geografia antropica

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geografia antropica
SEZIONE 6
GEOGRAFIA
ANTROPICA
Obiettivi
Conoscenze
➜Indicare i diversi tipi di risorse naturali (minerarie,
energetiche, alimentari, ambientali) distinguendo
tra rinnovabili e non rinnovabili.
➜Illustrare le caratteristiche delle differenti risorse
energetiche (combustibili fossili, energia nucleare,
fonti rinnovabili).
➜Analizzare la situazione dei consumi di materie
prime ed energia nelle diverse aree geografiche.
➜Descrivere l’andamento dello sviluppo demografico
mondiale dagli albori della civiltà ai giorni nostri.
➜Spiegare il concetto di sviluppo sostenibile.
Competenze
➜Interpretare dati e informazioni nei vari modi in
cui sono presentati (linguaggio specifico, carte
tematiche, diagrammi, grafici, tabelle ecc.).
➜Comunicare e rappresentare dati e informazioni
(relativi a demografia e risorse) attraverso la
terminologia specifica e il simbolismo appropriato
(grafici, diagrammi, tabelle ecc.).
➜Confrontare le caratteristiche delle diverse fonti
energetiche analizzandone vantaggi e svantaggi,
le differenti disponibilità di risorse nei diversi Paesi
ecc.
➜Discutere dei problemi che riguardano la
demografia mondiale, l’utilizzo delle risorse e i
modelli di sviluppo con opinioni supportate da dati
e informazioni.
➜Ricercare, raccogliere e selezionare dati e
informazioni da fonti attendibili (testi, riviste
scientifiche, siti web ecc.).
UNITÀ
LE RISORSE
15
Per iniziare...
Le domande a cui saprai rispondere.
1 Un minerale:
➜ Che cosa sono le risorse naturali e come si possono
classificare?
➜ Quali sono le caratteristiche dei giacimenti minerari, come si
formano e come si ricercano?
➜ Quali sono i principali tipi di risorse energetiche e quali i
problemi legati al loro sfruttamento?
➜ In che modo l’umanità si procura le risorse alimentari?
➜ Che cosa si intende per risorse ambientali?
a
b
c
è un composto chimico cristallino
è una roccia di piccole dimensioni
è un fossile
2 Una roccia magmatica:
a
b
c
si origina per raffreddamento di un magma
si origina per riscaldamento di un magma
deriva da processi di deposizione di detriti
3 Una roccia sedimentaria:
a
b
c
si origina per raffreddamento di un magma
si origina per riscaldamento di un magma
deriva da processi di deposizione di detriti
Unità 15 · Le risorse
1
Le risorse naturali
Si definiscono risorse naturali i materiali che l’uomo
preleva dall’ambiente per soddisfare i propri bisogni;
sono da considerare risorse anche i fenomeni naturali
(come lo spirare del vento) utilizzabili allo stesso scopo.
Le risorse che la natura ci offre sono numerose e non è
facile classificarle: proponiamo la seguente suddivisione.
• Risorse minerarie: sono i minerali e gli elementi nativi metallici, che si estraggono dalle rocce del sottosuolo. In questa categoria si collocano anche carbone e petrolio, ma riteniamo più utile considerarli nel
gruppo successivo.
Risorse
energetiche: sono tutti i materiali e i feno•
meni naturali che permettono di produrre energia.
La legna e i combustibili fossili (carbone, petrolio,
gas naturale), il movimento delle acque (energia
idroelettrica), i fenomeni di vulcanismo secondario
(energia geotermica), il vento (energia eolica), la radiazione solare (energia solare), l’uranio radioattivo
(energia nucleare) sono i principali.
Risorse
alimentari: sono i prodotti dell’agricoltura,
•
dell’allevamento e della pesca.
Risorse
ambientali: si tratta di ciò che nel passato
•
veniva ritenuto inesauribile, ma che attualmente
denuncia uno stato di crisi. Le più importanti sono
l’acqua dolce (risorse idriche) e il territorio (suolo
coltivabile, foresta da legna, terreno da pascolo e persino il paesaggio). Anche i materiali rocciosi utilizzabili per l’edilizia (marne, argille, sabbie e ghiaie) si
possono attribuire a questa categoria.
È utile, inoltre, distinguere tra risorse rinnovabili e
risorse non rinnovabili, in base al tempo necessario
alla loro rigenerazione naturale. Le risorse rinnovabili
non si esauriscono, o comunque si ricostituiscono in
tempi relativamente brevi: radiazione solare, vento,
geotermia sono inesauribili, mentre l’acqua, i prodotti
agricoli e di allevamento, le foreste e i suoli si rigenerano a mano a mano che vengono consumati o sfruttati,
se l’intensità dello sfruttamento non è eccessiva e non
sono soggetti a fenomeni d’inquinamento.
Sono non rinnovabili quelle risorse che non possono tornare in tempi brevi alle condizioni precedenti al
loro utilizzo: i combustibili fossili e i minerali si sono
formati in tempi geologici, per cui l’attuale ritmo di
sfruttamento li esaurirà in modo irreversibile.
Le risorse ancora disponibili ed economicamente
sfruttabili allo stato attuale della tecnologia sono definite riserve: i due termini non sono sinonimi, poiché esistono materiali che attualmente non sono raggiungibili
3
o non è conveniente sfruttare, ma che potrebbero trasformarsi in riserve con lo sviluppo di nuove tecnologie.
Quando si fanno le stime previsionali sulle disponibilità
di materie prime, si tiene conto solo delle riserve.
2
Le risorse minerarie
Uno dei maggiori campi di applicazione della Geologia
è la ricerca mineraria, che consiste nell’individuazione
delle zone in cui i minerali sono presenti, nella stima
della loro entità (quindi della convenienza dell’azione di estrazione), nella valutazione delle conseguenze
ambientali dell’attività estrattiva. I minerali possono
essere utilizzati come tali oppure possono costituire
i materiali da cui si ottengono i metalli puri. Tutte le
rocce della crosta terrestre contengono minerali, ma
la maggior parte di esse non interessa all’industria mineraria perché contiene minerale (o metallo) utile in
percentuali irrisorie o in forma non accessibile a costi competitivi. Un caso classico è quello dell’alluminio, elemento abbondantissimo nella crosta terrestre
(ne costituisce l’8%), ma “imprigionato” in minerali,
gli alluminosilicati, da cui non si riesce a separare: deve
perciò essere estratto dalla bauxite, per la quale esiste
un’adeguata metodologia di estrazione.
Siamo perciò costretti a ricercare, sia sulla terraferma sia sui fondali marini, i giacimenti minerari, formazioni rocciose in cui il minerale utile è presente in
concentrazioni superiori a quelle normalmente presenti in rocce dello stesso tipo (➜1).
1 La miniera di rame a cielo aperto di Bingham Canyon, Utah (USA).
4 Geografia antropica · Sezione 6
Qualcosa
in più
Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più
Come si formano
i giacimenti?
In base al tipo di processo che ha portato alla concentrazione del minerale utile
(processo mineralogenico) si distingue
tra giacimenti magmatici, sedimentari
e metamorfici. Spesso, però, un giacimento si forma in fasi successive: i minerali cristallizzano durante la solidificazione di un magma (fase magmatica)
e successivamente si concentrano per
deposizione di sedimenti fluviali (fase
sedimentaria).
Giacimenti di origine magmatica
Si originano in seguito alla solidificazione di magmi, attraverso due principali
meccanismi: la formazione di filoni pegmatitici o idrotermali e la segregazione
magmatica.
Il primo caso è decisamente il più importante e interessa in particolare i magmi
intrusivi. La gran parte di un magma (circa il 90%) solidifica tra i 1200 e i 650
°C (fase ortomagmatica) dando origine
a minerali silicatici. Il fuso residuo solidifica a temperatura inferiore (sino a 372
°C, fase pegmatitica). Proprio durante
questa seconda fase, i gas presenti nel
magma, che si trovano concentrati notevolmente nel poco fuso rimasto, favoriscono la formazione di cristalli di notevoli dimensioni, sia di silicati (ortoclasio,
tormalina, berillo e altri minerali in forma
di topazi, smeraldi e acquamarine) sia
di elementi rari (oro, argento, arsenico,
uranio ecc.). Il magma, inoltre, si infiltra in ogni spaccatura delle rocce vicine formando dei filoni pegmatitici. Al
di sotto dei 372 °C, il processo entra
nella fase idrotermale, nella quale l’acqua si trova allo stato liquido, nonostante l’elevata temperatura, a causa della
pressione elevata: i minerali si formano
per precipitazione da soluzioni acquose
in raffreddamento, che penetrano nelle
fessurazioni delle rocce circostanti, formando vene e filoni idrotermali. Si tratta
soprattutto di solfuri d’argento, zinco,
stagno, rame, piombo e mercurio.
Il processo di segregazione magmatica
consiste nella separazione precoce, per
cristallizzazione, di minerali accessori:
nei camini vulcanici, per esempio, la
lava solidificata può contenere rocce,
dette kimberliti, che hanno l’eccezionale caratteristica di essere “ricche” di
diamanti formatisi per cristallizzazione
del carbonio presente nel magma in so-
1 Kimberley, Sudafrica. Camino
diamantifero Big Hole e diamante
grezzo ottaedrico.
lidificazione, tra i 1300 e i 900 °C e
a pressioni elevate (50-90 kbar). I più
grandi giacimenti di questo tipo, con la
forma di giganteschi cilindri o imbuti,
sono in Sudafrica (a Kimberley e a Pretoria), con un tenore in diamanti di 30250 mg per tonnellata di roccia (➜1).
Giacimenti di origine
sedimentaria
Si formano per mezzo dei classici meccanismi che portano alla formazione dei
vari tipi di rocce sedimentarie: distinguiamo quindi tra giacimenti detritici, giacimenti chimici e giacimenti organogeni.
I giacimenti detritici si formano in seguito
a processi di erosione, trasporto e deposito di materiali a opera del ruscella-
2 Ambienti sedimentari.
In prossimità dell’ansa
di un fiume è molto
probabile trovare una
concentrazione di metalli
pesanti, poiché la velocità
delle acque diminuisce e si
depositano sedimenti con
densità maggiore.
mento, dei fiumi, delle correnti marine,
del vento. Durante il trasporto, l’agente
esogeno seleziona i sedimenti in base al
loro peso e poi li deposita, concentrandoli, quando la sua energia diminuisce.
Ambienti sedimentari favorevoli sono: il
lato interno dei meandri fluviali (➜2),
dove la corrente è più lenta, i delta dei
fiumi, i conoidi di deiezione e i depositi alluvionali. Si sono originati in questo
modo importanti giacimenti di sabbie aurifere negli Stati Uniti, di
diamanti, di uranio e di platino
in Sudafrica: si tratta sempre
di materiali pesanti, che si depositano con facilità.
I giacimenti chimici si formano in seguito a precipitazione di materiali in soluzione,
di solito in seguito a variazione
di temperatura o all’evaporazione
dell’acqua in bacini marini o lacustri. Si
tratta solitamente di formazioni stratificate, poiché i minerali precipitano in tempi
successivi in base alla loro diversa solubilità. Si originano così i giacimenti di
salgemma, carbonato di calcio, gesso,
anidrite, potassio, uranio e rame.
I giacimenti organogeni derivano da
processi biologici: sono di questo tipo
le rocce fosfatiche (spesso derivate dal
guano), il carbone e il petrolio.
Giacimenti di origine
metamorfica
Grazie al metamorfismo di contatto, si
possono formare, nelle rocce prossime
a magmi in raffreddamento, giacimenti
di pietre preziose, di grafite o di talco.
Unità 15 · Le risorse
La percentuale di minerale utile è comunque sempre
piuttosto bassa, rispetto al materiale di scarto (ganga):
si definisce “coltivazione” del giacimento l’insieme dei
trattamenti fisico-chimici che portano al prodotto finale, abbastanza puro da essere utilizzabile da parte
dell’industria. È quindi essenziale riuscire a conoscere,
per mezzo di analisi chimiche, in quale percentuale il
minerale che vogliamo estrarre è presente in una determinata roccia (tenore del minerale utile) e definire il
tenore minimo coltivabile, ossia la percentuale minima
che un giacimento deve contenere perché lo sfruttamento industriale sia economicamente vantaggioso.
2.1Distribuzione,
ricerca e sfruttamento dei
giacimenti minerari
Le risorse minerarie non sono illimitate e la loro distribuzione non è omogenea (➜2): molti Paesi del Terzo
Mondo sono produttori di materia prima, ma ne consumano una percentuale irrisoria. In ogni modo, nessun Paese al mondo è autosufficiente per tutti i minerali di cui necessita.
I metodi di ricerca dei giacimenti si sono modificati
dai tempi in cui il ricercatore esperto “scovava” filoni
2 Distribuzione delle risorse minerarie nel mondo.
argento
alluminio
oro
cromo
rame
o depositi ricchi di minerale esaminando i ciottoli trasportati dai fiumi. Attualmente si usano svariate tecniche: la prospezione di tipo geochimico, che cerca di individuare concentrazioni “anomale” di elementi chimici
in superficie (che potrebbero derivare da giacimenti),
l’analisi delle anomalie gravitazionali, delle anomalie
magnetiche (per i giacimenti di ferro, nichel e cobalto), e del comportamento delle onde sismiche artificiali. In tempi recenti si è iniziato a trarre informazioni
da immagini satellitari, riprese in frequenze particolari, in grado di “vedere dentro la Terra”. Nelle aree più
promettenti si fanno poi scavi o perforazioni di esplorazione, e si valuta infine la convenienza economica
dell’estrazione.
Le risorse minerarie sono di tipo non rinnovabile e
l’unica possibilità che abbiamo, per impedirne l’esaurimento, è il riciclaggio, che attenuerebbe anche i problemi ambientali che si creano nelle regioni in cui sono
presenti miniere (gli effetti deturpanti della presenza
di cave e miniere a cielo aperto sul paesaggio, il rischio
di crolli e franamenti nei versanti delle montagne indeboliti dalle gallerie, ma, soprattutto, l’accumulo dei
residui di lavorazione, la cui rimozione è economicamente onerosa).
2U10/Fig.10.04 planiminerali
ferro
mercurio
potassio
manganese
nichel
5
piombo
fosfati
platino
zolfo
stagno
titanio
vanadio
tungsteno
zinco
uranio
la dimensione
dei cerchi è
proporzionale
all’importanza
del giacimento
diamanti
6 Geografia antropica · Sezione 6
3
Le risorse energetiche
3.1 I
Noi otteniamo energia dai combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale), dalla fissione dell’uranio
(energia nucleare) e da fonti rinnovabili come il movimento delle acque dei fiumi (energia idroelettrica),
il Sole (energia fotovoltaica e solare termica), il vento
(energia eolica), le biomasse e il calore terrestre (energia geotermica).
I consumi energetici mondiali sono in continuo aumento, sia in conseguenza dell’incremento demografico, sia per l’espansione dei consumi che si sta verificando in gran parte del mondo (specialmente in Cina e in
India): nel 2010 la domanda di energia ha raggiunto i
12 844 Mtep e si prevede un notevole incremento nei
prossimi anni. (➜3).
3 Andamento dei consumi di energia nel mondo.
4000
milioni di TEP
3000
tro
pe
lio
e
bon
2000
car
gas
1000
rale
natu
idroelettrica
energia geo-
0
1960
te
gni
e li
1970
1980
anni
energia
nucleoelettrica
1990
2000
Tabella 1 I consumi energetici
I combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale)
sono la principale fonte di energia nelle società industriali e costituiscono circa l’85% delle risorse energetiche attualmente utilizzate nel mondo.
Il petrolio soddisfa circa il 35% della domanda energetica mondiale (in Italia il 43%) e rimarrà in posizione dominante per almeno altri 20-30 anni. I
motivi di questa preminenza sono numerosi: dalla
raffinazione del “greggio” si ottengono carburanti a
elevata resa energetica, come benzina, gasolio, nafta
(per gli impianti di riscaldamento) e cherosene (per
gli aerei); da esso si ricavano olii lubrificanti e catrami, e viene utilizzato per la fabbricazione di materie
plastiche e fibre sintetiche. È inoltre liquido, quindi
facilmente trasportabile e immagazzinabile, e il suo
costo, nonostante le notevoli oscillazioni del prezzo
del greggio verificatesi negli ultimi anni, risulta tuttora fortemente competitivo con altre forme di energia.
Il settore che influisce maggiormente sulla domanda
di petrolio è quello dei trasporti. Nel mondo si consumano circa 90 milioni di barili di petrolio al giorno
(un barile equivale a circa 159 L), ma in modo nettamente diversificato, poiché Europa e Nord America
rappresentano più della metà della domanda totale,
nonostante la crescita dei consumi di Paesi emergenti
come Cina e India.
Si prevede, però, che nei prossimi anni l’incremento
dei consumi sarà maggiore nei PVS e la quota dei Paesi
industrializzati si ridurrà al 30% circa. Se i consumi non
sono equamente ripartiti, lo sono ancor meno le riserve:
le maggiori concentrazioni di pozzi petroliferi si trovano
Tabella 2 La domanda di petrolio
Consumi energetici mondiali
per fonte (Mtep)
2010
2020
2030
Petrolio
4677
5312
6025
Gas naturale
3052
3934
4785
Carbone
3246
4034
4927
Nucleare
728
829
874
Rinnovabili
1139
1338
1572
12 844
15 447
18 184
Totale mondo
combustibili fossili
Fonte: EIA (Energy Information Administration)
GLOSSARIO
Mtep
Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio; è la quantità di energia
rilasciata dalla combustione di una tonnellata di petrolio ed equivale a 42
miliardi di joule).
Principali importatori
Quota della domanda mondiale (%)
USA
27,4
Giappone
9,9
Cina
7,6
India
5,8
Corea del Sud
5,6
Germania
5,1
Italia
4,5
Francia
3,9
Spagna
4,3
Paesi Bassi
2,8
Resto del mondo
23,1
Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2008
2U10/Fig.10.07 planipetrolio
Unità 15 · Le risorse
7
petrolio
gas
petrolio e
gas off-shore
oleodotti
gasdotti
commercio di petrolio
4 Produzione di greggio e gas e flussi commerciali.
Tabella 3 I produttori di petrolio
Principali produttori
Quota della produzione mondiale (%)
Arabia Saudita
12,9
Russia
12,3
USA
7,6
Iran
5,4
Cina
4,8
Messico
4,0
Canada
3,9
Kuwait
3,7
Venezuela
3,5
Emirati Arabi
3,5
India
3,3
Resto del mondo
35,1
Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2008
in Medio Oriente, negli USA, in Russia, in Cina, in Venezuela, in Messico e nel Mare del Nord (➜4).
Una stima delle riserve disponibili è assai difficile, poiché al continuo sfruttamento corrisponde la scoperta di
nuovi giacimenti. Le valutazioni più attendibili oscillano tra 1000 e 2000 miliardi di barili, che garantirebbero
i consumi attuali per 40-80 anni: è però impensabile
che si mantenga l’attuale livello di consumi, poiché i
PVS stanno rapidamente incrementando la loro domanda. Ma già molto prima dell’effettivo esaurimento
delle riserve, l’inevitabile aumento dei prezzi causato
dalla crescita dei costi di estrazione (oltre che dalla
legge della domanda e dell’offerta) e la conseguente
perdita di competitività di questa fonte di energia, fa
presumere che l’era petrolifera si esaurirà entro la metà
del XXI secolo.
Le tecniche di ricerca non sono più quelle pionieristiche dell’inizio del Novecento, basate sulla semplice
osservazione delle eventuali tracce oleose nei bacini
d’acqua e sul terreno: quelli erano giacimenti situati a
scarsa profondità e quindi facilmente raggiungibili. Gli
attuali metodi di ricerca fanno uso di strumentazioni
sofisticate e, soprattutto, indirizzano la loro azione su
basi teoriche (Tettonica delle Placche). Noi sappiano
infatti che i giacimenti sotterranei si trovano nel nucleo di anticlinali, all’interno di rocce porose (dette
rocce-serbatoio), delimitate superiormente da rocce
impermeabili che creano la cosiddetta “trappola” per
il petrolio, e inferiormente da uno strato, detto roccia
madre, responsabile della genesi del petrolio stesso: in
8 Geografia antropica · Sezione 6
pozzi
di estrazione
roccia
impermeabile
petrolio
gas
acqua
faglia
roccia
serbatoio
roccia
madre
5 La migrazione del petrolio. Il petrolio migra dalle rocce madri alle rocce
serbatoio da dove verrà estratto.
una situazione diversa da questa, il petrolio filtrerebbe
verso la superficie (data la sua tendenza a galleggiare
sull’acqua) e lascerebbe solo residui solidi (i bitumi)
(➜5). Sappiamo inoltre che i processi anaerobi che
portano alla formazione dell’“oro nero” si verificano
in ambienti di sedimentazione particolari, tipici dei
margini continentali “passivi” (bacini di mare poco
profondi, come le lagune, con scarsa circolazione di
ossigeno). In base a queste conoscenze si cerca di individuare le zone che possono offrire prospettive positive. Dopodiché, per sondare il sottosuolo, si effettuano
trivellazioni, che spesso risultano infruttuose, perché
rilevano la presenza di masse ridotte di greggio il cui
sfruttamento non è economicamente remunerativo,
ma che a volte possono portare alla scoperta di ingenti
riserve. Negli ultimi anni l’attività estrattiva si è estesa
ai fondali marini situati lungo i margini continentali,
per mezzo di piattaforme petrolifere (mare del Nord,
Golfo del Messico ecc.).
Il carbone (➜6), motore energetico della rivoluzione
industriale in Europa, a partire dalla metà del XX secolo è stato in gran parte soppiantato dal petrolio, almeno nei Paesi industrializzati: fino alla II guerra mondiale è stato il combustibile di gran lunga più utilizzato,
ma già nel 1960 copriva solo il 48% dei consumi, e ora
circa il 25% (in Italia il 9%). Nonostante ciò, per molti
Paesi (Cina, Russia, India, ma anche Stati Uniti) il carbone è una fonte energetica di primaria importanza. In
questo caso non vi è uno squilibrio tra chi consuma e
chi produce, poiché i principali consumatori sono anche i primi produttori.
I limiti all’uso del carbone non sono economici, ma
legati all’ingombro (notevole, a parità di resa con il petrolio), al trasporto e allo stoccaggio, e alla pericolosità
del lavoro nelle miniere. Il problema maggiore è però
di tipo ambientale, a causa degli effetti inquinanti che
si producono durante la combustione di questo materiale, che contiene sempre una certa percentuale di
zolfo (l’anidride solforosa che si libera nell’atmosfera
produce il fenomeno delle piogge acide). La ricerca dei
giacimenti di carbone si basa sui medesimi metodi descritti per i giacimenti minerari e porta ogni giorno alla
scoperta di nuove riserve, che sono infatti molto consistenti: secondo stime attendibili, ammontano a oltre
800 miliardi di tonnellate, sufficienti a coprire per 133
anni il fabbisogno, se i consumi si mantengono sugli
attuali livelli. Sono allo studio tecnologie che ne permettano l’utilizzo con effetti meno devastanti sull’ambiente. Una tecnica è la Polverizzazione del carbone
(Pulverised Fuel Combustion): il carbone viene macinato molto finemente e il pulviscolo ottenuto viene
iniettato in una camera di combustione consentendo
un completo utilizzo del combustibile, che non viene
quindi riversato nell’atmosfera. Allo stato sperimentale è la Gassificazione del carbone (Integrated Gasification Combined Cycle - IGCC): la polvere di carbone
viene trasformata in gas; per mezzo di questo processo
lo zolfo presente nel carbone può essere quasi completamente recuperato in forma commerciale e le ceneri
sono convertite in scorie vetrificate.
Tabella 4 Produzione di carbone per area geografica
Principali produttori
Quota della produzione mondiale (%)
Cina
29,5
Stati Uniti e Canada
25,8
Federazione russa e Ucraina
9,2
Europa occidentale
8,6
Australia
7,7
India
7,2
Africa
5,5
Resto del mondo
12,0
Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2008
Il metano (o gas naturale) copre circa il 25% del fabbisogno energetico mondiale e ha il pregio di essere
molto meno inquinante dei combustibili derivati dal
petrolio. Il problema che limita l’utilizzo di questa risorsa riguarda il trasporto, che richiede la costruzione
di metanodotti o, se viene effettuato con navi cisterna,
rende necessaria la liquefazione del gas: si tratta di in-
Unità 14 · L’apparato locomotore
9
6 Il carbone
Nelle zone paludose l’accumulo di resti vegetali (muschi, alghe,
canne, piante palustri, felci ed equiseti) viene sottratto all’azione
demolitrice dell’ossigeno dallo strato vivente sovrastante e dal limo,
che favoriscono l’azione dei batteri anaerobi. Di solito queste zone
paludose, come le torbiere che si trovano a valle del lago d’Iseo, sono
aree protette in quanto meta temporanea di numerosi uccelli migratori e
casa permanente di numerose specie acquatiche.
n
1000
PROFONDITÀ IN METRI
acqua stagnante
povera
di ossigeno
vegetazione
palustre
resti
vegetali
La torba è il carbone “giovane”, formatosi nell’era quaternaria: costituisce il sottofondo di zone paludose. La torba contiene circa il 60-65% di
carbonio e ha un basso potere calorifico: 3500 calorie per kg.
n
La lignite è un carbone più vecchio: risale all’era terziaria, ha un contenuto in carbonio che arriva fino al 70% e sviluppa un potere calorifico
di 5000 calorie per kg.
3000
n
Il litantrace contiene l’85% di carbonio con un potere calorifico di
7000 calorie per kg.
6000
n
L’antracite è il carbone più antico e più pregiato poiché contiene il
95% di carbonio e produce circa 9000 calorie per kg. I maggiori giacimenti risalgono al periodo carbonifero (300 milioni di anni fa) nell’era
paleozoica.
n
10 Geografia antropica · Sezione 6
ha visto crescere negli ultimi anni l’utilizzo del gas, fino
a coprire il 35% del proprio fabbisogno energetico. Lo
importiamo prevalentemente dalla Russia, dall’Algeria
e dai Paesi Bassi.
3.2L’energia
A partire dal secondo dopoguerra, alcuni Paesi hanno
puntato sulla produzione di energia nucleare, derivante dalla fissione dell’uranio “arricchito” (U238 arricchito con U235, che rappresenta una piccola percentuale
dell’uranio naturale), o del plutonio (Pu239). Un kg di
uranio naturale produce diecimila volte più energia di
un kg di carbone, e le sue riserve sono ancora elevate. I maggiori produttori di uranio sono USA, Canada, Russia, Cina, Sudafrica e Australia, ma anche Paesi
europei come Francia e Svezia dispongono di riserve
consistenti.
Le oltre 440 centrali nucleari esistenti nel mondo
producono complessivamente 370 gigawatt (Gw), pari
al 7% di tutta l’energia prodotta nel mondo e al 16%
della produzione mondiale d’energia elettrica. L’Europa soddisfa mediamente il 35% del proprio fabbisogno
energetico interno tramite l’uso di centrali nucleari: i
Paesi europei che più si sono spinti in questa direzione sono la Francia (78% della produzione energetica
nazionale), la Svezia (45%), la Svizzera e il Belgio; nel
mondo, Giappone, Canada e USA sono tra i maggiori
produttori di energia nucleare (➜8).
Non tutti i Paesi, però, hanno continuato su questa
strada: i governi di Germania, Svezia e USA, per esempio, hanno bloccato l’espansione del settore e altri ne
7 Una piattaforma fissa dell’ENI al largo di Ravenna. Da una serie di pozzi
dislocati al largo della costa romagnola si estraggono discrete quantità di
metano.
terventi molto costosi, che incidono sul prezzo al consumo almeno per il 40%. Nonostante questo limite, se
ne prevede un incremento consistente dell’utilizzo nei
prossimi anni. Le riserve accertate non sono ingenti,
ma comunque sufficienti per i prossimi 60 anni, al ritmo dei consumi attuali.
I maggiori produttori di gas naturale sono la Russia
(21%), gli USA (18,5%), il Canada (5,6%) e l’Iran 3,8%,
oltre a Norvegia, Algeria e Qatar, mentre i maggiori importatori sono il Giappone (12%), gli Usa (10,7%), la
Germania (10%) e l’Italia (9,8%) (➜7). Quest’ultima
barre di controllo
reattore
nucleare
vapore
barre di
combustibile
di uranio
sodio fuso o acqua liquida
sotto alta pressione
(trasporta calore al generatore di vapore)
nucleare
turbina a vapore
(genera elettricità)
+
–
scambiatore
di calore
condensatore
(il vapore della turbina viene
condensato con acqua fredda)
pompa
acqua fredda
acqua calda
8 Schema di funzionamento di
una centrale nucleare.
Unità 15 · Le risorse 11
Tabella 5 I principali produttori di energia nucleare
Principali produttori
Quota della produzione mondiale (%)
USA
30,8
Francia
16,2
Giappone
9,7
Russia
5,9
Corea del Sud
5,3
Germania
5,2
Canada
3,4
Ucraina
3,4
Svezia
2,5
Regno Unito
2,3
Resto del mondo
15,3
Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2007
sono usciti completamente. L’Italia ha abbandonato il
nucleare in seguito al referendum popolare del 1987;
tale scelta è oggi messa in discussione dal Governo che
prevede un ritorno al nucleare.
Al di là di alcuni indubbi benefici, come la riduzione
dell’emissione di gas serra, i problemi legati al nucleare sono molteplici: i pericoli derivanti dal malfunzionamento delle centrali (come nel caso di Chernobyl,
1986); i crescenti costi di manutenzione degli impianti
e quelli elevatissimi per lo smantellamento dei reattori
(che deve avvenire dopo 30-40 anni di attività dell’impianto); il grave problema delle scorie radioattive prodotte dalla fissione nucleare (30 tonnellate in un anno
per un reattore di medie dimensioni), che richiedono
onerosi interventi di stoccaggio (l’uranio impiega 1000
anni a “decadere” sino a valori trascurabili di radioattività, il plutonio 250 000).
Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani
Il problema delle scorie
radioattive
Il termine “scoria” deriva dal greco skor,
che significa “escremento”. Di solito, in
un ecosistema gli scarti di un organismo
vengono riciclati da altri organismi che
li utilizzano come nutrimento. Per contro,
gli scarti industriali e dell’attività umana
non riescono ad essere smaltiti dall’ambiente in misura adeguata.
Le scorie nucleari sono le più pericolose: a oggi non esiste una risposta ade-
guata per il loro smaltimento sicuro. Al
momento le scorie sono conservate nelle
vicinanze delle centrali (➜1), in attesa
di individuare luoghi “sicuri” per la loro
conservazione: nel sottosuolo, in formazioni geologiche che garantiscano un
isolamento (graniti, basalti, argille).
L’attività delle centrali nucleari in Italia
ci ha lasciato 53 000 m3 di scorie che
sono ancora in attesa di essere sepolte
in un luogo sicuro.
Le scorie di prima e seconda categoria
sono le meno pericolose poiché esauriscono la loro attività in poche decine di
1 Il vapore che fuoriesce dalle centrali nucleari non è radioattivo: le barre di
combustibile sono isolate in compartimenti stagni nel cuore della centrale.
anni o al massimo in non più di tre secoli: si tratta di materiali contaminati, come
guanti e camici, frammenti di intonaco
ecc. Le scorie di terza categoria derivano direttamente dal combustibile utilizzato nelle centrali: queste vengono inglobate in materiale vetroso isolante e racchiuse in contenitori di acciaio molto resistenti (➜2).
Sembra che il vetro sia il materiale più
adatto per isolare le scorie di terza categoria, come dimostrano i recenti studi
sulle ossidiane, le rocce vetrose di origine vulcanica.
2 Addetti alla manutenzione di una centrale nucleare maneggiano con estrema
cura un bidone di scorie radioattive. Le tute proteggono i loro corpi dalle
radiazioni più pericolose ma è bene non trascorrere molto tempo nelle vicinanze
delle scorie.
12 Geografia antropica · Sezione 6
3.3Le
fonti energetiche rinnovabili
Tabella 6 I principali produttori di energia idroelettrica
Le fonti energetiche rinnovabili (idroelettrico, biomasse, geotermico, eolico, solare) rappresentano una parte ancora decisamente minoritaria della produzione
mondiale di energia (meno del 10%).
Principali produttori
Energia idroelettrica
Il movimento delle acque dei fiumi è sfruttato da tempo
immemorabile nei mulini, ma le centrali idroelettriche
sono un’applicazione recente. Nel caso più comune, il
corso di un fiume viene sbarrato da una diga (➜9) che
crea un bacino artificiale e un dislivello dal quale precipitano le acque: in questo modo è possibile produrre
energia elettrica in modo continuo, prescindendo dalle
variazioni di portata del corso d’acqua.
Nonostante il fatto che solo il 6% della domanda
mondiale di energia sia coperta dall’idroelettrico (21%
dell’energia elettrica), esso rappresenta l’89% dell’energia prodotta da fonti alternative. Ha anche notevoli
possibilità di sviluppo: tutti i Paesi che hanno buone
disponibilità d’acqua fluviale (nelle zone equatoriali, in
quelle temperate con regime pluviale elevato, oppure
con grandi montagne) hanno dimostrato un notevole
interesse a questa forma di energia pulita e rinnovabile che ha costi competitivi con i combustibili fossili; i
principali produttori mondiali sono Cina, Brasile, Canada e USA.
Non bisogna però dimenticare i devastanti effetti
sull’ambente prodotti da alcune grandi opere di regimentazione dei fiumi e i pericoli di catastrofi. Per que9 Schema di funzionamento di una diga. L’energia di caduta dell’acqua di un
bacino artificiale viene utilizzata per la produzione di energia elettrica.
Diga
a
Condott
Bacino
a monte
Generatore
forzata
Trasformatore
Turbina
Restituzione in alveo
Quota della produzione mondiale (%)
Cina
15,3
Brasile
11,7
Canada
11,7
USA
8,7
Russia
5,7
Norvegia
4,3
India
3,9
Giappone
2,7
Venezuela
2,6
Svezia
2,1
Resto del mondo
31,7
Fonte: IEA (International Energy Agency), dati 2007
sto motivo la tendenza attuale è quella di costruire impianti medio-piccoli.
In Italia la produzione di energia da bacini idroelettrici è stata predominante sino agli ’50 del secolo scorso.
Attualmente, con oltre 2000 impianti situati prevalentemente nelle regioni settentrionali, corrisponde al 3%
dell’energia totale (13% dell’energia elettrica), anche se
rappresenta ancora la fonte di energia rinnovabile più
importante nel nostro Paese (53% della produzione).
Le biomasse
Il termine biomassa viene utilizzato per indicare materiale organico (prevalentemente di origine vegetale),
nel quale l’energia solare si è accumulata grazie al processo di fotosintesi clorofilliana. Oltre alla legna ricavata dalle foreste (la più tradizionale delle biomasse),
si utilizzano i residui delle coltivazioni agricole (paglia,
lolla di riso, pula di grano), gli scarti delle lavorazioni
nel settore alimentare (gusci, noccioli ecc.), quelli della
lavorazione del legno (segatura, trucioli), le deiezioni
animali delle aziende zootecniche e i rifiuti solidi urbani (RSU). Si possono anche coltivare piante a crescita rapida per uso energetico, sia pluriennali (come
il pioppo, il salice e l’eucalipto e la robinia), sia annuali
(come il sorgo, la canna da zucchero, il cardo, la barbabietola, il girasole e la colza). Le biomasse possono essere utilizzate come combustibili nei motori a scoppio
e per produrre elettricità e calore.
Alcune tecnologie di conversione energetica sono già
abbastanza sviluppate e possono essere utilizzate a livello industriale, altre sono a livello sperimentale.
La combustione diretta, effettuata in opportune caldaie, di paglie, residui di potatura delle piante, scarti
Unità 15 · Le risorse 13
10 Impianti di produzione di biogas.
della raccolta di legumi e di piante tessili (cotone, canapa) è utilizzata per il riscaldamento.
I processi biochimici di digestione anaerobica di
deiezioni animali, rifiuti organici civili e industriali, a
opera di microrganismi, producono biogas (soprattutto metano), utilizzabile come biocombustibile (➜10).
Un altro processo biochimico è la fermentazione alcolica di materiale vegetale pretrattato (da cereali, barbabietole, patate, canna da zucchero ecc.), per produrre
sia bioetanolo sia ETBE (etilterbutiletere), che possono
essere utilizzati come biocarburanti per automezzi sia
puri sia mescolati a benzina.
Per spremitura o estrazione con solventi si produce
biodiesel (un olio combustibile utilizzabile per l’autotrasporto e gli impianti di riscaldamento) da piante
oleose come la colza, il girasole e la soia.
La pirolisi è un processo termochimico (a 300°-700
°C) per mezzo del quale, da materiali organici, si ottiene una frazione “gassosa” a basso-medio potere calorifico (contenente CO, CO2, idrocarburi e H2), una
frazione “liquida oleosa” contenente acqua e composti
organici a basso peso molecolare (aldeidi, acidi, chetoni, alcoli), un prodotto “solido” contenente residui a
più alto peso molecolare (furani e composti fenolici).
Tipi particolari di processi termochimici sono la carbonizzazione, con la quale si ottiene carbone da scarti
legnosi (un processo noto sin dall’antichità) e la gasificazione, con cui si ottiene combustibile gassoso contenente monossido di carbonio (CO), idrogeno (H2) e
idrocarburi.
Tutti questi combustibili rappresentano fonti di
energia “rinnovabile” e relativamente “pulita”, perché
non contengono zolfo, benzene e idrocarburi aroma-
tici; inoltre non contribuiscono all’effetto serra, poiché
producono la medesima quantità di diossido di carbonio che si è consumata, con la fotosintesi, durante la
formazione della biomassa stessa. Nonostante tali vantaggi, l’uso su larga scala delle biomasse comporta comunque problemi ambientali legati all’estensione delle
aree destinate alle coltivazioni, alla sottrazione di territorio alle coltivazioni alimentari, all’uso di fertilizzanti.
Nonostante le potenzialità energetiche delle biomasse siano immense, esse attualmente soddisfano circa il
15% del fabbisogno mondiale di energia e il loro utilizzo è molto disomogeneo: i Paesi in Via di Sviluppo
ricavano dalle biomasse (legname e deiezioni animali) il 35-40% del loro fabbisogno (in alcuni casi sino
al 90%), ma si tratta di tecnologia a basso rendimento
energetico, che ha provocato il disboscamento di alcune aree geografiche (come nel Sahel).
Nei Paesi industrializzati le biomasse forniscono il
3% dell’energia globale e in Italia il 2% (contro il 1718% dei Paesi Scandinavi). Nel nostro Paese esistono
impianti per il teleriscaldamento e per la produzione
di energia elettrica da rifiuti urbani e da residui di lavorazione del legno. È prevista inoltre l’estensione delle
colture energetiche nelle aree attualmente lasciate incolte perché poco produttive, ma per una produzione
su larga scala sarebbero necessarie superfici agricole
molto maggiori, che rischierebbero di sottrarre terreno
alla produzione alimentare.
Energia geotermica
La geotermia è la fortuna dell’Islanda, dove l’85% delle
case è riscaldato con questa fonte. A livello mondiale la
produzione di energia da fonte geotermica corrisponde a oltre 16 000 megawatt, con una crescita annuale
media di circa 3% negli ultimi trent’anni grazie al fatto
che i costi di produzione di energia elettrica sono competitivi con quelli delle centrali termoelettriche. I maggiori produttori di energia da fonte geotermica sono gli
Stati Uniti (oltre 2000 Mw di potenza installati), le Filippine (con circa 2000 Mw), il Messico, l’Indonesia, il
Giappone e l’Italia (con oltre 700 Mw). Nel nostro Paese la produzione è concentrata in Toscana (Pisa, Siena
e Grosseto) e la più antica centrale geotermica italiana
si trova a Larderello (Pi).
Energia eolica
Il vento è una fonte di energia sfruttata dall’uomo sin
dall’antichità, per la navigazione a vela e per il movimento dei mulini. L’utilizzo dell’energia eolica presenta alcuni problemi legati alla bassa densità del vento,
quindi alla bassa potenza, e alla irregolarità del mo-
14 Geografia antropica · Sezione 6
pale
gondola
sostegno
11 Impianto eolico in California (USA)
vimento. Nonostante ciò, da alcuni decenni sono stati avviati programmi che prevedono la produzione di
energia elettrica per mezzo di generatori eolici (o aerogeneratori), che funzionano in parte come i mulini
a vento: convertono infatti l’energia eolica, prima in
energia meccanica e poi in energia elettrica (➜11).
I più semplici aerogeneratori sono costituiti da un
sostegno, alto alcuni metri, e da una “gondola” dotata di un rotore con pale di 10-40 m di lunghezza. La
gondola, in grado di mantenersi sempre parallela alla
direzione del vento, contiene un sistema meccanico di
trasmissione collegato a un generatore di corrente. I generatori eolici producono energia proporzionalmente
all’intensità del vento, che deve superare i 5 m/s perché
il sistema entri in funzione.
La produzione di energia eolica non produce nessun
12 Energia eolica.
Questi generatori
eolici si trovano al
Tehachapi Pass, in
California. Sono
circa 5000 e sono
distribuiti in modo
tale da sfruttare
al massimo il vento.
tipo di sostanza inquinante e ha uno scarso impatto
ambientale, limitato a quello “visivo” sul paesaggio e
alle interferenze elettromagnetiche: a questi fenomeni
si può ovviare scegliendo località isolate per la collocazione degli impianti (in Olanda esistono anche centrali
eoliche offshore, su piattaforme marine).
Negli ultimi anni il settore eolico è cresciuto a un ritmo di quasi il 30% annuo: nel 2009, è stata raggiunta
una potenza totale installata di circa 150 000 megawatt,
che permette di produrre il 2% del fabbisogno mondiale di energia. Con questi alti tassi di crescita si stima che ogni tre anni si possa incrementare dell’1% la
copertura del fabbisogno mondiale di energia tramite
questa fonte.
Gli Stati Uniti d’America sono il leader mondiale del
settore con una potenza eolica di oltre 25 Gw (➜12).
La Germania è seconda nel mondo con una potenza
totale di circa 24 Gw, seguita dalla Spagna con circa 17
Gw. Gli USA, la Germania, la Spagna, la Cina e l’India
da sole rappresentano oltre il 70% della potenza eolica
mondiale. L’Italia, il cui territorio è adatto a questo tipo
di produzione nelle zone montane, in quelle costiere
e nelle isole (dove il vento soffia in media a velocità
comprese tra 5 e 10 m/s), si colloca in settima posizione con quasi 5 Gw di potenza installata, equivalenti ad
oltre il 2% del consumo interno. Gli ormai numerosi
generatori eolici installati sul territorio nazionale sono
dislocati nelle regioni centro-meridionali (Calabria,
Basilicata, Abruzzo, Campania, Puglia, Sardegna, Toscana). Tra gli impianti più potenti ricordiamo Ulassai
(OG) con 78 Mw, Sant’Agata di Puglia (FG), con 72
Mw, Pianura di Campidano, in Sardegna, con 70 Mw e
Grottole (MT) con 54 Mw.
Il costo dell’energia eolica è competitivo con le fonti tradizionali (soprattutto se si tiene conto dei costi
sociali ed economici dell’inquinamento provocato da
queste ultime).
Unità 15 · Le risorse 15
13 Pannelli solari.
Energia solare
Il Sole invia sulla Terra un’enorme quantità di energia
(circa 1 kW/m2 di superficie) ed è perciò la più grande
fonte di energia rinnovabile a disposizione dell’umanità. Nel tentativo di sfruttare questa immensa risorsa, le
sperimentazioni e i progetti di ricerca si sono intensificati negli ultimi trent’anni, soprattutto da parte dei Paesi industrializzati con maggiore dipendenza energetica, e hanno portato al perfezionamento di due distinte
tecnologie: il fotovoltaico, per la produzione di energia
elettrica, e il solare termico, sia per il riscaldamento sia
per l’energia elettrica.
Nel fotovoltaico si sfrutta la proprietà di alcuni materiali semiconduttori opportunamente trattati (il silicio in particolare) di generare energia elettrica se colpiti dalla radiazione solare. Il dispositivo che opera la
conversione energetica è detto cella fotovoltaica, ed è
in grado di produrre 1-1,5 W quando è investito da una
radiazione solare di 1000 W (che è la condizione normale di irraggiamento). Più celle assemblate insieme
(di norma 36) formano un modulo fotovoltaico, con
una superficie di 0,5 m2, che eroga una potenza di 4050 W (➜13).
Accanto al generatore, occorre prevedere un sistema
di accumulo (in genere costituito da batterie simili a
quelle utilizzate per le auto), per soddisfare la richiesta
di energia durante le ore serali.
La potenza del fotovoltaico complessivamente installata nel mondo ha superato i 20 Gw, con un balzo
in avanti di oltre 6 Gw di nuova potenza installata nel
2009. La Germania è in prima posizione con una capacità totale di 9 Gw, ma dietro c’è l’Italia con 1 Gw, seguita dal Giappone e dagli Stati Uniti. Si stima inoltre che
si possano aggiungere tra 8 e 12 Gw di nuova potenza
nel 2010. Nonostante questo incremento esponenziale,
favorito dalla riduzione dei prezzi degli impianti e dagli
incentivi statali, la quota di produzione energetica del
fotovoltaico rimane minima, poiché il costo di produzione su grande scala è ancora elevato rispetto ai combustibili fossili e ad altre fonti alternative. Trova però
applicazione in ambito domestico: case rurali, rifugi di
montagna, persino piccole isole (Vulcano) utilizzano
energia fotovoltaica.
Gli impianti per il solare termico sfruttano un “effetto serra” in piccola scala: la luce solare entra liberamente nel sistema, si trasforma in una radiazione termica
a bassa frequenza e rimane intrappolata all’interno. Il
collettore, costituito da vetro o materiale trasparente in
superficie e da uno strato assorbente sottostante (rame
o acciaio o nichel-cromo anneriti) intrappola l’energia
radiante e con essa scalda un fluido circolante (termoconvettore), che a sua volta dispenserà calore dove necessario.
Esistono due tipi di impianti: a bassa e ad alta temperatura.
Nel primo caso si usano pannelli solari piani, sensibili sia alla luce diretta sia a quella diffusa, che permettono la produzione di acqua calda e il riscaldamento
degli edifici: nel mondo sono installati 30 milioni di
m2 di pannelli di questo tipo. Nel secondo caso, meno
comune, si usano sistemi di specchi parabolici che concentrano l’energia sino a ottenere temperature di 3000
°C. Il calore accumulato può essere utilizzato sia per
il riscaldamento, sia per la produzione di energia elettrica. Impianti di questo tipo sono attivi negli USA, in
Germania, in Israele e in Australia. Poiché i costi del
solare termico sono più bassi di quelli del fotovoltaico,
nei villaggi dei Paesi in Via di Sviluppo, dove manca
una rete di distribuzione dell’elettricità, questo sistema
si sta diffondendo.
16 Geografia antropica · Sezione 6
6
Le risorse alimentari
Da quando l’uomo non è più cacciatore e raccoglitore
produce e si procura gli alimenti con tre tipi di attività:
agricoltura, allevamento e pesca.
Nell’agricoltura è occupato l’80% della popolazione
nei PVS e solo il 2-3% nei Paesi industrializzati, nei quali
però la produzione è di gran lunga maggiore. È l’attività con cui l’uomo modifica maggiormente l’ambiente a
suo vantaggio. L’agricoltura tradizionale, tipica dei più
arretrati Paesi del Terzo Mondo è di pura sussistenza,
ossia permette unicamente la sopravvivenza di chi vi
lavora, e richiede un lavoro sproporzionato rispetto al
prodotto ottenuto, poiché si avvale di attrezzi primitivi:
non consente quindi, in una sorta di circolo vizioso, di
fare investimenti in macchine agricole, antiparassitari e
fertilizzanti, che migliorino la resa produttiva del suolo
(➜14a). Molto diversa è l’agricoltura meccanizzata dei
Paesi più sviluppati (➜14b), la cui produttività è talmente elevata che, in alcuni casi, si creano problemi di
sovrapproduzione (risolti spesso distruggendo le derrate agricole, al fine di evitare il crollo dei prezzi). Un
altro problema dell’agricoltura moderna è l’inquinamento che i pesticidi provocano nelle falde acquifere.
L’agricoltura fornisce anche risorse non alimentari
(cotone, lino, canapa, iuta ecc.).
14 Agricoltura di sussistenza in Vietnam (a) e agricoltura moderna negli USA (b).
a
b
Nelle regioni intertropicali, dall’agricoltura tradizionale si è passati, in alcuni casi, alla monocoltura, ossia alla
coltivazione di immensi appezzamenti agricoli con un
unico tipo di coltura (caffè, cacao, canna da zucchero
ecc.) destinata all’esportazione: i disboscamenti necessari per ottenere i vasti territori necessari hanno spesso
causato fenomeni di desertificazione e le monocolture
si sono dimostrate facilmente aggredibili dai parassiti,
che possono espandersi facilmente in quel tipo di ambiente. Inoltre, i Paesi coinvolti nel fenomeno si sono
resi conto che, riducendo quasi a un unico prodotto la
propria produzione, si trovano in balia delle fluttuazioni del mercato: per tutti questi motivi la volontà di
questi Paesi è ora quella di diversificare le colture, nonostante i vincoli commerciali siano molto forti.
L’allevamento è sempre andato di pari passo con l’agricoltura, alla quale forniva il concime e dalla quale riceveva foraggio. Non è più così nei Paesi europei, in cui è
di tipo intensivo e utilizza moderne tecniche di fecondazione artificiale per selezionare le razze. Spesso il bestiame non utilizza il pascolo come sistema di alimentazione, ma mangimi estremamente proteici che favoriscono
la crescita e ne aumentano la produttività (per esempio,
la produzione di latte). L’uso non appropriato di queste
tecniche ha certamente favorito lo sviluppo della BSE
(detta comunemente Sindrome della mucca pazza).
Anche nell’allevamento si creano crisi da sovrapproduzione e a volte gli allevatori vengono sovvenzionati perché non producano alimenti in eccesso: è il caso
delle “quote latte”. Altrettanto paradossale è il fatto che
l’agricoltura e l’allevamento di tutti i Paesi dell’Unione
Europea godano in un modo o nell’altro del sostegno
comunitario, perché non potrebbero reggere la concorrenza con i prodotti extracomunitari.
Nei Paesi più poveri del Terzo Mondo, l’allevamento
coincide, il più delle volte, con la pastorizia e il nomadismo, e i tentativi di rendere stanziali le tribù nomadi sono
stati la causa della desertificazione di alcuni territori.
La pesca rimane l’unica attività “predatoria” dell’uomo,
da quando l’allevamento ha sostituito la caccia. L’immensità delle acque oceaniche sembrava dovesse garantire l’inesauribilità della risorsa “pesce”, ma lo sviluppo
esponenziale della popolazione e il miglioramento delle
tecniche di pesca hanno provocato il depauperamento
delle risorse ittiche: mentre infatti nel periodo tra il 1950
e il 1990 il pescato mondiale è passato da 20 a 97 milioni
di tonnellate annue, negli anni ’90 la produzione ittica
ha cominciato lentamente a calare sino a stabilizzarsi
sui 90 milioni/anno dal 2000 in poi. A questo bisogna
Unità 15 · Le risorse 17
400 anni per rigenerarne 1 cm di spessore e migliaia
di anni perché si formi un suolo fertile. Il processo di
impoverimento del suolo è in atto un po’ dovunque, a
causa delle moderne pratiche di sfruttamento intensivo
e per la separazione che si è verificata tra agricoltura e
allevamento. Le deiezioni animali che vivono in allevamenti “chiusi” non vengono usate come concime, ma
finiscono nei fiumi, che inquinano, e infine in mare,
con conseguenti fenomeni di eutrofizzazione: il terreno si impoverisce di nutrienti e deve essere fertilizzato
artificialmente; ma i fertilizzanti non ripristinano totalmente le perdite e causano l’inquinamento delle falde, dei fiumi e dei laghi, con nitrati e fosfati.
15 Impianti di acquacoltura.
aggiungere il grave stato di inquinamento di parte delle
acque costiere e lacustri, che può ridurre drasticamente
la fauna presente. È perciò evidente che il sovrasfruttamento delle risorse ittiche non può proseguire in modo
incontrollato: gli organismi internazionali che fanno
capo alla FAO hanno fissato norme di comportamento
per la pesca (che non deve danneggiare l’habitat naturale
dei pesci) e quote massime per le catture. La Comunità
Europea, inoltre, programma annualmente un periodo
di interruzione dell’attività allo scopo di consentire alla
fauna ittica di compiere il proprio ciclo riproduttivo e di
ripopolare le acque (fermo pesca biologico).
La speranza di un incremento della produzione di
pesce viene dall’acquacoltura che, con oltre 40 milioni
di tonnellate annue, copre ormai il 30% della produzione ittica mondiale (circa 130 milioni di tonnellate)
(➜15). Molto sviluppata in Cina (20 milioni di tonnellate annue), India e Giappone, l’acquacoltura è in
notevole crescita in ogni parte del mondo, ma può a
sua volta risentire della crisi della pesca, che fornisce la
farina di pesce necessaria all’allevamento.
7
Le risorse ambientali
Il suolo è forse la risorsa naturale meno riconosciuta
come tale, in quanto la sua esistenza, perlomeno nella
nostra cultura, è data per scontata. In realtà, solo l’11%
delle terre emerse è costituito da terreno coltivabile, il
resto è troppo freddo, o arido, o povero di nutrienti,
o sabbioso, o acquitrinoso, o salinizzato. Il suolo è un
delicato ecosistema e contemporaneamente una risorsa
in pratica non rinnovabile, perché occorrono da 200 a
Le foreste, in particolare quelle equatoriali e quelle
subpolari di conifere (taiga), sono i polmoni verdi del
pianeta, poiché producono ingenti quantità di ossigeno
e al contempo assorbono cospicui quantitativi di anidride carbonica: sono sicuramente fondamentali anche
dal punto di vista della regolazione del clima, poiché
intervengono, tramite la traspirazione, nel ciclo dell’acqua. Eppure, a causa dell’aggressione subita a opera
dell’uomo, sono un’altra risorsa a rischio. Ogni anno
vengono abbattuti o bruciati da 150 000 a 200 000 km2
di foresta (una superficie grande come Austria e Ungheria unite), per ricavare legna o per ottenere terreno
coltivabile e da pascolo. In un secolo la foresta amazzonica si è ridotta da 6 milioni di km2 a 4 milioni di km2,
per lasciare il posto a monocolture che impoveriscono il
suolo in breve tempo. Per fortuna il governo brasiliano,
dopo anni di apparente sordità ai richiami degli organismi internazionali, sembra intenzionato a porre un
freno alla sfruttamento di questa risorsa. In varie parti
del mondo sono in atto programmi di rimboschimento,
sia per motivi ecologici, sia per motivi commerciali: nel
secondo caso, l’obiettivo è quello di compensare i prelievi di alberi con nuovi impianti, attuando una sorta di
“coltivazione” degli alberi (silvicoltura).
Il territorio è una risorsa anche da altri punti di vista.
I fenomeni di intensa urbanizzazione che si sono verificati nei Paesi più sviluppati, hanno risparmiato ben
pochi luoghi: gli ambienti e i paesaggi naturali hanno
perciò un elevato valore economico, poiché sono di
forte richiamo turistico. L’Italia può trovare nel turismo naturalistico una notevole fonte di reddito. Anche
per questo motivo il territorio va difeso dagli “attacchi”
della speculazione (edilizia in particolare): la valorizzazione degli ambienti naturali di particolare bellezza (in
montagna, sulle coste, in ambiente carsico, nelle zone
umide), attuabile con la costituzione di parchi naturali,
è la migliore forma di difesa del territorio.
18 Geografia antropica · Sezione 6
Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani Oggi&Domani
L’impronta ecologica
Tabella 1 L’impronta ecologica di alcuni paesi
Un individuo, una famiglia, la popolazione di una città o di una nazione utilizzano per vivere una determinata quantità di risorse del pianeta Terra; questa
quantità è in relazione al tenore di vita
di ciascuno e comporta il consumo di
risorse naturali.
L’Impronta Ecologica è uno strumento di
calcolo, messo a punto da W. Ress e
recentemente sviluppato da M. Wackernagel, che serve a definire la superficie
complessiva di territorio necessario a
produrre tutte le risorse che ciascuno di
noi consuma e ad assorbire tutti i rifiuti
che produce.
I popoli della Terra consumano le risorse
disponibili in maniera e quantità diverse
in base al loro stile di vita: per questo
motivo l’impronta ecologica, nelle diverse nazioni, varia da 10,3 ettari pro
capite di un cittadino medio statunitense
a 0,5 ettari pro capite di uno del Bangladesh.
Sommando i territori biologicamente
produttivi della Terra e dividendo per la
popolazione attuale, risulta che ciascuno di noi ha a disposizione 2 ettari di
territorio biologicamente produttivo. Poi-
Fonte
Impronta
(pro capite in ettari)
Biocapacità
(risorse disponibili)
(pro capite in ettari)
Deficit ecologico
(pro capite in ettari)
Francia
5,8
3,1
– 2,8
USA
9,5
4,9
– 4,6
Argentina
2,6
6,7
+ 4,2
Afghanistan
0,3
1,1
+ 0,8
Italia
3,8
1,1
– 2,7
I valori negativi indicano un cosumo maggiore della disponibilità
ché condividiamo il pianeta con milioni
di altre specie, molte delle quali indispensabili alla nostra stessa sopravvivenza, dobbiamo preservare una quota di
territorio anche per loro (almeno il 12%
del territorio disponibile), quindi ognuno
di noi può disporre di circa 1,7 ettari
pro capite (Legittima Quota di Terra).
Il 35% della popolazione mondiale ha
un’impronta ecologica superiore a 1,7
ettari pro capite, cioè maggiore della
Legittima Quota di Terra, a spese della
restante popolazione (il 65% del totale).
In altre parole, un terzo (ricco e industrializzato) della popolazione mondia-
le consuma tre volte la quantità media
mondiale disponibile: per sostenere l’attuale popolazione mondiale ai livelli di
consumo del mondo occidentale sarebbero necessari tre pianeti Terra!
Un cittadino italiano medio ha bisogno
di 4,2 ettari di superficie terrestre produttiva, ma la capacità produttiva del
territorio italiano è di 1,5 ettari pro capite. La differenza tra il consumo e la
disponibilità (2,7 ettari pro capite) rappresenta il deficit ecologico di ciascun
cittadino italiano. L’impronta ecologica
degli italiani è pari 3,2 volte la capacità
produttiva del territorio nazionale (➜1).
Tabella 2 Le scelte quotidiane sono importanti
Facendo questa scelta personale
...una persona può
•mangiando 150 g di carne in meno per
settimana
•risparmiare 270 litri di acqua per settimana
necessari a produrre, trasformare e
trasportare il bestiame
•rendere disponibile tre pasti di frumento
•non usando l’automobile per un giorno la
•produrre 10,9 kg di anidride carbonica in
settimana
meno per settimana
•riducendo il consumo domestico di energia
•risparmiare fino a 2,00 kWh per anno
elettrica con lampadine a basso consumo,
ridurre le emissioni di anidride carbonica di
regolando riscaldamento e condizionatori
circa 1200 kg l’anno
•riducendo il consumo di acqua
•risparmiare del 20% del consumo di acqua e
•eliminando perdite
relativi costi
•WC a scarico controllato
•chiudendo il rubinetto della doccia durante la
fase di insaponamento
1 L’Italia “in grande” rappresenta i consumi degli
italiani, ed è tre volte più grande dell’Italia “in
piccolo”, che rappresenta la produttività del nostro
territorio.
Unità 15 · Le risorse 19
Qualcosa
in più
Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più Qualcosa in più
Italia: un’analisi dei
consumi energetici...
“rivelatrice”
La domanda di energia in Italia, durante
il 2007, è stata pari a 194,5 Mtep. Ma
come soddisfiamo questa richiesta? Rispetto alla media dei 27 Paesi dell’Unione Europea, i consumi di energia in Italia si caratterizzano per un maggiore
ricorso a petrolio e gas, per una certa
quantità di energia elettrica importata,
per un ridotto contributo del carbone e
per l’assenza del nucleare; la quota di
fonti energetiche rinnovabili sul totale
dei consumi di energia è leggermente
più elevata rispetto alla media dei Paesi
OCSE soprattutto grazie al notevole apporto della fonte idroelettrica.
Il petrolio ha comunque perso negli ultimi anni una quota della sua preminenza
scendendo al 43% del totale, in parte
sostituito da altre fonti energetiche di
minore impatto ambientale, come il gas
naturale, che ha contribuito alla copertura della domanda per il 36%.
Ma come viene consumata questa imponente quantità di energia?
L’industria assorbe una quota consistente di energia (il 29% del totale dei consumi); i settori più “energivori” sono il
chimico, il metallurgico e il meccanico.
Il settore trasporti negli ultimi decenni ha
incrementato i suoi consumi passando
dal 22% del 1980 al 31% del 2007.
La parte preponderante dei consumi,
circa il 90% del totale, è da attribuire
al trasporto su strada. Tali consumi sono
passati dai 16,6 Mtep del 1975 ai
44,6 Mtep del 2007, ed è importante
rilevare che circa il 70% di essi è legaTabella 1 Disponibilità di energia per
fonte
Petrolio
43%
Gas naturale
36%
Carbone
9%
Fonti rinnovabili
7%
Import energia elettrica
5%
Fonte: elaborazione ENEA su dati del Bilancio
Energetico Nazionale
Tabella 2 Consumi finali per settore e per fonte, Italia 2007
Fonte
Consumi (Mtep)
Petrolio
Gas
Carbone
Elettricità
Trasporti
44 650 (31%)
97%
1%
–
2%
Industria
41 020 (29%)
19%
40%
12%
29%
Residenziale e Terziario 43 410 (30%)
11%
55%
4%
30%
Agricoltura e altri
14 410 (10%)
84%
10%
1%
5%
144 100 (100%)
48%
29%
5%
18%
Totale
Fonte: elaborazione ENEA su dati MiSE (Bilancio sintetico 2007)
to alla mobilità delle persone, mentre la
quota restante si riferisce alla mobilità
delle merci. Infine, nell’ambito della mobilità delle persone, si registra una netta
prevalenza del trasporto individuale, attraverso l’uso di autovetture, che assorbe
circa il 60% dei consumi complessivi
del settore trasporti: il dato, confermato
dal continuo aumento delle autovetture
circolanti, è estremamente significativo
circa il nostro “stile di vita”.
Il trasporto su strada (di uomini e merci)
è inoltre responsabile della produzione
del 24% delle emissioni complessive
di CO2, del 72% di quelle di CO, del
53% di quelle di NO2, del 46% di quelle di composti organici volatili, del 2,8%
di quelle di SO2.
Il settore residenziale consuma energia
per il riscaldamento delle abitazioni
(68%), per produrre acqua calda (12%),
per cucinare e per gli elettrodomestici (20%): rappresenta nel complesso il
69,7% della domanda di energia del
comparto civile e il 21% del totale. I
consumi domestici sono in netta crescita,
ma poiché il numero di famiglie è rimasto in pratica costante (circa 20 milioni)
e il numero dei componenti per famiglia
si è mantenuto pari a circa 2,8 unità,
la crescita dei consumi è da attribuirsi
a un aumento di consumo per famiglia:
ognuno di noi, quindi, consuma di più
rispetto al passato.
Le famiglie consumano gas naturale
(56,5%), prodotti petroliferi (20,7%),
energia elettrica (18,5%) e carbone
(4,3%): negli ultimi anni è diminuito il
consumo di petrolio (nafta, cherosene) a
favore del metano, meno inquinante. Per
quanto riguarda gli elettrodomestici, dal
1970 a oggi sono raddoppiati i consumi di energia elettrica delle lavatrici,
triplicati quelli dei frigoriferi e quadruplicati quelli dei televisori.
L’illuminazione rappresenta il 12% circa
della richiesta elettrica nazionale annua, che può essere così suddivisa per
settori: 60% nel terziario e negli edifici
pubblici, 15% nell’industria, 25% nel
residenziale. Il consumo per l’illuminazione domestica è il 13,5% del totale:
le lampade a filamento costituiscono
ancora oggi la maggioranza delle
dotazioni casalinghe, ma quelle fluorescenti, che consumano meno, sono
in rapido aumento (e diventeranno le
uniche in commercio).
Il settore terziario comprende le attività
di erogazione di servizi (commercio, ristorazione, credito e assicurazioni, comunicazioni e settore pubblico). Il consumo totale di energia nel settore terziario
è stato, nel 2007, pari al 30% del settore civile e al 9% del totale.
Ma qual è il livello della nostra dipendenza energetica? In altri termini quanta
energia importiamo? Noi importiamo
dall’estero quasi il 90% dell’energia che
consumiamo, soprattutto in forma di petrolio, gas naturale ed elettricità. La poca
energia che produciamo “in proprio” (il
10% del fabbisogno) deriva dal gas naturale dell’adriatico (impianti off-shore)
e della Pianura Padana (nel complesso
il 26% del gas totale), dalle fonti rinnovabili (circa il 7% del totale della produzione energetica) e, in piccola parte,
al carbone del Sulcis-Iglesiente (bacino
carbonifero riattivato nel 1997 nell’ambito di un piano di disinquinamento e
risanamento ambientale).
20 Geografia antropica · Sezione 6
Sintesi: concetti, definizioni, termini e dati fondamentali
Utilizza questa sintesi per ripassare prima di un’interrogazione orale
➤ Che cosa sono le risorse naturali e come si possono classificare?
Sono i materiali che l’uomo preleva dall’ambiente per soddisfare
i propri bisogni. Le risorse minerarie sono i minerali che si estraggono dalle rocce del sottosuolo; le risorse energetiche sono tutti
i materiali e i fenomeni naturali (rinnovabili o no) che permettono
di produrre energia; le risorse alimentari sono i prodotti dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca; le risorse ambientali sono
l’atmosfera, l’idrosfera, e la litosfera (acqua e territorio in particolare). Le materie prime ancora disponibili ed economicamente
sfruttabili, allo stato attuale della tecnologia, sono definite riserve.
➤ Quali sono le caratteristiche dei giacimenti minerari, come si
formano e come si ricercano?
La ricerca mineraria consiste nell’individuazione delle zone in cui
i minerali sono presenti, nella stima della loro entità, nella valutazione delle conseguenze ambientali dell’attività estrattiva. I giacimenti minerari sono formazioni rocciose in cui il minerale utile è
presente in concentrazioni superiori alla norma: possono essere di
origine magmatica, sedimentaria o metamorfica.
➤ Quali sono i principali tipi di risorse energetiche e quali i
problemi legati al loro sfruttamento?
I consumi energetici mondiali sono in continuo aumento, sia in
conseguenza dell’incremento demografico, sia per l’espansione
dei consumi. I combustibili fossili sono petrolio, carbone e metano. Il petrolio soddisfa circa il 35% della domanda energetica
mondiale, perché ha un’elevata resa energetica ed è economicamente competitivo. Il carbone viene utilizzato in misura ridotta a
causa degli effetti inquinanti che si producono
durante la combustione. Il metano è meno
inquinante dei combustibili derivati dal petrolio, ma è problematico
il suo trasporto. Il settore nucleare è in espansione ma diversi Paesi
hanno ridotto o eliminato la sua presenza
per i pericoli connessi
alla fissione. Tra le fonti
energetiche rinnovabili (idroelettrico, solare, geotermico, eolico,
biomasse) solo l’energia idroelettrica è quantitativamente significativa.
➤ In che modo l’umanità si procura le risorse alimentari?
L’agricoltura
tradizionale, tipica dei più arretrati Paesi del Terzo
Mondo (80% della popolazione vi è occupato), è di pura sussistenza
e non permette quindi,
in una sorta di circolo
vizioso, di effettuare investimenti; l’agricoltura
meccanizzata dei Paesi più sviluppati ha una produttività elevata;
si creano problemi di sovrapproduzione e si inquinano le falde
acquifere. L’allevamento iperproduttivo dei Paesi ricchi ha causato
problemi di sovrapproduzione e il fenomeno BSE. La pesca ha
provocato il depauperamento delle risorse ittiche: un’alternativa
è l’acquacoltura.
➤ Che cosa si intende per risorse ambientali?
Il suolo coltivabile è solo l’11% delle terre emerse ed è una risorsa
non rinnovabile, per la lentezza della sua ricostituzione. Le foreste
producono ossigeno e assorbono cospicue quantità di anidride
carbonica; inoltre regolano il ciclo idrico. Ogni anno vengono
abbattuti o bruciati da 150 a 200 000 km2 di foresta.