La comunità attraverso lo sguardo di artisti contemporanei a cura di

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La comunità attraverso lo sguardo di artisti contemporanei a cura di
La comunità attraverso lo sguardo di artisti contemporanei
a cura di Cinzia Compalati e Andrea Zanetti
con Cristina Balsotti, Carolina Barbieri, Simone Conti, Lorenzo Devoti, Sabina
Feroci, Lorena Huertas, Stefano Lanzardo, Roberta Montaruli, Enrica Pizzicori,
Francesco Ricci, Francesco Siani, Stefano Siani, Zino (Luigi Franchi).
Dal 5 marzo il nuovo progetto di CAMeC Piano Zero, lo spazio inclusivo e
partecipativo del Centro dedicato ai giovani, alle ultime tendenze
contemporanee e allo scambio con la città.
Prosegue la linea curatoriale incentrata sulle comunità artistiche, questa volta
con una riflessione proprio sui temi della #Community, molto spesso più
virtuale che reale, e la condizione dell'individuo contemporaneo all'interno di
una società 'fluida'.
Infatti l’ultimo anno di programmazione si è contraddistinto per la riflessione
innescata dal Forum cultura – promosso dall’Assessorato alla cultura del
Comune della Spezia – che ha dato l’impulso a una apertura dialettica con il
panorama culturale cittadino.
Dopo Mettiamoci la faccia. Artisti della città al museo – in cui si è dato l’avvio
alla mappatura degli studi artistici presenti in città – #Community prosegue
questa impostazione e segna l’inizio di una politica di ‘scambio’ tra due forti
comunità artistiche locali: quella presente sul territorio cittadino e quella della
vicina Carrara. Se #Community è ospitata alla Spezia, Mettiamoci la faccia
sarà a Carrara nel più ampio spirito di sinergia e condivisioni culturali.
Comunità è una parola in crisi.
Da un lato le relazioni che si animano nelle community dei social network e che
facilitano la parola non mediata dal corpo, che agevolano le prese di posizioni
più radicali o i moti di romanticismo dall'empatia di plastica; dall'altro il
progressivo isolarsi delle persone, costrette a passare dalla spinta competitiva
dell'individualismo rampante alla decadenza della solitudine.
Migliaia di contatti singoli che nel magma della rete diventano comunità di
pensieri, necessità di riconoscersi sotto qualche bandiera, semplice voglia di
appartenere ad un gruppo, con la leggerezza di poter parlare, prima ancora
che confrontarsi.
Poi le comunità reali: quelle di chi sconnesso dalla rete, prova ad occupare
ancora le piazze e le strade di qualche quartiere, senza percepirne più il
profumo di storia o semplicemente il senso di appartenenza.
Spazi urbani che ospitano identità silenziose; luoghi che hanno perso la
funzione di raccogliere le voci, i pensieri, il gusto e la fatica del confronto.
Identità, quindi, che cercano un rifugio e che, a volte, lo trovano nei processi
fluttuanti della rete.
Un gruppo di artisti, diversi per provenienza e poetica, si interroga su questo,
cercando di tradurre con i linguaggi dell'arte contemporanea le riflessioni
sull'idea di comunità.
Un percorso filtrato dalle singole intimità per diventare respiro unico; per
comporre una piazza di voci e pensieri materiali, un luogo ideale nel quale
riconoscersi e nel quale sentirsi comunità.
Una mostra che attraverso le singole cifre artistiche, diventa un'unica
istallazione nella quale perdersi o ritrovarsi, come in un luogo qualsiasi.
La famiglia contemporanea congelata nelle contraddizioni del suo tempo, si
affaccia su brandelli di paesaggio urbano, certificandone la decadente perdita
di identità.
Le solitudini delle strade, di sguardi e occhi che non si incrociano, esaltano
l'assenza; come i muri che raccontano storie o volti vuoti nel vuoto.
L'assenza di empatia e la mancanza di storie che si intrecciano, la non
condivisione che crea amara solitudine.
Una mostra che racconta intimità singole che non si fanno e non si sentono
gruppo o che si adagiano nella nassa contemporanea di speranze annullate;
come i volti 'in negativo' che raccontano storie doppie e che scavano in
profondità, oltre la percezione visiva di una realtà che ci appare ma non ci
appartiene.
E la sacralità si fa oggetto di culto laico, trasformando i luoghi comuni in
non-luoghi di non-pensiero.
L'azione che diventa stereotipo e la riflessione che si fa meccanica e inanimata
ripetizione, fino a sgretolarsi delle sue poderose certezze.
Anche le emozioni, quindi, hanno bisogno di attesa; la musica che le
accompagna, e sempre le accompagnerà, cerca, e quindi trova, la sua
necessaria intimità.
Una pausa di felice evasione da sé, seduti sulle poltrone del sogno, godendoci
finalmente l'attimo.
Quella che ne viene fuori è una comunità in negativo, esistente più per la sua
assenza che per una reale presenza: Cristina Balsotti indaga il tema della
sospensione; Carolina Barbieri il futuro delle nuove generazioni; Simone Conti
l’identità, spesso doppia; Lorenzo Devoti le relazioni in un non luogo; Sabina
Feroci l’incomunicabilità; Lorena Huertas le chiusure/aperture attraverso una
porta ‘simbolo’; Stefano Lanzardo la famiglia contemporanea; Roberta
Montaruli la desolazione della città inabitata; Enrica Pizzicori i momenti di
intimo conforto; Francesco Siani la comunità tra inclusione e crudeltà; Stefano
Siani l’esistenza; Zino (Luigi Franchi) la società.
Contestualmente prosegue anche Social Wall, special project del Piano O,
muro che anziché dividere crea osmosi e scambio con la città, spazio creativo
che via via affronta un diverso tema progettuale. In questa circostanza gli
artisti di #Community gli danno vita creando – proprio nel percorso di mostra
che rappresenta la piazza – una “Fermata CAMeC” dell’autobus con tanto di
panchina per attenderlo, le linee gialle di delimitazione e una schiera di
manifesti di fronte. Quest’ultimi sono – con una modalità inconsueta – pezzi
unici d’artista 70x100 cm, realizzazioni site specific degli artisti che hanno
risposto alla domanda “Che prodotto serve alla comunità”? Ne sono nate le più
disparate esigenze: reali, intime, utopiche, materiali o immateriali per un’opera
collettiva di grande effetto.
I 'manifesti pubblicitari' alla fermata dell'autobus, diventano icona
contemporanea di un linguaggio che è già passato e di prodotti inutilmente
necessari; l'attesa sulla panchina apre alla riflessione non tanto sul tempo che
passa bensì sulla nostra incapacità a goderci quell'attimo di sana immobilità,
fisica e di pensiero.
Lo sguardo rivolto ai manifesti ci distoglie dall' 'altro' che ci circonda e ci
immerge in una dimensione onirica di sorriso e stupore; ci invita a trovare la
giusta predisposizione per aprirci poi alla mostra.