La scelta della strategia adottabile da un`impresa è anche il risultato

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La scelta della strategia adottabile da un`impresa è anche il risultato
Corso di Economia e Gestione delle Imprese
Prima parte della Dispensa integrativa
per il corso di EGI – Business
Management
(prof.ssa Adriana Calvelli)
A.A. 2005-2006
1. L’analisi dell’ambiente esterno
Una visione dell’impresa quale sistema relazionale aperto (ampiamente
analizzato nel paragrafo 1.2), enfatizza il ruolo dell’ambiente esterno nell’ambito
della gestione strategica aziendale.
L’impresa, infatti, costituisce una componente essenziale dell’ambiente in cui è
inserita e vive utilizzando sistematicamente le risorse e le potenzialità in esso
presenti; attraverso il suo agire, però, essa influenza, a sua volta, l’evoluzione e le
dinamiche dell’ambiente che la circonda.
In altri termini, l’ambiente condiziona le scelte dell’impresa, sanzionando con il
successo o l’insuccesso la strategia da essa perseguita; allo stesso tempo, esso è
destinato ad evolvere diversamente a seconda di come gli attori aziendali
individuano, selezionano e utilizzano le potenzialità e possibilità in esso presenti –
anche allo stato latente.
L’ambiente esterno costituisce, in questa accezione, uno dei fattori di
condizionamento dello sviluppo delle imprese assumendo un ruolo fondamentale
nella comprensione del problema strategico delle stesse.
Nell’ambiente esterno si originano, infatti, forze, eventi, trend, fenomeni, i quali
vanno opportunamente monitorati ed analizzati al fine di identificare opportunità1,
da cogliere e sfruttare al meglio, e minacce, che occorre, invece, fronteggiare e
cercare di superare.
Un’accurata analisi di tale ambiente risulta quindi imprescindibile per una
corretta impostazione della condotta strategica e, in particolare, per il processo di
formulazione delle strategie.
L’analisi dell’ambiente esterno può, in tal senso, essere intesa come un’attività
volta a raccogliere, selezionare ed elaborare informazioni che consentono ai
decisori aziendali di disporre di un quadro attuale e prospettico dell’ambiente
esterno rilevante per l’impresa, utile al fine di valutare i risultati delle strategie in
atto e impostare quelle future.
Tali analisi rientrano a pieno titolo nel filone dell’Industrial Organization
(Bain, 1959), centrato sulla relazione struttura – condotta – performance. Secondo
tale impostazione teorica, la struttura del settore determina la condotta strategica e
organizzativa delle imprese in esso presenti, da cui derivano le performance che le
imprese possono realizzare.
1
Per l’impresa nascono opportunità quando una tendenza dell’ambiente crea il potenziale per
costruire e/o rafforzare il suo vantaggio competitivo. Si parla di minacce, invece, quando le tendenze
dell’ambiente esterno mettono in pericolo la redditività dell’impresa (Pellicelli, 2002).
2
In questo caso, a determinate condizioni strutturali dell’ambiente corrisponde
una sola condotta strategica che permette di massimizzare le performance delle
imprese. L’ambiente esterno costituisce, pertanto, il fulcro di tutto il percorso
strategico.
Il bagaglio concettuale “formalizzato” utilizzabile nell’analisi dell’ambiente
esterno appare essenzialmente riconducibile alla logica della pianificazione
strategica, che, pur nella diversità dei singoli contributi, propone un concetto di
ambiente esterno sufficientemente prevedibile per le imprese.
In tali analisi, l’ambiente esterno assurge ad insieme di elementi/forze, eventi,
trend, discontinuità in cui il sistema impresa si colloca e con il quale interagisce. In
quest’ottica Grant (1999) definisce l’ambiente di un’impresa come l’insieme di
tutte le variabili esterne che influenzano, o potrebbero influenzare, i risultati
dell’organizzazione.
La letteratura più accreditata di economia e management distingue, in
particolare, due livelli successivi (strati ambientali) in cui possono essere
raggruppate le forze e le tendenze ambientali che influenzano l’impresa e i suoi
risultati: il macro-ambiente e il micro-ambiente.
Il macro-ambiente (o ambiente generale) è definito dall’insieme delle forze,
dei fenomeni e dei trend di carattere generale che condizionano ed orientano le
scelte ed i comportamenti dell’impresa e di tutti gli attori del sistema competitivo
dove opera l’impresa. Le variabili che costituiscono il macro-ambiente non sono
direttamente controllabili dall’impresa, anche se, attraverso le proprie azioni,
quest’ultima può, in alcuni casi, influenzare l’intensità e la direzione con cui si
manifestano (Sicca, 2003).
Il micro-ambiente (o ambiente competitivo) appare, invece, costituito da tutte
quelle forze, fenomeni ed attori presenti nello specifico campo di attività in cui
l’impresa opera e che hanno implicazioni più dirette sia sulle sue scelte strategiche,
sia sulle sue performance. Le forze del micro-ambiente determinano, infatti,
l’intensità della concorrenza e influenzano le prospettive di redditività dell’area
competitiva dove è presente l’impresa.
In questo senso, il contesto ambientale di un’impresa può essere scomposto in
più strati, ciascuno dei quali presenta relazioni biunivoche con l’altro e al cui
centro appare l’impresa (Valdani, 1995).
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1.1 Le forze del macro-ambiente
L’analisi dell’ambiente esterno all’impresa, su cui impostare il processo di
formulazione delle strategie, parte necessariamente dallo strato ambientale più
ampio ed esterno rispetto all’impresa: il macro-ambiente (o ambiente generale).
Tale ambiente rappresenta il contesto culturale ed economico della specifica
area geografica dove è collocata l’impresa e viene definito dall’insieme delle forze,
dei fenomeni e delle tendenze di carattere generale che hanno una rilevante
importanza per le scelte ed i comportamenti dell’impresa e di tutti gli attori del
sistema competitivo. Queste forze sono costituite, in particolare, da una serie di
macrovariabili: economia, politica, socio-cultura, tecnologia, demografia, ecc., da
cui possono essere tratti utili indicatori sui possibili cambiamenti futuri
dell’ambiente più esteso (Valdani, 1995).
E’ utile evidenziare come gli eventi e i fenomeni appartenenti al macroambiente influenzino non solo la singola impresa, ma tutti i soggetti e le imprese
che appartengono ad una stessa area competitiva. Tali tendenze condizionano,
infatti, tutte le forze appartenenti al microambiente. La deregolamentazione di un
settore, ad esempio, costituisce un fenomeno che impatta profondamente su tutte le
imprese che operano su tale settore e su quelle che sono intenzionate ad entrarvi.
Alcuni studiosi (Scott, 1987, Tan e Litschert, 1994) hanno sottolineato, in
particolare, la complessità del sistema ambiente, definendolo come “costrutto
multidimensionale”2 al fine di evidenziare i molteplici profili sulla base dei quali
esso può essere analizzato ed interpretato; per semplificare tale valutazione, parte
della letteratura ha adottato un approccio di tipo tassonomico (Grant, 1999;
Valdani, 1995), con l’intento di stabilire un ordine su cui basare l’analisi.
In analogia allo studio di altre entità sistemiche, l’analisi del macro-ambiente
deve quindi prevedere sia una valutazione delle componenti sistemiche, distinte in
base alla loro natura, sia uno studio delle relazioni intercorrenti tra i macroaggregati ambiente e impresa e tra sub-sistemi e singoli elementi. Quanto affermato
discende dalla considerazione della forte interdipendenza esistente tra le variabili
che compongono il macro-ambiente: una innovazione tecnologica può ad esempio,
impattare significativamente su alcune variabili di tipo socio-culturale, quale lo
stile di vita (ad esempio la telefonia mobile).
2
A tale proposito, Luo e Tan (1998) annoverano tra gli approcci allo studio degli impatti ambientali
sull’attività strategica dell’impresa anche quelli che studiano le influenze distintive in base alla loro
fonte di provenienza e quelli che analizzano le variabili ambientali in funzione della loro capacità di
rendere l’ambiente esterno complesso e/o dinamico e/o ostile e/o munificente.
4
In questo senso, le principali forze del macro-ambiente possono essere
raggruppate in sette distinti sub-sistemi:
- ambiente economico;
- ambiente politico–istituzionale;
- ambiente socio–culturale;
- ambiente demografico
- ambiente tecnologico;
- ambiente naturale;
- ambiente strutturale nazionale.
Considerata la vastità delle informazioni reperibili in ciascun sub-sistema, le
imprese devono necessariamente sviluppare una capacità di selezione delle
variabili strategicamente più rilevanti, cercando di ordinarle in base al potenziale di
influenza sulla propria condotta strategica.
Questo processo di selezione, orientato ad individuare le forze che meritino un
effettivo approfondimento, costituisce indubbiamente una delle difficoltà principali
dell’analisi di tale ambiente, anche a motivo della crescente turbolenza,
complessità e discontinuità che caratterizza gli scenari entro i quali le imprese si
trovano attualmente ad operare.
L’analisi del macro-ambiente appare, quindi, complessa e articolata, e la
letteratura in materia non sembra aver ancora prodotto una facile ed univoca
metodologia di analisi dei cambiamenti ambientali fondamentali per la vita
dell’impresa. Ciò su cui si concorda sono, invece, i compiti di tale analisi; questa si
deve, infatti, occupare di:
- monitorare le forze e le tendenze presenti in ciascun sub-sistema;
- selezionare le variabili strategicamente più rilevanti per la condotta
dell’impresa;
- individuare i probabili scenari futuri relativi a tali fenomeni;
- prevedere il loro impatto sia sulla condotta strategica dell’impresa, che sulla sua
posizione competitiva.
In questa analisi l’impresa può avvalersi di statistiche ufficiali, analisi redatte da
enti di ricerca, quali previsioni di tipo economico o tecnologiche, proiezioni
demografiche, stime relative alle materie prime, sondaggi e focus group condotti in
proprio o attraverso società di consulenza; nella formulazione di congetture sui
probabili scenari futuri, risultano, invece, molto utili la metodologie quantitative
rese disponibili dalle nuove tecnologie, quali le simulazioni dinamiche e i sistemi
esperti.
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L’ambiente economico
L’analisi dell’ambiente economico si prefigge di individuare e osservare la
posizione attuale e i futuri cambiamenti delle principali variabili che caratterizzano
gli scenari macroeconomici nazionali ed internazionali. In particolare, l’analisi è
volta ad evidenziare le relazioni che esistono tra tali variabili, la condotta strategica
dell’impresa e la sua performance.
Le forze presenti in tale ambiente sono identificabili attraverso numerosi e
complessi indicatori che riguardano ad esempio la composizione e l’andamento
delle diverse tipologie di produzione (agricola, industriale, terziaria); il reddito
disponibile delle famiglie, gli investimenti, il costo del lavoro o del denaro, i
consumi, la bilancia dei pagamenti, l’andamento di tassi di cambio, i tassi di
inflazione nazionali ed internazionali, l’andamento dei prezzi interni rispetto
all’import e il risparmio.
I fattori in esame, essendo legati ai consumi nazionali ed internazionali, ai
prezzi dei fattori della produzione, agli investimenti, alla disponibilità di beni e
servizi, ecc., sono in grado di influenzare il posizionamento competitivo
dell’impresa cui si richiede, di conseguenza, un’attenta analisi del loro andamento
attuale e prospettico, al fine di definire e scegliere i comportamenti strategici più
consoni ai probabili scenari futuri 3.
Elementi quali crescita economica (PIL, PNL), tassi di interesse, tassi di cambio
e d’inflazione, influenzando il potere d’acquisto dei potenziali consumatori ed il
costo del capitale dell’impresa, possono, influire sulle scelte delle organizzazioni
relativamente alle principali direttici di sviluppo.
Se, ad esempio il PIL cresce dovrebbero crescere anche le sue componenti
principali: consumi (privati e pubblici), investimenti e il saldo import/export.
L’andamento del reddito disponibile delle famiglie può connettersi ad un aumento
o una riduzione dei consumi reali o il loro differimento per alcune categorie di
prodotti e/o servizi. L’incremento dei consumi e degli investimenti rappresenta,
nella logica delineata, un’opportunità per le imprese nella misura in cui le stesse
riescono a prevedere gli andamenti favorevoli sfruttandoli per il proprio sviluppo.
Al contrario, in condizioni di congiuntura sfavorevole e stagnazione della
domanda, le imprese sono chiamate a ridisegnare i propri assetti strategici
focalizzando sul recupero di efficienza e sulla riduzione dei costi di produzione.
3
L’impresa dovrebbe dotarsi di un modello di analisi e previsione relativo ai fenomeni di tipo
macroeconomico, al fine di stabilire le condotte strategiche più consone agli scenari futuri. Tali
modelli vengono forniti, in particolare, dalle scienze matematico-statistiche e comportamentali. Ne
sono alcuni esempi: gli indicatori economico-congiunturali, i modelli esrtapolativi, i modelli
econometrici e il metodo delle interviste (analisi dei piani di investimento delle imprese o dei piani di
spesa delle famiglie) (Valdani, 1995).
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Le condizioni dell’economia hanno impatto sulla capacità delle imprese di
produrre profitti anche in relazione al grado di internazionalizzazione raggiunto
dalle stesse: un esempio è fornito dalla variazione dei tassi di cambio.
La variazione dei tassi di cambio dell’euro rispetto alle principali valute
straniere, ad esempio, può impattare sui margini di profitto delle imprese
internazionalizzate nella misura in cui le stesse si approvvigionano di input
dall’estero e collocano i propri output sui mercati internazionali: se la moneta di un
Paese si apprezza nei confronti di quella di un altro Paese, diminuisce il costo delle
importazioni, ma si riduce il livello delle esportazioni che diventano
proporzionalmente più costose; viceversa quando si verifica una svalutazione della
moneta nazionale cresce il costo dei fattori produttivi importati sebbene si possa
registrare, contemporaneamente, un aumento del livello delle esportazioni
(Calvelli, 1998).
L’analisi dei differenziali dei tassi di inflazione attuali e prospettici nelle diverse
aree-paese può incidere sull’incremento dei prezzi di fornitura a livello
internazionale e sulla distribuzione geografica dei consumi di particolari beni e
servizi (Sicca, 1998).
Allo stesso modo l’analisi dei differenziali del costo del lavoro e del denaro
possono indurre le imprese a delocalizzare le proprie produzioni in paesi
caratterizzati da un minor costo della manodopera o in cui risulta più conveniente
per le stesse l’approvvigionamento di fonti di finanziamento.
L’analisi dell’ambiente economico dovrebbe, quindi, rispondere a domande,
quali ad esempio:
− quali sono le prospettive del sistema economico nazionale ed internazionale?
Siamo in una fase di recessione o di espansione?
- quale è l’evoluzione degli investimenti e del risparmio delle famiglie? Come si
distribuisce il reddito per area geografica, età e tipologia di nucleo familiare?
− quale è l’andamento della produzione industriale nazionale e internazionale?
Un esempio di analisi macroambientale di variabili di tipo economico, utilizzata
in questo caso per fare proiezioni sui cambiamenti di rotta dei flussi d’investimento
internazionale e delle traiettorie generali d’internazionalizzazione, ci viene fornito
dalle scelte strategiche attuate dal gruppo multinazionale SKF.
L’impatto delle variabili economiche sulle scelte strategiche delle imprese:
l’ingresso di SKF in Cina
Nel giugno del 2002, Sune Carlsson, presidente di SKF, ha chiarito intenzioni
strategiche e motivazioni del suo gruppo affermando la necessità per la Corporate di
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affrontare in modo tempestivo ed intraprendente la ciclicità dell’economia spostando la
crescita internazionale del gruppo in Estremo Oriente.
Il leader mondiale dei cuscinetti a sfera, infatti, subite le conseguenze della crisi
economica mondiale partita dall’America, ha deciso di rafforzare il proprio impegno in
Asia attuando un ingresso in Cina, paese che, secondo le previsioni degli economisti,
dovrebbe continuare a registrare elevati tassi di crescita interna per i prossimi anni.
All’epoca in cui è stata effettuata la scelta, SKF era già presente in Asia in India, Indonesia
e Malaysia. Il progetto di sviluppo in Cina rispondeva, pertanto, alle necessita di
fronteggiare le minacce derivanti dall’andamento sfavorevole delle variabili economiche a
livello internazionale e di sfruttare le opportunità presenti nell’emergente mercato cinese.
Per ridurre la dipendenza del gruppo da singoli clienti e dalla ciclicità dei settori, la SKF
ha annunciato, recentemente, la diversificazione oltre che delle aree geografiche anche del
suo business, programmando l’entrata in segmenti industriali complementari
(manutenzione after-market) al tradizionale business dei cuscinetti a sfera e, riconoscendo
la trasversalità di applicazioni della tecnologia del suo prodotto (fondata sulla riduzione
dell’attrito), ha programmato nuove iniziative, sia in settori tradizionali e maturi quali
l’energia eolica, le attrezzature sportive, le macchine utensili ad alta velocità, sia in nuovi
settori come la tecnologia drive-by-wire, che ha permesso la realizzazione della “concept
car” con l’inserimento di tutti i comandi al volante.
Fonte: Il Sole-24Ore 07/06/2002.
L’ambiente politico-istituzionale
L’analisi dell’ambiente politico istituzionale si propone di individuare l’insieme
delle politiche adottate dai governi in materia di attività economica, che possono
influenzare l’assetto competitivo di alcuni settori.
In particolare, i fattori politico-istituzionali riguardano regolamentazioni
governative, settoriali e legali, formali ed informali, alle quali l’impresa dovrebbe
attenersi
entrando
in
uno
specifico
contesto:
ad
esempio
la
regulation/deregulation4 di alcuni settori, le leggi ambientali, la politica fiscale, la
normativa dell’impiego, la tutela della concorrenza, il diritto societario (corporate
governance), il diritto dei consumatori così come le restrizioni al commercio e
tariffe e gli accordi internazionali di cooperazione economica.
4
La deregulation è la politica mediante la quale lo Stato interviene nell’economia abolendo vincoli e
misure protezionistiche. Essa è, pertanto, all’origine di forti cambiamenti negli assetti della
competizione. Basti pensare alla deregulation delle telecomunicazioni in Europa che ha dato origine
ad uno dei mercati più competitivi del mondo (Pellicelli, 2002).
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Come forze del macro-ambiente tali elementi possono influenzare in misura più
o meno accentuata le prospettive di profitto e possono configurarsi come minacce o
opportunità per tutte le imprese indipendentemente dal loro ambito settoriale
(Grant, 1999)5.
L’analisi di tale ambiente non appare semplice: non bisogna, infatti, dimenticare
che l’intervento dei poteri pubblici è spesso soltanto prevedibile, ma non
conoscibile in anticipo con certezza. Sono molti i casi di progetti di fusione,
acquisizione o collaborazione, ad esempio, che sono stati ostacolati o sottoposti a
revisione a causa di normative regolamentatici della concorrenza (Antitrust).
E’ il caso dell'inglese Emi, impresa discografica britannica costretta a ritirare
un’offerta per l'incorporazione della divisione musicale 6 dell’americana Time
Warner, a causa della decisione dell’Antitrust.
A rendere necessaria l’offerta di Emi sono stati i cali delle vendite registrati in
seguito alla diffusione della pirateria, ma il rispetto delle norme vigenti in tema di
concentrazione della concorrenza e le potenziali ripercussioni derivanti dalla
violazione delle regole hanno impedito alla società di portare a termine
l’acquisizione.
Per quanto riguarda il caso italiano, i principali fenomeni legati all’ambiente
politico-istituzionale verificatisi negli ultimi dieci anni sono riconducibili, in
particolare, alla privatizzazione delle imprese pubbliche, alla deregulation di
diversi settori industriali e del terziario quali le telecomunicazioni, il settore
bancario, il commercio, il settore dell’energia (in particolare quello dell’energia
elettrica) e il settore del trasporto pubblico (aereo e ferroviario), alla riforma del
diritto societario, alla devolution e al progressivo federalismo, all’ingresso
dell’Italia nell’UE e all’adozione della moneta unica.
Con particolare riferimento alla deregulation si sottolinea il suo ruolo
nell’attenuare i vincoli normativi posti dalla legislazione della Pubblica
Amministrazione alla discrezionalità degli operatori privati. In quest’ottica essa
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In riferimento al diverso impatto che i fattori macro ambientali possono esercitare sui settori
industriali e sulle imprese in essi operanti, Grant (1999) evidenzia come alcune problematiche
generalmente tralasciate perché non considerate prioritarie dalla maggioranza delle imprese, quali, ad
esempio, il riscaldamento del pianeta, assumano una elevata importanza per specifici produttori, come
quelli operanti nel settore automobilistico, petrolifero ed energetico: eventuali provvedimenti
governativi per la riduzione della produzione di biossido di carbonio e di gas –responsabili
dell’effetto serra- hanno, infatti, un’incidenza diretta sulla domanda dei loro prodotti e sui loro costi
di produzione.
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Ormai il settore della discografia mondiale è dominato dai grandi gruppi: Universal con una quota
di mercato del 25,9%, Sony (14,1), Bertelsamann Music Group (Bmg, con l'11), Warner (11,9). Alle
etichette indipendenti resta solo un quarto del mercato.
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può pertanto prospettare nuove opportunità di sviluppo per le imprese italiane nella
misura in cui riguardi uno o più dei suoi campi di applicabilità.
In Italia, gran parte dei settori interessati a forme di intervento pubblico sta
attualmente attraversando una profonda fase di trasformazione in una direzione che
tende ad responsabilizzare le imprese incentivando l’attività privata. La
liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, accompagnata dall’evoluzione
tecnologica, ha, ad esempio, determinato la fine della condizione di monopolio che
per lungo tempo lo hanno caratterizzato offrendo nuove opportunità di sviluppo per
le imprese.
In un’ottica di internazionalizzazione delle imprese, che interagiscono con un
contesto ambientale più esteso e che travalica i confini geografici nazionali, può
essere considerato, inoltre, il peso che le differenze politico-istituzionali esistenti
tra il contesto d’origine e il contesto obiettivo esercitano sull’attività delle imprese
(Xu e Shenkar, 2002).
Ciò che si vuole evidenziare in questa sede è che in un’ “ottica allargata” le
imprese internazionalizzate, o che intendono attuare strategie di
internazionalizzazione, possono cogliere sfide ed opportunità derivanti dai
mutamenti in atto nello scenario politico-legislativo internazionale.
L’analisi dell’ambiente politico-istituzionale dovrebbe, in sintesi, rispondere a
domande, quali ad esempio:
− quali sono i prevedibili cambiamenti nella politica economica nazionale ed
internazionale? Quale sarà il loro impatto sui diversi settori industriali?
− quali sono i paesi che stanno incentivando l’ingresso di imprese straniere
attraverso abbassamenti tariffari, incentivi fiscali o misure di tutela per il
capitale estero investito?
− in che misura i diversi provvedimenti fiscali possono influenzare il
comportamento delle imprese?
Un esempio di intervento legislativo generale, e quindi macro-ambientale, volto
a stimolare l’economia e la crescita di un Paese, incentivando l’ingresso delle
imprese straniere in quest’ultimo, è rappresentato dalla legge sugli investimenti
esteri in Iran.
Gli interventi politico-legislativi per l’incentivazione degli investimenti stranieri:
il caso Iran
Nel giugno 2002 è arrivato il placet definitivo all’attesa legge sugli investimenti diretti
esteri in Iran. La norma ha avuto un iter molto travagliato e dopo una prima approvazione il
16 maggio 2001, è stata bocciata due volte dal Consiglio dei Guardiani (organo incaricato
di salvaguardare il carattere integralista islamico dello Stato) in quanto non coerente con la
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Costituzione. Il consenso definitivo è arrivato dal Consiglio per la determinazione delle
scelte, organo costituzionale di indirizzo più pragmatico e dotato di poteri arbitrali in caso
di controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani.
Nella nuova normativa, che prevede misure di tutela per il capitale estero investito, non
vi sono limiti nella partecipazione estera a singoli progetti di joint venture, ma è stato
fissato il limite massimo di presenza straniera in ogni singolo settore economico tra il 25%
e il 35%, con l’eccezione dei settori strategici.
Questa legge si inserisce in un quadro normativo più favorevole ai rapporti commerciali
e alla collaborazione industriale ed esprime una tendenza generale confermata dall’entrata
in vigore anche di una legge che riduce la pressione fiscale sui redditi aziendali, fissando
una imposizione unica sui profitti non superiore al 25%. La nuova legge prevede maggiore
trasparenza anche per la concessione di incentivi fiscali ed una riduzione della tassazione
sulle attività di formazione e assistenza tecnica.
Grazie a tale contesto politico-economico più favorevole è stata modificata anche la
valutazione Ocse, adottata dalla Sace, relativa al rischio-paese Iran e tra il 2000 ed il 2001
la categoria di rischio è passata dalla sesta alla quarta. Il governo iraniano ha, inoltre, varato
nuovi programmi per ridurre la dipendenza dall’export petrolifero. I nuovi programmi
privilegiano i settori considerati trainanti: lo sfruttamento del gas naturale -di cui l’Iran
possiede immensi giacimenti-, il petrolchimico e il minerario, l’agricoltura e la agroindustria.
Tra gli obiettivi programmatici individuati dalle autorità iraniane compaiono per la
prima volta anche innovazioni nell’assetto organizzativo statale come la privatizzazione di
aziende pubbliche, l’eliminazione dei monopoli, la liberalizzazione del settore creditizio e
la semplificazione della normativa sul commercio, al fine di incrementare le esportazioni.
Fonte: Il Sole-24ore, 05/06/2002.
L’ambiente socio-culturale
Scopo prevalente dell’analisi dell’ambiente socio-culturale è quello di
identificare i modelli culturali prevalenti e i loro futuri cambiamenti nei diversi
contesti-paesi paese dove l’impresa è presente o ha intenzione di entrare. Ciò nella
considerazione del fatto che credi e valori fortemente radicati sul territorio sono in
grado di influenzare le motivazioni, i processi decisionali ed i comportamenti di
acquisto dei consumatori, i comportamenti delle imprese, nonché la propensione
alla collaborazione di queste ultime (Calvelli, 1998).
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Fanno parte dell’ambiente socio-culturale l’insieme dei valori, credi, tradizioni,
linguaggi, stili di vita7, tipici delle diverse culture, nonché le modalità
organizzative proprie della società civile (sindacati, organizzazioni politiche, etc.).
Tali fattori risultano strettamente interconnessi (Valdani, 1995): la cultura, la
sub-cultura, la stratificazione delle classi sociali, i gruppi sociali determinano,
infatti, i valori, le personalità e gli stili di vita degli individui. In particolare, la
cultura fornisce norme di comportamento che costituiscono il patrimonio ereditario
di una collettività, che giocoforza influenzano anche i modelli di comportamento di
acquisto e di consumo.
Il contesto socio culturale dei sistemi economici avanzati è in continua
evoluzione e soggetto anche a rapide e radicali trasformazioni: il cambiamento
culturale può essere, infatti, interpretato come il processo attraverso il quale una
società migliora e riesamina le proprie basi, ridefinendo gli stili di vita tradizionali
e creandone di nuovi.
In questo senso, l’analisi dei trend socio-culturali appare di difficile
interpretazione per l’impresa, anche se la stessa può in molti casi trovare un utile
supporto negli studi svolti da importanti centri di ricerca che svolgono indagini ad
hoc su tali variabili.
Facendo specifico riferimento al caso italiano è possibile rilevare come il
cambiamento nei valori emergenti registrato negli ultimi anni abbia impattato in
maniera significativa sui modelli di consumo nazionali, soprattutto dei prodotti
durevoli, rappresentando per le imprese nuove sfide ed opportunità.
Negli anni ’60 il consolidamento in Italia dei valori del ceto medio urbano delle
città industrializzate nel nord indusse l’affermazione di beni ad alta
standardizzazione: l’automobile, il televisore e gli elettrodomestici
simboleggiavano il nuovo stile di vita nazionale. In questo contesto le imprese
erano chiamate a soddisfare una domanda poco differenziata e ciò anche in
relazione al paradigma tecnologico allora dominante8.
Con il frammentarsi degli stili di vita e il declino degli ideali collettivistici e
centralizzati, sono andati progressivamente manifestandosi nuove e diverse
aspettative che hanno impattato sulla domanda rendendola più varia e variabile. In
quest’ottica, e con riferimento all’esempio proposto, le imprese hanno dovuto
cogliere le nuove sfide/opportunità derivanti dai cambiamenti del macro-ambiente
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“Gli stili di vita possono essere definiti come modelli secondo i quali gli individui vivono e
impiegano il loro tempo e le loro disponibilità economiche” (Valdani, 1995).
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Con riferimento al caso delle automobili, Tunisini (1995) ha rilevato come le automobili utilitarie
degli anni ‘60 fossero ideate come risposta ad aspettative di auto a basso costo, e quindi accessibili
anche a livelli di reddito non molto elevati, e da utilizzare per il tempo libero e i piccoli spostamenti
casa-lavoro.
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sfruttando le potenzialità offerte dall’automazione flessibile per la soddisfazione di
una domanda sempre più parcellizzata e differenziata (Tunisini, 1995).
Le principali tendenze socio-culturali affermatesi in Italia negli ultimi decenni
sono riconducibili ad una maggiore attenzione per la tutela della natura e
dell’ambiente (ecologismo), ad un crescente interesse verso i problemi nutrizionali
e dietetici (salutismo) e ad un maggiore interesse per il divertimento e il benessere
interiore (edonismo). A ciò si aggiunge la standardizzazione dei modelli di
consumo (assimilazione dei modelli di consumo di altri paesi o di gruppi sociali di
riferimento), l’apertura al nuovo (ad esempio alle nuove tecnologie), e
l’affermazione di comportamenti individualistici tesi al perseguimento dell’autorealizzazione e all’auto-gratificazione.
L’affermazione di una maggiore sensibilità verso i temi ambientali e il rispetto
della natura ha impattato in una duplice direzione: da una lato essa ha incrementato
il numero dei vincoli imposti alle produzioni ad alto impatto ambientale e dall’altro
ha stimolato una crescente attenzione dei consumatori verso prodotti
ecologicamente compatibili.
Mentre in passato si riteneva che il degrado ambientale fosse un costo da pagare
per consentire lo sviluppo economico, negli ultimi anni, la tutela ambientale ha
assunto una rilevanza sempre maggiore. Ciò significa che i cambiamenti delineatisi
nell’ambito di una delle variabili del macro-ambiente hanno assunto, sia una
valenza di vincolo (uso delle risorse, limiti all’inquinamento, accettabilità sociale
delle attività industriali) che di opportunità (sviluppo di nuovi prodotti e processi
compatibili o indirizzati alla tutela dell’ambiente) per le scelte strategiche9 delle
imprese (Frey, 1995).
L’affermazione dell’edonismo, dell’individualismo e della ricerca di maggior
tempo libero ha incentivato la domanda di prodotti per lo svago - sport,
intrattenimento, servizi culturali e vacanze –disincentivando, contemporaneamente.
la domanda di alcune attività di base.
L’orientamento al nuovo, soprattutto verso i prodotti ad alta tecnologia, ha
impattato sullo sviluppo della domanda legata alle tecnologie dell’ informazione e
comunicazione (ICT) quali: servizi via telematica (home banking, trading on line,
consultazione banche dati, ecc.), editoria multimediale e così via.
9
Per evitare danni all’ambiente l’impresa ha a disposizione due alternative: essa può decidere di
adottare un approccio di tipo “sanatorio” ovvero di ripristino delle condizioni ambientali, o un
approccio di tipo “preventivo” orientato a ridurre al minimo l’impatto ambientale attraverso il ricorso
a tecnologie pulite, all’ottimizzazione nell’uso delle materie prime e al recupero e riciclaggio dei
prodotti di lavorazione.
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Anche l’assimilazione dei modelli di consumo di paesi esteri o di gruppi di
riferimento
ha
consentito,
in
un’ottica
maggiormente
orientata
all’internazionalizzazione delle imprese, la diffusione di alcune categorie di
prodotti in diversi paesi del mondo (si pensi, ad esempio ai jeans, alla Coca cola o
ai fast food).
Benché non sia scopo della presente trattazione analizzare il modo attraverso il
quale le differenze culturali tra paesi possano influenzare le strategie di
internazionalizzazione delle imprese, si rileva, comunque, come la distanza tra
cultura d’impresa e cultura del paese ospite rappresenti una delle principali fonti
dei problemi d’integrazione di una impresa che opera o vuole operare
internazionalmente, in quanto costituisce un fattore di rischio che può
compromettere il successo della strategia adottata (Calvelli, 1998; Mesh e Roger,
1994; Kogut e Singh, 1988).
L’interdipendenza tra i diversi mercati, lo sviluppo degli strumenti di
comunicazione e quello dei linguaggi globali (Internet) hanno favorito l’incontro e
l’interscambio tra diverse culture riducendo plausibilmente la distanza fisica e
psicologica tra i popoli (Arnold e Quelch, 1998). Tuttavia, i fallimenti delle
strategie globali condotte da alcune grandi imprese come la Coca-Cola e la Walt
Disney Company sembrano suffragare l’ipotesi che i suddetti fattori abbiano
guidato l’evoluzione delle diverse culture senza, tuttavia, determinarne una vera e
propria omogeneizzazione.
Non è un caso, ad esempio, che la Coca-Cola, abbia progressivamente
modificato la strategia globale perseguita durante gli anni ’70 e ’80 a fronte delle
difficoltà di gestione derivanti dalla scarsa attenzione prestata alle specificità socioculturali dei mercati nei quali operava.
Allo stato attuale Coca-Cola Company opera in circa duecento paesi
decentrando poteri decisionali e operativi a managers locali e posizionando i propri
marchi su basi regionali.
Emerge, dunque come la mancanza di conoscenza market specific costituisca un
ostacolo importante all’internazionalizzazione delle imprese: differenze di
linguaggio, cultura, usi e costumi influenzano in modo ineludibile le strategie
adottabili dalle imprese rappresentando un serio impedimento al loro successo; allo
stesso modo, però, esse assumono il ruolo di opportunità da cogliere qualora siano
attentamente analizzate ed utilizzate in una logica di apprendimento, come
“risorse” da acquisire per l’implementazione di strategie di adeguate.
L’analisi dell’ambiente socio-culturale dovrebbe, in sintesi, rispondere a
domande, quali ad esempio:
14
-
quali sono i trend attuali ed emergenti negli stili di vita, nelle mode e nella
cultura del paese? Perché si stanno verificando?
quali implicazioni presentano per la condotta attuale e futura delle imprese?
L’impatto delle variabili socio-culturali sulle scelte delle imprese: il mercato della
bellezza in Cina
Negli ultimi anni la Cina è stata investita da un’ondata di edonismo che ha coinvolto
entrambi i sessi; la cura del corpo sta, infatti, diventando un aspetto molto importante della
società cinese. Questo fenomeno interessa non tanto i poveri agricoltori, ma quella
borghesia emergente che risiede nelle grandi città e che, giorno dopo giorno, si affaccia sul
mercato dei beni di consumo.
Nel 2004 i prodotti di bellezza sono diventati la quinta voce di spesa nel portafoglio dei
consumi domestici. Ogni cinese spende oggi in media circa 5 dollari al mese per acquistare
creme, profumi, balsami, bagnoschiuma e belletti di ogni genere.
L’industria del benessere, a partire dalla fine degli anni ’90, è cresciuta a tassi del 25%
annui e gli esperti del settore sono convinti che nei prossimi cinque anni tale crescita
dovrebbe proseguire ad un ritmo del 15%.
Oggi la Cina è quindi il mercato della bellezza più grande e più ricco del mondo: un
parco sterminato di consumatori, 9 miliardi di dollari di giro d’affari annuo e oltre tremila
aziende operanti nel settore.
I protagonisti di tale mercato sono stati finora i produttori nazionali, i quali però devono
iniziare a fare i conti con l’agguerrita concorrenza delle aziende straniere, aiutata anche
dalle autorità cinesi che stanno favorendo l’ingresso delle società straniere tagliando le
tariffe e stimolando l’utilizzo di Hong Kong come porta di accesso per il mercato cinese.
Le porte aperte al mercato della bellezza cinese stanno spingendo anche alcuni operatori
italiani a tentare la sfida competitiva oltre la Grande Muraglia. “E’ la prima volta che
veniamo ad esporre i nostri prodotti a una fiera cinese e stiamo notando molta curiosità da
parte di un pubblico che ci sembra molto sensibile alle novità e alle innovazioni” dice
l’export manager di un’azienda torinese che produce cosmetici professionali per capelli.
“Quello cinese è un mercato che offre un notevole potenziale di crescita, ma che deve
essere ancora formato. Per questa ragione, sono fondamentali due cose: arrivare qui con
prodotti adeguati, in molti casi tagliati su misura per la clientela cinese e poi trovare un
distributore locale affidabile” avverte la responsabile per i mercati emergenti di una rivista
del settore della bellezza che ha appena lanciato l’edizione in lingua cinese.
Fonte: Il Sole-24ore, 28/10/2004
15
L’ambiente demografico
L’analisi dell’ambiente demografico si prefigge l’obiettivo di individuare le
principali tendenze relative alla struttura demografica della popolazione
appartenente al contesto paese in cui l’impresa opera o intende operare in futuro.
L’aggregato in esame include tutti i fenomeni che incidono sulla dinamica e
sulla struttura della popolazione, in termini di classi di età, sesso e gruppi etnici.
Variabili significative dell’ambiente demografico sono, pertanto: il tasso di crescita
della popolazione, la sua stratificazione per età, il numero medio dei componenti
per famiglia, il tasso di natalità e di mortalità, il grado di urbanizzazione, la
struttura e l’andamento dell’occupazione, nonché la direzione e l’intensità dei
flussi migratori interni, da e per l’estero.
Le variabili indicate presentano effetti socio-culturali facilmente prevedibili che
si ripercuotono sulla dinamica dei consumi e, quindi, sulle politiche di marketing
delle imprese (Valdani, 1995). Esse, infatti, influenzando i bisogni del
consumatore, i comportamenti d’acquisto e la dimensione dei potenziali mercati,
determinano il grado di elasticità e di dinamicità della domanda di mercato e
possono variamente alterare i margini di profitto realizzabili dalle imprese.
Con specifico riferimento al contesto italiano si è evidenziata, negli ultimi anni,
una progressiva riduzione del tasso di crescita della popolazione, con un
incremento del tasso di invecchiamento e di sopravvivenza, accompagnato da una
riduzione del numero medio dei componenti per famiglia e del numero dei
matrimoni. A ciò si aggiunge un aumento del tasso di occupazione femminile e un
profondo cambiamento dei flussi migratori che ha visto, negli ultimi dieci anni, un
consistente incremento dei flussi provenienti dal bacino del mediterraneo e
dall’Europa centro-orientale.
Le trasformazioni socio-demografiche delineate non possono non impattare
sulle scelte strategiche delle imprese in virtù dei profondi cambiamenti che
inducono nella struttura dei mercati e, soprattutto, nei comportamenti di acquisto
dei consumatori italiani.
Le tendenze in atto possono, dunque, rappresentare, sia una minaccia, nella
misura in cui determinano una riduzione, in termini quantitativi, della domanda per
alcune categorie di prodotti o servizi, sia un’opportunità legata alla possibilità di
ampliare l’offerta dell’impresa e di elevare il rapporto prezzo/qualità per un
pubblico di consumatori meno sensibile al prezzo.
La riduzione del tasso di natalità, ad esempio, accompagnato da un incremento
della vita media comporta, da un lato, una riduzione nella domanda di beni e
servizi per la prima infanzia e l’adolescenza, come prodotti alimentari specifici, e
16
prodotti di abbigliamento, e, dall’altro, un aumento della domanda di prodotti e
servizi sociali e sanitari appositamente ideati per gli anziani.
Anche il progressivo aumento dei gruppi familiari mono-componenti o con un
solo figlio e l’incremento del numero di separazioni da matrimonio comporta
nuove opportunità per le imprese che offrono alcuni servizi, come quelli ricreativi e
per il tempo libero, attività culturali e servizi di “supporto per la gestione
domestica”(servizi di pulizie, tintorie, ecc.). Tale trend ha inoltre indotto le imprese
ad introdurre nuovi formati (molto spesso monodose) nei prodotti.
Lo sviluppo dell’occupazione femminile rappresenta un’altra variabile che ha
impattato in modo profondo sui vigenti modelli di consumo: un primo effetto,
concretizzatosi nella nascita e diffusione di negozi despecializzati di grande
superficie come supermercati, ipermercati e shopping center, è infatti coniugabile
alla riduzione del tempo disponibile per gli acquisti che ha incentivato la nascita di
negozi dotati di un assortimento ampio e profondo in cui concentrare la
maggioranza degli acquisti.
Un’ulteriore evoluzione dei modelli di consumo nazionali è riconducibile alla
crescente mobilità della popolazione e, in particolare, al fatto che l’Italia è divenuta
meta di flussi migratori. Il progressivo addensarsi di gruppi di immigrati
provenienti dal bacino del mediterraneo, dall’Est Europeo, dal Sud-Est asiatico e
dal Sud America, ha indotto le imprese a modificare le propria offerta, adottando
nuovi criteri di segmentazione e di differenziazione, al fine di rendere la stessa
adeguata alle esigenze di una società sempre più multietnica ed ha aperto spazi per
nuove imprese che forniscono prodotti e servizi specificamente destinati a tale
segmento di popolazione (es. servizi telefonici internazionali o negozi alimentari
specifici)
L’analisi dell’ambiente demografico dovrebbe, quindi, rispondere a domande,
quali ad esempio:
− quali trend demografici influenzeranno le dimensioni e la composizione della
domanda del settore? Con quali modalità?
− quali cambiamenti demografici rappresentano opportunità e quali minacce?
L’impatto delle variabili demografiche sulle scelte delle imprese: i servizi bancari
dedicati agli anziani
Gli anziani sono sempre più “corteggiati” da parte delle banche. Un anziano titolare di
pensione certa è, infatti, considerato più interessante e più affidabile di un trentenne con un
lavoro autonomo o a contratto.
Numerose banche hanno così rilanciato i pacchetti dedicati agli anziani o riadattato i
conti a basso costo esistenti, hanno innalzato l’età massima per la sottoscrizione di polizze
17
Vita e per l’accensione di un mutuo di lunga durata: una scelta che oggi viene effettuata
sempre più spesso, programmando il futuro subentro di figli o nipoti.
Tali servizi dedicati, oltre a condizioni di conto corrente sempre più vantaggiose,
presentano come obiettivo quello di superare l’atteggiamento di grande prudenza che la
terza età continua ad opporre al sistema bancario, accresciuto dopo i recenti crack finanziari
che hanno comportato mancati guadagni e significative perdite per migliaia di piccoli
investitori e i ritocchi delle spese da parte di molti istituti bancari.
Fonte: Il Sole-24ore, 18/04/2004
L’ambiente tecnologico
La tecnologia rappresenta una delle variabili ambientali che ha maggiormente
stimolato lo sviluppo delle imprese, e, più in generale, i principali mutamenti nella
vita degli uomini. L’innovazione tecnologica10 costituisce, infatti, uno dei fattori
che più di altri contribuisce alla crescita economica, attraverso l’incremento
dell’efficienza con la quale il sistema economico soddisfa i bisogni dei
consumatori (Valdani, 1995).
L’ambiente tecnologico viene analizzato, in questo ambito, soprattutto per la
sua potenziale incidenza sulle fonti del vantaggio competitivo e sulle relazioni
concorrenziali fra imprese. Le sue variabili costituenti (in particolare, attività di
R&S, processi di automazione, incentivi tecnologici, tasso di cambiamento
tecnologico) possono, infatti, abbassare le barriere strutturali all’entrata in un
settore industriale, aumentare i livelli di efficienza della produzione ed influenzare
le decisioni di outsourcing. Si consideri, ad esempio, l’impatto attuale e potenziale
delle innovazioni connesse alle biotecnologie che vengono impiegate nell’industria
alimentare o per la produzione di prodotti di qualità superiore; ai nuovi materiali
che comportano nuove opportunità per le imprese o alle tecnologie
dell’informazione ed alle loro applicazioni.
I fattori tecnologici vanno analizzati con riferimento sia alle tecnologie di base,
sia a quelle applicative.
Le tecnologie di base costituiscono il patrimonio delle conoscenze e dei principi
scientifici e tecnologici generali entro cui si sviluppano le tecnologie applicative
(informative, logistiche, dei processi produttivi, tecnologie organizzative e
manageriali) le quali sfruttano i principi generali al fine di conferire un vantaggio
competitivo all’impresa (si pensi alle opportunità derivanti dalla diffusione di
10
“L’innovazione tecnologica viene comunemente intesa come lo sviluppo, per fini commerciali, di
nuovi prodotti o di nuovi processi, o come il miglioramento di prodotti o processi esistenti”.
(Gambardella, 1995)
18
microchip, materiali compositi, materiali plastici come il PET e il PVC, delle fibre
ottiche e della tecnologia laser).
Le innovazioni e gli sviluppi tecnologici che hanno prodotto i maggiori
cambiamenti per le imprese possono essere ricondotti a tre diversi ambiti:
L’automazione e lo sviluppo dell’Information and Comunication
Tecnology - ICT (computer e Internet).
Tali progressi hanno modificato il modo di condurre gli affari e di gestire le
informazioni, tanto che sono divenute vere e proprie risorse strategiche per
competere nell’attuale scenario internazionale. Ad essi è riconducibile la nascita di
operatori indipendenti che svolgono attività di raccolta e di gestione delle
informazioni nonché di consulenza per le imprese che si accingono ad operare in
ambito nazionale ed internazionale.
Lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni.
Tali cambiamenti hanno permesso di velocizzare i flussi di scambio riducendo
tempi e costi di trasporto ed hanno consentito di aumentare la sicurezza del transito
riducendo le perdite del carico.
Il generale sistema industriale.
Lo sviluppo tecnologico ha permesso un progressivo miglioramento della
produttività degli impianti che ha innalzato i livelli minimi di produzione necessari
per poter sfruttare economie di scala e raggiungere, quindi, l’efficienza produttiva.
Per tale ragione le imprese sono state nello stesso tempo incentivate ad aumentare
la produzione e costrette a ricercare nuovi mercati di sbocco per collocare
l’eccedenza. D’altro canto la rapida saturazione dei mercati di sbocco ha spinto le
imprese alla ricerca di una continua innovazione e/o specializzazione ed ha elevato
i tassi di dinamicità industriale (Petersen e Pedersen, 1999)11.
Quando l’innovazione si è poi progressivamente spostata verso le tecnologie
dell’informazione (attraverso l’utilizzo dell’elettronica nella programmazione, nel
controllo e nella gestione degli impianti e dei macchinari) per le imprese si è aperta
la possibilità di conseguire nuovi vantaggi competitivi, legati alla capacità di
variare velocemente la produzione in funzione delle variazioni della domanda
(economie di scopo).
Le innovazioni tecnologiche richiedono un continuo e sistematico monitoraggio
in quanto da esse possono derivare minacce ed opportunità di mercato che
11
A sostegno di quanto su affermato, Petersen e Pedersen (1999) hanno ricordato che durante gli anni
’60 e ’70 i produttori giapponesi operanti nel settore dell’elettronica di consumo, furono i primi a
raggiungere nuovi livelli di efficienza che permisero loro di entrare (esportazione) nel mercato
statunitense e dell’Europa occidentale con prezzi sensibilmente minori rispetto ai concorrenti locali.
Tutto ciò permise alle imprese giapponesi di cambiare la situazione competitiva nei settori industriali
dei suddetti paesi (Petersen e Pedersen, 1999).
19
l’impresa deve valutare con estrema attenzione al fine di gestirle in maniera
adeguata. Tanto più un’impresa fa capo ad un settore legato allo sviluppo
scientifico e tecnologico, tanto più rapido sarà l’impatto su di essa dei cambiamenti
tecnologici. Emerge da ciò la necessità che l’organizzazione mantenga stretti
contatti con le fonti del cambiamento tecnologico e che si ponga come anticipatrice
rispetto al suo mercato di riferimento (Rosenberg, 1987).
L’analisi dell’ambiente tecnologico dovrebbe, in sintesi, rispondere a domande,
quali ad esempio:
- in quale fase del ciclo di vita si collocano le tecnologie tradizionali che
dominano attualmente il mercato?
- quali nuove tecnologie stanno emergendo? Quale sarà il loro impatto sulle
scelte strategiche delle imprese?
- come sfruttare le nuove tecnologie dell’informazione (es. internet)?
Le opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche: le assicurazioni auto on-line
Internet sta diventando sempre più importante per le compagnie di assicurazione.
Secondo una ricerca di Databank, infatti, sono ormai due milioni gli italiani che dal 1995
hanno preferito le polizze auto on-line rispetto a quelle tradizionali, cioè il 3,5% del
mercato delle polizze auto, con un tasso di crescita del 25% annuo.
Costi inferiori, maggiore comodità e semplicità nella sottoscrizione, maggiore efficienza
e trasparenza gestionale e la possibilità di garantire un servizio più continuo grazie alla rete
web rappresentano le caratteristiche delle polizze on-line. Sono prodotti che si possono
comprare velocemente con carta di credito e personalizzare secondo le proprie esigenze.
Nei prossimi 10 anni, il mercato delle polizze on-line dovrebbe arrivare a coprire il 10%
degli italiani: un dato rilevante, anche se ancora basso rispetto all’Inghilterra e all’Olanda,
dove quasi il 40% dei cittadini ha scelto i prodotti assicurativi in rete, ma che comunque
manifesta la progressiva tendenza dei consumatori verso gli acquisti in rete.
Non è un caso, quindi, che siano state proprio le principali compagnie assicurative a
lanciare prodotti su Internet in alternativa a quelli che vendono in agenzia.
Fonte: Il Sole-24ore, 26/09/2004
L’ambiente naturale
L’analisi del macro-ambiente non dovrebbe prescindere da una valutazione
anche delle dotazioni naturali ed in generale dai fattori country specific, i quali
rivestono un ruolo fondamentale soprattutto nel processo decisionale delle imprese
(Schutte, 1997).
20
L’ambiente naturale costituisce una fonte generatrice di risorse necessarie per il
ciclo produttivo: fonti di energia, risorse idriche, materie prime, prodotti della terra
e così via. In secondo luogo esso rappresenta il recettore dei sottoprodotti
dell’attività di produzione e di consumo.
La necessità di tutelare il patrimonio naturale al fine di garantire maggiore
tutela della salute pubblica e l’accettabilità sociale delle attività industriali ha
determinato per le imprese le implicazioni di cui si è discusso nei paragrafi
precedenti e ai quali si rimanda.
In questa sede si vuole sottolineare, in particolare, come la possibilità di
trasformare i vincoli, imposti all’attività dell’impresa nel tentativo di tutela
dell’ambiente naturale, in opportunità, dipenda anche dal livello di sviluppo
raggiunto dall’ambiente tecnologico e dal grado di interazione esistente tra questo e
le organizzazioni.
L’ambiente strutturale nazionale
Lo studio dell’ambiente strutturale nazionale comporta l’individuazione dei
fattori strutturali, attuali e prospettici, dei sistemi paese in cui è presente o ha
intenzione di operare l’impresa.
Variabili significative di questo aggregato sono: la dotazione di infrastrutture
fisiche e immateriali del sistema paese, gli investimenti nel sistema formativo e
nella ricerca scientifica il costo e produttività dei fattori e il grado di diffusione
della tecnologia.
Gli elementi in esame giocano un ruolo fondamentale nell’ambito del sistema
vincoli/opportunità delle imprese, così come nell’incentivare o disincentivare le
scelte localizzative degli investimenti.
La carenza o la cattiva qualità di infrastrutture pubbliche (strade, autostrade, ma
anche trasporti e comunicazioni), ad esempio, finisce con l’aggravare i costi delle
imprese, sia direttamente costringendo gli operatori ad esborsi aggiuntivi per
l’acquisizione di servizi sostitutivi di quelli pubblici, sia indirettamente
determinando la nascita di tensioni sociali in grado di impattare in misura più o
meno significativa sui costi delle imprese (Berra, 1995).
E’ evidente, dunque, come la presenza di una dotazione infrastrutturale
efficiente, la natura e la qualità della formazione (scolastica e universitaria) e della
ricerca scientifica rappresentino i presupposti per la nascita e lo sviluppo di
imprese in grado di competere a livello internazionale.
Alla luce di quanto sottolineato circa le influenze della dimensione esterna sulle
decisioni strategico-localizzative delle organizzazioni, il caso dello sviluppo
dell’industria farmaceutica sembra rappresentare un esempio di clima
21
complessivamente favorevole all’insediamento negli USA delle imprese operanti in
tale settore.
L’influenza dall’ambiente strutturale sulle scelte localizzative delle imprese
L’industria farmaceutica mondiale è caratterizzata da circa un decennio da fenomeni di
fusioni e di acquisizioni che rappresentano anche l’occasione per realizzare importanti
dinamiche rilocalizzative dei laboratori di ricerca e degli stabilimenti produttivi. In questo
quadro, il contesto statunitense rappresenta un attrattore localizzativo la cui forza è
riconducibile a diversi fattori.
In primo luogo vanno sottolineate ragioni di tipo finanziario; le imprese, infatti, possono
finanziare le loro elevate spese di R&S ricorrendo agli investitori istituzionali (merchant
bank, venture capital, fondi pensione, liberi e privati investitori).
In secondo luogo vi sono ragioni di tipo commerciale: il prezzo dei farmaci negli Usa,
infatti, è libero ed i consumi pro-capite sono superiori ed in crescita continua rispetto a
quelli rilevati in Europa.
In terzo luogo vi è un’ampia disponibilità di ricercatori qualificati operanti nel settore
provenienti da tutto il mondo grazie ai migliori incentivi salariali offerti dall’industria
statunitense; tutto ciò finisce con assicurare qualità e sviluppo della ricerca.
Infine, gli Usa ad oggi sono tra i pochi paesi industrializzati a non ostacolare le ricerche
nel campo della biotecnologia e della genetica molecolare opponendo limitazioni di tipo
etico. Molte imprese farmaceutiche stanno investendo lungo questa direttrice di ricerca e
quindi necessitano di un paese che non ponga vincoli istituzionali ai loro studi.
Fonte: Affari e Finanza 24/01/2000.
Emerge dalle considerazioni fino ad ora proposte una concezione del macroambiente come sistema con il quale le imprese stabiliscono stretti rapporti di
interdipendenza.
Nell’ambito di un approccio di tipo resource based, un’importante
implicazione, riconducibile alla concezione sistemica dell’impresa, deriva dalla
considerazione che le imprese utilizzano, per la realizzazione delle proprie
combinazioni produttive, input materiali ed immateriali disponibili nel macroambiente nel quale esse sono inserite, risorse cioè rese disponibili da una data
società e cultura.
Esempio evidente di come combinazioni favorevoli di particolari variabili
macro-economiche, combinazioni del tutto originali di fattori sociali,
infrastrutturali, politico-istituzionali e storici influiscano sulla nascita e
22
l’implementazione di attività imprenditoriali è fornito dallo sviluppo in Italia, a
partire dagli anni ’60, dei sistemi territoriali di imprese (distretti industriali).
Il distretto industriale è una delle forme più classiche di sistema locale di
produzione, oggetto di studio di numerosi autori, italiani e stranieri, che hanno
alimentato la copiosa letteratura disponibile sull’argomento.
I distretti sono sistemi produttivi geograficamente definiti, caratterizzati da un
alto numero di imprese, geograficamente concentrate, impegnate in diversi stadi
della produzione di un prodotto omogeneo.
L’impresa distrettuale gode di quell’atmosfera industriale di cui parlava
Marshall (1920): un insieme di risorse umane e informative, di competenze che
vengono generate e si diffondono tramite rapporti frequenti e spontanei, facilitati
dalla contiguità territoriale, e tramite il confronto e la socializzazione, come
affermato da Becattini e Rullani (1993), tra gli attori locali.
I meccanismi di socializzazione di tipo informale, dovuti alla localizzazione in
un’area distrettuale, favoriscono il trasferimento di informazioni ed innovazioni a
costi più bassi. Il radicamento delle imprese nella stessa area geografica, la
condivisione di credi, valori e linguaggi, genera condizioni di trasferibilità ed
appropriabilità della conoscenza difficilmente replicabili al di fuori del distretto.
Esse costituiscono delle shared resources che non sono di proprietà esclusiva della
singola azienda ma appartengono al sistema locale grazie ai meccanismi di
collaborazione e coordinamento che si sviluppano al suo interno (Lawson, Lorenz,
1999).
Le caratteristiche delineate sostengono l’importanza e l’influenza esercitata da
particolari combinazioni di elementi del macro-ambiente sul successo di alcune
iniziative imprenditoriali.
Con ciò non vuole sostenersi che i distretti industriali italiani continuino a
conservare tutte le caratteristiche esaminate consapevoli dell’annoso dibattito
letterario esistente sull’allontanamento degli attuali sistemi di produzione dalle loro
configurazioni tradizionali.
Non si intende pertanto supportare alcuna posizione teorica a sostegno della
sopravvivenza o del declino dei distretti industriali italiani non essendo questo
l’intento perseguito nella presente trattazione.
Nella considerazione dei distretti industriali intesi come una articolata
combinazione dei fattori del macro-ambiente e come insieme di vincoli e di
opportunità in cui l’impresa si sviluppa si intende qui sottolineare soltanto come
condizioni politico-istituzionali, infrastrutturali, socio-culturali possano impattare
significativamente sulla nascita e sullo sviluppo delle iniziative imprenditoriali.
23
Il distretto industriale secondo il pensiero marshalliano
Il concetto di distretto industriale è stato concepito dall’economista Alfred Marshall nel
192012 per poi essere recuperato e rielaborato in maniera innovativa da Becattini (1979) e
dalla sua scuola fiorentina.
Secondo Becattini (1979) tre sono le principali componenti di questa peculiare modalità
di aggregazione di imprese:
- un’area territoriale circoscritta, che ha una propria storia passata ed è
naturalisticamente determinata;
- una popolazione di imprese industriali di piccole e medie dimensioni, che ivi svolge la
propria attività;
- una comunità di persone residente nell’area. La comunità di persone è accomunata da
valori sviluppatisi nel corso della storia, che danno vita a determinate istituzioni (come il
mercato, la famiglia, le imprese, la pubblica amministrazione, le scuole, i partiti politici, gli
enti assistenziali, culturali, pubblici, artistici ed economici), tradizioni e regole
comportamentali; ciascuna impresa del distretto, invece, è specializzata in una fase, o
alcune fasi, del processo produttivo tipico del distretto.
L’approccio marshalliano classico mette in evidenza il ruolo e le funzioni svolte dalle
economie esterne, dette anche di agglomerazione13, che si realizzano esternamente alla
singola impresa ma internamente al sistema locale. La vicinanza geografica consente una
riduzione dei costi di trasporto e di transazione in generale, facilità di accesso alle risorse e
alle informazioni possedute da altre imprese (economie di informazione), la prossimità di
servizi complementari, servizi per la soluzione di problemi tecnici, finanziari o di
contabilità.
Lo sviluppo di una determinata produzione manifatturiera è reso possibile
dall’accumularsi storico di un know-how tecnico maturato nella produzione artigianale; la
presenza di lavoratori tecnicamente qualificati, con conoscenze trasmesse attraverso
meccanismi informali o direttamente “on the job” (Nassimbeni,2003).
Sotto il profilo strettamente economico-industriale, i distretti mostrano alcune
caratteristiche.
12
E’ oltre un secolo fa, sulla base dell’attenta osservazione dello sviluppo industriale di Sheffield e
del Lancashire, che Alfred Marshall aveva individuato nel “distretto industriale” ossia
nell’agglomerazione di molti piccoli e medi produttori in una stessa località, un possibile modo
alternativo al modello della grande impresa di organizzare la produzione in certi settori, senza
rinunciare ai vantaggi della divisione del lavoro. In the Pure Theory of Domestic Values, Marshall
scriveva infatti che “i vantaggi della produzione su larga scala possono in generale essere conseguiti
sia raggruppando in uno stesso distretto un gran numero di imprese di modesta dimensione, sia
costruendo pochi grandi stabilimenti”.
13
Il termine è stato coniato da Krugman, fautore della nuova geografia economica, per evidenziare i
vantaggi della localizzazione (Schmitz, 1998).
24
In primo luogo l’affermazione di un’industrializzazione diffusa si connette a produzioni
che richiedono una tecnologia relativamente semplice e basse barriere tecnologiche
all’ingresso, nonché una facile scomponibilità in fasi distinte del processo di lavorazione
(condizione essenziale perché le imprese possano specializzarsi in ciascuna fase del ciclo
produttivo.
Dato che nel distretto ogni gruppo di stabilimenti specializzati in una particolare fase
della produzione o dell’erogazione di un servizio è complementare agli altri, si verifica una
specie di interdipendenza organica. Di conseguenza l’intera comunità di piccole imprese è
in grado di ottenere quelle economie di scala che fino a tempi recenti si ritenevano essere
una peculiarità delle grandi imprese, grazie al fatto che un macchinario dispendioso può
essere pienamente utilizzato per provvedere alla necessità di tutti i membri del distretto. La
popolazione delle piccole imprese del distretto industriale non è soltanto un aggregato di
unità produttive.
Ciò che le rende qualcosa di più di questo è lo speciale modo sistemico in cui sono
organizzate e il modo in cui si relazionano le une con le altre e con l’ambiente nel quale
sono inserite.
Per questo motivo l’inserimento in un distretto industriale può essere considerato come
una risorsa intangibile in più per l’impresa distrettuale, rispetto a quella isolata, una fonte di
vantaggio competitivo.
1.2. L’analisi del microambiente
Il micro-ambiente (o ambiente competitivo) è costituito da tutte quelle forze,
fenomeni ed attori che, operando nello specifico campo di attività dell’impresa, ne
influenzano scelte strategiche e performance. Tali forze e soggetti determinano,
infatti, l’intensità della concorrenza e influenzano le prospettive di redditività
dell’impresa e dei suoi concorrenti.
L’analisi dell’ambiente competitivo mira all’individuazione del campo di
attività nel quale l’impresa intende competere e, quindi, dei soggetti con cui
l’impresa deve interagire al fine di ottenere un efficace posizionamento
competitivo (Genco, Ferrara, 1995). Essa risponde a una duplice finalità: da un
lato, consente di individuare il luogo in cui avviene il confronto competitivo tra le
imprese e gli specifici business nei quali l’impresa intende operare; dall’altro, aiuta
a comprendere le forze che, nei singoli business, impattano sulla competitività
delle imprese.
Sotto il profilo metodologico, lo studio delle specificità del micro-ambiente
prevede quattro momenti fondamentali (Buratti, 1995):
25
1) definizione dei confini del campo d’indagine, attraverso la definizione
del settore e delle aree strategiche d’affari (ASA) in cui l’impresa opera;
2) analisi delle caratteristiche strutturali della o delle aree strategiche
d’affari individuate e studio delle dinamiche competitive che la o le
caratterizzano, attraverso lo studio delle forze dell’ambito competitivo;
3) ricostruzione, all’interno dell’ambito competitivo, dei principali
raggruppamenti strategici;
4) individuazione, all’interno dei raggruppamenti strategici più importanti,
dei principali concorrenti e selezione degli indicatori sintetici da adottare
nel processo di sorveglianza. Il successo di un’impresa non si basa,
infatti, solo sulla capacità di individuare le opportunità e le minacce che
si generano nell’ambiente esterno, ma anche sull’abilità di valutare il
comportamento attuale e potenziale dei concorrenti e di scegliere,
nell’ambito delle possibili alternative, quelle più rispondenti al
patrimonio di competenze e risorse consolidate al suo interno.
In realtà, l’analisi del micro-ambiente sottolinea, in un’ottica dinamica, la
necessità da parte degli operatori, di passare da una valutazione “subita” dal
mercato ad una valutazione metabolizzata dall’impresa.
In tal senso, i concetti di settore e ASA, per come sono tradizionalmente
inquadrati nella letteratura, rispondono all’esigenza delle imprese di individuare le
opportunità di business che emergono dalla struttura e dall’evoluzione del mercato.
Tale finalità è perseguita attraverso l’utilizzo di meccanismi oggettivi di analisi del
mercato quali la dotazione tecnologica, merceologica o legata alla natura dei
bisogni espressi dai consumatori.
Non tutte le imprese pervengono, tuttavia, agli stessi risultati. Le imprese
guardano, infatti, al risultato di tali analisi con capacità interpretative ed analitiche
diverse, in quanto differenti sono le risorse e le competenze che esse possono
sfruttare in vista del raggiungimento di un dato obiettivo strategico.
L’analisi a questo punto si sposta verso l’angolo visuale dell’impresa che, con la
propria dotazione di risorse e competenze, guarda al settore o all’ASA attraverso le
lenti del pianificatore aziendale. Da questo angolo visuale, ogni impresa identifica
un proprio mercato di riferimento, caratterizzato da specifiche forze che, più di
altre, agiscono sulla competitività dell’impresa. A tale finalità risponde lo
strumento di pianificazione ideato da Porter (1980), che consente di standardizzare
gli strumenti di verifica del mercato di riferimento delle imprese, definito ambito
competitivo.
Il passaggio dall’analisi del settore all’analisi dell’ambito competitivo non deve
essere inteso come un percorso ad imbuto, che procede dal generale al particolare,
26
piuttosto esso costituisce un salto di visuale che muove da un’analisi oggettiva e
standardizzata del mercato ad una personale e soggettiva calata negli sforzi di
competizione delle imprese.
1.2.1. Settore e ASA
Il concetto di settore
L’identificazione del settore, nell’economia d’impresa, rappresenta un momento
necessario per la definizione ed analisi dell’ambiente competitivo. Gli studi sul
settore, sviluppati dapprima nell’ambito dell’economia industriale e
successivamente nell’economia d’impresa, hanno la finalità di identificare un
insieme omogeneo d’imprese per studiarne le modalità competitive e le capacità di
soddisfazione della domanda.
Il settore è costituito da un insieme di imprese con caratteristiche omogenee e la
sua identificazione deriva da un processo di astrazione che consente di individuare,
mediante opportuni criteri di omogeneità, un luogo figurato dell’offerta delimitato
da un confine cognitivo. Tale confine cognitivo consente di distinguere le imprese
che costituiscono il settore da quelle che sono ad esso esterne e può essere
differenziato in funzione di criteri di omogeneità.
Per definire il settore, pertanto è necessario procedere attraverso due criteri di
omogeneità:
1.
il primo criterio parte dall’analisi dell’offerta ed identifica come
appartenenti al settore le imprese che, presentando una omogeneità
di prodotto di natura merceologica o tecnologica, determinano il
settore merceologico-manifatturiero;
2.
il secondo criterio focalizza l’attenzione sulla domanda e considera
le possibili imprese che producono prodotti sostitutivi rispetto alla
soddisfazione dello stesso bisogno; il settore, in tal caso, viene
definito economico.
Il settore manifatturiero-merceologico è identificato mediante un omogeneità tra
le imprese di natura merceologica e manifatturiera che richiama alla similarità di
prodotto, di input utilizzati e di processi produttivi. Tale settore in via esplicita,
“delimita anche simultaneamente l’ampiezza delle fasi di lavorazione ivi incluse e,
quindi, definisce un processo terminale di settore anche denominato diagramma di
flusso produttivo settoriale e processo lavorativo industriale” (Panati, Golinelli,
1994). In tal senso, quindi, al settore viene associato un processo di trasformazione
27
tipico, chiamato processo terminale settoriale, che accomuna le imprese che lo
compongono e che consente di estendere l’omogeneità alle tecnologie produttive e
agli input.
Si consideri il prodotto caffè al fine di identificare le imprese che costituiscono il
settore della torrefazione in Italia. L’identificazione del settore avviene mediante
un’omogeneità merceologico-manifatturiera data da: una comune tipologia di
prodotto (il caffè torrefatto), un comune input fondamentale (il caffè verde) e
omogenei processi di trasformazione fisico-tecnica (torrefazione) effettuati
mediante tecnologie specifiche ma comuni a tutte le imprese.
Le imprese di torrefazione sono circa 750 ma la produzione è fortemente
polverizzata in quanto 700 torrefazioni sono di piccolissime dimensioni, e
riforniscono quasi esclusivamente il canale bar, e 40 di medie-grandi dimensioni
che operano a livello regionale o pluriregionale. In tal caso le imprese di piccole
dimensioni rappresentano il 93% del settore.
Il mercato del caffè, nel 2004, ha avuto un fatturato di oltre 836 milioni di euro con
un volume di vendita che raggiunge quasi i 106 milioni di chili. L’analisi delle
quote di mercato delle imprese di torrefazione consente di sottolineare che esistono
dieci grandi aziende che detengono complessivamente l’86,5% del mercato così
come evidenziato nella successiva figura.
Figura 1: Quote di mercato delle imprese di torrefazione del caffè
28
Lavazza (47,4)
13,5
4,5
5,3
47,4
7,4
10,5
11,4
Kjs (Splendid)
(11,4)
Segafredo
(10,5)
Cafè do Brasil
(Kimbo)(7,4)
Consorzio Sao
(5,3)
Illy (4,5)
Altri produttori
(13,5)
Fonte: Information Resources, 2004
Risulta necessario osservare che il criterio di omogeneità non è stringente
precludendo elementi di differenziazione che possono contraddistinguere le
imprese appartenenti al settore. Le differenze tra imprese di torrefazione possono
riguardare le tipologie di caffè (moka, espresso, decaffeinato, in grani e in filtri), le
miscele di caffè torrefatto (robusta ed arabica), il grado di differenziazione
nell’ambito della medesima linea di prodotto, la provenienza del caffè verde, la
tipologia di processi di trasformazione che possono avvalersi di sofisticati sistemi
di controllo della qualità dei chicchi e i canali utilizzati.
L’utilizzo di tale criterio di identificazione del settore va valutato in maniera
critica poiché l’omogeneizzazione dei prodotti, degli input e dei processi produttivi
costituisce un elemento oggettivo e di carattere generale. E’ quindi possibile
nell’ambito dell’omogeneità merceologica e manifatturiera identificare possibili
elementi di differenziazione che possono costituire un importante elemento per lo
sviluppo di conoscenze e competenze a livello di singola impresa.
29
Lo studio delle imprese che presentano una omogeneità merceologica e
manifatturiera, quindi, non risolve la problematica centrale dell’analisi del settore
che è costituita dall’analisi delle imprese che rientrano nello stesso ambito
competitivo e che, in tal senso, sono in grado di soddisfare i bisogni della
domanda.
Risulta evidente che è sempre più aleatorio considerare un settore composto da
imprese che producono lo stesso prodotto (Volpato, 1996) ma il focus della
concorrenza deve essere spostato sulle modalità alternative per la soddisfazione
dello stesso bisogno. Per tale motivo, la letteratura ha proposto il concetto di
settore economico che identifica l’insieme delle imprese che producono beni atti a
soddisfare bisogni identici o assimilabili (Panati, Golinelli, 1994). Tale modalità di
identificazione del settore richiama al concetto teorico, proposto da Marshall, di
identificazione di insiemi di imprese che producono beni tra loro sostituibili
(Marshall, 1961).
Dal punto di vista teorico la delimitazione dei confini del settore può essere
effettuata mediante la misura dell’elasticità incrociata fra i prodotti dell’impresa e
quelli delle altre imprese, pur se concretamente tale procedimento non è sempre
attuabile14.
Il settore economico, pertanto, consente di spostare il focus dell’analisi dalla
omogeneità di prodotti alla omogeneità dei bisogni attribuendo importanza alla
necessità di osservare che stessi bisogni possono essere soddisfatti da tipologie di
prodotti, e quindi da imprese, sostanzialmente differenti.
L’importanza attribuita al bisogno consente di identificare le interdipendenze e
gli ambiti di sovrapposizione tra le imprese. Da ciò, la definizione dei confini
settoriali può avvenire considerando l’intersezione di quattro insiemi di imprese
omogenee rispetto a: le tecnologie, gli input, il bisogno soddisfatto e le scelte
commerciali (Volpato, 1989). Nella seguente figura viene rappresentata tale
modalità di identificazione del settore nell’ottica dell’economia d’impresa.
14
L’elasticità incrociata del bene A rispetto al bene B è data dal rapporto tra la variazione
percentuale della domanda del bene A e la variazione percentuale del prezzo del bene B. Se
una piccola variazione percentuale del prezzo del bene B influenza sensibilmente la
variazione percentuale della domanda del bene A le due imprese sono concorrenti.Si
consideri, come esempio, il bisogno di trasporto correlato al percorso Napoli-Milano. Nel
caso in cui ad un incremento del 30% del prezzo del treno Eurostar corrisponda un
incremento del 20% della domanda di voli aerei si può ritenere che Trenitalia e le
Compagnie aeree che effettuano voli sulla suddetta tratta appartengano allo stesso settore
economico e, quindi, siano concorrenti per la soddisfazione del bisogno di trasporto.
30
Figura 2: L’identificazione dei confini del settore
Imprese con omogeneità
tecnologica
Imprese con omogeneità
del bisogno
Imprese del settore
Imprese con
omogeneità di input
Imprese con omogeneità
commerciali
Fonte: nostro adattamento da Volpato, 1989, pag. 141.
Riprendendo l’esempio delle imprese di torrefazione, nel caso del settore
economico è possibile restringere l’ambito di indagine competitiva se accanto al
prodotto (caffè torrefatto), alle tecnologie e agli input (caffè verde) andiamo ad
aggiungere il bisogno (socializzazione) soddisfatto mediante il canale bar. In tal
caso, infatti, restringiamo considerevolmente le iniziali 740 imprese di torrefazione
considerando soltanto quelle che operano mediante il canale bar.
Pur se la crescita della complessità ambientale e la globalizzazione hanno
annullato o ridefinito i confini geografici e cognitivi del settore, gli assunti teorici
rimangono validi (Volpato, 2000). Il concetto di settore e la sua validità, quindi,
non vengono meno ma piuttosto i legami tra le imprese, che definiscono la struttura
del settore, debbono essere interpretati in un’ottica dinamica al fine di definire e
ridefinire le interdipendenze che caratterizzano le imprese e che portano ad
ampliare o restringere i confini del settore.
31
L’evoluzione delle diverse variabili che caratterizzano l’ambiente dell’impresa
influenzano, quindi, non la validità del concetto di settore ma portano a
modificarne i confini in funzione dei cambiamenti negli ambiti di interdipendenza
tra le imprese.
Il concetto di ASA
Il settore identificato mediante i criteri di omogeneità descritti costituisce un
contesto oggettivo che l’impresa subisce in maniera passiva e non un elemento
frutto di una scelta soggettiva e variabile nel tempo. L’identificazione dell’ambito
competitivo per essere funzionale alla definizione della strategia, deve essere il
risultato di un processo di natura soggettiva che consenta di identificare i
concorrenti che possano influenzare le scelte dell’impresa.
Pur se il concetto di settore ha consentito di evidenziare quali elementi debbano
essere considerati al fine di identificare le condizioni di concorrenza tra le imprese,
nella sua visione oggettiva presenta ancora dei limiti. Tale visione, infatti, risulta
limitata perché include nell’analisi solo le caratteristiche delle imprese che offrono
un dato prodotto trascurando gli elementi che contraddistinguono il mercato servito
e, quindi, il rapporto prodotto/mercato (Ansoff , 1965).
La definizione dell’ambito competitivo in termini di prodotto/mercato, infatti,
consente di integrare la prospettiva dell’offerta con quella della domanda
considerando le diverse modalità di soddisfazione di bisogni specifici di un dato
segmento. Partendo da tale principio, può essere identificato un particolare ambito
competitivo rappresentato dall’ Area Strategica d’Affari (Abell, Hammond, 1986).
L’Area Strategica d’Affari (ASA) viene identificata da un modello
tridimensionale basato sulle seguenti dimensioni:
1. i gruppi di clienti, che identificano chi viene servito dall’impresa, sono
identificati in base a differenti criteri quali le aree geografiche, le
caratteristiche demografiche, gli stili di vita, i comportamento d’acquisto,
ecc.;
2. le funzioni svolte per i clienti identificano le categorie di bisogni che
possono essere soddisfatti da un dato bene;
3. le tecnologie che esprimono le modalità per la soddisfazione di determinati
bisogni di segmenti di clienti.
Per ciascuna dimensione occorre, quindi, individuare e descrivere gli elementi
che consentono di derivare l’ambito competitivo dell’impresa e dei concorrenti.
Tale procedimento consente di individuare tutti i diversi possibili business (ASA),
32
correlati ai bisogni, ai tipi di clientela e alle tecnologie nell’ambito dei quali
l’impresa può operare.
L’identificazione dell’ambito competitivo, pertanto, acquisisce una dimensione
soggettiva perché diviene il risultato di un processo strategico che può mutare nel
corso del tempo. La selezione delle variabili che descrivono le tre dimensioni,
infatti, non sono stabilite dal modello ma sono il risultato di una scelta del soggetto
decisore. L’ASA viene identificata mediante la selezione di una funzione d’uso, di
un gruppo di clienti e di una tecnologia, ma si deve notare che non necessariamente
a tutti gli incroci delle categorie corrisponde un business.
Nel caso di imprese multibusiness possono essere identificate più ASA e, di
conseguenza, più contesti competitivi.
Si consideri un’impresa di torrefazione che voglia identificare il proprio ambito
competitivo mediante il modello di Abell per definire una o più possibili ASA.
Le tre dimensioni utilizzate possono essere descritte considerando che:
1. le funzioni d’uso sono riconducibili al bisogno di socializzazione che si
accompagna all’utilizzo della bevanda caffè, alla funzione energizzante e alla
possibilità che il caffè possa essere utilizzato per preparare dolci, altre pietanze o
bevande;
2. i clienti vengono identificati considerando i canali: il canale della distibuzione, il
canale HORECA (Hotel, Ristoranti e Catering) e il canale bar;
3. le tecnologie sono quelle che consentono di produrre il caffè torrefatto, il caffè
in chicchi e il caffè solubile.
Nel caso esaminato, l’ASA prescelta dall’impresa di torrefazione viene identificata
mediante il caffè torrefatto, venduto tramite il canale bar per soddisfare i bisogni di
socializzazione. Tale ASA viene rappresentata da un cubo che identifica l’ambito
competitivo dell’impresa e che può essere misurato mediante alcuni indicatori
sintetici quali, ad esempio, la quota di mercato detenuta dal segmento bar o la
percentuale delle vendite (o dei volumi di produzione) del caffè torrefatto nel
mercato complessivo.
La selezione di tale ambito competitivo, risultato di una scelta soggettiva, presenta
importanti implicazioni per la definizione della strategia.
33
Nella figura che segue viene rappresentata l’applicazione del modello di Abell ad
una impresa di torrefazione.
Figura 2: L’identificazione di un’ASA per un’impresa di torrefazione
Funzioni d’uso
Distribuzione
Socializzazione
Bar
Energizzante
HORECA
Gastronomica
Caffè Torrefatto
Caffè in chicchi
Gruppi di clienti
Caffè Solubile
Tecnologie
ASA
Fonte: nostro adattamento da Abell, D.F., Hammond J.S., 1986, p. 452.
1.2.2. Le forze dell’ambito competitivo
Dopo aver individuato i confini dell’ambiente competitivo attraverso i concetti
di settore e ASA, è utile analizzare le caratteristiche strutturali e le dinamiche
competitive che caratterizzano tale ambiente.
In questo senso, l’analisi può essere condotta sulla base del modello della
concorrenza allargata di Porter (1980), che propone una pluralità di soggetti che
34
esprimono specifiche forze competitive in grado di influenzare la redditività e
l’attrattività di un business.
La redditività di un ambito competitivo (data dal rapporto fra rendimento e
costo del capitale) dipende, infatti, dall’intensità della concorrenza all’interno dello
stesso e, quindi, dall’interazione di cinque forze: i concorrenti diretti, i concorrenti
indiretti, i concorrenti potenziali, i fornitori e i clienti (Porter, 1980). L’effetto
congiunto di queste forze determina il profitto potenziale finale ossia la possibile
remunerazione a lungo termine del capitale investito.
L’influenza esercitata dalle singole forze non è la stessa in tutti i settori, al
contrario il tipo di attività svolta dalle imprese, la loro dimensione media
dell’azienda, la numerosità dei clienti e/o dei fornitori e la loro forza contrattuale
determinano la maggiore o minore rilevanza di una forza rispetto alle altre.
Schematicamente, l’influenza esercitata dalle cinque forze e le variabili da cui
dipende il loro impatto possono essere rappresentate come nella figura seguente.
Figura 3 Le forze dell’ambito competitivo
Potere dei fornitori
I fattori che determinano il potere dei fornitori rispetto ai
produttori sono analoghi a quelli che determinano il potere
dei produttori rispetto agli acquirenti (v. potere dei clienti)
Minaccia di nuove entrate
Economie di scala, vantaggi
assoluti di costo, fabbisogno
di capitale, differenziazione
del prodotto, accesso ai
canali di distribuzione,
barriere istituzionali e legali,
reazione da parte delle
imprese esistenti
Rivalità tra i concorrenti
esistenti
Concentrazione
Differenziazione del prodotto
Capacità in eccesso e
barriere all’uscita
Condizioni di costo
Minaccia di prodotti
sostitutivi
Propensione degli acquirenti
alla sostituzione
Prezzi dei prodotti sostitutivi
Potere dei clienti
Sensibilità di prezzo: costo del prodotto rispetto al costo totale,
differenziazione del prodotto, concorrenza tra gli acquirenti.
Potere contrattuale: dimensione e concentrazione degli acquirenti
rispetto ai fornitori, costi di sostituzione per gli acquirenti, informazione
degli acquirenti, capacità di integrazione a monte degli acquirenti
Fonte: ns. elaborazione da Porter (1980)
Lo schema ha come obiettivo fondamentale quello di definire le caratteristiche
strutturali e i confini del settore; tuttavia, alla luce della difficoltà di identificare
35
confini del settore con i confini dell’ambiente competitivo, sembra più utile
restringere il campo di analisi alla singola ASA, in modo da procedere,
coerentemente con il processo di analisi proposto in precedenza, all’individuazione
dei fattori e delle forze che l’impresa deve valutare e degli attori con cui deve
relazionarsi al fine di ideare una strategia di successo.
La concorrenza effettiva
Con il termine concorrenza effettiva ci si riferisce ai concorrenti diretti
dell’impresa, cioè all’insieme delle imprese che producono la stessa tipologia di
beni o servizi e che, quindi, sono in competizione diretta tra loro per acquisire
posizioni di mercato più favorevoli rispetto a quelle dei concorrenti.
L’intensità della competizione, espressa dal grado di rivalità tra i concorrenti,
costituisce uno dei principali fattori strutturali capaci di influenzare lo stato della
concorrenza e, conseguentemente, il grado di redditività e attrattività del business.
Quanto maggiore è la rivalità tra le imprese che operano nello stesso ambito
competitivo, tanto minori saranno infatti le prospettive di redditività nel lungo
periodo, che riducono, di conseguenza, l’attrattività del business stesso.
La rivalità tra le imprese in diretta concorrenza si può esprimere, in particolare,
in termini di:
- guerre di prezzo, che a volte sono talmente aggressive da spingere i prezzi
al di sotto dei costi, con perdite notevoli per tutte le imprese che operano
nell’area competitiva;
- incrementi negli investimenti in pubblicità, ricerca e sviluppo e innovazione
di prodotto, che fanno lievitare i costi delle imprese, riducendone di
conseguenza la redditività.
In questo senso, l’intensità della concorrenza può essere opportunamente
valutata attraverso l’osservazione di alcuni comportamenti che perseguono le
imprese operanti nell’ambito competitivo, in particolare quelle che occupano
posizioni di leadership (Fontana, Caroli, 2003). Tra le “spie” di un’elevata
concorrenza troviamo:
- frequenti cambiamenti nei prezzi dei prodotti o servizi offerti, o meglio nei
differenziali di prezzo tra le imprese, che non considerano, quindi, le
situazioni in cui i cambiamenti di prezzo vengano attuati in maniera
coordinata;
- ripetuti lanci di nuovi prodotti o servizi o di innovazioni radicali o
incrementali su quelli attuali;
36
-
aumenti negli investimenti in pubblicità e campagne comunicazionali, al
fine di differenziare il proprio prodotto o servizio da quello dei concorrenti.
Tali costi rappresentano un indicatore di forte concorrenza, in particolar
modo in quei settori che hanno già superato le fasi iniziali del ciclo di vita e
hanno come obiettivo quello di sviluppare il proprio prodotto in nuovi
ambiti di domanda;
- frequenti sforzi per rendere sempre più accessibili i propri prodotti o servizi,
rafforzando la distribuzione e i legami diretti con il mercato.
L’intensità della concorrenza diretta è funzione di numerosi fattori, tra i quali
troviamo, in particolare:
a) Il grado di concentrazione del business
Ci si riferisce, in particolare, al numero e alla distribuzione per dimensione delle
imprese concorrenti.
La numerosità dei concorrenti in un determinato ambito competitivo non è in
grado di rappresentare da sola il livello di concentrazione; tale valore deve essere
opportunamente integrato con indici di concentrazione, rappresentativi della
distribuzione delle quote di mercato delle imprese 15.
L’indice di concentrazione più comune è quello di concentrazione industriale,
dato dall’insieme delle quote di mercato dei produttori principali (in genere i primi
quattro). Le quote di mercato possono essere calcolate utilizzando diversi
parametri: numero degli addetti, volume della produzione, risorse tecnologiche,
fatturato. La scelta della dimensione da impiegare dipende ovviamente dalle
caratteristiche strutturali dell’ambito competitivo, anche se la dimensione più
sfruttata rimane comunque il volume delle vendite.
Un indice di concentrazione relativo alle prime quattro imprese che operano in
un business pari al 75% indica una situazione di elevata concentrazione, dove
quattro imprese detengono il 75% del fatturato complessivo del mercato e
dominano di fatto l’area competitiva. Al contrario, indici di concentrazione molto
bassi sono rappresentativi di situazioni concorrenziali frammentate, dove nessuna
impresa è in grado di condizionare le dinamiche competitive.
Tale dato sulla concentrazione assoluta non appare però del tutto sufficiente a
rappresentare l’intensità della concorrenza presente in un business. A parità di
indice di concentrazione, potrebbero, infatti, coesistere situazioni concorrenziali
molto diverse: in taluni casi, l’elevato indice di concentrazione potrebbe essere
15
Se nel business A sono presenti 100 imprese e nel business B 10 imprese non è affatto detto che il
business B sia quello più concentrato. Nel business A, infatti, l’impresa leader potrebbe detenere una
quota di mercato pari al 60%, mentre nel business B il mercato potrebbe essere equi ripartito e,
conseguentemente, ciascuna impresa detenere quote di mercato pari al 10%.
37
espressione di una sola impresa che detiene di fatto il monopolio in quell’area
competitiva; in altri casi, invece, la maggior parte del mercato potrebbe essere
equamente ripartita tra un numero ristretto di imprese.
L’indice di concentrazione assoluta dovrebbe, quindi, essere affiancato dal dato
sulla concentrazione relativa che considera, cioè, come si distribuiscono le quote di
mercato rispetto al valore medio.
I modelli di concorrenza secondo gli economisti
Il grado di concentrazione di un determinato business risulta profondamente
legato alla struttura concorrenziale presente in tale ambito.
Gli economisti distinguono in particolare quattro situazioni concorrenziali che
possono caratterizzare un mercato: concorrenza perfetta, oligopolio, concorrenza
imperfetta e monopolio.
Concorrenza perfetta o pura
In tale modello risultano presenti un gran numero di venditori e di acquirenti,
nessuno dei quali è in grado di influenzare il livello dei prezzi, determinato
esclusivamente dal gioco della domanda e dell’offerta. I prodotti o servizi risultano
inoltre perfettamente sostituibili, essendo privi di caratteristiche distintive.
In un tale mercato i venditori non detengono, quindi, alcun potere contrattuale e
si ritrovano il prezzo come un dato.
Oligopolio
Tale modello è caratterizzato da un ristretto numero di concorrenti o,
comunque, dalla presenza di poche imprese che dominano il mercato.
La dipendenza tra imprese risulta, quindi, molto forte e le azioni di un
concorrente tendono a ripercuotersi inevitabilmente sugli altri, che saranno portati
a reagire. Tale dipendenza è tanto più elevata, quanto più i prodotti o servizi offerti
sono indifferenziati, fino ad arrivare ad un vero e proprio oligopolio
indifferenziato.
In questo caso, in assenza di collaborazione tra le imprese rivali, la concorrenza
sui prezzi può scatenare vere e proprie guerre, con conseguente riduzione di
redditività per tutte le imprese concorrenti.
Concorrenza monopolistica
38
Tale modello si situa tra la concorrenza perfetta e il monopolio. In questo caso,
i concorrenti appaiono numerosi, ma i prodotti o servizi risultano differenziati e,
quindi, difficilmente sostituibili. I concorrenti detengono, quindi, un certo potere di
mercato che li mette in una situazione “protetta”, con possibilità di realizzare
profitti superiori alla media del mercato.
Monopolio
In tale mercato domina un solo produttore a fronte di numerosi acquirenti. Il
prodotto o servizio offerto non, ha, quindi, almeno per un certo periodo di tempo,
concorrenti sul mercato.
L’impresa monopolista detiene un elevato potere contrattuale da cui possono
derivare rendite di posizione notevoli.
Tali situazioni si osservano solitamente nei settori nascenti e nelle fasi
introduttive del ciclo di vita di un prodotto o servizio, ma tendenzialmente non
sono destinate a durare a lungo.
In linea generale, si può affermare che minore è il grado di concentrazione delle
imprese più aspra sarà la competizione tra le stesse per incrementare la propria
quota di mercato. Esse punteranno, in particolare, sull’abbassamento dei prezzi per
attrarre il maggior numero di clienti; la competizione si giocherà, quindi, sul
prezzo.
Nel caso in cui il business sia caratterizzato da un elevato livello di
concentrazione, le imprese tenderanno, invece, probabilmente a non attuare
aggressive strategie di prezzo (molto spesso i prezzi vengono “coordinati”), ma a
competere puntando più su altri parametri quali la comunicazione, la pubblicità,
l’immagine, l’innovazione di prodotto o servizio, ecc.
Il grado di concentrazione, nonostante le forti argomentazioni teoriche, non
rappresenta un fattore che fornisce indicazioni univoche sull’intensità della
concorrenza. A volte, infatti, anche nei business concentrati la competizione appare
molto aggressiva, al fine di raggiungere posizioni competitive di domino assoluto.
L’analisi del livello di concentrazione, quale parametro esplicativo dell’intensità
della concorrenza deve, quindi, essere integrata con lo studio di altri fattori
strutturali dell’ambito competitivo.
39
b) La diversità dei concorrenti.
L’intensità della concorrenza diretta dipende, anche, dalla somiglianza che le
imprese presentano in termini di origini, obiettivi perseguiti, costi e orientamenti
strategici. Se le imprese presentano similitudini nei comportamenti e nelle strutture
competitive è, infatti, probabile che la rivalità tra le stesse sia maggiore, con
conseguente diminuzione della redditività di lungo periodo. Al contrario, nei
business dove le imprese mostrano caratteri strutturali diversi, la competizione
appare meno accentuata.
E’ comunque plausibile che laddove le imprese appaiano sostanzialmente
omogenee la struttura del settore resti stabile; al contrario, se le imprese
perseguono obiettivi diversi e presentano strutture dei costi diversi, la competizione
tra le stesse porterà a variazioni dei livelli dei prezzi e a cambiamenti frequenti
delle quote di mercato, con una certa instabilità per il mercato stesso (Porter, 1980).
c) La differenziazione del prodotto o servizio
Il grado di concorrenza all’interno di un’area competitiva risulta correlato in
senso inverso al livello di differenziazione dei prodotti o servizi offerti.
Più i prodotti appaiono sostanzialmente omogenei, più i clienti saranno indotti a
sostituirli tra loro in base al prezzo. I prodotti o servizi poco differenziati o
indifferenziati (commodity) risultano, infatti, perfettamente sostituibili e il prezzo
costituisce l’unica variabile competitiva su cui le imprese si confrontano. In questo
senso si configura una situazione concorrenziale riconducibile alla concorrenza
perfetta, dove non esistono extra profitti per le imprese: l’attrattività di tale
business appare quindi molto bassa.
La differenziazione dei prodotti o servizi mette, invece, le imprese dell’area
competitiva al riparo da possibili guerre di prezzo, riducendo l’importanza del
fattore prezzo come base per la competizione. La competizione si gioca in questo
caso più sulle caratteristiche tangibili e intangibili dei prodotti, sull’immagine, sulla
marca, con conseguenti miglioramenti per le prospettive di redditività delle
imprese, sempre che le spese riconducibili a tali comportamenti non siano troppo
elevate.
Un esempio di differenziazione significativo ai nostri fini è dato dai produttori
di Parmigiano Reggiano, che, riuniti in un consorzio, sono riusciti ad impostare una
forte strategia di sviluppo della marca, rendendo il proprio prodotto “unico” agli
occhi dei consumatori.
d) La capacità produttiva in eccesso e le barriere all’uscita
L’intensità della competizione diretta tra imprese è funzione anche del rapporto
che esiste tra dimensione della domanda e dimensione dell’offerta in un
40
determinato business e, in particolare, del fatto che esista o meno capacità
produttiva in eccesso (la dimensione dell’offerta supera quella della domanda).
Tale eccedenza di offerta può essere la risultante sia di una contrazione nella
domanda da parte dei clienti, sia di un eccesso di investimenti da parte delle
imprese.
Se all’interno di un ambito competitivo è presente capacità produttiva
inutilizzata, le imprese saranno indotte a competere sui prezzi per evitare di perdere
i propri volumi di vendita. Una loro riduzione comporterebbe, infatti, costi medi
unitari sempre più elevati che nel medio-lungo termine potrebbero compromettere
l’economicità, se non addirittura la sopravvivenza stessa delle imprese. La
competizione, in questi casi, è tanto più aspra, quanto più le imprese detengono
strutture produttive rigide, con elevate percentuali di costi fissi che occorre
distribuire su ampi volumi di vendita.
L’effetto negativo che tali politiche di prezzo hanno sulla redditività di tutta
l’area competitiva può durare a lungo se esistono barriere all’uscita.
Tali barriere sono costi, ovvero ostacoli di natura economica o sociale, che
un’impresa deve sostenere quando intende uscire da un determinato ambito
competitivo. Le barriere all’uscita risultano essere particolarmente elevate quando:
- l’impresa utilizza impianti altamente specializzati, difficili da convertire per
altre produzioni (alto grado di idiosincraticità degli assett);
- sono alti i costi fissi di uscita, cioè quei costi relativi all’interruzione dei
contratti di lavoro o alla ricostituzione dell’attività produttiva;
- sono elevate le interdipendenze strategiche tra il business che l’impresa
intende abbandonare e le altre attività dell’impresa. In particolare, l’uscita da
un business è difficile quando la presenza in esso è funzionale alla posizione
competitiva che l’impresa detiene in altre attività;
- esistono ostacoli da parte di attori istituzionali (ad esempio il Governo che
intende salvaguardare i livelli occupazionali o la situazione economica di una
data area geografica).
A tali fattori possono anche aggiungersi delle barriere emotive (Porter, 1980),
dovute al fatto che l’impresa non vuole abbandonare il business o per ragioni
storiche, legate alla fondazione e alla tradizione dell’impresa, o per lealtà verso i
dipendenti, o per ragioni di orgoglio.
e) Il tasso di crescita della domanda
Oltre alla relazione che esiste tra dimensione della domanda e dimensione
dell’offerta è utile considerare anche i rispettivi tassi di crescita. Un basso tasso di
crescita della domanda, a parità di offerta, comporta una maggiore rivalità tra i
concorrenti esistenti e, pertanto, minori prospettive di redditività nel lungo periodo.
41
In caso di rallentamenti nei tassi di crescita della domanda, frequenti nei settori
maturi, l’unico modo che hanno le imprese per incrementare le proprie vendite è,
infatti, quello di conquistare le quote di mercato detenute dagli altri concorrenti
attraverso strategie aggressive.
f) La struttura dei costi
Se le imprese appartenenti ad un determinato ambito competitivo detengono
una struttura produttiva caratterizzata da un’elevata percentuale di costi fissi, la
volontà di sfruttare al massimo la capacità produttiva favorirà una competizione
basata sul prezzo. Le imprese cercheranno, in definitiva, di attrarre il maggior
numero di clienti possibile, in modo da massimizzare i volumi di vendita e
ottimizzare lo sfruttamento della capacità produttiva.
Se, inoltre, esiste un eccesso di offerta rispetto alla domanda, le imprese
potrebbero essere indotte a spingere il livello dei prezzi fino a quando non si
annulli il margine di contribuzione e cioè fino a quando il prezzo di vendita riesca a
coprire almeno i costi variabili. Tali comportamenti presentano però conseguenze a
volte anche disastrose per la redditività di tutte le imprese che operano nel
business16.
Al contrario, quando la struttura dei costi delle imprese risulta più flessibile,
composta cioè in gran parte da costi variabili, la competizione appare poco
centrata sul prezzo.
La concorrenza verticale
Per lo svolgimento della propria attività, le imprese devono approvvigionarsi
degli input di cui hanno bisogno (input produttivi, quali materie prime e
semilavorati, risorse finanziarie, forza lavoro, servizi logistici, ecc.) e devono
individuare un mercato per il proprio output. Per ogni tipologia di scambio, è,
quindi, possibile individuare uno specifico mercato (di approvvigionamento o di
sbocco) nel quale l’impresa si relaziona con due tipologie differenti di soggetti: i
clienti e i fornitori.
Tali soggetti costituiscono importanti forze dell’ambito competitivo: i clienti,
ricercando migliori rapporti prezzo/qualità, intensificano infatti la concorrenza tra
le imprese, mentre i fornitori influenzano in modo rilevante i livelli dei costi delle
imprese.
16
Tale comportamento delle imprese ha avuto impatti devastanti per settori quali il trasporto aereo,
l’acciaio, i pneumatici e la petrolchimica, tutti caratterizzati da un elevato livello di costi fissi.
42
Essi esercitano, quindi, una pressione competitiva “verticale” sulle imprese che
operano nel business, influenzandone le prospettive di redditività di lungo periodo
e, conseguentemente, l’attrattività del business stesso.
L’intensità della pressione competitiva dei clienti e fornitori dipende, in
particolare, dal potere economico espresso dalle parti, dalla tipologia di fattori
oggetto dello scambio e dal livello di concorrenza orizzontale (concorrenti diretti,
indiretti e potenziali) con cui le imprese del business si confrontano.
Partendo dall’analisi dei clienti, appare chiaro che quanto più i clienti
detengono potere contrattuale nelle transazioni con l’impresa, tanto più tali soggetti
saranno portati a richiedere condizioni negoziali a loro favorevoli quali riduzioni
nei prezzi di vendita, tempi di pagamento più lunghi, miglioramenti nei servizi di
assistenza, riduzioni nei lotti minimi di ordinazione, consegne più frequenti,
elevata qualità dei prodotti o servizi, ecc. Tali condizioni tenderanno, però, ad
incrementare i costi delle imprese del settore (che si trovano nella posizione di
fornitori), diminuendone la redditività.
Il peso negoziale degli acquirenti dipende da due fattori fondamentali:
a) la sensibilità al prezzo;
b) il potere contrattuale relativo.
La sensibilità al prezzo degli acquirenti risulta particolarmente elevata per i
prodotti altamente standardizzati, per i quali esiste un elevato grado di elasticità
della domanda. Più i prodotti o servizi sono differenziati, infatti, meno i clienti
saranno disposti a cambiare fornitore sulla base del prezzo.
Nel caso di relazioni business to business, poi, la sensibilità al prezzo aumenta
al crescere dell’impatto che il prezzo di un componente ha sul costo complessivo di
un prodotto o servizio; al contrario essa diminuisce al crescere della specificità del
componente e dell’importanza che esso ha per la qualità dell’output finale.
La sensibilità al prezzo risulta, infine, influenzata dal livello di concorrenza
che esiste tra i clienti: più intensa è la rivalità tra essi, maggiore sarà la loro
pressione per ottenere riduzioni nei prezzi.
Il secondo fattore attiene, invece, al potere contrattuale relativo dei clienti. In
termini generali, tale potere è determinato dalla capacità di un soggetto di rifiutare
la conclusione della transazione con l’altra parte, che è a sua volta direttamente
legata ai costi che le diverse parti negoziali devono sostenere nel caso la
transazione non venga effettuata. Il livello di tali costi dipende, in particolare,
dall’importanza che tale transazione ha per le due parti e dalla facilità con cui essa
può essere sostituita.
Il potere contrattuale dei clienti dipende da numerosi fattori, tra cui:
43
• la struttura della domanda: il potere contrattuale dei clienti cresce
all’aumentare delle dimensioni e della concentrazione dei clienti. In tutti i
casi in cui l’offerta è maggiore della domanda si crea un mercato dei
compratori ossia una situazione di scambio in cui il cliente ha una maggiore
forza contrattuale rispetto a quella dei venditori. Allo stesso modo, più
concentrati sono i clienti rispetto alle imprese del settore, maggiore è il loro
potere contrattuale;
• le informazioni in possesso degli acquirenti: maggiore è il numero di
informazioni posseduto dai clienti, più facile sarà per questi effettuare un
confronto tra i diversi fornitori e negoziare quindi le condizioni migliori.
• la capacità di integrazione verticale dei clienti; se tali soggetti sono in
grado di entrare nel business dove operano i loro fornitori, la minaccia che ne
deriva aumenta in misura significativa il potere contrattuale dei compratori
17
.
• l’entità dei costi di riconversione: costi di riconversione (ovvero i costi
diretti e indiretti che i clienti devono sostenere nel cambiare il proprio
sistema di offerta) elevati tendono a mantenere stabili le relazioni fornitore –
acquirente.
• la presenza di prodotti o servizi sostitutivi. Se esistono, infatti, beni o
servizi sostitutivi a cui i clienti possono rivolgersi, il loro potere contrattuale
tenderà inevitabilmente ad aumentare.
Le stesse considerazioni possono essere effettuate in maniera speculare
considerando i fornitori dell’impresa, la quale si trova in questo caso nella
posizione di cliente.
Il potere contrattuale dei fornitori risulta in questo caso maggiore quando il
mercato della fornitura è più concentrato di quello degli acquirenti imprese,
aumenta al crescere della specificità e dell’importanza degli input per il processo
produttivo dei clienti e dei costi di riconversione, diminuisce al crescere delle
informazioni che le imprese clienti hanno sulla domanda, sui prezzi di mercato e
sui costi di produzione dei fornitori e nel caso i clienti siano in grado di integrarsi a
monte.
La concorrenza potenziale
L’espressione concorrenza potenziale si riferisce alla minaccia che nuovi
competitor, attratti da elevati livelli della redditività potenziale, entrino nel settore
17
Il concetto di integrazione verticale sarà approfondito nel cap. 3.
44
(o meglio nello specifico business) e ne alterino gli equilibri. Per fronteggiare tale
rischio, le imprese devono cercare di ridurre l’attrattività del settore e ciò è
possibile innalzando le c.d. barriere all’entrata, cioè ostacoli all’ingresso che
possono avere una triplice natura: istituzionale, strutturale, strategica.
Le barriere all’entrata si traducono essenzialmente in un differenziale di costo a
carico delle imprese che vogliono entrare su un determinato mercato; la necessità
di dover sostenere costi aggiuntivi rispetto agli attori già presenti nel mercato
riduce, infatti, la convenienza della scelta e pone gli eventuali entranti in una
posizione di maggiore debolezza rispetto agli operatori già consolidati.
Le barriere istituzionali si riferiscono a norme, regole e forme di tutela che
limitano l’attività dei potenziali entranti. Rientrano in tale categoria le norme
protezionistiche (ad esempio quelle applicate dall’Unione Europea per proteggere
le imprese di alcuni settori dall’ingresso di prodotti esteri a basso costo), le
concessioni amministrative, i brevetti, i copyright, i segreti industriali.
La seconda tipologia di barriere (barriere strutturali) deriva, in maniera diretta,
dalle azioni poste in essere dalle imprese al fine di migliorare la propria posizione
rispetto ai concorrenti. Esse possono derivare da scelte relative alla struttura
produttiva delle imprese, oppure dal potenziamento dei caratteri distintivi delle
imprese o dalla possibilità di aver ottenuto risorse a costi più bassi rispetto a quelli
che oggi dovrebbero sostenere i concorrenti.
Più in particolare, le principali barriere strutturali si ricollegano ai seguenti
fattori:
a) Il fabbisogno di capitale
Se l’entrata nel settore richiede investimenti di capitale elevato, l’entità del
fabbisogno finanziario può costituire un disincentivo all’ingresso, soprattutto per le
piccole e medie imprese dotate di risorse finanziarie limitate; costituisce un
ostacolo meno importante per le imprese di maggiori dimensioni che possono
giustificare l’entità dell’investimento in vista di risultati di medio – lungo periodo.
b) Le economie di scala
Le economie di scala rappresentano una “diminuzione del costo medio unitario
del prodotto o servizio venduto, attribuibile all’aumento del volume cumulato di
produzione” (Genco, 1995, p. 629). Il raggiungimento di economie di scala deriva
dal fatto che all’aumentare della produzione si riduce l’incidenza dei costi fissi sui
costi totali e ciò determina una riduzione dei costi unitari del prodotto.
Esse permettono alle imprese di raggiungere livelli più elevati di profittabilità (a
parità di ricavi, una diminuzione dei costi unitari comporta un ampliamento dei
profitti) e, in un ambiente altamente competitivo, offrono la possibilità di ridurre i
45
prezzi di vendita senza incorrere in forti riduzioni dei profitti finali (la diminuzione
dei ricavi risulta compensata dalla riduzione dei costi unitari del prodotto).
Le economie di scala costituiscono una barriera importante in quanto i nuovi
competitor, per competere sul prezzo, sono obbligati a produrre sulla stessa scala,
ma ciò li espone al rischio di una sottoutilizzazione degli impianti; non è detto
infatti che i nuovi entranti riescano a realizzare subito grossi volumi di vendita. In
alternativa, essi possono decidere di entrare su una scala inferiore, in tal caso
sosterranno però costi unitari superiori e dovranno decidere di competere su altre
variabili diverse dal prezzo. La portata di tale barriera si riduce, tuttavia, se i nuovi
entranti non sono imprese di nuova costituzione, ma imprese che già operano in
altre ASA e che hanno a loro volta la possibilità di sfruttare economie conseguite
negli altri business. Anche nel caso di nuovi entranti, se gli attori che già operano
nel mercato vendono a prezzi alti e riescono ad ottenere margini elevati, i nuovi
entranti, pur producendo su una scala inferiore potrebbero riuscire comunque a
raggiungere margini di profitto accettabili anche se inferiori a quelli delle imprese
che sfruttano le economie di scala.
Un ulteriore limite di tale barriera risiede nella possibilità che nel mercato si
registrino aumenti della domanda che gli attori non riescono a soddisfare; in questo
caso, i concorrenti potenziali avranno la possibilità di colmare i vuoti di offerta e
far conoscere il proprio marchio in modo da porre le basi per successivi
ampliamenti del mercato.
LE ECONOMIE DI SCALA, SCOPO E VARIETA’
Le economie di scala, intese come riduzione del costo medio unitario del
prodotto o servizio venduto, attribuibile all’aumento del volume di produzione,
vengono definite economie di scala tecnico-produttive (o economie di scala
tecnologiche), in quanto attengono in maniera specifica all’attività di produzione.
Le principali determinanti delle economie di scala risiedono:
- nelle relazioni tecniche input-output e, quindi, nella circostanza che un
aumento degli input utilizzati produca una crescita più che proporzionale
dell’output realizzato;
- nell’indivisibilità di alcuni fattori produttivi (per esempio delle macchine o
degli impianti) che non risultano frazionabili oltre una certa soglia e per i quali è
necessario sostenere, nel caso di volumi produttivi inferiori a quelli ottimali,
maggiori costi della produzione dovuti alla presenza di risorse produttive in
eccesso. L’aumento dei volumi produttivi consente una migliore ripartizione dei
costi e, quindi, l’ottenimento di una riduzione dei costi unitari;
46
- nella specializzazione degli impianti (destinazione di un impianto alla
produzione di uno specifico output) e nella scomposizione del processo produttivo
in fasi elementari, che consentono l’incremento del volume di produzione di uno
specifico output.
Il concetto di economie di scala può essere replicato anche per le altre funzioni
aziendali; in particolare, per economie di scala gestionali si intendono le
economie di costo ottenibili, per ogni attività della catena del valore, a seguito
dell’aumento dimensionale dell’attività stessa.
L’impresa può conseguire anche altri tipi di economie.
- Si definiscono economie di apprendimento le diminuzioni del costo della
produzione derivanti non dalla scala assoluta dell’output, ma dal volume cumulato
della produzione. Le economie di apprendimento derivano dall’esperienza e
possono riguardare tutte le attività dell’impresa. Nel caso della produzione, ad
esempio, le economie di apprendimento attengono all’aumento della produttività
che deriva dall’esperienza degli addetti alla produzione.
- Si definiscono economie di scopo le riduzioni di costo derivanti dalla possibilità
di utilizzare risorse (tangibili, intangibili o umane) comuni per produrre beni
diversi.
- Si definiscono economie di varietà le diminuzioni di costo (della varietà e della
variabilità della gamma produttiva) derivanti dalla possibilità di utilizzare sistemi
flessibili della produzione, che permettono un facile adattamento alle mutevoli
esigenze dell’ambiente circostante.
Fonte: Genco, 1995
c) La differenziazione
La capacità delle imprese del settore di differenziare i propri prodotti rispetto a
quelli dei concorrenti e, quindi, di renderli migliori nelle percezioni del
consumatore e più rispondenti alle sue esigenze, costituisce un’importante barriera
all’entrata in quanto costringe i nuovi entranti ad effettuare ingenti investimenti in
pubblicità per cercare di affermare il nuovo marchio.
d) Il difficile accesso ai canali di distribuzione
Una limitata capacità d’assorbimento dei canali distributivi, la scarsa
propensione al rischio dei dettaglianti e i costi fissi legati alla nuova fornitura
scoraggiano i distributori nel trattare nuovi prodotti (Grant, 1991). I nuovi entranti
sono spesso costretti a puntare su prezzi più bassi o a riconoscere margini più
47
elevati ai distributori per far lanciare il prodotto e ciò riduce notevolmente i
margini di profitto.
e) La presenza di vantaggi di costo assoluti per le imprese che già operano nel
settore.
Questi possono derivare:
• dall’accesso privilegiato a materie prime scarse o, comunque, ottenute a
prezzi più bassi rispetto a quelli attuali;
• da scelte di localizzazione particolarmente favorevoli;
• dall’aver sfruttato sovvenzioni pubbliche ora non più disponibili;
• dall’effetto delle curve di esperienza e di apprendimento. In alcune
attività l’esperienza cumulata comporta una riduzione dei costi unitari
di prodotto, ad esempio nel caso i lavoratori riescano a migliorare i
metodi di lavorazione o l’impresa risulti avvantaggiata da una riduzione
dei costi di marketing o di distribuzione dovuta all’esperienza maturata
in un determinato business.
f) La diversificazione dell’offerta.
L’offerta di un’ampia gamma di prodotti permette alle imprese di fidelizzare i
propri clienti e riduce gli spazi di manovra dei potenziali entranti che difficilmente
potranno offrire la stessa gamma di prodotti delle imprese già esistenti.
Alle barriere istituzionali e strutturali vanno poi aggiunte quelle di natura
strategica, derivanti dal comportamento delle imprese che operano nel settore e, in
particolare, dalla possibilità che queste adottino forme di ritorsione verso i nuovi
entranti. Le ritorsioni possono consistere in: abbassamenti dei prezzi di vendita,
aumento degli investimenti promozionali, azioni di natura legale.
Per ridurre il rischio di ritorsioni, i nuovi entranti possono scegliere di
rivolgersi, in un primo momento, a quei segmenti di mercato ritenuti poco attrattivi
dalle imprese del settore. E’ stata questa la logica seguita dalle imprese giapponesi
per entrare nel mercato statunitense delle automobili e dei prodotti elettronici di
consumo; in entrambi i settori, le imprese giapponesi hanno cominciato offrendo
piccoli prodotti rivolti a segmenti del mercato ritenuti poco redditizi dalle imprese
locali e ciò ha permesso loro di evitare ritorsioni da parte dei competitor
statunitensi.
Le imprese che producono beni o servizi sostitutivi costituiscono un’ulteriore
forza riconducibile alla concorrenza indiretta
48
I prodotti o i servizi sostitutivi, pur avendo caratteristiche merceologiche
differenti ed appartenendo quindi ad altri ambiti competitivi, assolvono di fatto la
stessa funzione d’uso dei prodotti o servizi delle imprese che operano in diretta
concorrenza nel settore. In particolare, due beni o servizi possono essere
considerati sostitutivi quando presentano un’elevata elasticità incrociata tra di loro.
La presenza di tale forza competitiva può incidere a volte anche notevolmente
sulla redditività del business, in quanto il prezzo che i consumatori sono disposti a
pagare per un dato prodotto risulta influenzato proprio dalla possibilità di scegliere
altri beni che siano sostitutivi rispetto al prodotto considerato. Ogni qualvolta il
prezzo dei prodotti o servizi del settore supera quello che i consumatori sono
disposti a pagare, essi sposteranno infatti la domanda verso i sostituti.
Si dice, quindi, che la presenza di prodotti sostitutivi rende elastica la domanda,
determina cioè una maggiore sensibilità di questa rispetto al prezzo.
La presenza di prodotti o servizi sostitutivi dipende in particolare dalla
complessità dei bisogni che occorre soddisfare: più complessi sono i bisogni che i
consumatori intendono soddisfare con un dato prodotto o servizio, maggiori
saranno le differenze nella percezione delle prestazioni dei diversi prodotti e quindi
minore la probabilità di esistenza di sostituti.
Le imprese che operano nel settore possono, inoltre, adottare alcune misure al
fine di limitare la pressione competitiva di tale forza concorrenziale. Esse
potrebbero, infatti:
− differenziare il prodotto/servizio per cercare di ridurre la sostituibilità da
parte della domanda;
− rafforzare i legami con i clienti attraverso la comunicazione, forti politiche
di marca o miglioramento del sistema distributivo;
− migliorare il rapporto qualità/prezzo.
1.2.3. I raggruppamenti strategici
Gli strumenti concettuali descritti precedentemente per l’analisi del
microambiente consentono di individuare il campo di attività dell’impresa in cui
avviene il confronto competitivo e di valutare il grado di concorrenza presente nel
business, da cui deriva il livello di redditività e di attrattività del business stesso.
Al fine di analizzare in modo corretto le forme della concorrenza esistenti
nell’ambito competitivo, occorre però abbandonare l’ipotesi che tutte le imprese
operanti in uno stesso ambito siano accomunate dalle stesse caratteristiche e dalle
stesse modalità di competizione. Non sarebbe spiegabile, altrimenti, perché alcune
49
imprese all’interno di un settore ottengano risultati economici più elevati rispetto
ad altre.
Le cinque forze concorrenziali colgono, quindi, solo parzialmente e in maniera
generale le condizioni dell’ambiente competitivo e, in particolare, non risultano del
tutto efficaci nel rappresentare il campo dei reali concorrenti di un’impresa e le
strategie competitive che essi perseguono.
In questo senso, risulta più utile fare riferimento ad un concetto, derivante da
analisi operate ad un livello ancora più disaggregato, quale quello di
raggruppamento strategico. Tale concetto consente, infatti, di identificare i
principali concorrenti dell’impresa e di sorvegliare le altre imprese che, pur
appartenendo a raggruppamenti strategici differenti, potrebbero influenzare e
modificare l’attuale scenario competitivo in cui opera l’impresa.
L’ambiente competitivo rilevante per le imprese diventa, quindi, il
raggruppamento strategico.
In termini generali, un raggruppamento strategico può essere definito come un
insieme di imprese che, all’interno di uno stesso business, perseguono le stesse
strategie o strategie simili, riconducibili comunque alle stesse dimensioni
strategiche, che sono costituite, in particolare, dalle variabili su cui si basa il
vantaggio competitivo in quel determinato business.
Le imprese che appartengono ad uno stesso raggruppamento strategico tendono
inoltre ad avere caratteristiche analoghe anche in termini di struttura organizzativa,
struttura produttiva e assetto societario (Fontana, Caroli, 2003). L’adozione nel
tempo di comportamenti strategici simili comporta, infatti, la sedimentazione di
caratteristiche strutturali comuni, legate allo sviluppo di uno stesso patrimonio di
risorse e competenze e di stesse modalità con cui le imprese si relazionano con il
proprio ambiente esterno.
Gli insiemi di imprese individuati presentano così stesse strategie competitive,
spesso simili quote di mercato e reagiscono ai cambiamenti ambientali nello stesso
modo (Buratti, 1995).
I raggruppamenti strategici che appartengono ad uno stesso business possono
essere “mappati” attraverso l’utilizzo delle dimensioni strategiche chiave, che
meglio rappresentano cioè le strategie competitive e il posizionamento competitivo
delle imprese che vi operano.
Considerata la vastità delle variabili che possono descrivere i comportamenti
competitivi delle imprese in un settore, l’elemento critico di questo livello di
analisi è costituito indubbiamente dalla selezione delle variabili strategicamente più
rilevanti, che devono inoltre essere indipendenti tra di loro.
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Tra le molte variabili utilizzabili per distinguere i diversi raggruppamenti
strategici in cui può essere suddiviso un settore, possiamo trovare, in particolare:
- ampiezza della gamma dei prodotti o servizi offerti;
- estensione geografica dell’offerta;
- tipologia di canale distributivo utilizzato;
- il livello di servizio offerto;
- il livello di qualità dei prodotti o sevizi;
- la politica di prezzo;
- il grado di integrazione verticale;
- la tipologia di cliente fornito;
- il livello di diffusione e identificazione della marca;
- il livello di innovazione tecnologica e il tipo di tecnologia utilizzata.
Al fine di rendere più immediata la visualizzazione dei principali
raggruppamenti strategici presenti in uno stesso business, è utile rappresentarli
graficamente attraverso mappe. Tali mappe vengono solitamente costruite in uno
spazio cartesiano a due dimensioni, scegliendo le due variabili che più incidono
sulla formazione del vantaggio competitivo in tale ambito.
Occorre precisare che le dimensioni scelte non devono presentare forti
correlazioni positive o negative tra di loro, per evitare di costruire mappe con
contenuti informativi molto bassi. Sarebbe, invece, auspicabile trovare due
dimensioni indipendenti.
Nello spazio cartesiano, i raggruppamenti strategici vengono, in genere,
rappresentati con figure geometriche di dimensioni proporzionali alla quota di
mercato cumulata di tutte le imprese che appartengono allo stesso raggruppamento.
Nella figura 4 viene presentata, in particolare, una mappa di raggruppamenti
strategici relativa ad un generico settore dove le dimensioni rilevanti risultano
essere il grado di integrazione verticale e l’estensione geografica dell’offerta.
51
Figura 4: Esempio di raggruppamenti strategici in un generico settore
Nazionale
B
A
Estens
ione
geogr
afica
Internazionale
C
D
Basso
Elevato
Grado di integrazione
verticale
L’analisi dei principali raggruppamenti strategici presenti all’interno di uno
stesso business risulta preziosa al fine di individuare i concorrenti diretti con cui
un’impresa si confronta. Due imprese che operano in raggruppamenti strategici
differenti pongono infatti generalmente poca attenzione alle reciproche scelte
strategiche e le loro interazioni competitive risultano comunque limitate.
Ovviamente, tale “poca considerazione” dipende dalle differenze che esistono
tra un raggruppamento e l’altro e, in particolare, dalla facilità con cui un’impresa
può passare da un insieme ad un altro.
Questa facilità discente dalle “barriere alla mobilità” esistenti, che funzionano
come deterrenti allo spostamento tra un gruppo ad un altro. Più elevato è il livello
di tali barriere, più difficile risulta per un’impresa il passaggio da un
raggruppamento ad un altro.
Lo studio di tali barriere consente, inoltre, all’impresa di comprendere se
esistono opportunità di sviluppo in altri raggruppamenti, di identificare i
gruppi marginali e quelli centrali, di analizzare i percorsi evolutivi dei
52
principali concorrenti e di scoprire eventuali spazi vuoti nella mappa che
potrebbero portare l’impresa a sviluppare nuovi percorsi strategici.
53