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Vincenzo Lo Re
Come un castello
di sabbia
Novantacento edizioni
2009 © Novantacento edizioni - via Rosolino Pilo 11, Palermo
2009 Prima edizione - 2011 Seconda edizione
Come un castello di sabbia / Vincenzo Lo Re
II ed. - Palermo: Novantacento edizioni, 2011 - 96 pp.
ISBN 978-88-96499-23-8
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L’aeroporto di Ginevra era pieno di gente variopinta. Uomini
d’affari con valigetta di cuoio, belle donne in tailleur, arabi accompagnati da giovani hostess, turisti americani con sacche da
golf in spalla.
Sbadigliavo, pensando che il caffè all’americana servito sul volo
Palermo-Milano-Ginevra non aveva compensato la notte insonne, passata in attesa che suonasse la sveglia puntata alle 4:30 del
mattino.
Il volo era atterrato con due minuti di anticipo.
La parte più difficile del viaggio era stata la traversata a piedi
dell’aeroporto di Malpensa, dall’uscita dei voli nazionali provenienti dal profondo sud del pianeta (Palermo, Bari, Lamezia
Terme) alle partenze per il ricco nord (Ginevra, Amburgo, Copenaghen).
Frank Lo Monte mi aspettava al bar dell’aeroporto, subito dopo
l’uscita dei voli internazionali. Era leggermente dimagrito rispetto
all’ultimo incontro di tre anni prima, in un magnifico ufficio milanese nei pressi di corso Como. Certo, superava ancora la soglia
dei centocinquanta chili, ma il ricorso ad una dieta libanese a base
di insalate gli aveva consentito – così diceva – di perderne ben
venticinque. Dieta che comunque non implicava il divieto di gustare una colazione occidentale, la cui portata era desumibile dal
numero di tazze da cappuccino vuote che affollavano il tavolino
su cui Frank aveva appoggiato una rassegna stampa di quotidiani
italiani, francesi ed inglesi.
Era altrettanto evidente che il dietologo libanese non gli aveva
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proibito di assaporare un bombolone alla crema (che lassù a Ginevra chiamano krapfen), le cui dimensioni mi ricordavano le arancine al burro del bar Alba di Palermo.
Frank mi salutò in modo caloroso e mi convinse ad ordinare un
cappuccino svizzero, il cui effetto energizzante era simile a quello
del caffè dell’Alitalia: nulla a che fare con il cappuccino che ogni
mattina mi preparava Luigino, inossidabile banconista del baretto
di fronte al Tribunale.
“Che novità ci sono a Palermo?”, mi chiese Lo Monte, con inflessione che tradiva le sue origini isolane, nonostante ormai da
vent’anni si fosse allontanato da quelle latitudini.
Era la tipica domanda d’apertura che mi rivolgeva ogni cliente siciliano trapiantato al nord per varie ragioni: affari, amori, latitanza. E pur essendo prevista, mi metteva sempre in leggera difficoltà.
Che novità potevano esserci a Palermo ed in Sicilia? La mafia sconfitta? La classe politica rinnovata? L’economia in forte sviluppo?
La tentazione di chiedere la domanda di riserva era forte, ma mi
limitai a rispondere: “Nulla di particolare, è già arrivata la prima
ondata di caldo estivo”. Dirottare sull’aspetto meteorologico era
una via di fuga ben collaudata.
Lo Monte pagò il conto ad una graziosa cameriera dai tratti orientali con i capelli a caschetto – abbinamento che sin da ragazzino solleticava le mie fantasie – ed uscimmo a passo svelto in direzione
del parcheggio. La vecchia Mercedes nera di Frank era coperta da
uno strato di polvere che a Palermo sarebbe stato utilizzato subito
per la classica scritta “Lavami stronzo”. Era un modello vintage,
che aveva attraversato indenne gli anni della guerra fredda e certamente aveva assistito al crollo del muro di Berlino. Frank l’aveva
acquistata a Napoli, di seconda mano, e mi era facile supporre che
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al suo volante si fossero alternati, nel tempo, camorristi, costruttori con pessime referenze bancarie e grossisti di frutta e verdura. Il
suo consumo al chilometro non doveva discostarsi molto da quello
della Lamborghini gialla che ci superò all’ingresso di Ginevra.
Fortunatamente, il tragitto sino all’albergo prenotato da Frank fu
breve. L’Hilton di Ginevra dava sul lungolago. In lontananza, verso
il centro della baia, vedevo un altissimo spruzzo d’acqua, azionato
da chissà quale potente meccanismo, che lo proiettava ad oltre 100
metri d’altezza.
Lo Monte mi concesse mezz’ora per una doccia, dandomi appuntamento per le 12:30 sulla terrazza-ristorante dell’ultimo piano.
Il panorama che si godeva da lassù era splendido: lago e montagne
verdi sullo sfondo, minigonne strepitose in primo piano.
Il tavolo riservato da Lo Monte era accanto a quello occupato da
un uomo di mezza età, di carnagione scura, accompagnato da una
elegante signora sulla sessantina, con una scollatura un po’ ardita
per la sua età, ma ben coperta da un collier che rifletteva i colori
del lago. L’uomo parlava fitto con Frank, mentre la signora leggeva
il menu. Prima di sedermi, mi avvicinai ad una distanza intermedia tra i due tavoli, in posizione utile sia per essere presentato ai
due stranieri, sia per sedermi con agile scatto al tavolo di Frank. Lo
Monte optò per una presentazione formale e fu così che conobbi
l’avvocato franco-libanese Khaled Ben Gachem, con studio a Parigi
e Beirut, e la sua gentile consorte Fatma.
Per l’occasione rispolverai il mio francese scolastico: “Giorgio Nicosia, enchanté”.
Appena seduto, mi resi conto che Frank parlava in inglese e Ben
Gachem rispondeva in francese.
Sommando la mia conoscenza del francese alla cifra investita nel
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