La scelta della strategia adottabile da un`impresa è anche il risultato
Transcript
La scelta della strategia adottabile da un`impresa è anche il risultato
Corso di Economia e Gestione delle Imprese Prima parte della Dispensa integrativa per il corso di EGI – Business Management (prof.ssa Adriana Calvelli) A.A. 2005-2006 1. L’analisi dell’ambiente esterno Una visione dell’impresa quale sistema relazionale aperto (ampiamente analizzato nel paragrafo 1.2), enfatizza il ruolo dell’ambiente esterno nell’ambito della gestione strategica aziendale. L’impresa, infatti, costituisce una componente essenziale dell’ambiente in cui è inserita e vive utilizzando sistematicamente le risorse e le potenzialità in esso presenti; attraverso il suo agire, però, essa influenza, a sua volta, l’evoluzione e le dinamiche dell’ambiente che la circonda. In altri termini, l’ambiente condiziona le scelte dell’impresa, sanzionando con il successo o l’insuccesso la strategia da essa perseguita; allo stesso tempo, esso è destinato ad evolvere diversamente a seconda di come gli attori aziendali individuano, selezionano e utilizzano le potenzialità e possibilità in esso presenti – anche allo stato latente. L’ambiente esterno costituisce, in questa accezione, uno dei fattori di condizionamento dello sviluppo delle imprese assumendo un ruolo fondamentale nella comprensione del problema strategico delle stesse. Nell’ambiente esterno si originano, infatti, forze, eventi, trend, fenomeni, i quali vanno opportunamente monitorati ed analizzati al fine di identificare opportunità1, da cogliere e sfruttare al meglio, e minacce, che occorre, invece, fronteggiare e cercare di superare. Un’accurata analisi di tale ambiente risulta quindi imprescindibile per una corretta impostazione della condotta strategica e, in particolare, per il processo di formulazione delle strategie. L’analisi dell’ambiente esterno può, in tal senso, essere intesa come un’attività volta a raccogliere, selezionare ed elaborare informazioni che consentono ai decisori aziendali di disporre di un quadro attuale e prospettico dell’ambiente esterno rilevante per l’impresa, utile al fine di valutare i risultati delle strategie in atto e impostare quelle future. Tali analisi rientrano a pieno titolo nel filone dell’Industrial Organization (Bain, 1959), centrato sulla relazione struttura – condotta – performance. Secondo tale impostazione teorica, la struttura del settore determina la condotta strategica e organizzativa delle imprese in esso presenti, da cui derivano le performance che le imprese possono realizzare. 1 Per l’impresa nascono opportunità quando una tendenza dell’ambiente crea il potenziale per costruire e/o rafforzare il suo vantaggio competitivo. Si parla di minacce, invece, quando le tendenze dell’ambiente esterno mettono in pericolo la redditività dell’impresa (Pellicelli, 2002). 2 In questo caso, a determinate condizioni strutturali dell’ambiente corrisponde una sola condotta strategica che permette di massimizzare le performance delle imprese. L’ambiente esterno costituisce, pertanto, il fulcro di tutto il percorso strategico. Il bagaglio concettuale “formalizzato” utilizzabile nell’analisi dell’ambiente esterno appare essenzialmente riconducibile alla logica della pianificazione strategica, che, pur nella diversità dei singoli contributi, propone un concetto di ambiente esterno sufficientemente prevedibile per le imprese. In tali analisi, l’ambiente esterno assurge ad insieme di elementi/forze, eventi, trend, discontinuità in cui il sistema impresa si colloca e con il quale interagisce. In quest’ottica Grant (1999) definisce l’ambiente di un’impresa come l’insieme di tutte le variabili esterne che influenzano, o potrebbero influenzare, i risultati dell’organizzazione. La letteratura più accreditata di economia e management distingue, in particolare, due livelli successivi (strati ambientali) in cui possono essere raggruppate le forze e le tendenze ambientali che influenzano l’impresa e i suoi risultati: il macro-ambiente e il micro-ambiente. Il macro-ambiente (o ambiente generale) è definito dall’insieme delle forze, dei fenomeni e dei trend di carattere generale che condizionano ed orientano le scelte ed i comportamenti dell’impresa e di tutti gli attori del sistema competitivo dove opera l’impresa. Le variabili che costituiscono il macro-ambiente non sono direttamente controllabili dall’impresa, anche se, attraverso le proprie azioni, quest’ultima può, in alcuni casi, influenzare l’intensità e la direzione con cui si manifestano (Sicca, 2003). Il micro-ambiente (o ambiente competitivo) appare, invece, costituito da tutte quelle forze, fenomeni ed attori presenti nello specifico campo di attività in cui l’impresa opera e che hanno implicazioni più dirette sia sulle sue scelte strategiche, sia sulle sue performance. Le forze del micro-ambiente determinano, infatti, l’intensità della concorrenza e influenzano le prospettive di redditività dell’area competitiva dove è presente l’impresa. In questo senso, il contesto ambientale di un’impresa può essere scomposto in più strati, ciascuno dei quali presenta relazioni biunivoche con l’altro e al cui centro appare l’impresa (Valdani, 1995). 3 1.1 Le forze del macro-ambiente L’analisi dell’ambiente esterno all’impresa, su cui impostare il processo di formulazione delle strategie, parte necessariamente dallo strato ambientale più ampio ed esterno rispetto all’impresa: il macro-ambiente (o ambiente generale). Tale ambiente rappresenta il contesto culturale ed economico della specifica area geografica dove è collocata l’impresa e viene definito dall’insieme delle forze, dei fenomeni e delle tendenze di carattere generale che hanno una rilevante importanza per le scelte ed i comportamenti dell’impresa e di tutti gli attori del sistema competitivo. Queste forze sono costituite, in particolare, da una serie di macrovariabili: economia, politica, socio-cultura, tecnologia, demografia, ecc., da cui possono essere tratti utili indicatori sui possibili cambiamenti futuri dell’ambiente più esteso (Valdani, 1995). E’ utile evidenziare come gli eventi e i fenomeni appartenenti al macroambiente influenzino non solo la singola impresa, ma tutti i soggetti e le imprese che appartengono ad una stessa area competitiva. Tali tendenze condizionano, infatti, tutte le forze appartenenti al microambiente. La deregolamentazione di un settore, ad esempio, costituisce un fenomeno che impatta profondamente su tutte le imprese che operano su tale settore e su quelle che sono intenzionate ad entrarvi. Alcuni studiosi (Scott, 1987, Tan e Litschert, 1994) hanno sottolineato, in particolare, la complessità del sistema ambiente, definendolo come “costrutto multidimensionale”2 al fine di evidenziare i molteplici profili sulla base dei quali esso può essere analizzato ed interpretato; per semplificare tale valutazione, parte della letteratura ha adottato un approccio di tipo tassonomico (Grant, 1999; Valdani, 1995), con l’intento di stabilire un ordine su cui basare l’analisi. In analogia allo studio di altre entità sistemiche, l’analisi del macro-ambiente deve quindi prevedere sia una valutazione delle componenti sistemiche, distinte in base alla loro natura, sia uno studio delle relazioni intercorrenti tra i macroaggregati ambiente e impresa e tra sub-sistemi e singoli elementi. Quanto affermato discende dalla considerazione della forte interdipendenza esistente tra le variabili che compongono il macro-ambiente: una innovazione tecnologica può ad esempio, impattare significativamente su alcune variabili di tipo socio-culturale, quale lo stile di vita (ad esempio la telefonia mobile). 2 A tale proposito, Luo e Tan (1998) annoverano tra gli approcci allo studio degli impatti ambientali sull’attività strategica dell’impresa anche quelli che studiano le influenze distintive in base alla loro fonte di provenienza e quelli che analizzano le variabili ambientali in funzione della loro capacità di rendere l’ambiente esterno complesso e/o dinamico e/o ostile e/o munificente. 4 In questo senso, le principali forze del macro-ambiente possono essere raggruppate in sette distinti sub-sistemi: - ambiente economico; - ambiente politico–istituzionale; - ambiente socio–culturale; - ambiente demografico - ambiente tecnologico; - ambiente naturale; - ambiente strutturale nazionale. Considerata la vastità delle informazioni reperibili in ciascun sub-sistema, le imprese devono necessariamente sviluppare una capacità di selezione delle variabili strategicamente più rilevanti, cercando di ordinarle in base al potenziale di influenza sulla propria condotta strategica. Questo processo di selezione, orientato ad individuare le forze che meritino un effettivo approfondimento, costituisce indubbiamente una delle difficoltà principali dell’analisi di tale ambiente, anche a motivo della crescente turbolenza, complessità e discontinuità che caratterizza gli scenari entro i quali le imprese si trovano attualmente ad operare. L’analisi del macro-ambiente appare, quindi, complessa e articolata, e la letteratura in materia non sembra aver ancora prodotto una facile ed univoca metodologia di analisi dei cambiamenti ambientali fondamentali per la vita dell’impresa. Ciò su cui si concorda sono, invece, i compiti di tale analisi; questa si deve, infatti, occupare di: - monitorare le forze e le tendenze presenti in ciascun sub-sistema; - selezionare le variabili strategicamente più rilevanti per la condotta dell’impresa; - individuare i probabili scenari futuri relativi a tali fenomeni; - prevedere il loro impatto sia sulla condotta strategica dell’impresa, che sulla sua posizione competitiva. In questa analisi l’impresa può avvalersi di statistiche ufficiali, analisi redatte da enti di ricerca, quali previsioni di tipo economico o tecnologiche, proiezioni demografiche, stime relative alle materie prime, sondaggi e focus group condotti in proprio o attraverso società di consulenza; nella formulazione di congetture sui probabili scenari futuri, risultano, invece, molto utili la metodologie quantitative rese disponibili dalle nuove tecnologie, quali le simulazioni dinamiche e i sistemi esperti. 5 L’ambiente economico L’analisi dell’ambiente economico si prefigge di individuare e osservare la posizione attuale e i futuri cambiamenti delle principali variabili che caratterizzano gli scenari macroeconomici nazionali ed internazionali. In particolare, l’analisi è volta ad evidenziare le relazioni che esistono tra tali variabili, la condotta strategica dell’impresa e la sua performance. Le forze presenti in tale ambiente sono identificabili attraverso numerosi e complessi indicatori che riguardano ad esempio la composizione e l’andamento delle diverse tipologie di produzione (agricola, industriale, terziaria); il reddito disponibile delle famiglie, gli investimenti, il costo del lavoro o del denaro, i consumi, la bilancia dei pagamenti, l’andamento di tassi di cambio, i tassi di inflazione nazionali ed internazionali, l’andamento dei prezzi interni rispetto all’import e il risparmio. I fattori in esame, essendo legati ai consumi nazionali ed internazionali, ai prezzi dei fattori della produzione, agli investimenti, alla disponibilità di beni e servizi, ecc., sono in grado di influenzare il posizionamento competitivo dell’impresa cui si richiede, di conseguenza, un’attenta analisi del loro andamento attuale e prospettico, al fine di definire e scegliere i comportamenti strategici più consoni ai probabili scenari futuri 3. Elementi quali crescita economica (PIL, PNL), tassi di interesse, tassi di cambio e d’inflazione, influenzando il potere d’acquisto dei potenziali consumatori ed il costo del capitale dell’impresa, possono, influire sulle scelte delle organizzazioni relativamente alle principali direttici di sviluppo. Se, ad esempio il PIL cresce dovrebbero crescere anche le sue componenti principali: consumi (privati e pubblici), investimenti e il saldo import/export. L’andamento del reddito disponibile delle famiglie può connettersi ad un aumento o una riduzione dei consumi reali o il loro differimento per alcune categorie di prodotti e/o servizi. L’incremento dei consumi e degli investimenti rappresenta, nella logica delineata, un’opportunità per le imprese nella misura in cui le stesse riescono a prevedere gli andamenti favorevoli sfruttandoli per il proprio sviluppo. Al contrario, in condizioni di congiuntura sfavorevole e stagnazione della domanda, le imprese sono chiamate a ridisegnare i propri assetti strategici focalizzando sul recupero di efficienza e sulla riduzione dei costi di produzione. 3 L’impresa dovrebbe dotarsi di un modello di analisi e previsione relativo ai fenomeni di tipo macroeconomico, al fine di stabilire le condotte strategiche più consone agli scenari futuri. Tali modelli vengono forniti, in particolare, dalle scienze matematico-statistiche e comportamentali. Ne sono alcuni esempi: gli indicatori economico-congiunturali, i modelli esrtapolativi, i modelli econometrici e il metodo delle interviste (analisi dei piani di investimento delle imprese o dei piani di spesa delle famiglie) (Valdani, 1995). 6 Le condizioni dell’economia hanno impatto sulla capacità delle imprese di produrre profitti anche in relazione al grado di internazionalizzazione raggiunto dalle stesse: un esempio è fornito dalla variazione dei tassi di cambio. La variazione dei tassi di cambio dell’euro rispetto alle principali valute straniere, ad esempio, può impattare sui margini di profitto delle imprese internazionalizzate nella misura in cui le stesse si approvvigionano di input dall’estero e collocano i propri output sui mercati internazionali: se la moneta di un Paese si apprezza nei confronti di quella di un altro Paese, diminuisce il costo delle importazioni, ma si riduce il livello delle esportazioni che diventano proporzionalmente più costose; viceversa quando si verifica una svalutazione della moneta nazionale cresce il costo dei fattori produttivi importati sebbene si possa registrare, contemporaneamente, un aumento del livello delle esportazioni (Calvelli, 1998). L’analisi dei differenziali dei tassi di inflazione attuali e prospettici nelle diverse aree-paese può incidere sull’incremento dei prezzi di fornitura a livello internazionale e sulla distribuzione geografica dei consumi di particolari beni e servizi (Sicca, 1998). Allo stesso modo l’analisi dei differenziali del costo del lavoro e del denaro possono indurre le imprese a delocalizzare le proprie produzioni in paesi caratterizzati da un minor costo della manodopera o in cui risulta più conveniente per le stesse l’approvvigionamento di fonti di finanziamento. L’analisi dell’ambiente economico dovrebbe, quindi, rispondere a domande, quali ad esempio: − quali sono le prospettive del sistema economico nazionale ed internazionale? Siamo in una fase di recessione o di espansione? - quale è l’evoluzione degli investimenti e del risparmio delle famiglie? Come si distribuisce il reddito per area geografica, età e tipologia di nucleo familiare? − quale è l’andamento della produzione industriale nazionale e internazionale? Un esempio di analisi macroambientale di variabili di tipo economico, utilizzata in questo caso per fare proiezioni sui cambiamenti di rotta dei flussi d’investimento internazionale e delle traiettorie generali d’internazionalizzazione, ci viene fornito dalle scelte strategiche attuate dal gruppo multinazionale SKF. L’impatto delle variabili economiche sulle scelte strategiche delle imprese: l’ingresso di SKF in Cina Nel giugno del 2002, Sune Carlsson, presidente di SKF, ha chiarito intenzioni strategiche e motivazioni del suo gruppo affermando la necessità per la Corporate di 7 affrontare in modo tempestivo ed intraprendente la ciclicità dell’economia spostando la crescita internazionale del gruppo in Estremo Oriente. Il leader mondiale dei cuscinetti a sfera, infatti, subite le conseguenze della crisi economica mondiale partita dall’America, ha deciso di rafforzare il proprio impegno in Asia attuando un ingresso in Cina, paese che, secondo le previsioni degli economisti, dovrebbe continuare a registrare elevati tassi di crescita interna per i prossimi anni. All’epoca in cui è stata effettuata la scelta, SKF era già presente in Asia in India, Indonesia e Malaysia. Il progetto di sviluppo in Cina rispondeva, pertanto, alle necessita di fronteggiare le minacce derivanti dall’andamento sfavorevole delle variabili economiche a livello internazionale e di sfruttare le opportunità presenti nell’emergente mercato cinese. Per ridurre la dipendenza del gruppo da singoli clienti e dalla ciclicità dei settori, la SKF ha annunciato, recentemente, la diversificazione oltre che delle aree geografiche anche del suo business, programmando l’entrata in segmenti industriali complementari (manutenzione after-market) al tradizionale business dei cuscinetti a sfera e, riconoscendo la trasversalità di applicazioni della tecnologia del suo prodotto (fondata sulla riduzione dell’attrito), ha programmato nuove iniziative, sia in settori tradizionali e maturi quali l’energia eolica, le attrezzature sportive, le macchine utensili ad alta velocità, sia in nuovi settori come la tecnologia drive-by-wire, che ha permesso la realizzazione della “concept car” con l’inserimento di tutti i comandi al volante. Fonte: Il Sole-24Ore 07/06/2002. L’ambiente politico-istituzionale L’analisi dell’ambiente politico istituzionale si propone di individuare l’insieme delle politiche adottate dai governi in materia di attività economica, che possono influenzare l’assetto competitivo di alcuni settori. In particolare, i fattori politico-istituzionali riguardano regolamentazioni governative, settoriali e legali, formali ed informali, alle quali l’impresa dovrebbe attenersi entrando in uno specifico contesto: ad esempio la regulation/deregulation4 di alcuni settori, le leggi ambientali, la politica fiscale, la normativa dell’impiego, la tutela della concorrenza, il diritto societario (corporate governance), il diritto dei consumatori così come le restrizioni al commercio e tariffe e gli accordi internazionali di cooperazione economica. 4 La deregulation è la politica mediante la quale lo Stato interviene nell’economia abolendo vincoli e misure protezionistiche. Essa è, pertanto, all’origine di forti cambiamenti negli assetti della competizione. Basti pensare alla deregulation delle telecomunicazioni in Europa che ha dato origine ad uno dei mercati più competitivi del mondo (Pellicelli, 2002). 8 Come forze del macro-ambiente tali elementi possono influenzare in misura più o meno accentuata le prospettive di profitto e possono configurarsi come minacce o opportunità per tutte le imprese indipendentemente dal loro ambito settoriale (Grant, 1999)5. L’analisi di tale ambiente non appare semplice: non bisogna, infatti, dimenticare che l’intervento dei poteri pubblici è spesso soltanto prevedibile, ma non conoscibile in anticipo con certezza. Sono molti i casi di progetti di fusione, acquisizione o collaborazione, ad esempio, che sono stati ostacolati o sottoposti a revisione a causa di normative regolamentatici della concorrenza (Antitrust). E’ il caso dell'inglese Emi, impresa discografica britannica costretta a ritirare un’offerta per l'incorporazione della divisione musicale 6 dell’americana Time Warner, a causa della decisione dell’Antitrust. A rendere necessaria l’offerta di Emi sono stati i cali delle vendite registrati in seguito alla diffusione della pirateria, ma il rispetto delle norme vigenti in tema di concentrazione della concorrenza e le potenziali ripercussioni derivanti dalla violazione delle regole hanno impedito alla società di portare a termine l’acquisizione. Per quanto riguarda il caso italiano, i principali fenomeni legati all’ambiente politico-istituzionale verificatisi negli ultimi dieci anni sono riconducibili, in particolare, alla privatizzazione delle imprese pubbliche, alla deregulation di diversi settori industriali e del terziario quali le telecomunicazioni, il settore bancario, il commercio, il settore dell’energia (in particolare quello dell’energia elettrica) e il settore del trasporto pubblico (aereo e ferroviario), alla riforma del diritto societario, alla devolution e al progressivo federalismo, all’ingresso dell’Italia nell’UE e all’adozione della moneta unica. Con particolare riferimento alla deregulation si sottolinea il suo ruolo nell’attenuare i vincoli normativi posti dalla legislazione della Pubblica Amministrazione alla discrezionalità degli operatori privati. In quest’ottica essa 5 In riferimento al diverso impatto che i fattori macro ambientali possono esercitare sui settori industriali e sulle imprese in essi operanti, Grant (1999) evidenzia come alcune problematiche generalmente tralasciate perché non considerate prioritarie dalla maggioranza delle imprese, quali, ad esempio, il riscaldamento del pianeta, assumano una elevata importanza per specifici produttori, come quelli operanti nel settore automobilistico, petrolifero ed energetico: eventuali provvedimenti governativi per la riduzione della produzione di biossido di carbonio e di gas –responsabili dell’effetto serra- hanno, infatti, un’incidenza diretta sulla domanda dei loro prodotti e sui loro costi di produzione. 6 Ormai il settore della discografia mondiale è dominato dai grandi gruppi: Universal con una quota di mercato del 25,9%, Sony (14,1), Bertelsamann Music Group (Bmg, con l'11), Warner (11,9). Alle etichette indipendenti resta solo un quarto del mercato. 9 può pertanto prospettare nuove opportunità di sviluppo per le imprese italiane nella misura in cui riguardi uno o più dei suoi campi di applicabilità. In Italia, gran parte dei settori interessati a forme di intervento pubblico sta attualmente attraversando una profonda fase di trasformazione in una direzione che tende ad responsabilizzare le imprese incentivando l’attività privata. La liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, accompagnata dall’evoluzione tecnologica, ha, ad esempio, determinato la fine della condizione di monopolio che per lungo tempo lo hanno caratterizzato offrendo nuove opportunità di sviluppo per le imprese. In un’ottica di internazionalizzazione delle imprese, che interagiscono con un contesto ambientale più esteso e che travalica i confini geografici nazionali, può essere considerato, inoltre, il peso che le differenze politico-istituzionali esistenti tra il contesto d’origine e il contesto obiettivo esercitano sull’attività delle imprese (Xu e Shenkar, 2002). Ciò che si vuole evidenziare in questa sede è che in un’ “ottica allargata” le imprese internazionalizzate, o che intendono attuare strategie di internazionalizzazione, possono cogliere sfide ed opportunità derivanti dai mutamenti in atto nello scenario politico-legislativo internazionale. L’analisi dell’ambiente politico-istituzionale dovrebbe, in sintesi, rispondere a domande, quali ad esempio: − quali sono i prevedibili cambiamenti nella politica economica nazionale ed internazionale? Quale sarà il loro impatto sui diversi settori industriali? − quali sono i paesi che stanno incentivando l’ingresso di imprese straniere attraverso abbassamenti tariffari, incentivi fiscali o misure di tutela per il capitale estero investito? − in che misura i diversi provvedimenti fiscali possono influenzare il comportamento delle imprese? Un esempio di intervento legislativo generale, e quindi macro-ambientale, volto a stimolare l’economia e la crescita di un Paese, incentivando l’ingresso delle imprese straniere in quest’ultimo, è rappresentato dalla legge sugli investimenti esteri in Iran. Gli interventi politico-legislativi per l’incentivazione degli investimenti stranieri: il caso Iran Nel giugno 2002 è arrivato il placet definitivo all’attesa legge sugli investimenti diretti esteri in Iran. La norma ha avuto un iter molto travagliato e dopo una prima approvazione il 16 maggio 2001, è stata bocciata due volte dal Consiglio dei Guardiani (organo incaricato di salvaguardare il carattere integralista islamico dello Stato) in quanto non coerente con la 10 Costituzione. Il consenso definitivo è arrivato dal Consiglio per la determinazione delle scelte, organo costituzionale di indirizzo più pragmatico e dotato di poteri arbitrali in caso di controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani. Nella nuova normativa, che prevede misure di tutela per il capitale estero investito, non vi sono limiti nella partecipazione estera a singoli progetti di joint venture, ma è stato fissato il limite massimo di presenza straniera in ogni singolo settore economico tra il 25% e il 35%, con l’eccezione dei settori strategici. Questa legge si inserisce in un quadro normativo più favorevole ai rapporti commerciali e alla collaborazione industriale ed esprime una tendenza generale confermata dall’entrata in vigore anche di una legge che riduce la pressione fiscale sui redditi aziendali, fissando una imposizione unica sui profitti non superiore al 25%. La nuova legge prevede maggiore trasparenza anche per la concessione di incentivi fiscali ed una riduzione della tassazione sulle attività di formazione e assistenza tecnica. Grazie a tale contesto politico-economico più favorevole è stata modificata anche la valutazione Ocse, adottata dalla Sace, relativa al rischio-paese Iran e tra il 2000 ed il 2001 la categoria di rischio è passata dalla sesta alla quarta. Il governo iraniano ha, inoltre, varato nuovi programmi per ridurre la dipendenza dall’export petrolifero. I nuovi programmi privilegiano i settori considerati trainanti: lo sfruttamento del gas naturale -di cui l’Iran possiede immensi giacimenti-, il petrolchimico e il minerario, l’agricoltura e la agroindustria. Tra gli obiettivi programmatici individuati dalle autorità iraniane compaiono per la prima volta anche innovazioni nell’assetto organizzativo statale come la privatizzazione di aziende pubbliche, l’eliminazione dei monopoli, la liberalizzazione del settore creditizio e la semplificazione della normativa sul commercio, al fine di incrementare le esportazioni. Fonte: Il Sole-24ore, 05/06/2002. L’ambiente socio-culturale Scopo prevalente dell’analisi dell’ambiente socio-culturale è quello di identificare i modelli culturali prevalenti e i loro futuri cambiamenti nei diversi contesti-paesi paese dove l’impresa è presente o ha intenzione di entrare. Ciò nella considerazione del fatto che credi e valori fortemente radicati sul territorio sono in grado di influenzare le motivazioni, i processi decisionali ed i comportamenti di acquisto dei consumatori, i comportamenti delle imprese, nonché la propensione alla collaborazione di queste ultime (Calvelli, 1998). 11 Fanno parte dell’ambiente socio-culturale l’insieme dei valori, credi, tradizioni, linguaggi, stili di vita7, tipici delle diverse culture, nonché le modalità organizzative proprie della società civile (sindacati, organizzazioni politiche, etc.). Tali fattori risultano strettamente interconnessi (Valdani, 1995): la cultura, la sub-cultura, la stratificazione delle classi sociali, i gruppi sociali determinano, infatti, i valori, le personalità e gli stili di vita degli individui. In particolare, la cultura fornisce norme di comportamento che costituiscono il patrimonio ereditario di una collettività, che giocoforza influenzano anche i modelli di comportamento di acquisto e di consumo. Il contesto socio culturale dei sistemi economici avanzati è in continua evoluzione e soggetto anche a rapide e radicali trasformazioni: il cambiamento culturale può essere, infatti, interpretato come il processo attraverso il quale una società migliora e riesamina le proprie basi, ridefinendo gli stili di vita tradizionali e creandone di nuovi. In questo senso, l’analisi dei trend socio-culturali appare di difficile interpretazione per l’impresa, anche se la stessa può in molti casi trovare un utile supporto negli studi svolti da importanti centri di ricerca che svolgono indagini ad hoc su tali variabili. Facendo specifico riferimento al caso italiano è possibile rilevare come il cambiamento nei valori emergenti registrato negli ultimi anni abbia impattato in maniera significativa sui modelli di consumo nazionali, soprattutto dei prodotti durevoli, rappresentando per le imprese nuove sfide ed opportunità. Negli anni ’60 il consolidamento in Italia dei valori del ceto medio urbano delle città industrializzate nel nord indusse l’affermazione di beni ad alta standardizzazione: l’automobile, il televisore e gli elettrodomestici simboleggiavano il nuovo stile di vita nazionale. In questo contesto le imprese erano chiamate a soddisfare una domanda poco differenziata e ciò anche in relazione al paradigma tecnologico allora dominante8. Con il frammentarsi degli stili di vita e il declino degli ideali collettivistici e centralizzati, sono andati progressivamente manifestandosi nuove e diverse aspettative che hanno impattato sulla domanda rendendola più varia e variabile. In quest’ottica, e con riferimento all’esempio proposto, le imprese hanno dovuto cogliere le nuove sfide/opportunità derivanti dai cambiamenti del macro-ambiente 7 “Gli stili di vita possono essere definiti come modelli secondo i quali gli individui vivono e impiegano il loro tempo e le loro disponibilità economiche” (Valdani, 1995). 8 Con riferimento al caso delle automobili, Tunisini (1995) ha rilevato come le automobili utilitarie degli anni ‘60 fossero ideate come risposta ad aspettative di auto a basso costo, e quindi accessibili anche a livelli di reddito non molto elevati, e da utilizzare per il tempo libero e i piccoli spostamenti casa-lavoro. 12 sfruttando le potenzialità offerte dall’automazione flessibile per la soddisfazione di una domanda sempre più parcellizzata e differenziata (Tunisini, 1995). Le principali tendenze socio-culturali affermatesi in Italia negli ultimi decenni sono riconducibili ad una maggiore attenzione per la tutela della natura e dell’ambiente (ecologismo), ad un crescente interesse verso i problemi nutrizionali e dietetici (salutismo) e ad un maggiore interesse per il divertimento e il benessere interiore (edonismo). A ciò si aggiunge la standardizzazione dei modelli di consumo (assimilazione dei modelli di consumo di altri paesi o di gruppi sociali di riferimento), l’apertura al nuovo (ad esempio alle nuove tecnologie), e l’affermazione di comportamenti individualistici tesi al perseguimento dell’autorealizzazione e all’auto-gratificazione. L’affermazione di una maggiore sensibilità verso i temi ambientali e il rispetto della natura ha impattato in una duplice direzione: da una lato essa ha incrementato il numero dei vincoli imposti alle produzioni ad alto impatto ambientale e dall’altro ha stimolato una crescente attenzione dei consumatori verso prodotti ecologicamente compatibili. Mentre in passato si riteneva che il degrado ambientale fosse un costo da pagare per consentire lo sviluppo economico, negli ultimi anni, la tutela ambientale ha assunto una rilevanza sempre maggiore. Ciò significa che i cambiamenti delineatisi nell’ambito di una delle variabili del macro-ambiente hanno assunto, sia una valenza di vincolo (uso delle risorse, limiti all’inquinamento, accettabilità sociale delle attività industriali) che di opportunità (sviluppo di nuovi prodotti e processi compatibili o indirizzati alla tutela dell’ambiente) per le scelte strategiche9 delle imprese (Frey, 1995). L’affermazione dell’edonismo, dell’individualismo e della ricerca di maggior tempo libero ha incentivato la domanda di prodotti per lo svago - sport, intrattenimento, servizi culturali e vacanze –disincentivando, contemporaneamente. la domanda di alcune attività di base. L’orientamento al nuovo, soprattutto verso i prodotti ad alta tecnologia, ha impattato sullo sviluppo della domanda legata alle tecnologie dell’ informazione e comunicazione (ICT) quali: servizi via telematica (home banking, trading on line, consultazione banche dati, ecc.), editoria multimediale e così via. 9 Per evitare danni all’ambiente l’impresa ha a disposizione due alternative: essa può decidere di adottare un approccio di tipo “sanatorio” ovvero di ripristino delle condizioni ambientali, o un approccio di tipo “preventivo” orientato a ridurre al minimo l’impatto ambientale attraverso il ricorso a tecnologie pulite, all’ottimizzazione nell’uso delle materie prime e al recupero e riciclaggio dei prodotti di lavorazione. 13 Anche l’assimilazione dei modelli di consumo di paesi esteri o di gruppi di riferimento ha consentito, in un’ottica maggiormente orientata all’internazionalizzazione delle imprese, la diffusione di alcune categorie di prodotti in diversi paesi del mondo (si pensi, ad esempio ai jeans, alla Coca cola o ai fast food). Benché non sia scopo della presente trattazione analizzare il modo attraverso il quale le differenze culturali tra paesi possano influenzare le strategie di internazionalizzazione delle imprese, si rileva, comunque, come la distanza tra cultura d’impresa e cultura del paese ospite rappresenti una delle principali fonti dei problemi d’integrazione di una impresa che opera o vuole operare internazionalmente, in quanto costituisce un fattore di rischio che può compromettere il successo della strategia adottata (Calvelli, 1998; Mesh e Roger, 1994; Kogut e Singh, 1988). L’interdipendenza tra i diversi mercati, lo sviluppo degli strumenti di comunicazione e quello dei linguaggi globali (Internet) hanno favorito l’incontro e l’interscambio tra diverse culture riducendo plausibilmente la distanza fisica e psicologica tra i popoli (Arnold e Quelch, 1998). Tuttavia, i fallimenti delle strategie globali condotte da alcune grandi imprese come la Coca-Cola e la Walt Disney Company sembrano suffragare l’ipotesi che i suddetti fattori abbiano guidato l’evoluzione delle diverse culture senza, tuttavia, determinarne una vera e propria omogeneizzazione. Non è un caso, ad esempio, che la Coca-Cola, abbia progressivamente modificato la strategia globale perseguita durante gli anni ’70 e ’80 a fronte delle difficoltà di gestione derivanti dalla scarsa attenzione prestata alle specificità socioculturali dei mercati nei quali operava. Allo stato attuale Coca-Cola Company opera in circa duecento paesi decentrando poteri decisionali e operativi a managers locali e posizionando i propri marchi su basi regionali. Emerge, dunque come la mancanza di conoscenza market specific costituisca un ostacolo importante all’internazionalizzazione delle imprese: differenze di linguaggio, cultura, usi e costumi influenzano in modo ineludibile le strategie adottabili dalle imprese rappresentando un serio impedimento al loro successo; allo stesso modo, però, esse assumono il ruolo di opportunità da cogliere qualora siano attentamente analizzate ed utilizzate in una logica di apprendimento, come “risorse” da acquisire per l’implementazione di strategie di adeguate. L’analisi dell’ambiente socio-culturale dovrebbe, in sintesi, rispondere a domande, quali ad esempio: 14 - quali sono i trend attuali ed emergenti negli stili di vita, nelle mode e nella cultura del paese? Perché si stanno verificando? quali implicazioni presentano per la condotta attuale e futura delle imprese? L’impatto delle variabili socio-culturali sulle scelte delle imprese: il mercato della bellezza in Cina Negli ultimi anni la Cina è stata investita da un’ondata di edonismo che ha coinvolto entrambi i sessi; la cura del corpo sta, infatti, diventando un aspetto molto importante della società cinese. Questo fenomeno interessa non tanto i poveri agricoltori, ma quella borghesia emergente che risiede nelle grandi città e che, giorno dopo giorno, si affaccia sul mercato dei beni di consumo. Nel 2004 i prodotti di bellezza sono diventati la quinta voce di spesa nel portafoglio dei consumi domestici. Ogni cinese spende oggi in media circa 5 dollari al mese per acquistare creme, profumi, balsami, bagnoschiuma e belletti di ogni genere. L’industria del benessere, a partire dalla fine degli anni ’90, è cresciuta a tassi del 25% annui e gli esperti del settore sono convinti che nei prossimi cinque anni tale crescita dovrebbe proseguire ad un ritmo del 15%. Oggi la Cina è quindi il mercato della bellezza più grande e più ricco del mondo: un parco sterminato di consumatori, 9 miliardi di dollari di giro d’affari annuo e oltre tremila aziende operanti nel settore. I protagonisti di tale mercato sono stati finora i produttori nazionali, i quali però devono iniziare a fare i conti con l’agguerrita concorrenza delle aziende straniere, aiutata anche dalle autorità cinesi che stanno favorendo l’ingresso delle società straniere tagliando le tariffe e stimolando l’utilizzo di Hong Kong come porta di accesso per il mercato cinese. Le porte aperte al mercato della bellezza cinese stanno spingendo anche alcuni operatori italiani a tentare la sfida competitiva oltre la Grande Muraglia. “E’ la prima volta che veniamo ad esporre i nostri prodotti a una fiera cinese e stiamo notando molta curiosità da parte di un pubblico che ci sembra molto sensibile alle novità e alle innovazioni” dice l’export manager di un’azienda torinese che produce cosmetici professionali per capelli. “Quello cinese è un mercato che offre un notevole potenziale di crescita, ma che deve essere ancora formato. Per questa ragione, sono fondamentali due cose: arrivare qui con prodotti adeguati, in molti casi tagliati su misura per la clientela cinese e poi trovare un distributore locale affidabile” avverte la responsabile per i mercati emergenti di una rivista del settore della bellezza che ha appena lanciato l’edizione in lingua cinese. Fonte: Il Sole-24ore, 28/10/2004 15 L’ambiente demografico L’analisi dell’ambiente demografico si prefigge l’obiettivo di individuare le principali tendenze relative alla struttura demografica della popolazione appartenente al contesto paese in cui l’impresa opera o intende operare in futuro. L’aggregato in esame include tutti i fenomeni che incidono sulla dinamica e sulla struttura della popolazione, in termini di classi di età, sesso e gruppi etnici. Variabili significative dell’ambiente demografico sono, pertanto: il tasso di crescita della popolazione, la sua stratificazione per età, il numero medio dei componenti per famiglia, il tasso di natalità e di mortalità, il grado di urbanizzazione, la struttura e l’andamento dell’occupazione, nonché la direzione e l’intensità dei flussi migratori interni, da e per l’estero. Le variabili indicate presentano effetti socio-culturali facilmente prevedibili che si ripercuotono sulla dinamica dei consumi e, quindi, sulle politiche di marketing delle imprese (Valdani, 1995). Esse, infatti, influenzando i bisogni del consumatore, i comportamenti d’acquisto e la dimensione dei potenziali mercati, determinano il grado di elasticità e di dinamicità della domanda di mercato e possono variamente alterare i margini di profitto realizzabili dalle imprese. Con specifico riferimento al contesto italiano si è evidenziata, negli ultimi anni, una progressiva riduzione del tasso di crescita della popolazione, con un incremento del tasso di invecchiamento e di sopravvivenza, accompagnato da una riduzione del numero medio dei componenti per famiglia e del numero dei matrimoni. A ciò si aggiunge un aumento del tasso di occupazione femminile e un profondo cambiamento dei flussi migratori che ha visto, negli ultimi dieci anni, un consistente incremento dei flussi provenienti dal bacino del mediterraneo e dall’Europa centro-orientale. Le trasformazioni socio-demografiche delineate non possono non impattare sulle scelte strategiche delle imprese in virtù dei profondi cambiamenti che inducono nella struttura dei mercati e, soprattutto, nei comportamenti di acquisto dei consumatori italiani. Le tendenze in atto possono, dunque, rappresentare, sia una minaccia, nella misura in cui determinano una riduzione, in termini quantitativi, della domanda per alcune categorie di prodotti o servizi, sia un’opportunità legata alla possibilità di ampliare l’offerta dell’impresa e di elevare il rapporto prezzo/qualità per un pubblico di consumatori meno sensibile al prezzo. La riduzione del tasso di natalità, ad esempio, accompagnato da un incremento della vita media comporta, da un lato, una riduzione nella domanda di beni e servizi per la prima infanzia e l’adolescenza, come prodotti alimentari specifici, e 16 prodotti di abbigliamento, e, dall’altro, un aumento della domanda di prodotti e servizi sociali e sanitari appositamente ideati per gli anziani. Anche il progressivo aumento dei gruppi familiari mono-componenti o con un solo figlio e l’incremento del numero di separazioni da matrimonio comporta nuove opportunità per le imprese che offrono alcuni servizi, come quelli ricreativi e per il tempo libero, attività culturali e servizi di “supporto per la gestione domestica”(servizi di pulizie, tintorie, ecc.). Tale trend ha inoltre indotto le imprese ad introdurre nuovi formati (molto spesso monodose) nei prodotti. Lo sviluppo dell’occupazione femminile rappresenta un’altra variabile che ha impattato in modo profondo sui vigenti modelli di consumo: un primo effetto, concretizzatosi nella nascita e diffusione di negozi despecializzati di grande superficie come supermercati, ipermercati e shopping center, è infatti coniugabile alla riduzione del tempo disponibile per gli acquisti che ha incentivato la nascita di negozi dotati di un assortimento ampio e profondo in cui concentrare la maggioranza degli acquisti. Un’ulteriore evoluzione dei modelli di consumo nazionali è riconducibile alla crescente mobilità della popolazione e, in particolare, al fatto che l’Italia è divenuta meta di flussi migratori. Il progressivo addensarsi di gruppi di immigrati provenienti dal bacino del mediterraneo, dall’Est Europeo, dal Sud-Est asiatico e dal Sud America, ha indotto le imprese a modificare le propria offerta, adottando nuovi criteri di segmentazione e di differenziazione, al fine di rendere la stessa adeguata alle esigenze di una società sempre più multietnica ed ha aperto spazi per nuove imprese che forniscono prodotti e servizi specificamente destinati a tale segmento di popolazione (es. servizi telefonici internazionali o negozi alimentari specifici) L’analisi dell’ambiente demografico dovrebbe, quindi, rispondere a domande, quali ad esempio: − quali trend demografici influenzeranno le dimensioni e la composizione della domanda del settore? Con quali modalità? − quali cambiamenti demografici rappresentano opportunità e quali minacce? L’impatto delle variabili demografiche sulle scelte delle imprese: i servizi bancari dedicati agli anziani Gli anziani sono sempre più “corteggiati” da parte delle banche. Un anziano titolare di pensione certa è, infatti, considerato più interessante e più affidabile di un trentenne con un lavoro autonomo o a contratto. Numerose banche hanno così rilanciato i pacchetti dedicati agli anziani o riadattato i conti a basso costo esistenti, hanno innalzato l’età massima per la sottoscrizione di polizze 17 Vita e per l’accensione di un mutuo di lunga durata: una scelta che oggi viene effettuata sempre più spesso, programmando il futuro subentro di figli o nipoti. Tali servizi dedicati, oltre a condizioni di conto corrente sempre più vantaggiose, presentano come obiettivo quello di superare l’atteggiamento di grande prudenza che la terza età continua ad opporre al sistema bancario, accresciuto dopo i recenti crack finanziari che hanno comportato mancati guadagni e significative perdite per migliaia di piccoli investitori e i ritocchi delle spese da parte di molti istituti bancari. Fonte: Il Sole-24ore, 18/04/2004 L’ambiente tecnologico La tecnologia rappresenta una delle variabili ambientali che ha maggiormente stimolato lo sviluppo delle imprese, e, più in generale, i principali mutamenti nella vita degli uomini. L’innovazione tecnologica10 costituisce, infatti, uno dei fattori che più di altri contribuisce alla crescita economica, attraverso l’incremento dell’efficienza con la quale il sistema economico soddisfa i bisogni dei consumatori (Valdani, 1995). L’ambiente tecnologico viene analizzato, in questo ambito, soprattutto per la sua potenziale incidenza sulle fonti del vantaggio competitivo e sulle relazioni concorrenziali fra imprese. Le sue variabili costituenti (in particolare, attività di R&S, processi di automazione, incentivi tecnologici, tasso di cambiamento tecnologico) possono, infatti, abbassare le barriere strutturali all’entrata in un settore industriale, aumentare i livelli di efficienza della produzione ed influenzare le decisioni di outsourcing. Si consideri, ad esempio, l’impatto attuale e potenziale delle innovazioni connesse alle biotecnologie che vengono impiegate nell’industria alimentare o per la produzione di prodotti di qualità superiore; ai nuovi materiali che comportano nuove opportunità per le imprese o alle tecnologie dell’informazione ed alle loro applicazioni. I fattori tecnologici vanno analizzati con riferimento sia alle tecnologie di base, sia a quelle applicative. Le tecnologie di base costituiscono il patrimonio delle conoscenze e dei principi scientifici e tecnologici generali entro cui si sviluppano le tecnologie applicative (informative, logistiche, dei processi produttivi, tecnologie organizzative e manageriali) le quali sfruttano i principi generali al fine di conferire un vantaggio competitivo all’impresa (si pensi alle opportunità derivanti dalla diffusione di 10 “L’innovazione tecnologica viene comunemente intesa come lo sviluppo, per fini commerciali, di nuovi prodotti o di nuovi processi, o come il miglioramento di prodotti o processi esistenti”. (Gambardella, 1995) 18 microchip, materiali compositi, materiali plastici come il PET e il PVC, delle fibre ottiche e della tecnologia laser). Le innovazioni e gli sviluppi tecnologici che hanno prodotto i maggiori cambiamenti per le imprese possono essere ricondotti a tre diversi ambiti: L’automazione e lo sviluppo dell’Information and Comunication Tecnology - ICT (computer e Internet). Tali progressi hanno modificato il modo di condurre gli affari e di gestire le informazioni, tanto che sono divenute vere e proprie risorse strategiche per competere nell’attuale scenario internazionale. Ad essi è riconducibile la nascita di operatori indipendenti che svolgono attività di raccolta e di gestione delle informazioni nonché di consulenza per le imprese che si accingono ad operare in ambito nazionale ed internazionale. Lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni. Tali cambiamenti hanno permesso di velocizzare i flussi di scambio riducendo tempi e costi di trasporto ed hanno consentito di aumentare la sicurezza del transito riducendo le perdite del carico. Il generale sistema industriale. Lo sviluppo tecnologico ha permesso un progressivo miglioramento della produttività degli impianti che ha innalzato i livelli minimi di produzione necessari per poter sfruttare economie di scala e raggiungere, quindi, l’efficienza produttiva. Per tale ragione le imprese sono state nello stesso tempo incentivate ad aumentare la produzione e costrette a ricercare nuovi mercati di sbocco per collocare l’eccedenza. D’altro canto la rapida saturazione dei mercati di sbocco ha spinto le imprese alla ricerca di una continua innovazione e/o specializzazione ed ha elevato i tassi di dinamicità industriale (Petersen e Pedersen, 1999)11. Quando l’innovazione si è poi progressivamente spostata verso le tecnologie dell’informazione (attraverso l’utilizzo dell’elettronica nella programmazione, nel controllo e nella gestione degli impianti e dei macchinari) per le imprese si è aperta la possibilità di conseguire nuovi vantaggi competitivi, legati alla capacità di variare velocemente la produzione in funzione delle variazioni della domanda (economie di scopo). Le innovazioni tecnologiche richiedono un continuo e sistematico monitoraggio in quanto da esse possono derivare minacce ed opportunità di mercato che 11 A sostegno di quanto su affermato, Petersen e Pedersen (1999) hanno ricordato che durante gli anni ’60 e ’70 i produttori giapponesi operanti nel settore dell’elettronica di consumo, furono i primi a raggiungere nuovi livelli di efficienza che permisero loro di entrare (esportazione) nel mercato statunitense e dell’Europa occidentale con prezzi sensibilmente minori rispetto ai concorrenti locali. Tutto ciò permise alle imprese giapponesi di cambiare la situazione competitiva nei settori industriali dei suddetti paesi (Petersen e Pedersen, 1999). 19 l’impresa deve valutare con estrema attenzione al fine di gestirle in maniera adeguata. Tanto più un’impresa fa capo ad un settore legato allo sviluppo scientifico e tecnologico, tanto più rapido sarà l’impatto su di essa dei cambiamenti tecnologici. Emerge da ciò la necessità che l’organizzazione mantenga stretti contatti con le fonti del cambiamento tecnologico e che si ponga come anticipatrice rispetto al suo mercato di riferimento (Rosenberg, 1987). L’analisi dell’ambiente tecnologico dovrebbe, in sintesi, rispondere a domande, quali ad esempio: - in quale fase del ciclo di vita si collocano le tecnologie tradizionali che dominano attualmente il mercato? - quali nuove tecnologie stanno emergendo? Quale sarà il loro impatto sulle scelte strategiche delle imprese? - come sfruttare le nuove tecnologie dell’informazione (es. internet)? Le opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche: le assicurazioni auto on-line Internet sta diventando sempre più importante per le compagnie di assicurazione. Secondo una ricerca di Databank, infatti, sono ormai due milioni gli italiani che dal 1995 hanno preferito le polizze auto on-line rispetto a quelle tradizionali, cioè il 3,5% del mercato delle polizze auto, con un tasso di crescita del 25% annuo. Costi inferiori, maggiore comodità e semplicità nella sottoscrizione, maggiore efficienza e trasparenza gestionale e la possibilità di garantire un servizio più continuo grazie alla rete web rappresentano le caratteristiche delle polizze on-line. Sono prodotti che si possono comprare velocemente con carta di credito e personalizzare secondo le proprie esigenze. Nei prossimi 10 anni, il mercato delle polizze on-line dovrebbe arrivare a coprire il 10% degli italiani: un dato rilevante, anche se ancora basso rispetto all’Inghilterra e all’Olanda, dove quasi il 40% dei cittadini ha scelto i prodotti assicurativi in rete, ma che comunque manifesta la progressiva tendenza dei consumatori verso gli acquisti in rete. Non è un caso, quindi, che siano state proprio le principali compagnie assicurative a lanciare prodotti su Internet in alternativa a quelli che vendono in agenzia. Fonte: Il Sole-24ore, 26/09/2004 L’ambiente naturale L’analisi del macro-ambiente non dovrebbe prescindere da una valutazione anche delle dotazioni naturali ed in generale dai fattori country specific, i quali rivestono un ruolo fondamentale soprattutto nel processo decisionale delle imprese (Schutte, 1997). 20 L’ambiente naturale costituisce una fonte generatrice di risorse necessarie per il ciclo produttivo: fonti di energia, risorse idriche, materie prime, prodotti della terra e così via. In secondo luogo esso rappresenta il recettore dei sottoprodotti dell’attività di produzione e di consumo. La necessità di tutelare il patrimonio naturale al fine di garantire maggiore tutela della salute pubblica e l’accettabilità sociale delle attività industriali ha determinato per le imprese le implicazioni di cui si è discusso nei paragrafi precedenti e ai quali si rimanda. In questa sede si vuole sottolineare, in particolare, come la possibilità di trasformare i vincoli, imposti all’attività dell’impresa nel tentativo di tutela dell’ambiente naturale, in opportunità, dipenda anche dal livello di sviluppo raggiunto dall’ambiente tecnologico e dal grado di interazione esistente tra questo e le organizzazioni. L’ambiente strutturale nazionale Lo studio dell’ambiente strutturale nazionale comporta l’individuazione dei fattori strutturali, attuali e prospettici, dei sistemi paese in cui è presente o ha intenzione di operare l’impresa. Variabili significative di questo aggregato sono: la dotazione di infrastrutture fisiche e immateriali del sistema paese, gli investimenti nel sistema formativo e nella ricerca scientifica il costo e produttività dei fattori e il grado di diffusione della tecnologia. Gli elementi in esame giocano un ruolo fondamentale nell’ambito del sistema vincoli/opportunità delle imprese, così come nell’incentivare o disincentivare le scelte localizzative degli investimenti. La carenza o la cattiva qualità di infrastrutture pubbliche (strade, autostrade, ma anche trasporti e comunicazioni), ad esempio, finisce con l’aggravare i costi delle imprese, sia direttamente costringendo gli operatori ad esborsi aggiuntivi per l’acquisizione di servizi sostitutivi di quelli pubblici, sia indirettamente determinando la nascita di tensioni sociali in grado di impattare in misura più o meno significativa sui costi delle imprese (Berra, 1995). E’ evidente, dunque, come la presenza di una dotazione infrastrutturale efficiente, la natura e la qualità della formazione (scolastica e universitaria) e della ricerca scientifica rappresentino i presupposti per la nascita e lo sviluppo di imprese in grado di competere a livello internazionale. Alla luce di quanto sottolineato circa le influenze della dimensione esterna sulle decisioni strategico-localizzative delle organizzazioni, il caso dello sviluppo dell’industria farmaceutica sembra rappresentare un esempio di clima 21 complessivamente favorevole all’insediamento negli USA delle imprese operanti in tale settore. L’influenza dall’ambiente strutturale sulle scelte localizzative delle imprese L’industria farmaceutica mondiale è caratterizzata da circa un decennio da fenomeni di fusioni e di acquisizioni che rappresentano anche l’occasione per realizzare importanti dinamiche rilocalizzative dei laboratori di ricerca e degli stabilimenti produttivi. In questo quadro, il contesto statunitense rappresenta un attrattore localizzativo la cui forza è riconducibile a diversi fattori. In primo luogo vanno sottolineate ragioni di tipo finanziario; le imprese, infatti, possono finanziare le loro elevate spese di R&S ricorrendo agli investitori istituzionali (merchant bank, venture capital, fondi pensione, liberi e privati investitori). In secondo luogo vi sono ragioni di tipo commerciale: il prezzo dei farmaci negli Usa, infatti, è libero ed i consumi pro-capite sono superiori ed in crescita continua rispetto a quelli rilevati in Europa. In terzo luogo vi è un’ampia disponibilità di ricercatori qualificati operanti nel settore provenienti da tutto il mondo grazie ai migliori incentivi salariali offerti dall’industria statunitense; tutto ciò finisce con assicurare qualità e sviluppo della ricerca. Infine, gli Usa ad oggi sono tra i pochi paesi industrializzati a non ostacolare le ricerche nel campo della biotecnologia e della genetica molecolare opponendo limitazioni di tipo etico. Molte imprese farmaceutiche stanno investendo lungo questa direttrice di ricerca e quindi necessitano di un paese che non ponga vincoli istituzionali ai loro studi. Fonte: Affari e Finanza 24/01/2000. Emerge dalle considerazioni fino ad ora proposte una concezione del macroambiente come sistema con il quale le imprese stabiliscono stretti rapporti di interdipendenza. Nell’ambito di un approccio di tipo resource based, un’importante implicazione, riconducibile alla concezione sistemica dell’impresa, deriva dalla considerazione che le imprese utilizzano, per la realizzazione delle proprie combinazioni produttive, input materiali ed immateriali disponibili nel macroambiente nel quale esse sono inserite, risorse cioè rese disponibili da una data società e cultura. Esempio evidente di come combinazioni favorevoli di particolari variabili macro-economiche, combinazioni del tutto originali di fattori sociali, infrastrutturali, politico-istituzionali e storici influiscano sulla nascita e 22 l’implementazione di attività imprenditoriali è fornito dallo sviluppo in Italia, a partire dagli anni ’60, dei sistemi territoriali di imprese (distretti industriali). Il distretto industriale è una delle forme più classiche di sistema locale di produzione, oggetto di studio di numerosi autori, italiani e stranieri, che hanno alimentato la copiosa letteratura disponibile sull’argomento. I distretti sono sistemi produttivi geograficamente definiti, caratterizzati da un alto numero di imprese, geograficamente concentrate, impegnate in diversi stadi della produzione di un prodotto omogeneo. L’impresa distrettuale gode di quell’atmosfera industriale di cui parlava Marshall (1920): un insieme di risorse umane e informative, di competenze che vengono generate e si diffondono tramite rapporti frequenti e spontanei, facilitati dalla contiguità territoriale, e tramite il confronto e la socializzazione, come affermato da Becattini e Rullani (1993), tra gli attori locali. I meccanismi di socializzazione di tipo informale, dovuti alla localizzazione in un’area distrettuale, favoriscono il trasferimento di informazioni ed innovazioni a costi più bassi. Il radicamento delle imprese nella stessa area geografica, la condivisione di credi, valori e linguaggi, genera condizioni di trasferibilità ed appropriabilità della conoscenza difficilmente replicabili al di fuori del distretto. Esse costituiscono delle shared resources che non sono di proprietà esclusiva della singola azienda ma appartengono al sistema locale grazie ai meccanismi di collaborazione e coordinamento che si sviluppano al suo interno (Lawson, Lorenz, 1999). Le caratteristiche delineate sostengono l’importanza e l’influenza esercitata da particolari combinazioni di elementi del macro-ambiente sul successo di alcune iniziative imprenditoriali. Con ciò non vuole sostenersi che i distretti industriali italiani continuino a conservare tutte le caratteristiche esaminate consapevoli dell’annoso dibattito letterario esistente sull’allontanamento degli attuali sistemi di produzione dalle loro configurazioni tradizionali. Non si intende pertanto supportare alcuna posizione teorica a sostegno della sopravvivenza o del declino dei distretti industriali italiani non essendo questo l’intento perseguito nella presente trattazione. Nella considerazione dei distretti industriali intesi come una articolata combinazione dei fattori del macro-ambiente e come insieme di vincoli e di opportunità in cui l’impresa si sviluppa si intende qui sottolineare soltanto come condizioni politico-istituzionali, infrastrutturali, socio-culturali possano impattare significativamente sulla nascita e sullo sviluppo delle iniziative imprenditoriali. 23 Il distretto industriale secondo il pensiero marshalliano Il concetto di distretto industriale è stato concepito dall’economista Alfred Marshall nel 192012 per poi essere recuperato e rielaborato in maniera innovativa da Becattini (1979) e dalla sua scuola fiorentina. Secondo Becattini (1979) tre sono le principali componenti di questa peculiare modalità di aggregazione di imprese: - un’area territoriale circoscritta, che ha una propria storia passata ed è naturalisticamente determinata; - una popolazione di imprese industriali di piccole e medie dimensioni, che ivi svolge la propria attività; - una comunità di persone residente nell’area. La comunità di persone è accomunata da valori sviluppatisi nel corso della storia, che danno vita a determinate istituzioni (come il mercato, la famiglia, le imprese, la pubblica amministrazione, le scuole, i partiti politici, gli enti assistenziali, culturali, pubblici, artistici ed economici), tradizioni e regole comportamentali; ciascuna impresa del distretto, invece, è specializzata in una fase, o alcune fasi, del processo produttivo tipico del distretto. L’approccio marshalliano classico mette in evidenza il ruolo e le funzioni svolte dalle economie esterne, dette anche di agglomerazione13, che si realizzano esternamente alla singola impresa ma internamente al sistema locale. La vicinanza geografica consente una riduzione dei costi di trasporto e di transazione in generale, facilità di accesso alle risorse e alle informazioni possedute da altre imprese (economie di informazione), la prossimità di servizi complementari, servizi per la soluzione di problemi tecnici, finanziari o di contabilità. Lo sviluppo di una determinata produzione manifatturiera è reso possibile dall’accumularsi storico di un know-how tecnico maturato nella produzione artigianale; la presenza di lavoratori tecnicamente qualificati, con conoscenze trasmesse attraverso meccanismi informali o direttamente “on the job” (Nassimbeni,2003). Sotto il profilo strettamente economico-industriale, i distretti mostrano alcune caratteristiche. 12 E’ oltre un secolo fa, sulla base dell’attenta osservazione dello sviluppo industriale di Sheffield e del Lancashire, che Alfred Marshall aveva individuato nel “distretto industriale” ossia nell’agglomerazione di molti piccoli e medi produttori in una stessa località, un possibile modo alternativo al modello della grande impresa di organizzare la produzione in certi settori, senza rinunciare ai vantaggi della divisione del lavoro. In the Pure Theory of Domestic Values, Marshall scriveva infatti che “i vantaggi della produzione su larga scala possono in generale essere conseguiti sia raggruppando in uno stesso distretto un gran numero di imprese di modesta dimensione, sia costruendo pochi grandi stabilimenti”. 13 Il termine è stato coniato da Krugman, fautore della nuova geografia economica, per evidenziare i vantaggi della localizzazione (Schmitz, 1998). 24 In primo luogo l’affermazione di un’industrializzazione diffusa si connette a produzioni che richiedono una tecnologia relativamente semplice e basse barriere tecnologiche all’ingresso, nonché una facile scomponibilità in fasi distinte del processo di lavorazione (condizione essenziale perché le imprese possano specializzarsi in ciascuna fase del ciclo produttivo. Dato che nel distretto ogni gruppo di stabilimenti specializzati in una particolare fase della produzione o dell’erogazione di un servizio è complementare agli altri, si verifica una specie di interdipendenza organica. Di conseguenza l’intera comunità di piccole imprese è in grado di ottenere quelle economie di scala che fino a tempi recenti si ritenevano essere una peculiarità delle grandi imprese, grazie al fatto che un macchinario dispendioso può essere pienamente utilizzato per provvedere alla necessità di tutti i membri del distretto. La popolazione delle piccole imprese del distretto industriale non è soltanto un aggregato di unità produttive. Ciò che le rende qualcosa di più di questo è lo speciale modo sistemico in cui sono organizzate e il modo in cui si relazionano le une con le altre e con l’ambiente nel quale sono inserite. Per questo motivo l’inserimento in un distretto industriale può essere considerato come una risorsa intangibile in più per l’impresa distrettuale, rispetto a quella isolata, una fonte di vantaggio competitivo. 1.2. L’analisi del microambiente Il micro-ambiente (o ambiente competitivo) è costituito da tutte quelle forze, fenomeni ed attori che, operando nello specifico campo di attività dell’impresa, ne influenzano scelte strategiche e performance. Tali forze e soggetti determinano, infatti, l’intensità della concorrenza e influenzano le prospettive di redditività dell’impresa e dei suoi concorrenti. L’analisi dell’ambiente competitivo mira all’individuazione del campo di attività nel quale l’impresa intende competere e, quindi, dei soggetti con cui l’impresa deve interagire al fine di ottenere un efficace posizionamento competitivo (Genco, Ferrara, 1995). Essa risponde a una duplice finalità: da un lato, consente di individuare il luogo in cui avviene il confronto competitivo tra le imprese e gli specifici business nei quali l’impresa intende operare; dall’altro, aiuta a comprendere le forze che, nei singoli business, impattano sulla competitività delle imprese. Sotto il profilo metodologico, lo studio delle specificità del micro-ambiente prevede quattro momenti fondamentali (Buratti, 1995): 25 1) definizione dei confini del campo d’indagine, attraverso la definizione del settore e delle aree strategiche d’affari (ASA) in cui l’impresa opera; 2) analisi delle caratteristiche strutturali della o delle aree strategiche d’affari individuate e studio delle dinamiche competitive che la o le caratterizzano, attraverso lo studio delle forze dell’ambito competitivo; 3) ricostruzione, all’interno dell’ambito competitivo, dei principali raggruppamenti strategici; 4) individuazione, all’interno dei raggruppamenti strategici più importanti, dei principali concorrenti e selezione degli indicatori sintetici da adottare nel processo di sorveglianza. Il successo di un’impresa non si basa, infatti, solo sulla capacità di individuare le opportunità e le minacce che si generano nell’ambiente esterno, ma anche sull’abilità di valutare il comportamento attuale e potenziale dei concorrenti e di scegliere, nell’ambito delle possibili alternative, quelle più rispondenti al patrimonio di competenze e risorse consolidate al suo interno. In realtà, l’analisi del micro-ambiente sottolinea, in un’ottica dinamica, la necessità da parte degli operatori, di passare da una valutazione “subita” dal mercato ad una valutazione metabolizzata dall’impresa. In tal senso, i concetti di settore e ASA, per come sono tradizionalmente inquadrati nella letteratura, rispondono all’esigenza delle imprese di individuare le opportunità di business che emergono dalla struttura e dall’evoluzione del mercato. Tale finalità è perseguita attraverso l’utilizzo di meccanismi oggettivi di analisi del mercato quali la dotazione tecnologica, merceologica o legata alla natura dei bisogni espressi dai consumatori. Non tutte le imprese pervengono, tuttavia, agli stessi risultati. Le imprese guardano, infatti, al risultato di tali analisi con capacità interpretative ed analitiche diverse, in quanto differenti sono le risorse e le competenze che esse possono sfruttare in vista del raggiungimento di un dato obiettivo strategico. L’analisi a questo punto si sposta verso l’angolo visuale dell’impresa che, con la propria dotazione di risorse e competenze, guarda al settore o all’ASA attraverso le lenti del pianificatore aziendale. Da questo angolo visuale, ogni impresa identifica un proprio mercato di riferimento, caratterizzato da specifiche forze che, più di altre, agiscono sulla competitività dell’impresa. A tale finalità risponde lo strumento di pianificazione ideato da Porter (1980), che consente di standardizzare gli strumenti di verifica del mercato di riferimento delle imprese, definito ambito competitivo. Il passaggio dall’analisi del settore all’analisi dell’ambito competitivo non deve essere inteso come un percorso ad imbuto, che procede dal generale al particolare, 26 piuttosto esso costituisce un salto di visuale che muove da un’analisi oggettiva e standardizzata del mercato ad una personale e soggettiva calata negli sforzi di competizione delle imprese. 1.2.1. Settore e ASA Il concetto di settore L’identificazione del settore, nell’economia d’impresa, rappresenta un momento necessario per la definizione ed analisi dell’ambiente competitivo. Gli studi sul settore, sviluppati dapprima nell’ambito dell’economia industriale e successivamente nell’economia d’impresa, hanno la finalità di identificare un insieme omogeneo d’imprese per studiarne le modalità competitive e le capacità di soddisfazione della domanda. Il settore è costituito da un insieme di imprese con caratteristiche omogenee e la sua identificazione deriva da un processo di astrazione che consente di individuare, mediante opportuni criteri di omogeneità, un luogo figurato dell’offerta delimitato da un confine cognitivo. Tale confine cognitivo consente di distinguere le imprese che costituiscono il settore da quelle che sono ad esso esterne e può essere differenziato in funzione di criteri di omogeneità. Per definire il settore, pertanto è necessario procedere attraverso due criteri di omogeneità: 1. il primo criterio parte dall’analisi dell’offerta ed identifica come appartenenti al settore le imprese che, presentando una omogeneità di prodotto di natura merceologica o tecnologica, determinano il settore merceologico-manifatturiero; 2. il secondo criterio focalizza l’attenzione sulla domanda e considera le possibili imprese che producono prodotti sostitutivi rispetto alla soddisfazione dello stesso bisogno; il settore, in tal caso, viene definito economico. Il settore manifatturiero-merceologico è identificato mediante un omogeneità tra le imprese di natura merceologica e manifatturiera che richiama alla similarità di prodotto, di input utilizzati e di processi produttivi. Tale settore in via esplicita, “delimita anche simultaneamente l’ampiezza delle fasi di lavorazione ivi incluse e, quindi, definisce un processo terminale di settore anche denominato diagramma di flusso produttivo settoriale e processo lavorativo industriale” (Panati, Golinelli, 1994). In tal senso, quindi, al settore viene associato un processo di trasformazione 27 tipico, chiamato processo terminale settoriale, che accomuna le imprese che lo compongono e che consente di estendere l’omogeneità alle tecnologie produttive e agli input. Si consideri il prodotto caffè al fine di identificare le imprese che costituiscono il settore della torrefazione in Italia. L’identificazione del settore avviene mediante un’omogeneità merceologico-manifatturiera data da: una comune tipologia di prodotto (il caffè torrefatto), un comune input fondamentale (il caffè verde) e omogenei processi di trasformazione fisico-tecnica (torrefazione) effettuati mediante tecnologie specifiche ma comuni a tutte le imprese. Le imprese di torrefazione sono circa 750 ma la produzione è fortemente polverizzata in quanto 700 torrefazioni sono di piccolissime dimensioni, e riforniscono quasi esclusivamente il canale bar, e 40 di medie-grandi dimensioni che operano a livello regionale o pluriregionale. In tal caso le imprese di piccole dimensioni rappresentano il 93% del settore. Il mercato del caffè, nel 2004, ha avuto un fatturato di oltre 836 milioni di euro con un volume di vendita che raggiunge quasi i 106 milioni di chili. L’analisi delle quote di mercato delle imprese di torrefazione consente di sottolineare che esistono dieci grandi aziende che detengono complessivamente l’86,5% del mercato così come evidenziato nella successiva figura. Figura 1: Quote di mercato delle imprese di torrefazione del caffè 28 Lavazza (47,4) 13,5 4,5 5,3 47,4 7,4 10,5 11,4 Kjs (Splendid) (11,4) Segafredo (10,5) Cafè do Brasil (Kimbo)(7,4) Consorzio Sao (5,3) Illy (4,5) Altri produttori (13,5) Fonte: Information Resources, 2004 Risulta necessario osservare che il criterio di omogeneità non è stringente precludendo elementi di differenziazione che possono contraddistinguere le imprese appartenenti al settore. Le differenze tra imprese di torrefazione possono riguardare le tipologie di caffè (moka, espresso, decaffeinato, in grani e in filtri), le miscele di caffè torrefatto (robusta ed arabica), il grado di differenziazione nell’ambito della medesima linea di prodotto, la provenienza del caffè verde, la tipologia di processi di trasformazione che possono avvalersi di sofisticati sistemi di controllo della qualità dei chicchi e i canali utilizzati. L’utilizzo di tale criterio di identificazione del settore va valutato in maniera critica poiché l’omogeneizzazione dei prodotti, degli input e dei processi produttivi costituisce un elemento oggettivo e di carattere generale. E’ quindi possibile nell’ambito dell’omogeneità merceologica e manifatturiera identificare possibili elementi di differenziazione che possono costituire un importante elemento per lo sviluppo di conoscenze e competenze a livello di singola impresa. 29 Lo studio delle imprese che presentano una omogeneità merceologica e manifatturiera, quindi, non risolve la problematica centrale dell’analisi del settore che è costituita dall’analisi delle imprese che rientrano nello stesso ambito competitivo e che, in tal senso, sono in grado di soddisfare i bisogni della domanda. Risulta evidente che è sempre più aleatorio considerare un settore composto da imprese che producono lo stesso prodotto (Volpato, 1996) ma il focus della concorrenza deve essere spostato sulle modalità alternative per la soddisfazione dello stesso bisogno. Per tale motivo, la letteratura ha proposto il concetto di settore economico che identifica l’insieme delle imprese che producono beni atti a soddisfare bisogni identici o assimilabili (Panati, Golinelli, 1994). Tale modalità di identificazione del settore richiama al concetto teorico, proposto da Marshall, di identificazione di insiemi di imprese che producono beni tra loro sostituibili (Marshall, 1961). Dal punto di vista teorico la delimitazione dei confini del settore può essere effettuata mediante la misura dell’elasticità incrociata fra i prodotti dell’impresa e quelli delle altre imprese, pur se concretamente tale procedimento non è sempre attuabile14. Il settore economico, pertanto, consente di spostare il focus dell’analisi dalla omogeneità di prodotti alla omogeneità dei bisogni attribuendo importanza alla necessità di osservare che stessi bisogni possono essere soddisfatti da tipologie di prodotti, e quindi da imprese, sostanzialmente differenti. L’importanza attribuita al bisogno consente di identificare le interdipendenze e gli ambiti di sovrapposizione tra le imprese. Da ciò, la definizione dei confini settoriali può avvenire considerando l’intersezione di quattro insiemi di imprese omogenee rispetto a: le tecnologie, gli input, il bisogno soddisfatto e le scelte commerciali (Volpato, 1989). Nella seguente figura viene rappresentata tale modalità di identificazione del settore nell’ottica dell’economia d’impresa. 14 L’elasticità incrociata del bene A rispetto al bene B è data dal rapporto tra la variazione percentuale della domanda del bene A e la variazione percentuale del prezzo del bene B. Se una piccola variazione percentuale del prezzo del bene B influenza sensibilmente la variazione percentuale della domanda del bene A le due imprese sono concorrenti.Si consideri, come esempio, il bisogno di trasporto correlato al percorso Napoli-Milano. Nel caso in cui ad un incremento del 30% del prezzo del treno Eurostar corrisponda un incremento del 20% della domanda di voli aerei si può ritenere che Trenitalia e le Compagnie aeree che effettuano voli sulla suddetta tratta appartengano allo stesso settore economico e, quindi, siano concorrenti per la soddisfazione del bisogno di trasporto. 30 Figura 2: L’identificazione dei confini del settore Imprese con omogeneità tecnologica Imprese con omogeneità del bisogno Imprese del settore Imprese con omogeneità di input Imprese con omogeneità commerciali Fonte: nostro adattamento da Volpato, 1989, pag. 141. Riprendendo l’esempio delle imprese di torrefazione, nel caso del settore economico è possibile restringere l’ambito di indagine competitiva se accanto al prodotto (caffè torrefatto), alle tecnologie e agli input (caffè verde) andiamo ad aggiungere il bisogno (socializzazione) soddisfatto mediante il canale bar. In tal caso, infatti, restringiamo considerevolmente le iniziali 740 imprese di torrefazione considerando soltanto quelle che operano mediante il canale bar. Pur se la crescita della complessità ambientale e la globalizzazione hanno annullato o ridefinito i confini geografici e cognitivi del settore, gli assunti teorici rimangono validi (Volpato, 2000). Il concetto di settore e la sua validità, quindi, non vengono meno ma piuttosto i legami tra le imprese, che definiscono la struttura del settore, debbono essere interpretati in un’ottica dinamica al fine di definire e ridefinire le interdipendenze che caratterizzano le imprese e che portano ad ampliare o restringere i confini del settore. 31 L’evoluzione delle diverse variabili che caratterizzano l’ambiente dell’impresa influenzano, quindi, non la validità del concetto di settore ma portano a modificarne i confini in funzione dei cambiamenti negli ambiti di interdipendenza tra le imprese. Il concetto di ASA Il settore identificato mediante i criteri di omogeneità descritti costituisce un contesto oggettivo che l’impresa subisce in maniera passiva e non un elemento frutto di una scelta soggettiva e variabile nel tempo. L’identificazione dell’ambito competitivo per essere funzionale alla definizione della strategia, deve essere il risultato di un processo di natura soggettiva che consenta di identificare i concorrenti che possano influenzare le scelte dell’impresa. Pur se il concetto di settore ha consentito di evidenziare quali elementi debbano essere considerati al fine di identificare le condizioni di concorrenza tra le imprese, nella sua visione oggettiva presenta ancora dei limiti. Tale visione, infatti, risulta limitata perché include nell’analisi solo le caratteristiche delle imprese che offrono un dato prodotto trascurando gli elementi che contraddistinguono il mercato servito e, quindi, il rapporto prodotto/mercato (Ansoff , 1965). La definizione dell’ambito competitivo in termini di prodotto/mercato, infatti, consente di integrare la prospettiva dell’offerta con quella della domanda considerando le diverse modalità di soddisfazione di bisogni specifici di un dato segmento. Partendo da tale principio, può essere identificato un particolare ambito competitivo rappresentato dall’ Area Strategica d’Affari (Abell, Hammond, 1986). L’Area Strategica d’Affari (ASA) viene identificata da un modello tridimensionale basato sulle seguenti dimensioni: 1. i gruppi di clienti, che identificano chi viene servito dall’impresa, sono identificati in base a differenti criteri quali le aree geografiche, le caratteristiche demografiche, gli stili di vita, i comportamento d’acquisto, ecc.; 2. le funzioni svolte per i clienti identificano le categorie di bisogni che possono essere soddisfatti da un dato bene; 3. le tecnologie che esprimono le modalità per la soddisfazione di determinati bisogni di segmenti di clienti. Per ciascuna dimensione occorre, quindi, individuare e descrivere gli elementi che consentono di derivare l’ambito competitivo dell’impresa e dei concorrenti. Tale procedimento consente di individuare tutti i diversi possibili business (ASA), 32 correlati ai bisogni, ai tipi di clientela e alle tecnologie nell’ambito dei quali l’impresa può operare. L’identificazione dell’ambito competitivo, pertanto, acquisisce una dimensione soggettiva perché diviene il risultato di un processo strategico che può mutare nel corso del tempo. La selezione delle variabili che descrivono le tre dimensioni, infatti, non sono stabilite dal modello ma sono il risultato di una scelta del soggetto decisore. L’ASA viene identificata mediante la selezione di una funzione d’uso, di un gruppo di clienti e di una tecnologia, ma si deve notare che non necessariamente a tutti gli incroci delle categorie corrisponde un business. Nel caso di imprese multibusiness possono essere identificate più ASA e, di conseguenza, più contesti competitivi. Si consideri un’impresa di torrefazione che voglia identificare il proprio ambito competitivo mediante il modello di Abell per definire una o più possibili ASA. Le tre dimensioni utilizzate possono essere descritte considerando che: 1. le funzioni d’uso sono riconducibili al bisogno di socializzazione che si accompagna all’utilizzo della bevanda caffè, alla funzione energizzante e alla possibilità che il caffè possa essere utilizzato per preparare dolci, altre pietanze o bevande; 2. i clienti vengono identificati considerando i canali: il canale della distibuzione, il canale HORECA (Hotel, Ristoranti e Catering) e il canale bar; 3. le tecnologie sono quelle che consentono di produrre il caffè torrefatto, il caffè in chicchi e il caffè solubile. Nel caso esaminato, l’ASA prescelta dall’impresa di torrefazione viene identificata mediante il caffè torrefatto, venduto tramite il canale bar per soddisfare i bisogni di socializzazione. Tale ASA viene rappresentata da un cubo che identifica l’ambito competitivo dell’impresa e che può essere misurato mediante alcuni indicatori sintetici quali, ad esempio, la quota di mercato detenuta dal segmento bar o la percentuale delle vendite (o dei volumi di produzione) del caffè torrefatto nel mercato complessivo. La selezione di tale ambito competitivo, risultato di una scelta soggettiva, presenta importanti implicazioni per la definizione della strategia. 33 Nella figura che segue viene rappresentata l’applicazione del modello di Abell ad una impresa di torrefazione. Figura 2: L’identificazione di un’ASA per un’impresa di torrefazione Funzioni d’uso Distribuzione Socializzazione Bar Energizzante HORECA Gastronomica Caffè Torrefatto Caffè in chicchi Gruppi di clienti Caffè Solubile Tecnologie ASA Fonte: nostro adattamento da Abell, D.F., Hammond J.S., 1986, p. 452. 1.2.2. Le forze dell’ambito competitivo Dopo aver individuato i confini dell’ambiente competitivo attraverso i concetti di settore e ASA, è utile analizzare le caratteristiche strutturali e le dinamiche competitive che caratterizzano tale ambiente. In questo senso, l’analisi può essere condotta sulla base del modello della concorrenza allargata di Porter (1980), che propone una pluralità di soggetti che 34 esprimono specifiche forze competitive in grado di influenzare la redditività e l’attrattività di un business. La redditività di un ambito competitivo (data dal rapporto fra rendimento e costo del capitale) dipende, infatti, dall’intensità della concorrenza all’interno dello stesso e, quindi, dall’interazione di cinque forze: i concorrenti diretti, i concorrenti indiretti, i concorrenti potenziali, i fornitori e i clienti (Porter, 1980). L’effetto congiunto di queste forze determina il profitto potenziale finale ossia la possibile remunerazione a lungo termine del capitale investito. L’influenza esercitata dalle singole forze non è la stessa in tutti i settori, al contrario il tipo di attività svolta dalle imprese, la loro dimensione media dell’azienda, la numerosità dei clienti e/o dei fornitori e la loro forza contrattuale determinano la maggiore o minore rilevanza di una forza rispetto alle altre. Schematicamente, l’influenza esercitata dalle cinque forze e le variabili da cui dipende il loro impatto possono essere rappresentate come nella figura seguente. Figura 3 Le forze dell’ambito competitivo Potere dei fornitori I fattori che determinano il potere dei fornitori rispetto ai produttori sono analoghi a quelli che determinano il potere dei produttori rispetto agli acquirenti (v. potere dei clienti) Minaccia di nuove entrate Economie di scala, vantaggi assoluti di costo, fabbisogno di capitale, differenziazione del prodotto, accesso ai canali di distribuzione, barriere istituzionali e legali, reazione da parte delle imprese esistenti Rivalità tra i concorrenti esistenti Concentrazione Differenziazione del prodotto Capacità in eccesso e barriere all’uscita Condizioni di costo Minaccia di prodotti sostitutivi Propensione degli acquirenti alla sostituzione Prezzi dei prodotti sostitutivi Potere dei clienti Sensibilità di prezzo: costo del prodotto rispetto al costo totale, differenziazione del prodotto, concorrenza tra gli acquirenti. Potere contrattuale: dimensione e concentrazione degli acquirenti rispetto ai fornitori, costi di sostituzione per gli acquirenti, informazione degli acquirenti, capacità di integrazione a monte degli acquirenti Fonte: ns. elaborazione da Porter (1980) Lo schema ha come obiettivo fondamentale quello di definire le caratteristiche strutturali e i confini del settore; tuttavia, alla luce della difficoltà di identificare 35 confini del settore con i confini dell’ambiente competitivo, sembra più utile restringere il campo di analisi alla singola ASA, in modo da procedere, coerentemente con il processo di analisi proposto in precedenza, all’individuazione dei fattori e delle forze che l’impresa deve valutare e degli attori con cui deve relazionarsi al fine di ideare una strategia di successo. La concorrenza effettiva Con il termine concorrenza effettiva ci si riferisce ai concorrenti diretti dell’impresa, cioè all’insieme delle imprese che producono la stessa tipologia di beni o servizi e che, quindi, sono in competizione diretta tra loro per acquisire posizioni di mercato più favorevoli rispetto a quelle dei concorrenti. L’intensità della competizione, espressa dal grado di rivalità tra i concorrenti, costituisce uno dei principali fattori strutturali capaci di influenzare lo stato della concorrenza e, conseguentemente, il grado di redditività e attrattività del business. Quanto maggiore è la rivalità tra le imprese che operano nello stesso ambito competitivo, tanto minori saranno infatti le prospettive di redditività nel lungo periodo, che riducono, di conseguenza, l’attrattività del business stesso. La rivalità tra le imprese in diretta concorrenza si può esprimere, in particolare, in termini di: - guerre di prezzo, che a volte sono talmente aggressive da spingere i prezzi al di sotto dei costi, con perdite notevoli per tutte le imprese che operano nell’area competitiva; - incrementi negli investimenti in pubblicità, ricerca e sviluppo e innovazione di prodotto, che fanno lievitare i costi delle imprese, riducendone di conseguenza la redditività. In questo senso, l’intensità della concorrenza può essere opportunamente valutata attraverso l’osservazione di alcuni comportamenti che perseguono le imprese operanti nell’ambito competitivo, in particolare quelle che occupano posizioni di leadership (Fontana, Caroli, 2003). Tra le “spie” di un’elevata concorrenza troviamo: - frequenti cambiamenti nei prezzi dei prodotti o servizi offerti, o meglio nei differenziali di prezzo tra le imprese, che non considerano, quindi, le situazioni in cui i cambiamenti di prezzo vengano attuati in maniera coordinata; - ripetuti lanci di nuovi prodotti o servizi o di innovazioni radicali o incrementali su quelli attuali; 36 - aumenti negli investimenti in pubblicità e campagne comunicazionali, al fine di differenziare il proprio prodotto o servizio da quello dei concorrenti. Tali costi rappresentano un indicatore di forte concorrenza, in particolar modo in quei settori che hanno già superato le fasi iniziali del ciclo di vita e hanno come obiettivo quello di sviluppare il proprio prodotto in nuovi ambiti di domanda; - frequenti sforzi per rendere sempre più accessibili i propri prodotti o servizi, rafforzando la distribuzione e i legami diretti con il mercato. L’intensità della concorrenza diretta è funzione di numerosi fattori, tra i quali troviamo, in particolare: a) Il grado di concentrazione del business Ci si riferisce, in particolare, al numero e alla distribuzione per dimensione delle imprese concorrenti. La numerosità dei concorrenti in un determinato ambito competitivo non è in grado di rappresentare da sola il livello di concentrazione; tale valore deve essere opportunamente integrato con indici di concentrazione, rappresentativi della distribuzione delle quote di mercato delle imprese 15. L’indice di concentrazione più comune è quello di concentrazione industriale, dato dall’insieme delle quote di mercato dei produttori principali (in genere i primi quattro). Le quote di mercato possono essere calcolate utilizzando diversi parametri: numero degli addetti, volume della produzione, risorse tecnologiche, fatturato. La scelta della dimensione da impiegare dipende ovviamente dalle caratteristiche strutturali dell’ambito competitivo, anche se la dimensione più sfruttata rimane comunque il volume delle vendite. Un indice di concentrazione relativo alle prime quattro imprese che operano in un business pari al 75% indica una situazione di elevata concentrazione, dove quattro imprese detengono il 75% del fatturato complessivo del mercato e dominano di fatto l’area competitiva. Al contrario, indici di concentrazione molto bassi sono rappresentativi di situazioni concorrenziali frammentate, dove nessuna impresa è in grado di condizionare le dinamiche competitive. Tale dato sulla concentrazione assoluta non appare però del tutto sufficiente a rappresentare l’intensità della concorrenza presente in un business. A parità di indice di concentrazione, potrebbero, infatti, coesistere situazioni concorrenziali molto diverse: in taluni casi, l’elevato indice di concentrazione potrebbe essere 15 Se nel business A sono presenti 100 imprese e nel business B 10 imprese non è affatto detto che il business B sia quello più concentrato. Nel business A, infatti, l’impresa leader potrebbe detenere una quota di mercato pari al 60%, mentre nel business B il mercato potrebbe essere equi ripartito e, conseguentemente, ciascuna impresa detenere quote di mercato pari al 10%. 37 espressione di una sola impresa che detiene di fatto il monopolio in quell’area competitiva; in altri casi, invece, la maggior parte del mercato potrebbe essere equamente ripartita tra un numero ristretto di imprese. L’indice di concentrazione assoluta dovrebbe, quindi, essere affiancato dal dato sulla concentrazione relativa che considera, cioè, come si distribuiscono le quote di mercato rispetto al valore medio. I modelli di concorrenza secondo gli economisti Il grado di concentrazione di un determinato business risulta profondamente legato alla struttura concorrenziale presente in tale ambito. Gli economisti distinguono in particolare quattro situazioni concorrenziali che possono caratterizzare un mercato: concorrenza perfetta, oligopolio, concorrenza imperfetta e monopolio. Concorrenza perfetta o pura In tale modello risultano presenti un gran numero di venditori e di acquirenti, nessuno dei quali è in grado di influenzare il livello dei prezzi, determinato esclusivamente dal gioco della domanda e dell’offerta. I prodotti o servizi risultano inoltre perfettamente sostituibili, essendo privi di caratteristiche distintive. In un tale mercato i venditori non detengono, quindi, alcun potere contrattuale e si ritrovano il prezzo come un dato. Oligopolio Tale modello è caratterizzato da un ristretto numero di concorrenti o, comunque, dalla presenza di poche imprese che dominano il mercato. La dipendenza tra imprese risulta, quindi, molto forte e le azioni di un concorrente tendono a ripercuotersi inevitabilmente sugli altri, che saranno portati a reagire. Tale dipendenza è tanto più elevata, quanto più i prodotti o servizi offerti sono indifferenziati, fino ad arrivare ad un vero e proprio oligopolio indifferenziato. In questo caso, in assenza di collaborazione tra le imprese rivali, la concorrenza sui prezzi può scatenare vere e proprie guerre, con conseguente riduzione di redditività per tutte le imprese concorrenti. Concorrenza monopolistica 38 Tale modello si situa tra la concorrenza perfetta e il monopolio. In questo caso, i concorrenti appaiono numerosi, ma i prodotti o servizi risultano differenziati e, quindi, difficilmente sostituibili. I concorrenti detengono, quindi, un certo potere di mercato che li mette in una situazione “protetta”, con possibilità di realizzare profitti superiori alla media del mercato. Monopolio In tale mercato domina un solo produttore a fronte di numerosi acquirenti. Il prodotto o servizio offerto non, ha, quindi, almeno per un certo periodo di tempo, concorrenti sul mercato. L’impresa monopolista detiene un elevato potere contrattuale da cui possono derivare rendite di posizione notevoli. Tali situazioni si osservano solitamente nei settori nascenti e nelle fasi introduttive del ciclo di vita di un prodotto o servizio, ma tendenzialmente non sono destinate a durare a lungo. In linea generale, si può affermare che minore è il grado di concentrazione delle imprese più aspra sarà la competizione tra le stesse per incrementare la propria quota di mercato. Esse punteranno, in particolare, sull’abbassamento dei prezzi per attrarre il maggior numero di clienti; la competizione si giocherà, quindi, sul prezzo. Nel caso in cui il business sia caratterizzato da un elevato livello di concentrazione, le imprese tenderanno, invece, probabilmente a non attuare aggressive strategie di prezzo (molto spesso i prezzi vengono “coordinati”), ma a competere puntando più su altri parametri quali la comunicazione, la pubblicità, l’immagine, l’innovazione di prodotto o servizio, ecc. Il grado di concentrazione, nonostante le forti argomentazioni teoriche, non rappresenta un fattore che fornisce indicazioni univoche sull’intensità della concorrenza. A volte, infatti, anche nei business concentrati la competizione appare molto aggressiva, al fine di raggiungere posizioni competitive di domino assoluto. L’analisi del livello di concentrazione, quale parametro esplicativo dell’intensità della concorrenza deve, quindi, essere integrata con lo studio di altri fattori strutturali dell’ambito competitivo. 39 b) La diversità dei concorrenti. L’intensità della concorrenza diretta dipende, anche, dalla somiglianza che le imprese presentano in termini di origini, obiettivi perseguiti, costi e orientamenti strategici. Se le imprese presentano similitudini nei comportamenti e nelle strutture competitive è, infatti, probabile che la rivalità tra le stesse sia maggiore, con conseguente diminuzione della redditività di lungo periodo. Al contrario, nei business dove le imprese mostrano caratteri strutturali diversi, la competizione appare meno accentuata. E’ comunque plausibile che laddove le imprese appaiano sostanzialmente omogenee la struttura del settore resti stabile; al contrario, se le imprese perseguono obiettivi diversi e presentano strutture dei costi diversi, la competizione tra le stesse porterà a variazioni dei livelli dei prezzi e a cambiamenti frequenti delle quote di mercato, con una certa instabilità per il mercato stesso (Porter, 1980). c) La differenziazione del prodotto o servizio Il grado di concorrenza all’interno di un’area competitiva risulta correlato in senso inverso al livello di differenziazione dei prodotti o servizi offerti. Più i prodotti appaiono sostanzialmente omogenei, più i clienti saranno indotti a sostituirli tra loro in base al prezzo. I prodotti o servizi poco differenziati o indifferenziati (commodity) risultano, infatti, perfettamente sostituibili e il prezzo costituisce l’unica variabile competitiva su cui le imprese si confrontano. In questo senso si configura una situazione concorrenziale riconducibile alla concorrenza perfetta, dove non esistono extra profitti per le imprese: l’attrattività di tale business appare quindi molto bassa. La differenziazione dei prodotti o servizi mette, invece, le imprese dell’area competitiva al riparo da possibili guerre di prezzo, riducendo l’importanza del fattore prezzo come base per la competizione. La competizione si gioca in questo caso più sulle caratteristiche tangibili e intangibili dei prodotti, sull’immagine, sulla marca, con conseguenti miglioramenti per le prospettive di redditività delle imprese, sempre che le spese riconducibili a tali comportamenti non siano troppo elevate. Un esempio di differenziazione significativo ai nostri fini è dato dai produttori di Parmigiano Reggiano, che, riuniti in un consorzio, sono riusciti ad impostare una forte strategia di sviluppo della marca, rendendo il proprio prodotto “unico” agli occhi dei consumatori. d) La capacità produttiva in eccesso e le barriere all’uscita L’intensità della competizione diretta tra imprese è funzione anche del rapporto che esiste tra dimensione della domanda e dimensione dell’offerta in un 40 determinato business e, in particolare, del fatto che esista o meno capacità produttiva in eccesso (la dimensione dell’offerta supera quella della domanda). Tale eccedenza di offerta può essere la risultante sia di una contrazione nella domanda da parte dei clienti, sia di un eccesso di investimenti da parte delle imprese. Se all’interno di un ambito competitivo è presente capacità produttiva inutilizzata, le imprese saranno indotte a competere sui prezzi per evitare di perdere i propri volumi di vendita. Una loro riduzione comporterebbe, infatti, costi medi unitari sempre più elevati che nel medio-lungo termine potrebbero compromettere l’economicità, se non addirittura la sopravvivenza stessa delle imprese. La competizione, in questi casi, è tanto più aspra, quanto più le imprese detengono strutture produttive rigide, con elevate percentuali di costi fissi che occorre distribuire su ampi volumi di vendita. L’effetto negativo che tali politiche di prezzo hanno sulla redditività di tutta l’area competitiva può durare a lungo se esistono barriere all’uscita. Tali barriere sono costi, ovvero ostacoli di natura economica o sociale, che un’impresa deve sostenere quando intende uscire da un determinato ambito competitivo. Le barriere all’uscita risultano essere particolarmente elevate quando: - l’impresa utilizza impianti altamente specializzati, difficili da convertire per altre produzioni (alto grado di idiosincraticità degli assett); - sono alti i costi fissi di uscita, cioè quei costi relativi all’interruzione dei contratti di lavoro o alla ricostituzione dell’attività produttiva; - sono elevate le interdipendenze strategiche tra il business che l’impresa intende abbandonare e le altre attività dell’impresa. In particolare, l’uscita da un business è difficile quando la presenza in esso è funzionale alla posizione competitiva che l’impresa detiene in altre attività; - esistono ostacoli da parte di attori istituzionali (ad esempio il Governo che intende salvaguardare i livelli occupazionali o la situazione economica di una data area geografica). A tali fattori possono anche aggiungersi delle barriere emotive (Porter, 1980), dovute al fatto che l’impresa non vuole abbandonare il business o per ragioni storiche, legate alla fondazione e alla tradizione dell’impresa, o per lealtà verso i dipendenti, o per ragioni di orgoglio. e) Il tasso di crescita della domanda Oltre alla relazione che esiste tra dimensione della domanda e dimensione dell’offerta è utile considerare anche i rispettivi tassi di crescita. Un basso tasso di crescita della domanda, a parità di offerta, comporta una maggiore rivalità tra i concorrenti esistenti e, pertanto, minori prospettive di redditività nel lungo periodo. 41 In caso di rallentamenti nei tassi di crescita della domanda, frequenti nei settori maturi, l’unico modo che hanno le imprese per incrementare le proprie vendite è, infatti, quello di conquistare le quote di mercato detenute dagli altri concorrenti attraverso strategie aggressive. f) La struttura dei costi Se le imprese appartenenti ad un determinato ambito competitivo detengono una struttura produttiva caratterizzata da un’elevata percentuale di costi fissi, la volontà di sfruttare al massimo la capacità produttiva favorirà una competizione basata sul prezzo. Le imprese cercheranno, in definitiva, di attrarre il maggior numero di clienti possibile, in modo da massimizzare i volumi di vendita e ottimizzare lo sfruttamento della capacità produttiva. Se, inoltre, esiste un eccesso di offerta rispetto alla domanda, le imprese potrebbero essere indotte a spingere il livello dei prezzi fino a quando non si annulli il margine di contribuzione e cioè fino a quando il prezzo di vendita riesca a coprire almeno i costi variabili. Tali comportamenti presentano però conseguenze a volte anche disastrose per la redditività di tutte le imprese che operano nel business16. Al contrario, quando la struttura dei costi delle imprese risulta più flessibile, composta cioè in gran parte da costi variabili, la competizione appare poco centrata sul prezzo. La concorrenza verticale Per lo svolgimento della propria attività, le imprese devono approvvigionarsi degli input di cui hanno bisogno (input produttivi, quali materie prime e semilavorati, risorse finanziarie, forza lavoro, servizi logistici, ecc.) e devono individuare un mercato per il proprio output. Per ogni tipologia di scambio, è, quindi, possibile individuare uno specifico mercato (di approvvigionamento o di sbocco) nel quale l’impresa si relaziona con due tipologie differenti di soggetti: i clienti e i fornitori. Tali soggetti costituiscono importanti forze dell’ambito competitivo: i clienti, ricercando migliori rapporti prezzo/qualità, intensificano infatti la concorrenza tra le imprese, mentre i fornitori influenzano in modo rilevante i livelli dei costi delle imprese. 16 Tale comportamento delle imprese ha avuto impatti devastanti per settori quali il trasporto aereo, l’acciaio, i pneumatici e la petrolchimica, tutti caratterizzati da un elevato livello di costi fissi. 42 Essi esercitano, quindi, una pressione competitiva “verticale” sulle imprese che operano nel business, influenzandone le prospettive di redditività di lungo periodo e, conseguentemente, l’attrattività del business stesso. L’intensità della pressione competitiva dei clienti e fornitori dipende, in particolare, dal potere economico espresso dalle parti, dalla tipologia di fattori oggetto dello scambio e dal livello di concorrenza orizzontale (concorrenti diretti, indiretti e potenziali) con cui le imprese del business si confrontano. Partendo dall’analisi dei clienti, appare chiaro che quanto più i clienti detengono potere contrattuale nelle transazioni con l’impresa, tanto più tali soggetti saranno portati a richiedere condizioni negoziali a loro favorevoli quali riduzioni nei prezzi di vendita, tempi di pagamento più lunghi, miglioramenti nei servizi di assistenza, riduzioni nei lotti minimi di ordinazione, consegne più frequenti, elevata qualità dei prodotti o servizi, ecc. Tali condizioni tenderanno, però, ad incrementare i costi delle imprese del settore (che si trovano nella posizione di fornitori), diminuendone la redditività. Il peso negoziale degli acquirenti dipende da due fattori fondamentali: a) la sensibilità al prezzo; b) il potere contrattuale relativo. La sensibilità al prezzo degli acquirenti risulta particolarmente elevata per i prodotti altamente standardizzati, per i quali esiste un elevato grado di elasticità della domanda. Più i prodotti o servizi sono differenziati, infatti, meno i clienti saranno disposti a cambiare fornitore sulla base del prezzo. Nel caso di relazioni business to business, poi, la sensibilità al prezzo aumenta al crescere dell’impatto che il prezzo di un componente ha sul costo complessivo di un prodotto o servizio; al contrario essa diminuisce al crescere della specificità del componente e dell’importanza che esso ha per la qualità dell’output finale. La sensibilità al prezzo risulta, infine, influenzata dal livello di concorrenza che esiste tra i clienti: più intensa è la rivalità tra essi, maggiore sarà la loro pressione per ottenere riduzioni nei prezzi. Il secondo fattore attiene, invece, al potere contrattuale relativo dei clienti. In termini generali, tale potere è determinato dalla capacità di un soggetto di rifiutare la conclusione della transazione con l’altra parte, che è a sua volta direttamente legata ai costi che le diverse parti negoziali devono sostenere nel caso la transazione non venga effettuata. Il livello di tali costi dipende, in particolare, dall’importanza che tale transazione ha per le due parti e dalla facilità con cui essa può essere sostituita. Il potere contrattuale dei clienti dipende da numerosi fattori, tra cui: 43 • la struttura della domanda: il potere contrattuale dei clienti cresce all’aumentare delle dimensioni e della concentrazione dei clienti. In tutti i casi in cui l’offerta è maggiore della domanda si crea un mercato dei compratori ossia una situazione di scambio in cui il cliente ha una maggiore forza contrattuale rispetto a quella dei venditori. Allo stesso modo, più concentrati sono i clienti rispetto alle imprese del settore, maggiore è il loro potere contrattuale; • le informazioni in possesso degli acquirenti: maggiore è il numero di informazioni posseduto dai clienti, più facile sarà per questi effettuare un confronto tra i diversi fornitori e negoziare quindi le condizioni migliori. • la capacità di integrazione verticale dei clienti; se tali soggetti sono in grado di entrare nel business dove operano i loro fornitori, la minaccia che ne deriva aumenta in misura significativa il potere contrattuale dei compratori 17 . • l’entità dei costi di riconversione: costi di riconversione (ovvero i costi diretti e indiretti che i clienti devono sostenere nel cambiare il proprio sistema di offerta) elevati tendono a mantenere stabili le relazioni fornitore – acquirente. • la presenza di prodotti o servizi sostitutivi. Se esistono, infatti, beni o servizi sostitutivi a cui i clienti possono rivolgersi, il loro potere contrattuale tenderà inevitabilmente ad aumentare. Le stesse considerazioni possono essere effettuate in maniera speculare considerando i fornitori dell’impresa, la quale si trova in questo caso nella posizione di cliente. Il potere contrattuale dei fornitori risulta in questo caso maggiore quando il mercato della fornitura è più concentrato di quello degli acquirenti imprese, aumenta al crescere della specificità e dell’importanza degli input per il processo produttivo dei clienti e dei costi di riconversione, diminuisce al crescere delle informazioni che le imprese clienti hanno sulla domanda, sui prezzi di mercato e sui costi di produzione dei fornitori e nel caso i clienti siano in grado di integrarsi a monte. La concorrenza potenziale L’espressione concorrenza potenziale si riferisce alla minaccia che nuovi competitor, attratti da elevati livelli della redditività potenziale, entrino nel settore 17 Il concetto di integrazione verticale sarà approfondito nel cap. 3. 44 (o meglio nello specifico business) e ne alterino gli equilibri. Per fronteggiare tale rischio, le imprese devono cercare di ridurre l’attrattività del settore e ciò è possibile innalzando le c.d. barriere all’entrata, cioè ostacoli all’ingresso che possono avere una triplice natura: istituzionale, strutturale, strategica. Le barriere all’entrata si traducono essenzialmente in un differenziale di costo a carico delle imprese che vogliono entrare su un determinato mercato; la necessità di dover sostenere costi aggiuntivi rispetto agli attori già presenti nel mercato riduce, infatti, la convenienza della scelta e pone gli eventuali entranti in una posizione di maggiore debolezza rispetto agli operatori già consolidati. Le barriere istituzionali si riferiscono a norme, regole e forme di tutela che limitano l’attività dei potenziali entranti. Rientrano in tale categoria le norme protezionistiche (ad esempio quelle applicate dall’Unione Europea per proteggere le imprese di alcuni settori dall’ingresso di prodotti esteri a basso costo), le concessioni amministrative, i brevetti, i copyright, i segreti industriali. La seconda tipologia di barriere (barriere strutturali) deriva, in maniera diretta, dalle azioni poste in essere dalle imprese al fine di migliorare la propria posizione rispetto ai concorrenti. Esse possono derivare da scelte relative alla struttura produttiva delle imprese, oppure dal potenziamento dei caratteri distintivi delle imprese o dalla possibilità di aver ottenuto risorse a costi più bassi rispetto a quelli che oggi dovrebbero sostenere i concorrenti. Più in particolare, le principali barriere strutturali si ricollegano ai seguenti fattori: a) Il fabbisogno di capitale Se l’entrata nel settore richiede investimenti di capitale elevato, l’entità del fabbisogno finanziario può costituire un disincentivo all’ingresso, soprattutto per le piccole e medie imprese dotate di risorse finanziarie limitate; costituisce un ostacolo meno importante per le imprese di maggiori dimensioni che possono giustificare l’entità dell’investimento in vista di risultati di medio – lungo periodo. b) Le economie di scala Le economie di scala rappresentano una “diminuzione del costo medio unitario del prodotto o servizio venduto, attribuibile all’aumento del volume cumulato di produzione” (Genco, 1995, p. 629). Il raggiungimento di economie di scala deriva dal fatto che all’aumentare della produzione si riduce l’incidenza dei costi fissi sui costi totali e ciò determina una riduzione dei costi unitari del prodotto. Esse permettono alle imprese di raggiungere livelli più elevati di profittabilità (a parità di ricavi, una diminuzione dei costi unitari comporta un ampliamento dei profitti) e, in un ambiente altamente competitivo, offrono la possibilità di ridurre i 45 prezzi di vendita senza incorrere in forti riduzioni dei profitti finali (la diminuzione dei ricavi risulta compensata dalla riduzione dei costi unitari del prodotto). Le economie di scala costituiscono una barriera importante in quanto i nuovi competitor, per competere sul prezzo, sono obbligati a produrre sulla stessa scala, ma ciò li espone al rischio di una sottoutilizzazione degli impianti; non è detto infatti che i nuovi entranti riescano a realizzare subito grossi volumi di vendita. In alternativa, essi possono decidere di entrare su una scala inferiore, in tal caso sosterranno però costi unitari superiori e dovranno decidere di competere su altre variabili diverse dal prezzo. La portata di tale barriera si riduce, tuttavia, se i nuovi entranti non sono imprese di nuova costituzione, ma imprese che già operano in altre ASA e che hanno a loro volta la possibilità di sfruttare economie conseguite negli altri business. Anche nel caso di nuovi entranti, se gli attori che già operano nel mercato vendono a prezzi alti e riescono ad ottenere margini elevati, i nuovi entranti, pur producendo su una scala inferiore potrebbero riuscire comunque a raggiungere margini di profitto accettabili anche se inferiori a quelli delle imprese che sfruttano le economie di scala. Un ulteriore limite di tale barriera risiede nella possibilità che nel mercato si registrino aumenti della domanda che gli attori non riescono a soddisfare; in questo caso, i concorrenti potenziali avranno la possibilità di colmare i vuoti di offerta e far conoscere il proprio marchio in modo da porre le basi per successivi ampliamenti del mercato. LE ECONOMIE DI SCALA, SCOPO E VARIETA’ Le economie di scala, intese come riduzione del costo medio unitario del prodotto o servizio venduto, attribuibile all’aumento del volume di produzione, vengono definite economie di scala tecnico-produttive (o economie di scala tecnologiche), in quanto attengono in maniera specifica all’attività di produzione. Le principali determinanti delle economie di scala risiedono: - nelle relazioni tecniche input-output e, quindi, nella circostanza che un aumento degli input utilizzati produca una crescita più che proporzionale dell’output realizzato; - nell’indivisibilità di alcuni fattori produttivi (per esempio delle macchine o degli impianti) che non risultano frazionabili oltre una certa soglia e per i quali è necessario sostenere, nel caso di volumi produttivi inferiori a quelli ottimali, maggiori costi della produzione dovuti alla presenza di risorse produttive in eccesso. L’aumento dei volumi produttivi consente una migliore ripartizione dei costi e, quindi, l’ottenimento di una riduzione dei costi unitari; 46 - nella specializzazione degli impianti (destinazione di un impianto alla produzione di uno specifico output) e nella scomposizione del processo produttivo in fasi elementari, che consentono l’incremento del volume di produzione di uno specifico output. Il concetto di economie di scala può essere replicato anche per le altre funzioni aziendali; in particolare, per economie di scala gestionali si intendono le economie di costo ottenibili, per ogni attività della catena del valore, a seguito dell’aumento dimensionale dell’attività stessa. L’impresa può conseguire anche altri tipi di economie. - Si definiscono economie di apprendimento le diminuzioni del costo della produzione derivanti non dalla scala assoluta dell’output, ma dal volume cumulato della produzione. Le economie di apprendimento derivano dall’esperienza e possono riguardare tutte le attività dell’impresa. Nel caso della produzione, ad esempio, le economie di apprendimento attengono all’aumento della produttività che deriva dall’esperienza degli addetti alla produzione. - Si definiscono economie di scopo le riduzioni di costo derivanti dalla possibilità di utilizzare risorse (tangibili, intangibili o umane) comuni per produrre beni diversi. - Si definiscono economie di varietà le diminuzioni di costo (della varietà e della variabilità della gamma produttiva) derivanti dalla possibilità di utilizzare sistemi flessibili della produzione, che permettono un facile adattamento alle mutevoli esigenze dell’ambiente circostante. Fonte: Genco, 1995 c) La differenziazione La capacità delle imprese del settore di differenziare i propri prodotti rispetto a quelli dei concorrenti e, quindi, di renderli migliori nelle percezioni del consumatore e più rispondenti alle sue esigenze, costituisce un’importante barriera all’entrata in quanto costringe i nuovi entranti ad effettuare ingenti investimenti in pubblicità per cercare di affermare il nuovo marchio. d) Il difficile accesso ai canali di distribuzione Una limitata capacità d’assorbimento dei canali distributivi, la scarsa propensione al rischio dei dettaglianti e i costi fissi legati alla nuova fornitura scoraggiano i distributori nel trattare nuovi prodotti (Grant, 1991). I nuovi entranti sono spesso costretti a puntare su prezzi più bassi o a riconoscere margini più 47 elevati ai distributori per far lanciare il prodotto e ciò riduce notevolmente i margini di profitto. e) La presenza di vantaggi di costo assoluti per le imprese che già operano nel settore. Questi possono derivare: • dall’accesso privilegiato a materie prime scarse o, comunque, ottenute a prezzi più bassi rispetto a quelli attuali; • da scelte di localizzazione particolarmente favorevoli; • dall’aver sfruttato sovvenzioni pubbliche ora non più disponibili; • dall’effetto delle curve di esperienza e di apprendimento. In alcune attività l’esperienza cumulata comporta una riduzione dei costi unitari di prodotto, ad esempio nel caso i lavoratori riescano a migliorare i metodi di lavorazione o l’impresa risulti avvantaggiata da una riduzione dei costi di marketing o di distribuzione dovuta all’esperienza maturata in un determinato business. f) La diversificazione dell’offerta. L’offerta di un’ampia gamma di prodotti permette alle imprese di fidelizzare i propri clienti e riduce gli spazi di manovra dei potenziali entranti che difficilmente potranno offrire la stessa gamma di prodotti delle imprese già esistenti. Alle barriere istituzionali e strutturali vanno poi aggiunte quelle di natura strategica, derivanti dal comportamento delle imprese che operano nel settore e, in particolare, dalla possibilità che queste adottino forme di ritorsione verso i nuovi entranti. Le ritorsioni possono consistere in: abbassamenti dei prezzi di vendita, aumento degli investimenti promozionali, azioni di natura legale. Per ridurre il rischio di ritorsioni, i nuovi entranti possono scegliere di rivolgersi, in un primo momento, a quei segmenti di mercato ritenuti poco attrattivi dalle imprese del settore. E’ stata questa la logica seguita dalle imprese giapponesi per entrare nel mercato statunitense delle automobili e dei prodotti elettronici di consumo; in entrambi i settori, le imprese giapponesi hanno cominciato offrendo piccoli prodotti rivolti a segmenti del mercato ritenuti poco redditizi dalle imprese locali e ciò ha permesso loro di evitare ritorsioni da parte dei competitor statunitensi. Le imprese che producono beni o servizi sostitutivi costituiscono un’ulteriore forza riconducibile alla concorrenza indiretta 48 I prodotti o i servizi sostitutivi, pur avendo caratteristiche merceologiche differenti ed appartenendo quindi ad altri ambiti competitivi, assolvono di fatto la stessa funzione d’uso dei prodotti o servizi delle imprese che operano in diretta concorrenza nel settore. In particolare, due beni o servizi possono essere considerati sostitutivi quando presentano un’elevata elasticità incrociata tra di loro. La presenza di tale forza competitiva può incidere a volte anche notevolmente sulla redditività del business, in quanto il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per un dato prodotto risulta influenzato proprio dalla possibilità di scegliere altri beni che siano sostitutivi rispetto al prodotto considerato. Ogni qualvolta il prezzo dei prodotti o servizi del settore supera quello che i consumatori sono disposti a pagare, essi sposteranno infatti la domanda verso i sostituti. Si dice, quindi, che la presenza di prodotti sostitutivi rende elastica la domanda, determina cioè una maggiore sensibilità di questa rispetto al prezzo. La presenza di prodotti o servizi sostitutivi dipende in particolare dalla complessità dei bisogni che occorre soddisfare: più complessi sono i bisogni che i consumatori intendono soddisfare con un dato prodotto o servizio, maggiori saranno le differenze nella percezione delle prestazioni dei diversi prodotti e quindi minore la probabilità di esistenza di sostituti. Le imprese che operano nel settore possono, inoltre, adottare alcune misure al fine di limitare la pressione competitiva di tale forza concorrenziale. Esse potrebbero, infatti: − differenziare il prodotto/servizio per cercare di ridurre la sostituibilità da parte della domanda; − rafforzare i legami con i clienti attraverso la comunicazione, forti politiche di marca o miglioramento del sistema distributivo; − migliorare il rapporto qualità/prezzo. 1.2.3. I raggruppamenti strategici Gli strumenti concettuali descritti precedentemente per l’analisi del microambiente consentono di individuare il campo di attività dell’impresa in cui avviene il confronto competitivo e di valutare il grado di concorrenza presente nel business, da cui deriva il livello di redditività e di attrattività del business stesso. Al fine di analizzare in modo corretto le forme della concorrenza esistenti nell’ambito competitivo, occorre però abbandonare l’ipotesi che tutte le imprese operanti in uno stesso ambito siano accomunate dalle stesse caratteristiche e dalle stesse modalità di competizione. Non sarebbe spiegabile, altrimenti, perché alcune 49 imprese all’interno di un settore ottengano risultati economici più elevati rispetto ad altre. Le cinque forze concorrenziali colgono, quindi, solo parzialmente e in maniera generale le condizioni dell’ambiente competitivo e, in particolare, non risultano del tutto efficaci nel rappresentare il campo dei reali concorrenti di un’impresa e le strategie competitive che essi perseguono. In questo senso, risulta più utile fare riferimento ad un concetto, derivante da analisi operate ad un livello ancora più disaggregato, quale quello di raggruppamento strategico. Tale concetto consente, infatti, di identificare i principali concorrenti dell’impresa e di sorvegliare le altre imprese che, pur appartenendo a raggruppamenti strategici differenti, potrebbero influenzare e modificare l’attuale scenario competitivo in cui opera l’impresa. L’ambiente competitivo rilevante per le imprese diventa, quindi, il raggruppamento strategico. In termini generali, un raggruppamento strategico può essere definito come un insieme di imprese che, all’interno di uno stesso business, perseguono le stesse strategie o strategie simili, riconducibili comunque alle stesse dimensioni strategiche, che sono costituite, in particolare, dalle variabili su cui si basa il vantaggio competitivo in quel determinato business. Le imprese che appartengono ad uno stesso raggruppamento strategico tendono inoltre ad avere caratteristiche analoghe anche in termini di struttura organizzativa, struttura produttiva e assetto societario (Fontana, Caroli, 2003). L’adozione nel tempo di comportamenti strategici simili comporta, infatti, la sedimentazione di caratteristiche strutturali comuni, legate allo sviluppo di uno stesso patrimonio di risorse e competenze e di stesse modalità con cui le imprese si relazionano con il proprio ambiente esterno. Gli insiemi di imprese individuati presentano così stesse strategie competitive, spesso simili quote di mercato e reagiscono ai cambiamenti ambientali nello stesso modo (Buratti, 1995). I raggruppamenti strategici che appartengono ad uno stesso business possono essere “mappati” attraverso l’utilizzo delle dimensioni strategiche chiave, che meglio rappresentano cioè le strategie competitive e il posizionamento competitivo delle imprese che vi operano. Considerata la vastità delle variabili che possono descrivere i comportamenti competitivi delle imprese in un settore, l’elemento critico di questo livello di analisi è costituito indubbiamente dalla selezione delle variabili strategicamente più rilevanti, che devono inoltre essere indipendenti tra di loro. 50 Tra le molte variabili utilizzabili per distinguere i diversi raggruppamenti strategici in cui può essere suddiviso un settore, possiamo trovare, in particolare: - ampiezza della gamma dei prodotti o servizi offerti; - estensione geografica dell’offerta; - tipologia di canale distributivo utilizzato; - il livello di servizio offerto; - il livello di qualità dei prodotti o sevizi; - la politica di prezzo; - il grado di integrazione verticale; - la tipologia di cliente fornito; - il livello di diffusione e identificazione della marca; - il livello di innovazione tecnologica e il tipo di tecnologia utilizzata. Al fine di rendere più immediata la visualizzazione dei principali raggruppamenti strategici presenti in uno stesso business, è utile rappresentarli graficamente attraverso mappe. Tali mappe vengono solitamente costruite in uno spazio cartesiano a due dimensioni, scegliendo le due variabili che più incidono sulla formazione del vantaggio competitivo in tale ambito. Occorre precisare che le dimensioni scelte non devono presentare forti correlazioni positive o negative tra di loro, per evitare di costruire mappe con contenuti informativi molto bassi. Sarebbe, invece, auspicabile trovare due dimensioni indipendenti. Nello spazio cartesiano, i raggruppamenti strategici vengono, in genere, rappresentati con figure geometriche di dimensioni proporzionali alla quota di mercato cumulata di tutte le imprese che appartengono allo stesso raggruppamento. Nella figura 4 viene presentata, in particolare, una mappa di raggruppamenti strategici relativa ad un generico settore dove le dimensioni rilevanti risultano essere il grado di integrazione verticale e l’estensione geografica dell’offerta. 51 Figura 4: Esempio di raggruppamenti strategici in un generico settore Nazionale B A Estens ione geogr afica Internazionale C D Basso Elevato Grado di integrazione verticale L’analisi dei principali raggruppamenti strategici presenti all’interno di uno stesso business risulta preziosa al fine di individuare i concorrenti diretti con cui un’impresa si confronta. Due imprese che operano in raggruppamenti strategici differenti pongono infatti generalmente poca attenzione alle reciproche scelte strategiche e le loro interazioni competitive risultano comunque limitate. Ovviamente, tale “poca considerazione” dipende dalle differenze che esistono tra un raggruppamento e l’altro e, in particolare, dalla facilità con cui un’impresa può passare da un insieme ad un altro. Questa facilità discente dalle “barriere alla mobilità” esistenti, che funzionano come deterrenti allo spostamento tra un gruppo ad un altro. Più elevato è il livello di tali barriere, più difficile risulta per un’impresa il passaggio da un raggruppamento ad un altro. Lo studio di tali barriere consente, inoltre, all’impresa di comprendere se esistono opportunità di sviluppo in altri raggruppamenti, di identificare i gruppi marginali e quelli centrali, di analizzare i percorsi evolutivi dei 52 principali concorrenti e di scoprire eventuali spazi vuoti nella mappa che potrebbero portare l’impresa a sviluppare nuovi percorsi strategici. 53