La fiaba tra racconto e narrazione di senso
Transcript
La fiaba tra racconto e narrazione di senso
«SI N EST ESI EON LI N E » Periodico quadrimestrale di studi sulla letteratura e le arti Supplemento della rivista «Sinestesie» Numero 11 Marzo 2015 « SI N E ST E SI EON L I N E» Periodico quadrimestrale di studi sulla letteratura e le arti Supplemento della rivista «Sinestesie» ISSN 2280-6849 Direzione scientifica Carlo Santoli Alessandra Ottieri Direttore responsabile Paola De Ciuceis Coordinamento di redazione Laura Cannavacciuolo Redazione Domenico Cipriano Maria De Santis Proja Carlangelo Mauro Apollonia Striano Gian Piero Testa © Associazione Culturale Internazionale Edizioni Sinestesie (Proprietà letteraria) Via Tagliamento, 154 83100 Avellino www.rivistasinestesie.it - [email protected] Direzione e redazione c/o Dott.ssa Alessandra Ottieri Via Giovanni Nicotera, 10 80132 Napoli Tutti i diritti di riproduzione e traduzione sono riservati. Comitato Scientifico Leonardo Acone (Università di Salerno) Epifanio Ajello (Università di Salerno) R enato Aymone (Università di Salerno) Annamaria Andreoli (Università della Basilicata) Zygmunt G. Baranski (Università di Cambridge - Notre Dame) Michele Bianco (Università di Bari “Aldo Moro”) Giuseppe Bonifacino (Università di Bari “Aldo Moro” R ino L. Caputo (Università di Roma “Tor Vergata”) Angelo Cardillo (Università di Salerno) Marc William Epstein (Università di Princeton) Lucio Antonio Giannone (Università Del Salento) Rosa Giulio (Università di Salerno) Alberto Granese (Università di Salerno) Emma Grimaldi (Università di Salerno) Sebastiano Martelli (Università di Salerno) Milena Montanile (Università di Salerno) Fabrizio Natalini (Università di Roma “Tor Vergata”) Antonio Pietropaoli (Università di Salerno) Mara Santi (Università di Gent) Sommario Articoli Maria Dimauro “Del poeta in pittura”. Pagine di critica d’arte darrighiana Marilina Di Domenico Un punctum impertinente… tra cronaca, realtà e finzione narrativa: Venite venite b-52 Rosalba Galvagno Ricordo di Vincenzo Consolo* Gabriella Guarino Simbolismo zoologico e cromatico nella pubblicità: esempi Rosanna Lavopa Ermes Visconti: echi vichiani nell’interpretazione del ‘romantico’ * Pubblicazione autorizzata. Per gentile concessione del Dott. Elio Miccichè, Direttore editoriale di «Incontri - La Sicilia e l’altrove» – Rivista trimestrale di cultura – fondata da E. Aldo Motta nel 1987. Antonello Perli Sbarbaro frammentista della Grande Guerra Mario Soscia Il vino compagno di piacere nella letteratura e nell’arte Dario Stazzone «Mi vive spesso nella memoria / la stagione della giovinezza»: Emilio Greco scultore, incisore e poeta Sezioni L’isola che c’è. Orizzonti letterari per bambini e ragazzi a cura di Leonardo Acone Rossella Caso Scrivere per l’infanzia. Itinerari di formazione al femminile nei romanzi di Bianca Pitzorno Lucia Schettino La fiaba tra racconto e narrazione di senso Mediterraneità europea: Arti, Letterature, Civiltà del Mediterraneo. Per rifondare l’identità del cittadino europeo del XXI secolo a cura di Angelo Fàvaro Mark Epstein La Grecia e una democrazia mediterranea Giovanni La Rosa Le costellazioni nei neri letti dell’orizzonte Carla Valesini Isole in mezzo al mare. ‘Giro del sole’ di Massimo Bontempelli R ecensioni Enzo Gianmaria Napolillo Le tartarughe tornano sempre, Feltrinelli, Milano 2015 (Vincenzo Napolillo) Meris Nicoletto Donne nel cinema di regime fra tradizione e modernità, Edizioni Falsopiano, Alessandria 2014 (Bianca Maria Da Rif) Ferdinando Pappalardo Clericus vagans, Saggi sulla letteratura italiana del Novecento, Aracne, Ariccia 2014 (Sara Calì) Daniele Maria Pegorari Il fazzoletto di Desdemona. La letteratura della recessione da Umberto Eco ai TQ, ebook, Bompiani, Milano 2014 (Carlangelo Mauro) Lucia Schettino La fiaba tra racconto e narrazione di senso La proposta di prendere in considerazione le fiabe come un insostituibile strumento pedagogico, è inevitabilmente radicata in un contesto storico-culturale e si fa interprete di un bisogno di senso che nasce dal nichilismo assoluto in cui rischia di precipitare la pedagogia e noi con lei. La nostra epoca postmoderna porta il marchio del trionfo della comunicazione elettronica in tempo reale, della fine di quelle grandi narrazioni che delineavano un orizzonte di senso per ogni generazione e della scomparsa di quelle opere d’arte intese come fonti di esperienze estetiche uniche e di ordine superiore, sostituite da produzioni effimere di sensazioni di piacevolezza, che niente hanno a che vedere con l’inquietudine che le opere provocatorie dell’età moderna incutevano nel fruitore. In questo scenario, dovere dei pedagogisti e dei filosofi è quello di far fronte alla deriva verso quello che Giuseppe Acone chiama ludismo nichilistico e che assume la forma della «riduzione della realtà a mero apparato di tipo ludiforme, […] in cui anche la vita umana diviene tecnica della produzione e della riproduzione»1. Il progetto pedagogico, inteso come «passaggio da una generazione all’altra di un qualsiasi orizzonte di senso»2, è entrato in crisi con la postmodernità. «L’educazione e la paideia intenzionale hanno bisogno sempre di un orizzonte di senso. Ed esso non può essere schiacciato 1 G. Acone, Cultura prevalente ed emergenza educativa, in «Pedagogia e vita», Editrice La Scuola, Brescia, serie 67, n. 2, marzo-aprile 2009, p. 10. 2 Ivi, p. 11. 9 LUCIA SCHETTINO sul solo orizzonte culturale rappresentato dall’insuperabile potenza della tecnologia e della tecnica, in ultima analisi vera chiave del nostro tempo»3. A questa urgenza di senso la fiaba può dare una risposta perché parla il linguaggio universale dei desideri inconsci e ha il potere di gettare un ponte tra il mondo dei bambini e il mondo degli adulti. Soddisfa così quel bisogno di testimonianza, potremmo dire parafrasando Massimo Recalcati, attraverso la parola di un genitore «umanizzato, vulnerabile, incapace di dire qual è il senso ultimo della vita ma capace di mostrare, attraverso la testimonianza della propria vita, che la vita può avere un senso»4. Il compito più importante e anche il più difficile che si pone a chi alleva un bambino è quello di aiutarlo a dare un senso alle esperienze e alla vita in generale. E Bruno Bettelheim, che ha studiato a fondo il ruolo della fiaba nello sviluppo psicologico del bambino, ha individuato l’elemento che integra l’identità proprio nella ricerca del senso della propria vita: l’incapacità di trovare lo scopo e il significato del vivere è infatti causa del disagio psichico. Il racconto di storie fondate su dinamiche psichiche universali ed elementari, come la fiaba, attiva nel bambino la capacità di mettere insieme esperienze di vita ancora frammentate e disarticolate e di dare così un senso alla propria esistenza. Le fiabe si differenziano, quindi, da qualsiasi altra forma di letteratura, perché indirizzano il bambino verso la scoperta della sua identità e della sua vocazione e gli suggeriscono le esperienze necessarie a sviluppare ulteriormente il suo carattere. Ma come si attiva questo meccanismo? Come può il racconto di dinamiche e desideri inconsci, quindi universali, essere portatore di un incremento di senso, ossia una fonte inesauribile di significazioni diverse per ognuno? La risposta ce la suggerisce Bettelheim quando scrive che«la fiaba non potrebbe esercitare il suo impatto psicologico sul bambino se non fosse in primo luogo e soprattutto un’opera d’ar- Id., La paideia introvabile, Editrice La Scuola, Brescia 2004, p. 12. M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2014. 3 4 10 La fiaba tra racconto e narrazione di senso te».5 Lo psicologo americano prende le distanze dai ricercatori orientati verso la psicologia del profondo, i quali si fermano a constatare le analogie tra le fiabe, i miti, i sogni e le fantasticherie degli adulti, tutti accomunati dal manifestarsi di ciò cui, nella coscienza, non è consentito di affiorare. A differenza dei sogni e delle fantasticherie ad occhi aperti, le fiabe, che pure parlano lo stesso linguaggio dei simboli, svolgono una vera e propria azione terapeutica, perché propongono al bambino sviluppi concreti e possibili soluzioni ai problemi interiori: gli consentono così di superare l’ambivalenza dei sentimenti, di mettere ordine a quell’incomprensibile caos di emozioni, di risolvere i dilemmi edipici e le gelosie tra fratelli. Obbligato è il richiamo a Freud il quale, nei diversi saggi in cui si è occupato di interpretazioni di opere d’arte, pur fornendo contributi interessanti, non ha colto la differenza qualitativa tra il fenomeno onirico e quello della sublimazione artistica. Nel saggio del 1908, Il poeta e la fantasia, il padre della psicoanalisi stabilisce un parallelo tra il gioco – l’occupazione preferita dai bambini –, il piacere che l’adulto prova nell’abbandonarsi alle proprie illusioni o sogni ad occhi aperti e le fantasie del poeta. Nel gioco Freud trova le prime tracce dell’attività poetica: ogni bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta in quanto non fa altro che costruire un proprio mondo e dare a suo piacere un assetto alle cose.6 Egli distingue perfettamente il gioco dalla realtà e tuttavia investe affettivamente nel gioco. Allo stesso modo si comporta il poeta con il proprio mondo di fantasia, scrive Freud, le cui forze motrici sono i desideri insoddisfatti: un’impressione attuale risveglia nel poeta il ricordo di un’esperienza anteriore risalente all’infanzia e da questo deriva poi il desiderio che trova appagamento nell’opera poetica. La differenza qualitativa tra il fenomeno onirico e la sublimazione artistica, che supporta la tesi di Bruno Bettelheim sul contributo della fiaba allo sviluppo psicologico del bambino, va ricondotta alle B. Bettelheim, Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano 2014, p.18. S. Freud, Il poeta e la fantasia (1908), in Id., Opere, Boringhieri, Torino 1972, vol.5, p. 369. 5 6 11 LUCIA SCHETTINO riflessioni di Paul Ricoeur, ed alla sua lettura filosofica dell’opera di Freud. Per l’interpretazione dei simboli, sostiene Ricoeur, devono operare due ermeneutiche, di cui una riconosce l’emergere di significazioni arcaiche, e l’altra l’emergere di figure anticipatrici della nostra avventura spirituale.7 Nella scala dei livelli di creatività dei simboli, Ricoeur individua al grado più basso la creazione dei simboli che possiedono solo un passato, e al più alto i simboli che sono creazioni di senso, che riprendono i simboli tradizionali e con la loro polisemia veicolano significazioni nuove. Se nell’Edipo re Freud non vede altro che un sogno travestito, Ricoeur legge la creazione di un secondo dramma che tratta della tragedia dell’autocoscienza e del riconoscimento di se stessi.8 Ogni simbolo in un’opera d’arte è portatore di un incremento di senso, «dà a pensare», per utilizzare la nota espressione ricoeuriana. La composizione artistica crea insomma un’inesauribile rete di senso, mettendo l’uomo in contatto «con nuclei di verità traumatici o comunque ad alta densità di senso che richiedono una rielaborazione infinita».9 Tutta questa analisi può essere facilmente trasferita nel nostro contesto specifico della fiaba, ed è lo stesso Bettelheim a suggerirci che le fiabe, in quanto opere d’arte, sono aperte a rielaborazioni infinite che dipendono dal senso che vi attribuiscono i lettori o ascoltatori. Come avviene con tutta la grande arte, il significato più profondo della fiaba è diverso per ciascuna persona, e diverso per la stessa persona in momenti differenti della sua vita. Il bambino trae un significato diverso dalla stessa fiaba a seconda dei suoi interessi e bisogni del 7 P. R icoeur, Della Interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano, 2002, p. 541. 8 Ivi, p. 557-558. 9 «La poesia e la letteratura, in altri termini, non hanno né un puro valore logico o percettivo (teso verso il principio di realtà), né un puro valore edonistico (teso verso il principio del piacere). Non sono né realtà, né illusione. Esprimono e trasmetterebbero, invece, nuclei di ‘verità’ che vogliono farsi strada in maniera troppo immediata, stravolta, carica di coinvolgimenti emotivi, non ridistribuita nel corso di un ragionamento». R. Bodei, «Le patrie sconosciute» in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, Feltrinelli 1999, p.182-184. 12 La fiaba tra racconto e narrazione di senso momento. Quando gliene viene data l’occasione, egli ritorna alla stessa storia quando è pronto a elaborare vecchi significati o a sostituirli con significati nuovi.10 Le fiabe, continua Bettelheim, offrono qualcosa di diverso dagli insegnamenti sui modi corretti di comportarsi, non descrivono il mondo così com’è, né consigliano sul da farsi. Con la narrazione la vita viene scomposta e ricomposta, le storie ne connettono i fili e fanno allo stesso tempo affiorare visioni alternative e altri punti di vista. La loro importanza per lo sviluppo del bambino, e l’aspetto che fa di esse forme particolari di opere d’arte, è la possibilità che offrono a ognuno di trovare le proprie soluzioni. Dalla fiaba ogni bambino ricava una lente per vedere la realtà come la vede il personaggio, ma anche per vedere la storia con i propri stessi occhi, in quanto il potere disvelante della narrazione risiede proprio nella possibilità di sviluppare un ‘plusvalore’ di significato. Ne deriva un soggetto che si evolve grazie all’elaborazione narrativa ed è intessuto di differenza, precarietà e mutamento. Si esplicita, cioè, nella capacità di vedersi come alterità e di costruire il senso dell’unità dell’essere ricomponendo gli infiniti pezzi che si sperimentano sul piano esistenziale. Il soggetto così inteso non impone al testo la propria capacità di comprendere, ma si espone al testo per ricavarne un arricchimento della propria comprensione di sé, non si colloca più all’origine di un processo interpretativo, ma ne è piuttosto la conclusione. Questo processo di costruzione del sé narrativo afferma il primato della posizione riflessiva del sé su quella immediata del cogito cartesiano che pretende di conoscersi per intuizione immediata. Il compito della riflessione è di impedire la chiusura dell’universo dei segni, la cristallizzazione del linguaggio, legando la comprensione dei simboli alla comprensione di sé. La proposta di riproporre la narrazione fiabesca come strumento pedagogico è ulteriormente rafforzata dal confronto con i prodotti dei new media, che hanno un ruolo di primo piano nella vita della nuova generazione, e non solo. Laddove i simboli narrativi fanno ap10 B. Bettelheim, Il mondo incantato, cit., p. 18. 13 LUCIA SCHETTINO pello a un’interpretazione perché «danno a pensare», sono una fonte inesauribile di senso, le immagini digitali sono autoreferenziali, non rimandano a niente se non a se stesse e al modello matematico che le ha generate. Nella società postindustriale hanno preso piede le simulazioni della realtà prodotte da macchine elettroniche, che non hanno più niente a che vedere con la realtà naturale. Sono copie di copie che rinviano senza fine le une alle altre e delle quali non esistono più gli originali.11 Questa autoreferenzialità ha come principale conseguenza di inchiodare l’utente finale all’hic et nunc del coinvolgimento immediato: dove è annullata la consapevolezza dello scarto tra il piano della realtà e il piano della rappresentazione simbolica, vengono anche a mancare i presupposti perché l’utente possa proiettarsi verso un altrove dal contesto particolare del prodotto virtuale, qualunque esso sia, il videogame, la comunità virtuale, il reality show o quant’altro. Per definire l’evoluzione della relazione artificiale-naturale, copia-originale, Jean Baudrillard introduce, in un’opera del 1979, il concetto di precessione dei simulacri12 e descrive un processo che vede l’artificiale prendere progressivamente il sopravvento sul naturale, attraverso diverse tipologie di simulacro, dagli automi settecenteschi, ai cloni seriali delle produzioni di massa, in cui la copia inizia ad erodere l’egemonia dell’originale, e infine alle simulazioni di realtà prodotte dalle macchine elettroniche. Baudrillard individua il punto di arrivo della suddetta precessione dei simulacri nella società postindustriale, con la produzione di quei simulacri che rappresentano una nuova realtà del tutto artificiale, che simula alcune funzioni e prodotti della realtà naturale, senza esserne più dipendente.13 Queste realtà artificiali parallele non solo non duplicano più il naturale, ma lo ridisegnano e illudono l’utente finale al punto da fargli dimenticare di essere immerso in una realtà fittizia. L’interfaccia tecnologico è alla ricerca della sua cancellazione per creare un nuovo effetto di naturalezza: si tratta di un processo di alleggerimento che completa la sua opera di sradicamento J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979. Ibidem. 13 D. Secondulfo (a cura di), I volti del simulacro, Quiedit, Verona 2007, p. 14. 11 12 14 La fiaba tra racconto e narrazione di senso della percezione dalla realtà con il corpo interattivo, che altro non rappresenta che il trionfo della cultura della simulazione. «La cultura contemporanea vuole al tempo stesso moltiplicare i propri media ed eliminare ogni traccia di mediazione: idealmente vorrebbe cancellare i propri media nel momento in cui li moltiplica».14 La valorizzazione della narrazione fiabesca è uno strumento per far fronte alla crisi dell’idea di rappresentazione che si è così delineata per effetto della produzione delle immagini digitali. La consapevolezza di trovarsi con la fiaba su un piano del tutto diverso da quello della realtà è ben saldo nel bambino. Se precedentemente, in questo articolo, è stato necessario rivedere l’interpretazione freudiana dell’opera d’arte, torna molto utile a questo punto il contributo che Freud fornisce con il saggio Il perturbante del 1919. Qui egli attribuisce il piacere che genera la fruizione di una fiaba alla sospensione del principio di realtà; realtà che le fiabe abbandonano sin dall’incipit con la formula di apertura del «C’era una volta», collocandosi in un luogo senza tempo e senza contatti con il mondo reale.15 Questa formula di apertura, paragonabile a quel vuoto iniziale, che per Peter Brook rende visibile lo spazio simbolico in cui si colloca la narrazione,16 è come un lasciapassare verso quel luogo della mente, fuori dello spazio e del tempo che Calvino fa coincidere con il luogo della narrazione.17 La crisi dell’idea di rappresentazione generata dalla nuova produzione delle immagini digitali porta con sé un’altra importante conseguenza che non possiamo non prendere in considerazione: se lo spettatore di immagini che scorrono sullo schermo di un computer, o l’utente dei videogames, è totalmente immerso nel mondo della J.D. Bolter e R. Grusin, Remediation, Guerini e Associati, Milano 2006, p. 23. L’effetto perturbante si verifica quando un’impressione risveglia complessi infantili rimossi o quando sembrano trovare nuova convalida convinzioni primitive che sembravano superate, quali quelle legate alla concezione propria dell’animismo. Eppure, osserva Freud, le fiabe si pongono schiettamente sul terreno animistico dove si animano soldatini di piombo e vivono oggetti di casa e mobili, senza che questo provochi alcun effetto perturbante. (Freud, S., Il perturbante, 1919, in Id., Opere, Boringhieri, Torino 1977, vol. 9, p. 86). 16 P. Brook, I fili del tempo, Feltrinelli, Milano 2001, p. 166. 14 15 17 15 LUCIA SCHETTINO finzione, senza poter sviluppare una consapevolezza del rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione, allora non c’è spazio per la catarsi, intesa come purificazione delle passioni. Questo discorso richiede una comprensione profonda dei termini ed è inevitabile il richiamo alla Poetica di Aristotele dove, nel capitolo VI, definisce la tragedia «imitazione di un’azione (μίμησις πράξεως) seria e compiuta […] che mediante casi che producono compassione e timore, compie una purificazione di tale genere di passioni (παθημάτωνκάθαρσιν)».18 Cosa sia la mimesi Aristotele lo spiega affermando che compito dei poeti è fare buon uso della tradizione dei racconti tramandati e lavorare sulla composizione dei fatti.19 Questa composizione, ossia questa messa in stato di rappresentazione di fatti tragici, trasforma in piacere sentimenti in se stessi penosi: «il poeta deve procurare piacere mediante l’imitazione di compassione e timore».20 Il caso tragico è quello che ha più intimamente a che fare con l’uomo, perché ne rivela la natura contingente: ciò che suscita compassione e timore è infatti l’inquietante e sublime somiglianza che lo spettatore riscontra con il personaggio tragico. Si tratta, infatti, sempre di un uomo ordinario che cade in una sventura sproporzionata rispetto alle sue responsabilità personali. Nei confronti di questo personaggio gli spettatori provano compassione, perché assistono impotenti alla sciagura di un innocente, e timore, perché ciò che succede al personaggio tragico può succedere a chiunque. «Ognuno di noi può socA ristotele, Poetica, 6 1449b 24-28. La traduzione è di Daniele Guastini (cfr. D. Guastini, Come si diventava uomini. Etica e poetica nella tragedia greca, Jouvence, Roma 1999). 19 Aristotele spiega, così, perché la tragedia attica abbia seguito canoni immodificabili. I fatti adatti all’effetto tragico rimangono sempre di un tipo - sono quelli che evidenziano l’ineluttabilità del fato – il poeta li usa bene quando crea miti ben congegnati, che sappiano trasformare sentimenti pietosi in piacere. Nel capitolo XIII il filosofo spiega che il personaggio che suscita compassione e timore è l’individuo né particolarmente buono, né particolarmente malvagio, che assomiglia a ognuno di noi e in cui ciascuno può riconoscersi, che perde la possibilità di essere felice in modo immeritato, o comunque non per responsabilità diretta (per approfondimenti cfr. Guastini, D., op. cit.). 20 A ristotele, Poetica, cit., 14, 1453b 10-14. 18 16 La fiaba tra racconto e narrazione di senso combere di fronte alle circostanze. La tragedia ci ricorda, epifanizza questa fallibilità che costituisce la forma più propria dei fatti umani».21 I fatti tragici, spiega ancora Aristotele, possono anche essere impossibili, ma non devono per nessuna ragione essere inverosimili, pena la scomparsa dell’effetto tragico. Rispetto all’imitazione della realtà che fa lo storiografo, il poeta non imita le cose accadute, ma come è possibile che accadano. La verosimiglianza, indispensabile all’effetto tragico e, quindi, alla purificazione delle passioni, non sta nella veracità di un avvenimento, ma nella forma logica in cui gli avvenimenti appaiono concatenati.22 Fa ulteriore chiarezza su questo punto Friedrich Nietzsche nella sua opera La nascita della tragedia, dove sostiene che la tradizione antica prova che la tragedia è sorta dal coro tragico, il cui significato consiste nell’essere: un muro vivente che la tragedia tracciava intorno a sé per isolarsi nettamente dal mondo reale e per serbare il suo terreno ideale e la sua libertà poetica. […] L’introduzione del coro è il passo decisivo, con il quale viene dichiarata apertamente e lealmente la guerra a ogni naturalismo in arte. […] La tragedia si è sviluppata su questo fondamento e certo per questo è stata fin dal principio dispensata da una penosa riproduzione della realtà.23 La mimesi tragica non è una mera imitazione degli avvenimenti accaduti, ma la rappresentazione della realtà attraverso la composizione dei fatti in un racconto. Per usare le parole di Paul Ricoeur, l’attività mimetica produce la connessione dei fatti mediante la costruzione dell’intrigo.24 Il piacere che prova lo spettatore deriva dalla fruizione di questa composizione e scaturisce da emozioni che sono passate al vaglio di un’operazione di purificazione della loro carica distruttiva. D. Guastini, Come si diventava uomini, cit., p. 173-174. Ivi, p. 177. 23 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1977, p.53. 24 P. R icoeur, Tempo e racconto, Jaca Book, Milano 1994, p. 62. 21 22 17 LUCIA SCHETTINO «Le emozioni non cercano di tradursi in azioni che imitino il contenuto del messaggio, ma si ‘spostano’ sul piano del godimento formale».25 Diversa è l’azione mimetica dei nuovi media ed evidentemente diverso è l’effetto che produce negli spettatori: essa tende alla resa puntuale della realtà – scrive lucidamente Agata Piromallo Gambardella – che è tanto più efficace, quanto più la somiglianza è perfetta. L’effetto è il coinvolgimento diretto e totale dello spettatore, che se non diventa un attore dell’azione sullo schermo, come nei videogiochi, è quanto meno spettatore presente in tempo reale agli accadimenti. Viene così a mancare quella mediazione poetica che purifica le emozioni e che è possibile solo quando è evidente lo scarto tra realtà e sua rappresentazione: «lo spettatore non ha più la possibilità di passare da un piano all’altro dell’esperienza, dal momento che la “finzione invade tutto”»26. Se la mimesi mediatica ha la pretesa di sostituirsi alla realtà svuotandola del suo contenuto tragico, con la fiaba, in quanto narrazione per eccellenza, la mimesi conserva il suo significato originario. La narrazione fiabesca rinnova lo spazio simbolico delle storie, ossia la regione intermedia dove si incontrano narratore e ascoltatore, complici nel vivere un’esperienza di metaforizzazione del reale. Il linguaggio semplice e ricco di immagini delle fiabe è un viatico verso la realtà dei desideri inconsci, delle paure irrisolte e dei vissuti che aspettano di avere un senso. 25 A. Piromallo Gambardella (a cura di), Violenza e società mediatica, Carocci, Roma 2004, p. 48. 26 Ivi, p. 49. 18