Dinamica demografica - Università di Torino

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Dinamica demografica - Università di Torino
Dinamica demografica (di Giacomina Caligaris)
Il dinamismo dei sistemi economici del mondo occidentale è dipeso per secoli dal dinamismo demografico, mentre con il rilancio delle economie europee, dopo la seconda guerra mondiale, a fronte di più contenuti tassi di crescita della popolazione si è verificato un esplosivo aumento della domanda legato al consumismo.
E’ stato il dinamismo dei sistemi economici occidentali, nel corso del secondo millennio, a condurre
l'economia di mercato alla sua piena affermazione e all' evoluzione verso il capitalismo, dapprima
commerciale, durante i secoli dell'età moderna, in seguito industriale e finanziario, a partire dall'ultimo quarto del Settecento.
La spiegazione del funzionamento dell’economia di mercato ci viene dalla macroeconomia che analizza il sistema economico mettendo in relazione le grandi variabili aggregate di un paese, il reddito
nazionale (Y), i consumi (C), il risparmio (S). In un’economia chiusa, che per comodità di analisi si
ipotizza non abbia scambi con l’estero, la relazione formale è data dall’equazione :
Y=C+S
che sta ad indicare quali quote del reddito prodotto annualmente vengono destinate al consumo e al
risparmio, con conseguenze sull’accrescimento del reddito di uno Stato nel successivo periodo produttivo.
Questa equazione indica, inoltre, che ogni sistema economico può essere analizzato nel suo funzionamento tanto dal lato della domanda (C + S) quanto dal lato dell'offerta (Y).
Con questa premessa si intende sottolineare che in ogni sistema economico moderno la popolazione
è componente determinante tanto della domanda, per i bisogni da soddisfare, quanto dell’offerta dato che la popolazione attiva rappresenta un fondamentale fattore della produzione.
Lo studio della popolazione consente, quindi, di individuare le "leggi" che ne hanno determinato i
comportamenti dinamici nella storia e viene sviluppato dalla demografia, scienza in origine derivata
dalla statistica e oggi autonoma. Tale studio necessita di dati di stato e di dati di movimento. I dati
di stato sono forniti dai Censimenti, che in epoca moderna sono Periodici, Simultanei, Universali,
Diretti, Nominativi, Neutrali (il censimento ha solo scopo conoscitivo).
I primi censimenti li troviamo nelle città italiane a partire dal 1338, e a livello di stato regionale dal
XVI secolo (nel 1509 nella Repubblica di Venezia, da metà Cinquecento a metà Seicento nel Granducato di Toscana). Censimenti validi a livello nazionale li troviamo solo nel XVIII secolo (in Svezia nel 1749, in Spagna nel 1789, in Francia nel 1800, in Gran Bretagna nel 1801, in Italia nel
1861).
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I primi dati di "movimento"cominciarono ad essere rilevati in alcune città italiane già nel corso del
Quattrocento per imposizione dell’autorità civile alla corporazione dei medici e speziali. In Inghilterra con l’ordinanza del 1538 di Thomas Cromwell, consigliere di Enrico VIII, e in Francia con
l’editto di Villers Cotterets del 1539, lo Stato si attivò affinché i parroci mantenessero aggiornati i
tre registri dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali. I moderni registri anagrafici tenuti dagli Uffici di stato civile comparvero in Inghilterra a partire dal 1837 con l'istituzione del General Register
Office .
Dalla metà del XVI secolo fu l’autorità ecclesiastica, durante il Concilio di Trento (1542-1563), a
stabilire la rilevazione sistematica di questo tipo di dati. Con il successivo “Rituale Romanorum”
del 1614 la Chiesa di Roma impose alle parrocchie la tenuta regolare di tutti e tre i registri.
Per determinare i caratteri della demografia storica bisogna disporre dei due tipi di informazioni
poiché è necessario rapportare fra loro i dati di stato e quelli di movimento della popolazione.
A queste condizioni si può avviare un’analisi per indici:
quozienti grezzi di natalità, mortalità, nuzialità su popolazione media dell’anno.
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•
nascite
Qnt (natalità) =  x 1000
Po + Pt
 
2
morti
Qm (mortalità) =  x 1000
P0 + Pt

2
matrimoni
• Qnz (nuzialità) =  x 1000
P0 + Pt
 
2
dove
P0 = popolazione a inizio periodo
Pt = popolazione a fine periodo
•
•
•
aspettativa di vita alla nascita o vita media
mortalità infantile x 1000
struttura per età della popolazione (piramide della popolazione)
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Gli studiosi di demografia storica che hanno sottoposto ad analisi per indici le popolazioni europee
delle età anteriori alla prima rivoluzione industriale, ne hanno ricostruito così il comportamento nel
corso del tempo:
1. prima del XVIII secolo la popolazione europea rimase relativamente scarsa, gli stati più popolati raggiungevano i 18-19 milioni di persone (in Italia 50-60 abitanti per km2, oggi 186,6).
Per lunghi periodi la popolazione non crebbe, oppure il tasso di aumento fu molto basso (in genere sotto all’1%). Poche città superavano i 100 mila abitanti (in Italia nel Trecento erano 3: Firenze, Milano, Venezia; nel 1550 Napoli aveva 210 mila abitanti, Venezia 160 mila, Milano 110
mila; nel 1600 anche Roma e Palermo avevano più di 100 mila abitanti). Quindi il mondo preindustriale era caratterizzato da società numericamente piccole. Perché la popolazione era
scarsa ? La risposta viene dallo studio della dinamica demografica. Studiare il movimento di
una popolazione significa analizzare le variazioni che nel corso del tempo si manifestano nella
sua entità numerica e nella sua composizione qualitativa.
Le variazioni nell’entità numerica sono determinate dal ricambio biologico della popolazione
considerata (movimento naturale) o dall’instaurarsi di scambi con altre popolazioni (movimento migratorio).
Il movimento naturale consiste nel flusso di nascite e morti attraverso cui la popolazione si rinnova dall’interno. La differenza tra i valori assoluti dei nati e dei morti rappresenta il saldo naturale, che va ad aumentare o ridurre la popolazione esistente all'inizio dell'anno.
Per confrontare le varie popolazioni si usano gli indici demografici di natalità, nuzialità e mortalità.
La dinamica della popolazione dipende da :
•
natalità (fecondità): l’intervallo “intergenesico naturale” è stato calcolato dai demografi tra
i 16,5 mesi e i 31,5. La natalità era molto elevata, anche se il celibato fu sempre abbastanza
diffuso e i matrimoni avvenivano in età relativamente avanzata. La fertilità quindi non era
molto lontana dai massimi biologici, lontananza che è invece un carattere tipico della
demografia moderna. Se nel periodo 1000-1750 la crescita della popolazione europea fu
bassa non fu a causa di una bassa fertilità;
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mortalità.
2. Altra caratteristica della demografia di tipo antico era l’elevatezza dei tassi di natalità e mortalità
I tassi medi annui di natalità oscillavano generalmente in un intervallo compreso tra il 40 e il
45‰. Quelli di mortalità tra il 25 al 35‰. Si osserva, quindi, che per assicurare la continuità
della specie (finalità imposta dalla natura) occorreva nascere molto perché si moriva molto.
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Un incremento dell’10‰ all’anno si può infatti ottenere come differenza tra 45- 35‰ oppure tra
19- 9 ‰. Il primo caso, agli occhi dell’uomo moderno, rivela una scarsa efficienza riproduttiva
legata alle modeste capacità di controllo delle condizioni ambientali. Quelle popolazioni, infatti,
erano particolarmente vulnerabili di fronte alle avversità naturali, specie, come si è detto, alle
carestie e alle epidemie.
3. Bassa aspettativa di vita nell’Europa preindustriale. La probabilità di sopravvivenza alla nascita, deducibile dalle tavole di sopravvivenza (frutto di una tecnica elaborata verso la fine del
XVII secolo), era intorno ai 36 anni per i maschi e ai 38,5 per le femmine nella Svezia del 177882, un paese particolarmente ricco di fonti demografiche adatte all’individuazione delle caratteristiche di una tipica popolazione preindustriale .
Date queste caratteristiche, il bilancio o saldo naturale della popolazione (nati-morti, diverso dal
tasso di incremento naturale, che è dato dalla differenza tra il tasso di natalità e il tasso di mortalità)
era frequentemente positivo negli anni di mortalità ordinaria e largamente negativo negli anni di
mortalità catastrofica.
Mortalità ordinaria era quella degli anni normali, privi di eventi calamitosi (guerre, epidemie, carestie).
Componente maggiore della mortalità ordinaria erano:
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mortalità infantile (numero dei morti nel primo anno di vita/ numero dei nati vivi); su
1000 nati ne morivano da 150 a 350 prima di compiere un anno di età;
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mortalità dei fanciulli (numero dei fanciulli che morivano in età da 1 a 5 o 10 anni/ numero dei fanciulli viventi dello stesso gruppo di età); su 1000 nati ne morivano da 100 a 200
prima del decimo anno di età. Le cause erano individuabili nella povertà della popolazione e
nelle cattive condizioni igienico-sanitarie che portavano a una selezione naturale, per cui solo i
più forti e fortunati sopravvivevano.
Mortalità catastrofica era la mortalità degli anni calamitosi e di regola superava i correnti livelli di
natalità. Le società preindustriali erano esposte a calamità di vario tipo, riconducibili alla nota trilogia guerra, epidemia, carestia, che comportavano drammatiche punte di mortalità:
a) la guerra più che colpire direttamente aveva conseguenze indirette (epidemie trasmesse dagli
eserciti);
b) la carestia dipendeva da cause esogene: agenti atmosferici avversi o passaggio di eserciti, che
provocavano distruzioni e saccheggi di raccolti, bestiame e impianti agricoli; ma soprattutto discendeva da cause endogene per effetto dei rendimenti decrescenti cui andava incontro
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l’agricoltura sotto la spinta demografica. Il legame tra carestia (la gente moriva letteralmente di
fame) e epidemia era molto stretto perché la carestia riduceva le difese dell’organismo;
c) le epidemie: la loro diffusione era legata sia agli scambi commerciali, sia alle cattive condizioni
igienico-sanitarie degli eserciti (spesso le vittorie erano dovute all’azione dei microbi più che al
valore militare). Tra di esse (influenza, febbre tifoide, tifo petecchiale, dissenteria, vaiolo), la
peste si manifestava in forma pandemica e fu responsabile della sostanziale stagnazione secolare
della popolazione europea protrattasi fino alla seconda metà del XVII secolo.
Riassumendo, i caratteri della demografia di tipo antico possono essere così individuati:
a) la popolazione dell’Europa preindustriale era condizionata nella crescita da una mortalità molto alta in tempi normali (25-35‰), che in coincidenza di carestie e epidemie raggiungeva punte
drammatiche, 230-350‰ le quali annullavano gli incrementi precedenti. Questo meccanismo fu
responsabile della stabilità secolare della popolazione europea;
b) la popolazione era relativamente scarsa (dati di stato), caratterizzata da piccole comunità, e relativamente fluttuante (dati di movimento);
c) l’incremento naturale era ottenuto come differenza positiva di elevati tassi demografici;
d) ne conseguiva una giovane struttura per età della popolazione: dal 30 al 32 % erano persone
con meno di 12 anni;
Con la seconda metà del XVII secolo, tuttavia, nei principali paesi dell’Europa Occidentale si cominciarono ad avvertire i segni di nuove tendenze demografiche. Difatti, con il venir meno delle epidemie pestilenziali cessò il ruolo di freno alla crescita della popolazione svolto fino ad allora dalla
peste. Le grandi pandemie (1348-50 e 1630-31), che nell’arco di pochi anni eliminavano da 1/3 a
1/4 della popolazione europea, e il carattere endemico assunto dalla malattia in età medievale e moderna rendevano reversibile la crescita demografica. Invece, tra la metà del XVII secolo e la metà
del XVIII l’aumento si fece costante e irreversibile, sia pure a tassi modesti di incremento naturale
(dell’ordine dello 0,3-0,4% o poco più).
Con la seconda metà del Settecento i dati di stato e di movimento della popolazione cominciarono
ad assumere comportamenti di tipo moderno. Difatti, si venne affermando, in particolare in Gran
Bretagna, la tendenza alla riduzione dei saggi demografici in parallelo all’entrata, nell'ordine normale delle cose, della crescita economica sostenuta e percettibile.
Le punte del tasso di mortalità divennero meno frequenti o meno violente per cui prevalse la tendenza alla crescita costante della popolazione (crescita risultata irreversibile a partire dagli anni
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quaranta del Settecento). In alcuni distretti si ebbe anche un aumento del tasso di natalità e un aumento dei nati vivi.
La discesa dei quozienti di mortalità, catastrofica e infantile, non imitati nell’immediato da quelli di
natalità, ma, al contrario, accompagnati talvolta da un rialzo della natalità stessa (perché i bambini
che non morivano più, crescendo formavano maggiori gruppi in età feconda), portarono il saggio di
incremento naturale della popolazione a livelli molto elevati e finanche esplosivi, decisamente al di
sopra dell’1%.
Schema della transizione demografica
Fonte: M. Livi Bacci, Storia minima della popolazione del mondo, Torino Loescher, 1993, p. 106
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Nella piramide demografica cominciò ad aumentare il peso delle classi di età intermedia e aumentò la vita media.
Le tre forme tipiche della piramide demografica per sesso ed età
Fonte G. Felloni, Profilo di storia economica dell’Europa dal medioevo all’età contemporanea, Torino, Giappichelli,
1997 , p. 51.
Per effetto delle nuove tendenze, nell’arco di un secolo, tra il 1750 e il 1850 la popolazione
dell’Europa (Russia esclusa), che era rimasta a lungo su livelli quasi stazionari, fu assai prossima a
raddoppiare passando da circa 120 a 210 milioni di abitanti.
Gli storici dell'economia talvolta hanno contestato che il processo di crescita della popolazione sia
stato avviato dalla caduta del tasso di mortalità sostenendo che vi sono altrettante ragioni a favore
della crescita del tasso di natalità. Di tale opinione era Habakkuk (The Cambridge economic history
of Europe, vol. VI: The industrial revolution and after: incomes, population and technological
change, 1966) che, partendo dall’ analisi della documentazione esistente in Gran Bretagna, dimostrò che il fenomeno della crescita esplosiva potrebbe essere spiegato da un abbassamento dell'età al
matrimonio dovuta al miglioramento delle condizioni e delle opportunità economiche con un conseguente aumento del tasso di natalità. Tra il 1730 e il 1755 si registrò, infatti, una serie continua di
buoni raccolti.
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Altri studiosi hanno sostenuto che la diminuzione della mortalità non fu l'effetto del miglioramento
delle condizioni sanitarie, peraltro negato dalla storia della medicina, ma fu una forte reazione a un
periodo di mortalità elevata. Chi sopravviveva a tale periodo era più robusto avendo superato la selezione naturale.
Contro la tesi che attribuisce l'aumento di popolazione nel Settecento al tasso di natalità vi è però la
considerazione che un tasso di mortalità ancora elevato dovuto alle malattie infettive incideva in
modo diverso sui vari gruppi di età e quindi condizionava e compensava le variazioni in aumento
avvenute nella natalità.
Comunque gli storici dell'economia, della società e della medicina sono concordi nel ritenere che
nell’occidente europeo si sia verificata una forte riduzione del tasso di mortalità a partire dal decennio intorno al 1750 per la diminuita incidenza delle epidemie. Non è chiaro perché diminuirono le
epidemie. Quanto alla peste, essendo trasmessa dalle pulci annidate sui roditori, diminuì al migliorare del tenore di vita, delle condizioni igienico-sanitarie delle città, all’istituzione dei lazzaretti e
dei cordoni sanitari, allo sviluppo del commercio marittimo che intorno alla fine del XVII secolo
abolì le lunghe carovane di mercanti che venivano dall'Est attraverso l'Asia Minore portando con sé
le colonie di roditori e di pulci infette, e forse anche grazie allo sviluppo delle difese immunitarie
nelle popolazioni europee. Altre malattie ridussero la loro virulenza: la malaria, per la diminuzione
delle zanzare in seguito al prosciugamento di molte zone paludose. Giocarono forse anche a favore
mutamenti climatici, che in Inghilterra favorirono il susseguirsi di una serie di buoni raccolti, e una
crescente consapevolezza, da parte della gente, delll'importanza della sanità e dell'igiene. Ci furono
progressi nella medicina, anche se gli storici ritengono non fossero così diffusi e tali da spiegare la
caduta della mortalità. Quanto al miglioramento del tenore di vita, difficile da dimostrare, laddove
si manifestò favorì una maggiore resistenza alle malattie.
Alla fine, gli storici sono abbastanza concordi sul fatto che l’esplosione demografica del periodo
della transizione si debba attribuire anche all’aumento della natalità dovuto all’incremento della popolazione in età fertile, a seguito della precedente riduzione della mortalità infantile.
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