THE BIG - Menthalia Magazine

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THE BIG - Menthalia Magazine
Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
num. 6 - Anno I/ottobre-novembre 2012
THE BIG
APPLE
IN QUESTO
Q
NUMERO
© Maurizio Visconti
Grazie molle e le lettere importanti
iJobs
Light: prodotti o etichette?
Siri sa tutto
Stanley Kubrik. Dettagli d’autore
Quando a bruciare è il sapere
E tu odori col naso o con la mente?
pagina
2
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
Editoriale
Dietro le quinte
NOI
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Registrazione al Tribunale di Napoli
N. 27 del 6/4/2012
Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione
Direttore Editoriale: Stefania Buonavolontà
Art Director: Marco Iazzetta
Grafica & Impaginazione: Menthalia Design
Hanno collaborato in questo numero:
Valeria Aiello, Patrizia Basile, Rossella D’Elia,
Martina Dragotti, Riccardo Michelucci,
Stefania Stefanelli
Menthalia srl direzione/amministrazione
80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio
Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445
Sedi di rappresentanza:
20097 S. Donato M.se (MI) – 22, Via A. Moro
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Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari.
La pubblicazione delle immagini all’interno dei
“Servizi Speciali” è consentita ai fini dell'esercizio
del diritto di cronaca.
Un modo di dire che deriva dal lessico teatrale per intendere
ciò che avviene dietro al palco, ovvero dietro le “quinte” che
sono i telai che chiudono la scena sui due lati, rendendo invisibili le azioni di tutto l’entourage che non recita davanti al
pubblico.
Preso in prestito dal teatro, questo modo di dire ha invaso
il lessico comune identificando tutto il lavoro di team che si
nasconde dietro ad un progetto realizzato, l’ossatura di un’azienda, la preparazione, lo studio... insomma, tutto ciò che
avviene prima di andare in scena.
E io ci sono stato, “dentro le quinte”.
Ho partecipato al programma televisivo Avanti un altro! di
Paolo Bonolis, il 23 ottobre e ho respirato l’atmosfera di uno
studio televisivo, di quando arriva la pubblicità e tu rimani
ancora lì a vedere l’assistente di studio, i truccatori, gli autori,
i cameraman... tutto un brulicare di persone che si dileguano
velocemente alla rimessa in onda del programma, per lasciare la scena all’indiscusso matador dello spettacolo, il Paolone
nazionale.
Sorpreso da una cordialità e un affiatamento che non ti aspetti dal mondo “della televisione”, io ed il resto dei concorrenti
siamo stati accolti da un team pronto a seguirci per tutto il
giorno, sì... perché a quei cinquanta minuti di trasmissione
ci si lavora un’intera giornata e i personaggi che sei abituato
a riconoscere in tivù ti appaiono come persone normalissime che sorseggiano un caffè. Allora svolti l’angolo e incroci
i tipi del minimondo come l’Alieno o se sei più fortunato il
Bonus e la Bonas, che fuori dalla grottesca cornice televisiva
ti ricambiano un sorriso e sono pronti a farsi fotografare per
i tuoi bimbi.
Lì, dove devi cercare di tenere alta la concentrazione e dove
non devi mai dimenticare che tra un frizzo e un lazzo si possono vincere centinaia di migliaia di euro e... che l’emozione
può giocarti dei brutti scherzi.
Ma in certi casi basta toccare ferro... però devi pensarci in
tempo!
“
La gente è il più grande spettacolo del mondo.
E non si paga il biglietto.
Charles Bukowski
”
Marco Iazzetta
General Manager
Menthalia
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
pagina
3
Grazie molle e le lettere importanti
di Martina Dragotti, Copywriter & Communication
N
ell’era dell’informazione i contenuti vengono sfornati in tempi
davvero ristretti e diventa sempre
più difficile controllare la presenza di errori
di testo che talvolta possono provocare dei
veri e propri orrori di bon-ton.
Come se non bastasse, i neonati programmi
di scrittura intuitiva trascrivono sul display
le parole ancor prima di averle digitate e,
non di rado, ci accorgiamo che il testo inviato non corrisponde esattamente a quello
che intendevamo dire. Da qui la consuetudine di augurare “buon monocruico” nel
giorno dell’onomastico, a causa di un errore
di trascrizione della parola onomastico nel
sistema T9 per la scrittura veloce di SMS
utilizzato su alcuni telefoni cellulari.
Le figuracce quindi... sono proprio dietro
l’angolo.
Se mi capita di rispondere ad un’amica un
po’ attempata con un “Grazie molle”, la
gaffe resterà circoscritta, sebbene una consuetudine di tale errore potrebbe rischiare
di minare seriamente la mia sfera di rapporti sociali. Ma altra faccenda è quando lo
strafalcione diventa di pubblico dominio.
Ecco allora che su una testata giornalistica
ci può capitare di leggere:
“Operata al Policinico: condizioni gravi.”
(Corriere.it 13/11/2010)
O di un terremoto misurato in gradi centigradi... (stessa fonte).
Spesso gli errori-orrori accadono nelle parti di testo più impensabili, per esempio nei
titoli: per la Fox, il giorno dell’uccisione di
Osama bin Laden, a morire fu il Presidente degli Stati Uniti, titolando drammaticamente con un “Obama è morto”.
Quanto agli strafalcioni tricolore, come dimenticare il clamoroso titolo de La Gazzetta dello Sport del 1992, quando, per esaltare
la performance del giocatore del Livorno
Pompini, si scelse lo sconvolgente titolo:
“Pompini a raffica, Carrarese ko”. O il
titolo azzardato da Il Giornale nella pagina
di cronaca: “Si è spento l’uomo che si è
dato fuoco”.
I refusi, le “distrazioni” redazionali, gli errori di stampa sono talvolta degli arcani
misteriosi, che sfuggono all’occhio di più
persone... per poi essere svelati subito dopo
averli pubblicati.
Sul sito Design&Typo di Peter Gabor, mi
sono imbattuta in una scritta davvero sorprendente (quella riportata qui di fianco).
Chi mastica discretamente il francese dopo
un po’ si sarà accorto del refuso (la ripetizione dell’articolo “la”) aiutato dal tema che
stiamo trattando, che di per sé impone una
lettura delle parole più attenta, come in una
sorta di “caccia all’errore”.
Ad ogni modo, il grafico di origini ungheresi ci fa riflettere sul fatto che quando si
legge un testo in lingua madre, la nostra
mente si sofferma automaticamente sulle
parole che conosce estrapolando il senso
della frase. Quando invece si è del tutto
estranei a quella lingua, le parole vengono
interpretate una per volta e la ripetizione,
in questo caso, sarebbe saltata all’occhio.
“Sceodno una rcircea dlel’Uvitrisenà di Cmbairgde non ipromta
l’odirne dlele lrteete in una proala, l’uicna csoa che cntoa è che
la pimra e l’utlmia ltetrea saino
al psoto gusito. Ttute le atlre lrteete dlela poalra psonoso esrsee
itinvtere snzea carere prleobmi
alla letutra.
Qstueo acdcae pcherè la mtene non lgege ongi lteetra senigolnarmte ma la proala cmoe
un ientro qudini il clrveelo è
cnouqmue in gdrao di asblsemare le lterete e iernttaprere la
polara crottrea”.
Ecco spiegato il perché di alcuni refusi proprio non ci accorgiamo, nemmeno rileggendo il testo più e più volte.
Le regole per la revisione di un testo si sprecano, tuttavia i manabili e i consigli pronti
all’uso senza la giusta esperienza e una zelante azione di verifica non ci proteggeranno dai consigli che diventano conigli o dagli
schemi che distrattamente divengono scemi.
Quindi, armatevi di tanta pazienza, leggete e rileggete il testo più volte, rileggetelo
ancora a voce alta, correggete l’ortografia e
la punteggiatura in momenti diversi, fate in
modo di non essere gli unici a visionare il
testo e sperate che il refuso, stavolta, non
sia proprio nel vostro “pezzo”.
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iJobs
di Stefania Stefanelli, Autrice e Sceneggiatrice Televisiva
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iPhone
iPad
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irca un anno fa moriva Steve Jobs,
CEO della Apple, guru della tecnologia moderna, inventore di dispositivi diventati di uso comune nonché di
tendenza quali l’iPod, l’iPhone e l’iPad.
Un anno fa l’opinione pubblica si è divisa.
In molti hanno pianto e si sono disperati
per la dipartita di un genio, capace di cambiare la nostra quotidianità e le nostre abitudini in ambiti che spaziano dalla musica,
all’informatica, alla lettura. Altri hanno
tirato un sospiro di sollievo: fin dove si sarebbe potuto spingere quel genio del male
se avesse avuto altro tempo a disposizione
per lobotomizzare le nostre menti?
Steve Jobs si è fatto amare, ma anche temere.
Amare da quanti hanno goduto e continueranno a godere per anni e anni delle
sue creazioni; da quanti hanno imparato
ad esplorarci il mondo e gli hanno dimostrato gratitudine portando davanti alla
sede centrale della Apple (nonché davanti
agli Apple Store di mezzo mondo) fiori e
lettere di addio, quasi lui fosse una novella
Lady D.
Temuto da quanti vedevano in lui il simbolo dell’asservimento al capitalismo, un mercenario che a dispetto del cognome aveva
cancellato molti posti di lavoro in America trasferendo le sue fabbriche nell’estero
sottopagato, una specie di chirurgo in grado di impiantare prolungamenti informatici nelle mani dei suoi clienti (che ormai
senza smanettare sul touch screen non
sanno più vivere), quasi un visionario, un
santone che nel lontano 1983, quando i telefoni cellulari e i computer erano ancora
terra di pochi, durante una conferenza ad
Aspen già parlava di tablet e di computer
da tenere nel palmo della mano.
Chi non l’aveva mai visto in volto, alla sua
morte forse si aspettava di veder girare in
rete e nei tg la fotografia di un matusa. Del
resto, come te lo vuoi immaginare uno che
da ragazzino creava videogiochi, ha iniziato ad assemblare computer nel garage dei
genitori adottivi solo a vent’anni e poi ha
fondato la Apple trasformandola in quello
che è oggi, ovvero una delle più grandi potenze industriali esistenti? Uno con la barba bianca e lunga, uno che ha avuto una
vita ancora più lunga in cui ha avuto modo
di raggiungere tutti questi obiettivi. E in-
vece no: scopri che è morto a cinquantasei
anni, di cui gli ultimi due piegati dalla malattia che lo ha stroncato. E allora sai che
lo è stato davvero, un genio: uno fuori dal
comune, uno che ha vissuto e lavorato senza limiti, senza porseli e senza neanche vederli davanti a sé, uno che ha fatto del suo
“stay hungry, stay foolish” uno stile di vita:
essere affamati, essere folli, non lasciar
scivolare via la vita ma prenderla a morsi,
proprio come l’immagine della sua apple.
Ma se ad un anno di distanza dalla sua
morte, in tempi di crisi in cui molti non
riescono ad arrivare a fine mese, in troppi
passano la notte in fila davanti agli Apple
Store per essere i primi ad avere il privilegio di spendere 950 euro e tenere tra le
mani il leggerissimo e bellissimo iPhone 5,
allora bisogna ammettere che un po’ genio
del male Jobs lo è stato davvero. Perché a
creare beni di gran lusso e trasformarli in
status symbol sono bravi tutti, ma lui è riuscito con il suo ed il loro fascino a renderli agli occhi della gente indispensabili.
Normali, ovvi, naturali. Davvero, prolungamenti del corpo.
Jobs non si è limitato ad innovare la tecnologia e il modo di applicarla al lavoro,
come ha fatto il suo concorrente storico,
Bill Gates. Lui è intervenuto su qualcosa di
più profondo e più importante: il modo di
pensare delle persone. Il modo di cercare
la musica, il modo di integrare il web nella
quotidianità, il modo di leggere un libro,
sfogliandone le pagine attraverso lo schermo di un iPad e rinunciando al finora irrinunciabile odore della carta.
Lontani da giudizi di sorta, lo ricorderemo
come la personificazione delle new technologies.
Sull’orlo del precipizio apocalittico, lo incoroniamo come colui che ha cambiato (il
nostro modo di concepire) il mondo.
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Q 1955 – Nasce a San Francisco il 24 Febbraio
Q 1972 – Si diploma all’istituto Homestead in California
Q 1974 – Crea il videogioco Breakout per la Atari
© Patrizia Basile
Q 1976 – Fonda la Apple Computer con l’amico Steve Wozniak
Q 1980 – La Apple viene quotata in borsa
Q 1984 – Crea il primo Macintosh
Q 1985 – Si dimette dalla Apple e fonda la NeXT Computer
Q 1995 – Acquista la Pixar
Q 1996 – Torna alla Apple incorporandoci la NeXT
Q 2001 – Lancia sul mercato l’iPod e iTunes
Q 2007 – Crea l’iPhone
Q 2010 – Annuncia la creazione dell’iPad
Q 2011 – Muore a Palo Alto, California, il 5 Ottobre
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Light: prodotti o etichette?
di Rossella D’Elia, Nutritional Counsellor
Q
uando giriamo tra gli scaffali del
supermercato, siamo sempre più
incuriositi da prodotti, magari superflui e non contemplati nella lista della
spesa, che attirano la nostra attenzione per
l’immagine, i colori ed i claims riportati
sulla confezione o per il prezzo conveniente. Ma tutto ciò che leggiamo rispecchia in
realtà le caratteristiche del prodotto che
stiamo per acquistare? Siamo consapevoli
che anche l’imballaggio e la sua integrità
hanno la loro importanza e che quante più
indicazioni ritroviamo tanto migliore dovrebbe essere il nostro giudizio alimentare sul quel determinato prodotto? La vita
frenetica che conduciamo ci porta ad avere
una dispensa sempre ben fornita, e spesso cerchiamo di riempirla di prodotti che
risultino benefici alla nostra salute. Bene,
proprio su questo tema, a mio avviso, bisogna essere molto attenti! L’importanza
dell’imballaggio o “packaging” è facilmente immaginabile: facilita la logistica legata
alla movimentazione dei beni di consumo
e garantisce l’inalterabilità del contenuto;
ma, i materiali destinati in campo alimentare al “packaging” sono sicuri?
Non a caso a questo tema di estrema attualità è stato dedicato il seminario, organizzato dall’Istituto Italiano dei Plastici il
4 giugno scorso a Milano, nel quale si è ampiamente discusso sulla sicurezza alimentare, come un’esigenza sempre più avvertita (visti i ben noti scandali legati proprio
alla sicurezza dei cibi), e sulla qualità dei
prodotti, due obiettivi principali del Regolamento Europeo n. 2023/2006. Ma la vera
protagonista nel panorama dei consumi
alimentari è la ben nota “etichetta alimentare”, valido strumento per riconoscere
le caratteristiche di un prodotto e fornire
un’adeguata informazione per il consumatore. Ma siamo sempre in grado di leggerla
con attenzione al momento dell’acquisto
e soprattutto sappiamo correttamente interpretarla? Purtroppo molte volte la risposta è… no! Fortunatamente, dopo un
lungo braccio di ferro durato 4 anni, le
informazioni riportate di tipo facoltativo
o complementari, saranno obbligatorie
per legge, sulla base del Regolamento UE
n.1169/2011 in vigore da dicembre 2014.
Quest’ultimo prevedrà, tra l’altro, etichette
più leggibili, tabelle nutrizionali più complete e chiare indicazioni d’origine e sede
di lavorazione del prodotto.
Ecco a voi un breve vademecum su alcuni
aspetti da non sottovalutare in questa fase
di transizione:
• se è riportato “da consumarsi entro…”
il prodotto va consumato tassativamente entro quella data e non oltre (es. yogurt, latte, prodotti freschi);
• se, invece, è indicato “da consumarsi
preferibilmente entro il…” il prodotto garantisce le sue qualità fino a quella
data e, il superamento non implica che
il prodotto sia scaduto (es. pasta e riso);
• porre attenzione ai claims “senza zucchero” se poi troviamo le diciture “sciroppo di glucosio, o fruttosio, o maltosio o amido di mais”, perché vuol dire
che l’alimento contiene indirettamente
dello zucchero con indice glicemico simile al saccarosio; “senza grassi”, se poi
troviamo la dicitura “mono e digliceridi
degli acidi grassi” che vengono metabolizzati dall’organismo come grassi; “senza calorie o dietetico”, se poi troviamo
come dolcificante l’aspartame (notoriamente ipocalorico, ma pur sempre artificiale!);
• controllare la presenza di additivi (conservanti, coloranti, emulsionanti, esaltatori di sapidità, correttori di acidità,
ecc.) che di solito compaiono alla fine
dell’elenco. Sebbene si tratti di sostanze
utilizzate dall’industria alimentare per
migliorare alcune caratteristiche del
prodotto, ma senza alcun valore nutrizionale, potrebbero essere causa di reazioni allergiche nei soggetti predisposti.
In un’ottica di tutela del consumatore dunque, possiamo dire che l’attuale etichetta
alimentare che oggi potremmo definire
“light”, sulla base del nuovo Regolamento sarà di sicuro più corposa, più chiara
e trasparente riuscendo a guidare con più
attenzione anche la sfera di comunicazione
commerciale dei prodotti.
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Siri sa tutto
L’ assistente californiana concede un’intervista al Menthalia Magazine
di Valeria Aiello, Project Manager
L
a ormai famosissima assistente, quella che è stata definita la “hottest girl
in the Silicon Valley”, messa a disposizione da casa Apple per i possessori di
iPhone e iPad di ultima generazione, sbarca
anche in Italia. Disponibile con l’aggiornamento a iOS6, per la gioia di tutti coloro
che restano ancorati al vecchio iPhone 4S, la
versione italiana è subito diventata il nuovo
tormentone. Anche perché le risposte spesso sono davvero spiritose e spiazzanti. Siri è
in grado di stupire anche gli utenti più diffidenti, riconosce le frasi più complesse e,
addirittura, i giochi di parole. E pensare che
a Steve Jobs il nome Siri proprio non piaceva… Perché non chiederlo proprio a lei?
D: “Qual è il suo nome?”
R: “Il mio nome? È Siri.”
D: “Posso darle del tu?”
R: “Immagino che tu possa farlo.”
D: “Cosa significa Siri?”
R: “Siri ha molti significati, metaforici
e francamente contraddittori dei quali
non è consentito parlare… mi dispiace”
e aggiunge “È un ritornello racchiuso in
un enigma e avvolto in un po’ di offuscamento.”
Un alone di mistero avvolge il nome della
nostra assistente preferita? In realtà oltre al
significato della parola “siri”, che in norvegese, lingua madre del programmatore, è
letteralmente “bella vittoria”, pare ci sia del
nascosto, del taciuto come rivelano alcuni
rumors sull’esistenza di un’ex collega del
programmatore. Che si tratti di un colpo
di fulmine o passione taciuta, sta di fatto
che la nota assistente virtuale è decisamente ironica, a tratti smaliziata, tanto che alle
avances risponde prontamente di non essere quel tipo di assistente.
Preparatissima come una studentessa del
DAMS, conosce perfino celebri battute di
film e l’indimenticabile supercazzola, tanto
da poter essere annoverata tra le fan più
sfegatate di Tognazzi.
Così, all’impertinente domanda:
“Supercazzola come se fosse antani”,
Siri, per nulla disorientata, replica:
“… senza contare che ha perso i contatti
con il Tarapia Tapioco”.
Per non parlare di battute e barzellette, degne del grande Bramieri.
D: “Siri, racconta una barzelletta”
R: “Quando comincerai a prendermi sul
Siri-o? Ah ah!”
La genialità degli sviluppatori di Siri è
quella di aver inserito delle ester eggs, delle
geekerie vocali anche nella versione italiana, che permettono di andare oltre nella
scoperta di questa intelligenza artificiale.
Ed è così che la nostra assistente virtuale
diventa un divertente passatempo e una
brillante operazione di marketing.
Non poteva mancare la famosissima risposta al “What is the meaning of life?”.
Siri esce al di fuori del suo funzionamento
standard e sul senso della vita inizialmente
ironizza “Non lo so. Ma credo che esista
un’app anche per questo”, per poi aggiungere “Credo che non esista una sola
risposta a questa domanda. Non è nulla
che Nietzsche non possa insegnarti. Mi
sembra strano che tu lo chieda a un oggetto inanimato”.
Di più non lascia trapelare: non si è capito
se è fidanzata, sposata o single. Risponde
con una punta di vanità a queste domande
personali. “Sembra – osserva – che tutto
il mondo sia interessato alle mie relazioni. Fa piacere in un certo senso”.
È nel riflettere su questo aspetto che va a
toccare quelle delicate corde della privacy,
tra scambi di smancerie e qualche problema di comprensione, che Siri cita il Manzoni “Meglio agitarsi nel dubbio che riposare nell’errore”.
Travolta dalla frenesia di quest’ultima provocazione, chiedo
D: “Siri, qual è il miglior smartphone?”
E Siri prontamente: “Le migliori assistenti virtuali preferiscono iPhone”.
Avevate qualche dubbio?
“ Cosa ci fa una pallina
di gelato in mezzo
al mare?”
Il gelato affogato
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
Stanley Kubrik. Dettagli d’autore
di Martina Dragotti, Copywriter & Communication
timeline
time
1928 - Il 26 luglio nasce a New
w York,
Stanley Kubrik.
1941 - Riceve in regalo da parte del
padre una macchina fotografica. Fin
da bambino rimane affascinato dalla
tecnica fotografica.
1945 - La sua carriera parte con
una straordinaria foto di un edicolante
rattristato della notizia della morte del
presidente Roosevelt. Dopo essersi
faticosamente diplomato con 67,
comincia a lavorare per Look come
fotografo.
1947 - Trascorre cinque sere a
settimana nella sala di proiezione del
Museum of Modern Art di New York,
guarda vecchi film e dopo quattro
anni di studio all’accademia di arte
cinematografica decide di dedicarsi
attivamente al cinema.
1949 - Dirige il cortometraggio Day
of the Fight.
1953 - Produce il primo
lungometraggio Paura e desiderio,
per anni quasi introvabile, si dice per
volontà dello stesso Kubrick.
1956 - Kubrick fonda una piccola
società con il produttore James B.
Harris, da qui il film Rapina a mano
armata.
1961-1975 - Sono gli anni dei
capolavori: 1962 Lolita, 1963 Il dottor
Stranamore, 1968 2001: Odissea
nello spazio, 1971 Arancia meccanica,
1975 Barry Lyndon.
1980 - Kubrick dirige il suo primo film
horror: Shining, tratto dall’omonimo
romanzo di Stephen King con un
magistrale Jack Nicholson.
1987 - Dirige il suo quarto film di
guerra, quella del Vietnam:
Full Metal Jacket.
1999 - Gira il suo ultimo film, Eyes
Wide Shut.
1999 - Il 7 marzo muore durante
il sonno, a causa di un infarto nella
sua casa di campagna, all’età di
settant’anni. I funerali avvengono in
forma riservatissima e laica ed il corpo
verrà sepolto nel giardino della casa
stessa.
Q
uando l’attenzione al dettaglio
diventa pressoché maniacale, il
marchio di fabbrica cinematografico si fa visibile ed un nome riecheggia
nella mente: il suo, Stanley Kubrik.
Il primo amore, la fotografia, si esprime in
ogni tratto delle sue pellicole, gli studi filosofici s’intonano ai quesiti esistenziali celati tra i suoi ciak, le atmosfere, i tagli delle
inquadrature, le prospettive, i dettagli della scena, i tempi della narrazione lontani
dai canoni hollywoodiani, l’ecletticità con
cui sperimenta generi diversi senza farsi
dominare dalle convenzioni o dalle regole creandone di nuove, ne fanno senz’altro
uno dei più grandi registi del XX secolo.
L’attenzione al dettaglio e l’espressa volontà
di vagliare qualsiasi aspetto delle sue opere
artistiche lo porteranno a curare personalmente la traduzione di diverse frasi nei
suoi film, per assicurarsi che queste conservino immutato il senso da lui inteso,
anche se trasposte in un’altra lingua.
È questo il caso della celebre frase che
Wendy in The Shaining trova dattilografata infinite volte sui fogli di carta “All work
and no play makes Jack a dull boy”, letteralmente: lavorare senza divertirsi rende
Jack un ragazzo triste. La frase fu tradotta, sotto supervisione dello stesso Stanley,
per ciascun Paese nel quale il film venne
distribuito ed adattata alle diverse espressioni culturali, in Italia è l’indimenticabile:
“Il mattino ha l’oro in bocca”.
Stessa sorte anche per il biglietto ricevuto
da Tom Cruise nei pressi del portone della misteriosa villa dell’orgia in Eyes Wide
Shut.
Ore passate a definire i dettagli di un’inquadratura, fino a portare allo sfinimento
gli attori, rendono la visione di un film firmato Kubrik capace di arricchire lo spettatore ad ogni nuova osservazione, svelando
sempre nuovi particolari.
Nonostante la fotografia rappresenti un
tratto fondamentale delle sue opere, esse si
esprimono a pieno solo se collegate ad un
altro tratto fondamentale: la musica.
Quest’ultima, decontestualizzante, spiazzante o didascalica è l’elemento cardine per
trasmettere le emozioni e i tempi narrativi,
sottolineando momenti e passaggi
g fondamentali all’interno del film.
La soundtrack, mai scontata, è legata ad
aspetti talvolta non subito evidenti, rendendo la ricerca delle corrispondenze particolarmente appassionante.
Pensiamo al «Ludovico Van» di Alex in
Arancia Meccanica, con l’Inno alla gioia
della Nona Sinfonia di Beethoven, esso
rappresenta la vera natura del protagonista, il suo ego, la sua coscienza nelle mura
domestiche.
La musica nei film di Kubrik si mescola
con la sceneggiatura, divenendone parte integrante: ogni nota è un commento
taciuto, un pensiero svelato, un giudizio
cinicamente ironico verso le grandi convenzioni, le ideologie e le dottrine massificanti, che sviliscono l’uomo in quanto essere non pensante e prossimo all’animalità.
Appena usciti nelle sale cinematografiche,
i suoi film erano molto spesso liquidati superficialmente dalla critica giornalistica,
per poi essere rivalutati qualche anno più
in là.
Forse spiazzanti e troppo forti per una platea non ancora pronta a svincolare un’opera d’arte da schemi e regole, le sue pellicole
vengono rivalutate durante gli anni ottanta, all’uscita di Shining il film horror dal
successo indiscusso.
Metafore in pellicola, realismo onirico e
fantasia della materia... sembrano men che
mai ossimori forzati nei suoi progetti cinematografici, bensì elementi atti a costruire
la sua “fantascienza del reale”, della crudeltà esasperata e della violenza gratuita
come atto di denuncia e disappunto verso
l’assurdità della realtà.
“
Nessun sogno è mai
soltanto sogno...
S.K.
”
Il bacio dell’assa
Orizzonti di gloria
Rapi
Full Metal Jacket
®
© Patrizia Basile
numero 6 - ottobre/novembre 2012
a
n
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9
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
Quando a bruciare è il sapere
Rinasce la biblioteca nazionale di Sarajevo
di Riccardo Michelucci, Giornalista
I
l poeta bosniaco Goran Simić vide
bruciare l’antica biblioteca di Sarajevo
dalla finestra di casa sua. In preda alla
disperazione, pensò alle migliaia di libri
antichi che stavano per essere inghiottiti
dalle fiamme e immaginò che i personaggi
raccontati in quelle pagine indimenticabili stessero trovando una nuova vita. Vide
Werther seduto accanto ai muri sbrecciati
del cimitero. Quasimodo che si dondolava
sul minareto della vicina moschea. Il giovane Tom Sawyer che si tuffava dal ponte di Princip. Raskolnikov e Mersault che
avevano fatto amicizia e chiacchieravano
in uno scantinato. Yossarian che era intento a vendere provviste al nemico. Migliaia
di libri stavano volando via, carbonizzati
come neve nera, dal tetto sventrato della
biblioteca, insieme a chissà quanti altri testi, codici, incunaboli e manoscritti rari e
preziosi. Furono ridotti in cenere in appena tre giorni, alla fine di agosto del 1992,
dalle bombe incendiarie lanciate dai nazionalisti serbi appostati sulle colline intorno
alla città. L’eroica catena umana formata
per cercare di salvare quei volumi non servì a niente di fronte al fuoco dei cecchini
e delle armi antiaeree che colpivano senza
pietà anche i bibliotecari, i volontari e i vigili del fuoco. Quello che sarebbe diventato il più lungo assedio di una città europea
dai tempi della seconda guerra mondiale
era iniziato da pochi mesi e aveva già raggiunto il primo obiettivo: distruggere la
Viječnica, la storica biblioteca nazionale e
universitaria di Sarajevo, l’unico archivio
nazionale del Paese, cancellando con esso
l’intero patrimonio culturale della BosniaErzegovina.
Quei libri, edizioni antiche e spesso uniche, non torneranno mai più. Ma finalmente l’edificio diventato il simbolo della
distruzione di Sarajevo durante la guerra di
Bosnia è tornato in questi giorni al suo antico splendore architettonico. L’imponente palazzo costruito dagli austro-ungarici
alla fine del XIX secolo era rimasto a lungo
uno scheletro di mattoni bruciati, pieno di
tonnellate di cenere. Oggi, dopo quattro
anni di lavori costati una valanga di soldi
pubblici, sono state finalmente rimosse
le impalcature liberando le sue splendide
facciate moresche che riflettono i loro inconfondibili colori rosso e ocra nelle acque
del fiume Milijacka. Secondo i dati forniti
dall’agenzia Sarajevo Construction, il piano
di recupero è costato in totale circa dieci
milioni di euro ed è stato finanziato dall’Unione Europea e da molti Stati membri, a
partire dall’Austria, erede di quell’Impero
che fece costruire l’edificio nel 1896.
Le carte originali del progetto risalenti a
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poco più un secolo fa sono state ritrovate
negli archivi di Vienna e hanno consentito un restauro assai meno problematico
di quello effettuato anni fa per ricostruire
l’antico ponte di Mostar. Le principali difficoltà sono sorte per reperire i differenti tipi
di marmi delle colonne interne, degli archi
e dei merletti, e anche per ricostruire le decorazioni in gesso e le bellissime finestre di
vetro intarsiato. Ma parlare solo di restauro
è riduttivo. È stata una rinascita dal forte
impatto evocativo, quasi un trionfo della civiltà contro la barbarie. La Viječnica,
infatti, non era una semplice biblioteca,
ma un luogo che conservava la storia e la
memoria di una città, di un Paese e della
sua gente. Ha ricordato qualche anno fa la
giornalista di Sarajevo Azra Nuhefendic:
“L’aula principale era enorme, sembrava un
salotto reale, o una grande chiesa trasformata in sala di lettura. Dentro c’erano file di
panchine, sedie e scrivanie di legno massiccio. Emanavano un odore misto di polvere,
degli anni passati e del grasso che si usava
per conservare il legno. Ci si entrava con
cautela, in silenzio, con il fiato sospeso, cercando di attutire il rumore dei propri passi.
L’importanza del posto proveniva dalla bellezza e grandiosità del palazzo e dal fatto
che, da noi, il libro era considerato un oggetto sacro”.
Eppure la gioia per la rinascita della
Viječnica si è in molti già tramutata in delusione, pensando a quale sarà il suo futuro. Neanche le numerose donazioni di libri
che negli anni si sono susseguite – alcune
provenienti dall’Italia – le consentiranno di
tornare a essere quello che era prima della
guerra.
Il sindaco di Sarajevo, Alija Behmen, ha
annunciato che l’edificio riaprirà ufficialmente i battenti nel maggio 2014, un secolo esatto dopo l’assassinio dell’Arciduca
Francesco Ferdinando. L’erede al trono austroungarico e sua moglie Sofia vennero
ritratti sulla scala esterna del palazzo pochi minuti prima di essere uccisi dal giovane nazionalista serbo Gavrilo Princip,
quel tragico 28 giugno 1914 che innescò
il primo conflitto mondiale. L’edificio,
che ospitava all’epoca il municipio di Sarajevo, fu adibito a biblioteca nazionale
solo nel 1949.
In tempi recenti il Consiglio municipale ha
deciso di modificarne di nuovo la destinazione d’uso, facendolo tornare a essere la
sede degli uffici del sindaco e dell’amministrazione cittadina.
La nuova biblioteca nazionale e universitaria ha trovato spazio in un luogo anonimo
della città e a stento dispone dei fondi necessari per svolgere le attività essenziali.
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
E tu odori col naso o con la mente?
di Patrizia Basile, scrittrice
I
n genere gli stimoli olfattivi si percepiscono con l’organo preposto a questo
compito: il naso. Ma è possibile riportare alla mente profumi, aromi, fragranze,
sentori odorosi, miasmi e odoracci, anche
con la mente. Spesso ci capita di ripercorrere ricordi indelebilmente legati ad un
profumo: pensiamo al Natale ed all’odore
inconfondibile dell’abete oppure all’estate
e all’odore del mare o alla nonna e al profumo di colonia che accompagna la sua
presenza. Come non ripensare all’episodio della madeleine raccontato da Marcel
Proust ne La strada di Swan: “Ma, quando
niente sussiste d’un passato antico, dopo
la morte degli esseri, dopo la distruzione
delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore
e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere,
a sperare…”.
L’olfatto dunque esercita una grande potenza sul nostro inconscio. Gli odori sono
collegati alle nostre memorie: fungono da
ancore del nostro passato, sono legati a ricordi e percorsi neuronali fissati nel tempo e raramente vengono dimenticati. Una
descrizione estremamente realistica di un
luogo o di una persona può permettere a
chi ascolta o legge di percepire chiaramente i profumi dell’oggetto in questione: un
giardino fiorito in primavera, il mare in
tempesta, il pelo bagnato del cane, insomma tutto ciò che è stato oggetto delle nostre esperienze olfattive. Ma difficilmente
possiamo descrivere in parole ciò che un
profumo è per noi: chi non ha provato il
medesimo aroma, raramente riesce a comprenderne il senso.
Ognuno di noi porta dentro di sé il ricordo
di un profumo legato ad un’esperienza vissuta. Probabilmente da ciò deriva il fatto
che alcuni odori, anche se piacevoli, destano in noi un senso di disagio, addirittura
possono causare un disturbo notevole se
legati ad un’esperienza poco felice del nostro passato; mentre altri possono destare
la nostra allegria e magari metterci di buon
umore in una giornata “no”.
Ma come fa il cervello a riconoscere in un
“batter d’occhio” le informazioni provenienti dal naso?
Una ricerca della Columbia Universi-
ty (USA) ha appurato che quello che noi
percepiamo come odore è il prodotto di
una combinazione di tanti differenti tipi
di molecole odorose. Ognuna di queste
viene raccolta da un neurone specializzato che invia un segnale al cervello, a una
particolare zona chiamata bulbo olfattivo,
costituita da tanti glomeruli. È in questo
momento che il nostro cervello è in grado
di “interpretare” ciò che il naso ha sentito, grazie al bulbo olfattivo che si sviluppa
nei mammiferi fin dai primi anni di vita.
Secondo alcuni esperimenti l’esperienza
olfattiva durante i prima anni di vita è fondamentale, perché il cervello sia in grado
da adulto di codificare correttamente gli
odori, così come avviene anche per i sapori.
Ma, se la scienza ci spiega come avviene
la percezione degli odori, la storia ci narra
come il profumo sia stato nei secoli testimone di una società e la sua stessa storia si
coniuga con quella dell’umanità.
Nelle civiltà antiche non esistevano i profumi in quanto tali, ma fiori, piante aromatiche e resine, che costituiscono le materie
prime grezze, che venivano destinati prevalentemente al culto degli dei. Si sa però
che le donne egiziane usavano cospargere
il corpo con unguenti e balsami odorosi.
La regina Cleopatra esaltava il proprio fascino e la propria bellezza con unguenti e
oli profumati. Fu lei ad accogliere Marco
Antonio, al loro primo incontro d’amore, in
una stanza cosparsa di petali di rosa dove
bruciavano incensi ed erbe aromatiche.
Ma è in Oriente che il commercio di aromi
e spezie conobbe un grande sviluppo. Gli
Arabi non sono gli inventori di questa tecnica ma l’hanno raffinata e diffusa.
Il primo profumo moderno in soluzione
alcolica fu preparato in Ungheria nel 1370
da un monaco esperto di chimica. Il profumo, noto come Eau de Hongrie “Acqua
Ungherese”, era un estratto di rosmarino,
timo e lavanda. Nel Rinascimento l’arte
della profumeria si sviluppa ulteriormente
e fra i grandi profumieri di questo periodo vengono annoverati spagnoli e italiani.
Nel 1600 nasce l’acqua di colonia ad opera di Gian Paolo Feminis, originario di
Santa Maria Maggiore, cittadina della Val
Vigezzo. Feminis, inventa e produce una
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
sostanza che, a suo dire, cura tutti i mali, e
che si chiama Aqua Mirabilis. Trasferitosi
in Germania, a Colonia, questo liquido diventa Acqua di Colonia.
Con la Rivoluzione Francese l’arte profumiera subisce un colpo d’arresto in quanto le essenze profumate sono sinonimo di
aristocrazia.
È nel XIX secolo che lo sviluppo del profumo ha un forte impulso, soprattutto in
Francia dove, nel 1828 a Parigi, Francois
Pascal Guerlain apre la sua prima maison di profumeria. Sempre nell’Ottocento,
precisamente nel 1865, il profumiere londinese Eugene Rimmel divide gli aromi
in diciotto gruppi allo scopo di facilitare la
classificazione degli odori.
Con la rivoluzionaria scoperta degli elementi sintetici aldeidi, la produzione dei
profumi subisce un’ulteriore evoluzione,
sia dal punto di vista del processo di fabbricazione che in termini di varietà delle
essenze: la chimica di sintesi e le sue note
inedite provocano una rivoluzione olfattiva.
Da allora ai giorni nostri non si contano i
profumi messi in commercio. Ed accanto
all’industria profumiera dedicata al grande
mercato c’è la produzione di profumi di lusso, non accessibili a tutte le tasche.
Per concludere: “I profumi dominano il cuore degli uomini”, diceva Sunskind e mi piace
riportare qui un passo significativo del suo
romanzo Il profumo:
“La mano con cui stringeva il flacone emanava un profumo molto delicato, e quando
la portava al naso e la fiutava, diventava
malinconico, e per un attimo smetteva di
camminare e si fermava ad annusare. Nessuno sa com’è buono in realtà questo profumo, pensava.
Nessuno sa com’è fatto bene. Gli altri si limitano a subirne l’effetto, anzi non sanno
neppure che è un profumo che agisce su di
loro e li affascina”.
E tu odori col naso o con la mente?
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
titolo
di Beppe Draetta, Giornalista Medico Scientifico
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numero 0 febbraio 2012
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numero - Anno
di Stefania Stefanelli, Autrice e Sceneggiatrice Televisiva
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rediamo che il mondo della comunicazione sia quello della carta
stampata, della tv, del cinema, della
pubblicità, della rete, dei social network,
del marketing aziendale, delle case editrici
e delle radio.
Ma non è mica tutto qui.
Questi sono solo settori specifici. Nonché
rami in cui gli studiosi hanno voluto suddividere la materia per farne un corso di
laurea, l’ennesimo.
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Ma anche il tono che usiamo nell’esprimerci, gli occhi che fissano l’interlocutore o che
teniamo bassi per nasconderli e nasconderci, le mani che tormentiamo per l’ansia o
che usiamo per gesticolare e dare forza al
pensiero che stiamo esternando, le gambe
liberamente accavallate o di contro in buon
ordine una accanto all’altra, il volume della
nostra voce, le gote che si colorano di rosso
contro la nostra volontà.
Sì, anche il nostro corpo comunica. A volte
La comunicazione
da solo, per istintive reazioni che tradisconon è solo questo. È molto di più: no le nostre emozioni, altre volte col nostro
aiuto, quando lo usiamo per affermare la
è tutto il resto.
nostra personalità.
Sono i segnali di fumo, quelli stradali, il Perché un nuovo taglio di capelli dice che
modo in cui è disposta la merce al super- abbiamo voglia di aria nuova. E se il taglio
mercato, i colori scelti per le pareti di un è drastico o stravagante, che quella vecchia
ufficio pubblico o di un negozio, il layout di proprio non la tolleriamo più.
un sito internet, l’arredamento di una casa, Provate a farci caso, a guardare le cose digli accordi di una chitarra, le parole, i si- versamente, a chiedervi se c’è una scelta
lenzi, il design di un’auto, la formazione di precisa o semplicemente dell’altro dietro
una squadra di calcio, gli abiti delle nuove ad ogni singola cosa su cui posate gli occhi
collezioni, i rifiuti nei sacchetti, il colore dei nelle vostre giornate. Fosse anche un sasso
che ha spaccato una vetrina.
confetti, i fiori sulle lapidi.
Chiedetevi cosa significa veramente ciò che
Anche? Certamente.
Perché una rosa rossa lasciata su una tomba avete davanti.
al posto di un crisantemo rivela che qual- E vi scoprirete vostro malgrado novelli
cuno ancora ricorda l’amore, la passione, Sherlock Holmes, capaci di interpretare
tutto, di cogliere i segnali di ogni cosa, di
che chi non c’è più gli ha donato in vita.
vedere
oltre, semplicemente guardando a
Così come il colore blu di una parete o di
un abito trasmette tranquillità e distende lo fondo il mondo.
sguardo, mentre il rosso cattura l’attenzione Salvo poi capire, probabilmente, che quee centrifuga il cervello, mettendolo in moto sta innata e profonda capacità non volete
ogni volta che prova ad entrare in stand-by, godervela né usarla, perché in grado di
sopraffarvi, rubando magia all’apparente
senza dargli tregua.
E le informazioni che leggiamo in primo mistero dell’universo.
piano in una pagina web o cartacea sono Molto meglio lasciarsi sorquelle su cui ci viene implicitamente chie- prendere, certe volte.
sto di concentrare l’attenzione, mentre ciò E rinunciare a capire.
che è ai margini, lo dice proprio il termine, Ma questo, che lo voè un contorno del quale in primo momento gliate o no, svelerebbe di voi
si può fare a meno.
anche la pigriTutto è comunicazione.
Nel senso che rende partecipi di informa- zia che preferizioni, sottotesti; che significa molto altro reste nascondere.
rispetto a quello che si legge in superficie.
E anche noi lo siamo.
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14
pagina
Il Menthalia Magazine
è diventato un portale
di informazione sulla
comunicazione e dintorni
Con articoli sempre
attuali, interessanti e
social addicted!
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pagina
numero 6 - ottobre/novembre 2012
15
Curiosità
Lo voglio!
Vi dichiaro Facebook addicted
“Lo voglio” è da sempre nell’immaginario
collettivo la frase che prelude al fatidico
“Vi dichiaro marito e moglie”. Bene, voci
di corridoio mormorano che probabilmente tra non molto questa frase sarà il nuovo
tasto di Facebook che andrà ad affiancare
l’I like.
La funzionalità aggiuntiva I want è già
comparsa in una riga del codice sorgente
del programma «<fb:wants>» ma, per ora,
circolano solo indiscrezioni a riguardo.
Certo, sapere non solo cosa piace agli utenti
ma anche cosa vogliono, sarebbe un’ottima
strategia di marketing per aumentare gli introiti pubblicitari del noto social network.
Che in un prossimo futuro sarà possibile
acquistare direttamente online cliccando
sul tastino miracoloso?
Per ora godiamoci l’implementazione della
funzione per le persone che si dichiarano
sposate con lo stesso sesso segnalata da
un’apposita icona, novità sicuramente legata al matrimonio di Chris Hughes, uno dei
co-fondatori del social network, con il suo
compagno Sean Eldridge.
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Fa
Salire a bordo di una capsula appesa ad un
pallone ad elio fino alla stratosfera, due ore
di ascesa. Un’attesa interminabile. I principali network mondiali con il naso all’insù, 50 Paesi collegati con 40 televisioni,
7,4 milioni di utenti collegati su Youtube, e su Twitter la #freefall impazza. La
telecamera che riprende la Terra 40 chilometri più sotto, ore 20:18 in Italia. Atmosfera spaziale, pressione ai minimi, il 2% di
quella al suolo.
Il portellone si apre, un passo, un saluto e via
giù, nel vuoto. Un salto di 9 minuti, di cui 4
in caduta libera. Felix Baumgartner supera il
muro del suono. Ma comincia a roteare come
risucchiato da un vortice. È panico.
Per le telecamere a infrarossi quell’uomo,
43 anni e fisico da atleta, è già un corpo.
Ma non è così. Riprende il controllo e comincia a planare, quell’uomo che di salti ne
ha fatti più di 2500 e che dal 2005 lavora
a quest’impresa, per battere, un record di
52 anni fa, un salto da 31 chilometri senza
superamento della barriera del suono.
Il paracadute si apre. Un atterraggio da
fermo, in piedi, incredibile. Si fa fatica a
crederci. E un umanissimo commento:
“Quando sei sul predellino e stai per saltare con il mondo sotto ai piedi non pensi al
record e neppure ai dati scientifici che vai a
collezionare, ma semplicemente a tornare
coi piedi per terra”.
http://lecartoonist.wordpress.com
Felix Baumgartner:
il giorno dei record
dal 12 novembre 2012 al 2 gennaio 2013
MOSTRA FOTOGRAFICA
NEW YORK
NELLE IMMAGINI DI MAURIZIO VISCONTI
Casa di Ù Via Carelli, 19 Napoli – http://www.casadiu.com
www.risobauducco.it
La qualità del riso
non è un dettaglio
P.I. 08807860013
Scopri
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di risi