questione che vogliono guidare una campagna? In che modo questa campagna potrà aiutare a formarli e svilupparli? Con chi dobbiamo negoziare? Quali sono i loro interessi profondi? Quali punti di forza 27 possiamo azionare rispetto a loro? Chi saranno i nostri alleati? Chi ci sarà contro? I sei maggiori punti di forza dell’Industrial Areas Foundation Fatto questo si passa all’“analisi del potere”. Per essere efficace, infatti, l’azione concertata dei cittadini deve individuare il target giusto, ossia «le persone che possono dire dei sì o dei no, che possono effettivamente decidere». Nel caso della campagna contro i pignoramenti delle banche qui a Milwaukee, alla prima lettera inviata per chiedere un incontro, Well Fargo rispose: “grazie Common Ground per avere richiesto un nostro mutuo. Vi ricontatteremo al più presto”. Ci volle molto tempo, incontri e ricerca per individuare la persona giusta a cui indirizzare l’azione. Alla fine Well Fargo contribuì a donare insieme ad altre 4 banche responsabili oltre 33 milioni di dollari per far fronte alle conseguenze della crisi dei mutui subprime a Milwaukee. 1. Le organizzazioni IAF hanno un metodo in grado di sviluppare nelle persone che ne fanno parte una cultura relazionale 2. Il loro focus sulle relazioni faccia a faccia radica la propria rete di associazioni nei bisogni, interessi, risorse e istituzioni locali 3. Iniziano, sostengono e valutano in modo consistente soluzioni creative a problemi complessi, a volte apparentemente irrisolvibili 4. Hanno un’ossessione per la comprensione delle relazioni di potere al fine di lottare per il riconoscimento e il vantaggio strategico dei cittadini 5. Acuiscono la tensione tra i valori e il reale comportamento delle organizzazioni che ne fanno parte 6. Investono nello sviluppo delle capacità dei leader e degli organizer, sia concettuali che pratiche, che si traducono in un’azione, valutazione e riflessione pubbliche. Alla ricerca segue l’azione. «L’azione è per un’organizzazione quello che l’ossigeno è per il corpo. Per essere efficace deve essere indirizzata a calcolata. Non viviamo per respirare, respiriamo per vivere». Inoltre, «la vera azione è nella reazione dell’avversario». Per questo all’azione segue la valutazione. «Nelle buone organizzazioni civiche – ha scritto il direttore della IAF Edward Chambers – ogni azione pubblica è seguita da quella che chiamiamo valutazione, perché non vogliamo perdere l’opportunità che l’azione ci ha fornito per imparare. Non è tanto importante quello che facciamo, quanto quello che l’altra persona fa o come il mondo fisico ci risponde. Le nostre azioni inducono le loro reazioni e allora è nostro compito usare quella reazione per intraprendere la nostra azione successiva». Tuttavia è un ciclo, e ogni volta ricomincia da capo. Ascolto, ricerca, azione, valutazione, ascolto,… 28 «Nel frattempo – scriveva Barack Obama nel 1988 a conclusione della sua esperienza di community organizer a Chicago – gli organizer continueranno a costruire sui successi locali, imparare dai numerosi errori e reclutare e formare nuclei piccoli ma crescenti di leader – madri in assistenza sociale, postini, autisti degli autobus e insegnanti, ognuno dei quali ha una visione e memorie di quello che le comunità possono essere. Infatti, la risposta alla domanda originale – perché organizzare? – risiede in queste persone. Nell’aiutare un gruppo di casalinghe a sedere al tavolo del negoziato con il sindaco della terza città più grande degli Stati Uniti. In cambio, il community organizing insegna come nient’altro la bellezza e la forza delle persone comuni. E’ attraverso le loro storie che gli organizer possono dar forma a una senso di comunità non solo per gli altri, ma anche per sè stessi». La moltiplicazione dei pani e dei pesci Anche se le organizzazioni dell’Industrial Areas Foundation possono essere definite assolutamente laiche, e non hanno mai condotto campagne su quelli che chiamiamo “temi eticamente sensibili”, la maggior parte dei loro membri sono rappresentati da congregazioni religiose di ogni fede. L’origine stessa dell’Industrial Areas Foundation è strettamente legata alla Chiesa cattolica americana. Saul Alinsky, che era un ebreo non praticante, ricevette un sostegno sia politico che economico decisivo dalla Chiesa cattolica di Chicago. Nel 1941 scriveva: Due forze sociali di base… fanno da architrave… per determinare un cambiamento costruttivo nella vita del quartiere di Back of the yards (il quartiere della lavorazione della carne di Chicago). Queste due istituzioni sociali elementari sono primo, la Chiesa cattolica, secondo, il sindacato. Negli anni ’60 il cardinale di Chicago Albert Meyer assicurò alle tre organizzazioni di Alinsky nella città 150.000 dollari in tre anni. Jacques Maritain fu uno stretto amico di Alinsky (vedi il libro curato da Lucio D’Ubaldo “Maritain e Alinsky: un’amicizia“, ed Il Mulino) e nel 1958 chiese all’Arcivescovo di Milano Montini, il futuro Papa Paolo VI, di incontrarlo, cosa che fece nel 1965 per esplorare la possibilità di introdurre il community organizing in Italia. Nel 1969 infine, la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti dette vita alla Catholic Campaign for Human Development con l’obiettivo di raccogliere fondi “per gruppi organizzati di poveri bianchi e di minoranze etniche per sviluppare il potere economico e politico delle loro comunità”. La Campagna fu tra i principali finanziatori dell’Industrial Areas Foundation negli anni ’70 e ’80. Questo lascito è ancora vivo oggi. La maggior parte dei membri di Common Ground sono chiese, delle diverse denominazioni religiose americane. Le chiese cattoliche hanno un IL VESCOVO AUSILARIO DI CHICAGO BERNARD J. SHEIL AL CENTRO, E SAUL ALINSKY A DESTRA 29 UN RABBINO INTERVIENE ALL’ASSEMBLEA DI COMMON GROUND. SONO PIÙ DI 50 LE CONGREGAZIONI DI OGNI FEDE RELIGIOSA CHE ADERISCONO ALL’AFFILIATA IAF DI MILWAUKEE ruolo di primo piano, come nel caso della parrocchia Saint Catherine a Sherman Park, dove si svolgono molte delle riunioni dei leader locali. Tuttavia il rapporto tra organizing e religione si fonda su una tensione costruttiva. Da una parte infatti i community organizer, dopo decenni a stretto contatto con le chiese, hanno sviluppato un metodo per rafforzare le parrocchie attraverso quello che chiamano “congregational development”. Gli incontri relazionali, la creazione dei core groups, e la formazione dei leader ha comportato per molte chiese sia un incremento del numero dei fedeli, che una più forte connessione e senso di appartenenza. Dall’altra, il community organizing comporta una sfida per le chiese ad uscire fuori dal loro recinto. Kathleen Patron ha avuto un’educazione cattolica. Ma poi ha smesso di andare in Chiesa. All’Università ha incontrato però il pensiero sociale della Chiesa cattolica e il community organizing. Ora è la community organizer di Common Ground per la zona sud di Milwaukee, a forte prevalenza latinoamerica e quindi cattolica. In un intervento in una Chiesa dice: 30 Quello che cerchiamo di fare è cambiare la cultura dalla carità alla giustizia. Questo non è assolutamente per squalificare il lavoro meraviglioso che fate. Ma le mense per i poveri stanno aumentando. Cerco persone che si chiedono perché questo accade. E cosa possiamo fare. Nel libretto “Riflettendo con le scritture sul community organizing” il reverendo Jeffrey K. Krehbiel della Church of Pilgrims di Washingont D.C. scrive: Gesù è visto da molte persone religiose come un modello di umiltà modesta e assenza di potere, mentre i community organizers esultano nella virtù dell’interesse personale e la necessità del potere. Subito dopo però passa a commentare passaggi delle scritture dove questa dicotomia è messa in discussione, come quello della vedova che va ogni giorno a bussare alla porta del giudice “che non aveva né timore di Dio né rispetto delle persone” per chiedere che le fosse concessa giustizia (Luca 18, 1-8). L’insistenza della vedova porta il giudice a cedere. Scrive il reverendo Krehbiel: “Ancora e ancora Gesù predica un’azione forte e coraggiosa. La vedova si rifiuta di interpretare il ruolo che le è assegnato da una cultura dominata dagli uomini. In una cultura in cui non ha voce, si rifiuta di restare silenziosa”. In un’altra pubblicazione legata all’Industrial Areas Foundation, curata dal Contextual Theology Centre di Londra, si legge: Se la vita della Chiesa è camminare la via delle croce, deve sfidare le ingiustizie, non limitarsi a prendersi cura delle sue vittime. Una Chiesa davvero fedele deve perciò imparare a vivere con la tensione e il conflitto. Deve essere sospettosa della collusione con l’ingiustizia, e ascoltare il monito di Geremia contro il proclamare “pace dove non c’è pace” (Geremia, 6,14). Bob Connolly è il fondatore di Common Ground. Nato a Pittsburgh, in Pennsylvania, da adolescente entra in una seminario per farsi prete. Poi cambia strada. Incontra Saul Alinksy nel 1972, poco prima che morisse. Decide di diventare un community organizer. A 30 anni si ammala di cancro e lascia il lavoro. Sopravvissuto, crea una compagnia per aiutare le chiese a raccogliere fondi. The James Company da allora ha aiutato oltre 1.700 chiese a raccogliere 2 miliardi di dollari complessivamente. A 52 anni decide di tornare all’organizing e fonda Common Ground nella città in cui vive, Milwaukee. In un training dedicato al congregational development (sviluppo delle chiese) attraverso il community organizing racconta di una conversazione con un pastore che stava tendanto di convincere a svolgere incontri relazionali. Il pastore rispondeva che non aveva tempo. Gli risposi: “ti assicuro che ti trovo io il tempo”. L’ho convinto a farne 3 e gli è piaciuto così tanto che ne è stato entusiasta. Bisogna togliere tempo alla cultura burocratica: processi, riunioni, carte. In favore di una cultura relazionale. Ora quel pastore spende 2 giorni alla settimana in ufficio e 3 fuori a incontrare i suoi parrocchiani. Vi assicuro che non ha mai avuto problemi con le prediche. Nel libretto del reverendo Jeffrey K. Krehbiel sulle scritture e l’organizing il primo testo esaminato è la famosa parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Se letta con attenzione, infatti, contiene una spiegazione molto umana del senso del miracolo. C’è una folla che li ha seguiti in un luogo solitario per ascoltare la parola. Sono “come pecore senza pastore” commenta Gesù. Si fa tardi e i discepoli si preoccupano di come sfamarli e chiedono a Gesù di rimandarli indietro ai loro villaggi. Ma Gesù dopo aver chiesto quanto cibo c’era a disposizione, “cinque pani e due pesci”, ordina ai discepoli di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. (Marco 6, 39-44) Commenta il reverendo Krehbiel riferendosi alla suddivisione in gruppi di 100 e di 50: In quel momento la folla diventa una comunità. Inoltre, per rinforzare il loro ruolo di leader, dopo aver benedetto e diviso i pani e i pesci, Gesù da il cibo ai discepoli affinché lo distribuiscano alle persone. Sono loro, non lui, che li sfamano. 31 Prosegue Krehbiel Gesù insegna come organizzare la folla in una comunità e come guardare più profondamente per scoprire le risorse abbondanti già presenti. (…) All’inizio i discepoli vedono la folla come un peso, un drenaggio delle loro energie, e una responsabilità al di là delle loro capacità. (…) Gli organizer entrano in una comunità non per catalogare una litania di deficit, ma per identificare e formare i leader. Mentre in molti programmi sociali pastorali le chiese incontrano i vicini nel punto del loro bisogno – attraverso mense della carità o accoglienza dei senza tetto – nell’organizing le relazioni sono formate sui punti di forza. (…) Molti leader ecclesiastici conoscono la sensazione che ogni cosa dipenda da loro, e tutti hanno avuto momenti in cui i bisogni della congregazione sono stati avvertiti come un peso. (…) Per molte chiese, l’organizing richiede un riorientamento fondamentale del nostro approccio. La comunità intorno alla chiesa ha risorse, non solo bisogni, e il nostro ruolo è aiutare a identificarli. La storia del community organizing si basa sul lavoro di migliaia di chiese che hanno riorientato parte della loro attività per organizzare coloro che “hanno fame e sete di giustizia”. Facendolo hanno ricostruito interi quartieri, migliorato le scuole pubbliche, finanziato programmi di inserimento lavorativo, combattuto la criminalità, aumentato l’accesso all’assistenza sanitaria. Quella dell’Industrial Areas Foundation è anche la storia di una chiesa aperta alla collaborazione con altre fedi, in ascolto dei suoi fedeli, pronta a battersi per la giustizia sociale attraverso le innumerevoli risorse della comunità in cui è radicata. REV. BOBBY SINCLAIR, MT. OLIVE BAPTIST CHURCH 32 APPENDICI KEISHA KRUMM DURANTE IL TRAINING SPIEGA IL CICLO DELL’ORGANIZING COMMUNITY ORGANIZING DALLA A ALLA Z. ABITUDINI DEL COMMUNITY ORGANIZING Inizia puntuale e termina puntuale. Riconosci te stesso e gli altri. Rendi conto di quello che fai, in modo da poter chiedere pubblicamente agli altri di fare altrettanto. Prendi il potere che hai costruito e testalo rispetto al potere degli altri. Porta energia, gioia, e irriverenza nella piazza pubblica, non solo ideologia, perbenismo e ruoli. Non essere scoraggiato quando gli altri non si impegnano. Fluisci intorno agli ostacoli. Persisti in modi inaspettati. Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s guide to citizen action”, Anchor Books, 2004, p. 88 [Il community organizing] richiede costante attenzione – disorganizzazione e riorganizzazione – altrimenti scivolerà in una modalità burocratica, o sarà occupato da opportunistiche forze di mercato, o semplicemente cesserà di esistere. E deve lottare costantemente contro le tentazioni dell’isolamento, dell’arroganza, e dei culti delle personalità carismatiche. Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s guide to citizen action”, Anchor Books, 2004, p. 166 33 ALL’ASSEMBLEA DI COMMON GROUND SI DELINEANO I PASSI SUCCESSIVI DA INTRAPRENDERE PER UNA CAMPAGNA A FAVORE DELLE SCUOLE, TRA CUI UN’ASSEMBLEA CON PIÙ DI 1000 PERSONE AZIONE AGITARE E’ quando più persone, focalizzandosi su un problema specifico, coinvolgono una persona al potere direttamente responsabile per tale problema al fine di ottenere una reazione. Nell’organizzare si parla di “agitare” le persone e ciò che intendiamo è di portare le persone a riconoscere ciò che già gli importa, e poi agire a partire da questo. Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s guide to citizen action, Anchor Books, 2004, p. 51 Edward T. Cambers, “Being triggers action”, Acta publications, 2009, p. 13 COMMUNITY ORGANIZER Che cosa intendo per “l’azione è nella reazione”? Voglio dire che non è tanto importante ciò che facciamo, quanto quello che l’altra persona fa o come il mondo fisico ci respinge. La nostra azione mette in moto la loro reazione, e allora è nostro compito utilizzare quella reazione per intraprendere la nostra azione successiva. L’organizzatore IAF è un mentore, un consigliere, un agitatore, un formatore e un coach per le persone dell’organizzazione che lo o la impiegano. La missione dell’organizer è duplice: formare e sviluppare i leader e assicurare la vittoria dell’organizzazione sui temi che ha scelto di affrontare. Edward T. Cambers, “Action creates public life”, Acta publications, 2010, p. 30 “IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 33 34 FINANZIAMENTO LA LEGGE DI FERRO La gente, non importa quanto povera, ha sempre trovato il modo di pagare per quello che riteneva avesse veramente valore. E quando hanno pagato con i propri soldi sudati, non i soldi del governo o di una fondazione, ne sono divenuti proprietari. E la proprietà – di una casa, una congregazione, un’organizzazione, una nazione – incoraggia la partecipazione, la responsabilità e l’impegno. Crediamo in quella che noi chiamiamo la legge di ferro: “mai fare per gli altri quello che possono fare per se stessi”. La legge di ferro implica che la forma più preziosa e durevole di sviluppo – intellettuale, sociale, politico – è lo sviluppo che la gente sceglie liberamente e possiede pienamente. Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s guide to citizen action”, Anchor Books, 2004, p. 10 INCONTRI RELAZIONALI (ONE-TO-ONES) Crediamo negli incontri relazionali, un contatto faccia a faccia, uno-a-uno, al fine di esplorare le possibilità di un rapporto pubblico. Si tratta di un’opportunità di 30 minuti di mettere da parte le pressioni, i compiti e le scadenze del giorno per sondare un’altra persona, guardare nel suo talento, energia e visione. Il punto di vista dell’altra persona è di valore primario. Le loro storie, intuizioni e ricordi sono più importanti di un nome su una petizione o del contributo ad una causa. “IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 19 “IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 17 Senza un rispetto di base per l’intelligenza politica della gente comune, non vi è la possibilità di formare un rapporto autentico e reciproco. Michael Gecan, “Freedom from and freedom for”, Acta publications, 2011, p. 34 MENTORI Un’altra ragione per cui le persone non agiscono è che non abbiamo più mentori ed eroi. Abbiamo celebrità. La differenza tra un mentore / eroe e una celebrità è che il primo incoraggia ad agire mentre il secondo agisce in nostra vece. Edward T. Cambers, “Being triggers action”, Acta publications, 2009, p. 17 Un incontro relazionale solido porta in primo piano le storie che rivelano gli impegni più profondi delle persone e le esperienze che hanno dato vita ai loro valori centrali. Infatti, la cosa più importante che accade in un buon incontro relazionale è il racconto di storie che aprono una finestra sulle passioni che animano le persone. E’ la condivisione di storie che sostiene e dà energia all’intero processo. Perché le persone non agiscono più spesso e più efficacemente nella vita pubblica? Se l’azione è un impulso naturale, perché la gente lo evita? So che questo non avviene perché la gente è “apatica”, cioè “priva di interesse e sentimenti”. Basta graffiare la superficie anche poco con la maggior parte delle persone e si scopre che si preoccupano molto di se stessi, degli altri e del mondo. La ragione principale è che la nostra cultura e il nostro sistema educativo ci insegna a non farlo. O almeno non riesce a insegnarci ad agire e come agire. Edward T. Cambers, “The power of relational action”, Acta publications, 2009, pp. 21-2 Edward T. Cambers, “Being triggers action”, Acta publications, 2009, p. 13 35 IL MONDO-COME-DOVREBBE-ESSERE Stiamo cercando di muovere il mondo-come-è per farlo diventare un luogo diverso, il mondo-come-potrebbe-essere. Da dove viene questo “mondo-che-potrebbe-essere”? Proviene dalla nostra immaginazione, dalle nostre anime, dai nostri cuori, dalle nostre viscere. Edward T. Cambers, “Action creates public life”, Acta publications, 2010, p. 15 PEDAGOGIA Il corpo trionfa sul cervello ogni volta, perché il corpo – nella sua totalità – esprime la totalità della condizione umana. I bambini, ad una età sempre più giovane nella nostra cultura, sono messi in una qualche scuola e la loro modalità di apprendimento cambia dall’imparare attraverso il corpo all’imparare con il cervello. Invece di sperimentare le cose, gli vengono dette, e alla fine il sistema educativo prende il sopravvento a tal punto che smettono di avere fiducia nel loro corpo e pensano che la comprensione venga da parole e concetti. Per essere in grado di riuscire nella vita pubblica questi bambini – divenuti giovani adulti – devono riscoprire come imparare con tutto il loro corpo. Gli esseri umani ricevono doni alla nascita – enormi, potenti, doni per tutta la vita – che non abbiamo sollecitato né guadagnato. Questi doni sono incarnati in noi. Per questo dobbiamo organizzare con i nostri corpi, non con le nostre menti, e dobbiamo reinsegnare alle persone a fare questo. Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s guide to citizen action”, Anchor Books, 2004, p. 163 POTERE Il potere è semplicemente la capacità di agire efficacemente con gli altri nel mondo-come-è per renderlo di più il mondo-come-potrebbe-essere. Edward T. Cambers, “Being triggers action”, Acta publications, 2009, p. 20 È per questo che quando siamo chiamati da un leader religioso o di quartiere di una città, gli diciamo che non verremo per risolvere un problema abitativo o educativo o salariale. No, diciamo che tenteremo di risolvere un problema più fondamentale: un problema di potere. Michael Gecan, “Going Public. An organizer’s guide to citizen action”, Anchor Books, 2004, p. 9 Noi crediamo nella costruzione di un potere che è fondamentalmente reciproco, temperato dagli insegnamenti delle tradizioni religiose e esercitato nel contesto delle sempre mutevoli relazioni con i nostri leader, alleati e avversari. “IAF 50 years. Organizing for change”, Industrial Areas Foundation, 1990, p. 19 STORIE La parola relazione deriva dal verbo latino relatio, che significa “raccontare”. Quindi, le relazioni riguardano il “raccontare o creare una storia”. Edward T. Cambers, “The body trumps the brain”, Acta publications, 2008 Edward T. Cambers, “The power of relational action”, Acta publications, 2009, p. 12 Al centro della cultura relazionale c’è una convinzione rispetto alla capacità della maggior parte delle persone di crescere e svilupparsi. VALUTAZIONE 36 Noi cresciamo e ci sviluppiamo e otteniamo saggezza attraverso l’azione, non pensando ad agire. Ecco perché nelle buone organizzazioni di cittadini, ogni azione pubblica è seguita da ciò che noi chiamiamo una valutazione, perché non vogliamo perdere l’occasione che l’azione ci ha fornito per imparare. Come ha reagito l’opposizione e come abbiamo risposto a nostra volta? Che cosa faremmo di diverso in futuro? Quali sono i nostri prossimi passi? Senza azione, non ci può essere alcuna valutazione; e senza la valutazione, non ci può essere comprensione né crescita. Edward T. Cambers, “Being triggers action”, Acta publications, 2009, p. 21 VITA PUBBLICA Per effettuare con successo il salto dalla vita privata alla vita pubblica, dobbiamo imparare ad agire in modo diverso. La vita pubblica è illimitata e spalancata, ma dobbiamo agire in modo tale da renderla reale e soddisfacente per noi stessi. E’ sorprendente per me constatare quante persone non siano in grado di fare questo salto. E’ più facile per gli esseri umani rimanere nella vita privata. La vita privata è l’arena della nostra famiglia di origine, dove l’amore è incondizionato, abbiamo a che fare solo con gli amici e la famiglia e tensioni e conflitti si suppone siano minimizzati. Il problema è che coloro che ci hanno aiutato a im- parare le lezioni della vita privata: i nostri genitori, i nostri insegnanti, il nostro clero vogliono convincerci che la vita privata è la vita più importante, che “la famiglia è tutto ciò che conta”, che non c’è “niente che tu possa fare” e che l’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è ottenere un lavoro e crescere la nostra famiglia. Ma la vita pubblica è per molti versi ancora più importante che la nostra vita privata, perché è nella vita pubblica che troviamo la missione o lo scopo che ci è stato dato dal nostro creatore. Dobbiamo uscire dei nostri modelli infantili, al fine di scoprire chi siamo veramente in relazione agli altri e in relazione con il mondo. Edward T. Cambers, “Action creates public life”, Acta publications, 2010 Mentre la vita privata è dove sperimentiamo la mescolanza di spiriti umani al livello più fondamentale, abbiamo bisogno anche della vita pubblica per uscire fuori da noi stessi, lasciare i nostri segni nel mondo, realizzare la nostra chiamata individuale o specifica vocazione. Edward T. Cambers, “The power of relational action”, Acta publications, 2009, p. 13 OGNI CAMPAGNA INIZIA CON L’ASCOLTO E LA RICERCA. NELLA FOTO IL RAPPORTO SULLE CAUSE E CONSEGUENZE DEI PIGNORAMENTI NEL QUARTIERE DI SHERMAN PARK REDATTO ATTRAVERSO QUESTIONARI, FOTOGRAFIE, INTERVISTE PORTA A PORTA E AUDIZIONI DI ESPERTI DA 250 LEADER DI COMMON GROUND. 37 NOTE Dal 2003 ad oggi ho lavorato a Radio Radicale, portato lì da una passione politica, la stessa che mi ha fatto scegliere scienze politiche invece che antropologia al momento dell’iscrizione all’università. Ma la passione per l’antropologia è sempre rimasta. Una passione per le relazioni, la comunità, e la capacità di comprendere punti di vista diversi. Venni a sapere del community organizing all’epoca della prima campagna presidenziale di Obama, leggendo nella sua biografia che per ben 3 anni si era dedicato a questo da giovane. Mi è parso subito che lì si incontrassero molti dei fili che avevo tentato di tirare fino ad allora. Quello del coinvolgimento attivo delle persone. Quello del lavoro sulla comunità basato sulla coltivazione dei talenti individuali e sulle “arti morbide” dell’ascolto e della relazione che avevo scoperto attraverso il teatro sociale. E infine, la mia attrazione verso una politica che sapesse andare “alla radice” dei problemi, che è il significato originario del termine radicale, utilizzato da Saul Alinsky, il fondatore del community organizing, nel suo bestseller “Rules for radicals”. Questo libretto raccoglie alcuni estratti del blog che ho tenuto durante i miei due mesi e mezzo di formazione come community organizer a Milwaukee. WWW.COMMUNITYORGANIZING.IT Mi chiamo Diego Galli, classe 1977. E sì, voglio fa’ il community organizer.