La storia commovente di Maurice Frank, nativo americano

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La storia commovente di Maurice Frank, nativo americano
INCONTRI
5
27 agosto
DALLA RISERVA ALLA FIERA
Indiano della tribù cattolica
La storia commovente di Maurice Frank, nativo americano
Non tutte le frontiere sono insuperabili. Lo hanno dimostrato ieri
don Alfredo Monacelli, sacerdote in
Canada, e Maurice David Frank,
nativo d’America della Ahousat Riserve. «La loro frontiera si chiama
Vancouver Island» ha detto John
Zucchi, introducendo l’incontro,
«una vera terra di frontiera, dove la
religione crescente è l’ateismo».
Ma, tra i tanti scambi culturali che
l’isola ha sempre visto accadere, anche quello tra cattolici e nativi: i due
invitati ne sono un esempio.
Yawatch è il nome con cui si dovrebbe chiamare Frank: nella sua
lingua significa “protettore delle
genti”. Sin dall’inizio si coglie la
sua singolarità: ha iniziato il suo intervento facendo pregare tutta la sala nella sua lingua, e chiudendo poi
con una lunga benedizione al pubblico. I suoi genitori erano cattolici,
lo avevano educato conciliando i
precetti della Chiesa con le tradizioni locali: «Dicevano che gli insegnamenti della Bibbia erano simili a
quelli indiani». Un prete però abusò
di lui: «Ero disperato. Chiedevo a
Dio: perché proprio a me? Non credevo ci potesse essere giustizia».
Frank abbandona la Chiesa, finisce
nel mondo dell’alcool e della droga.
«Ho pensato anche al suicidio. Poi
un giorno bussò alla mia porta un
prete: era venuto a trovarmi. Mi
chiese: “Come stai?”. Mi sono accorto che Dio c’era ancora, e ho riscoperto molti degli insegnamenti
dei miei genitori». Su tutti uno:
«Quando uno ama tutti, non ha nemici. La mia vita stava cambiando,
sono tornato in chiesa». Frank perdona il prete che aveva abusato di
lui. Uno sguardo nuovo è entrato
nella sua vita, diventando una possi-
Frank benedice il pubblico del Meeting, alla fine dell’incontro di ieri “Fare il cristianesimo in terre di frontiera”
“
Frank:
«Ho pensato
anche al suicidio.
Poi un giorno
un prete mi venne
a trovare.
Mi sono accorto
che Dio c’era ancora»
bilità anche per altre persone; offre
aiuto a una ragazza violentata dal
fratello: li fa incontrare, lei lo perdona. «Con l’amore si genera la guarigione, ci si avvicina alla bontà di
Dio. Al Meeting ho avvertito la presenza di Gesù Cristo».
Monacelli invece è originario di
Varese. È arrivato in Canada nel ’93
Ecco chi è
“Yawatch”
Yawatch significa “protettore delle genti” o “avvocato”:
è il nome indiano di Maurice
Frank. È sposato (la moglie
era presente ieri in Fiera), e
ha 4 figli. Proviene dalla riserva Ahousat: 2mila anime
della “First nation”, i nativi
d’America, che vivono su
un’isola raggiungibile solo
in barca, a 45 minuti dalla
Vancouver Island, lungo la
costa più occidentale del Canada. Sull’isola, fa il manager per la Community
Health Service, dove aiuta
gli abitanti tramite la terapia occidentale tradizionale.
“
Monacelli, sacerdote
in Canada:
«I loro metodi
non mi scoraggiavano.
Il problema non era
la loro mentalità,
ma era mio. A Dio
chiedevo la pazienza»
coi genitori, nel ‘99 entrò in seminario: aveva 32 anni, e dopo l’ordinazione venne mandato a Campbell
River, paese dell’isola. «Un giorno
si avvicinò un indiano della riserva:
chiedeva se potevamo mandare
qualcuno a fare loro catechismo.
Nessuno era disposto ad andarci, ci
andai io». È il suo primo contatto
coi nativi. Don Alfredo capisce subito perché nessun sacerdote era disposto ad andare da loro: «Se avevi
appuntamento per le 7, dovevi aspettare fino alle 8.30!». Ma i loro
metodi difficili non lo scoraggiano:
«Il problema non era la loro mentalità, ma era mio: chiedevo a Gesù di
darmi la pazienza di essere lì. Ero lì
per loro, e per Cristo, che è la stessa
cosa».
Dopo un anno e mezzo viene
mandato in un’altra città, a seguire
la riserva di Ahousat: due ore di
macchina una volta al mese, poi 45
minuti in barca, per una comunità di
2mila persone: «Ho scoperto il mio
sangue varesino borghese e schizzinoso: ero oppresso dalla miseria.
Andavo là per dovere e mi chiedevo: cosa ci faccio qui?». Ma anche
attraverso l’obbedienza si può scoprire qualcosa: «La volontà di Dio
doveva diventare la mia. Ho iniziato
ad andarci due volte al mese, per
cominciare un’amicizia». E così accade, don Alfredo lega con tanti di
loro. Racconta di alcuni fatti: come
quello di Don, un trentatreenne ubriaco disperato, che un giorno gli
disse: «Padre, niente ha senso nella
mia vita. Ma poi per 5 secondi tutto
diventa chiaro!». «Furono quei 5 secondi a salvarlo: aveva scoperto che
il suo cuore desiderava qualcosa di
più grande». O ancora, racconta di
Stanley, un anziano indiano che un
giorno lo accolse sorridente: «Grazie di essere qui. Vede questo rosario? Prego tutti i giorni». «È nella
sofferenza che vedi la bellezza del
volto umano. Ho scoperto perché ero lì: in quell’istante la volontà di
Dio era diventata la mia, non volevo essere da nessun altra parte».
Emmanuele Michela