Il ghIaccIo si sta lentamente ma inesorabilmente

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Il ghIaccIo si sta lentamente ma inesorabilmente
La corsa all’Artico
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d i L u igi B ig n ami
D
urante l’ultima estate, la maggior parte delle
immense distese di ghiaccio del Polo Nord si erano
sciolte: i ghiacci artici si erano ridotti di 3 milioni
di km² rispetto alle medie estive degli ultimi
trent’anni. Un ‘ritiro record’, che ha superato quello
già drammatico del 2007. Secondo molti climatologi, si è trattato di un segno inequivocabile del
riscaldamento globale, che entro il 2050 renderà,
durante la stagione estiva, gran parte del Polo Nord
quasi totalmente libera dai ghiacci. A fronte di questi dati allarmanti, c’è però chi esulta. Numerosi
armatori, ad esempio, la scorsa estate hanno percorso con le loro navi le rotte polari dalle regioni
asiatiche verso l’Europa o gli Stati Uniti, accorciando il tragitto di migliaia di chilometri e risparmiando così carburante e settimane di tempo.
Generalmente, infatti, i bastimenti che dal nord della
Russia o del Giappone devono raggiungere l’Europa o gli Stati Uniti sono costretti a scendere
©PA3/JON KLINGENBERG
Il ghiaccio si sta lentamente ma inesorabilmente sciogliendo nelle regioni
polari. I dati sono allarmanti, ma il rovescio della medaglia è rappresentato non
solo dalla possibilità di sfruttare (per il momento solo in estate) il passaggio
a nord-est e quello a nord-ovest per navigare da oriente a occidente e viceversa,
riducendo le rotte di molte migliaia di chilometri con evidenti ritorni economici,
ma anche di rendere sfruttabili importanti giacimenti di petrolio, metano e
minerali, prima inaccessibili a causa dello spesso strato di ghiaccio. Proprio
la corsa ad accaparrarsi questi giacimenti sta scatenando tra i Paesi che
si affacciano sul Mar Glaciale Artico una vera e propria battaglia burocratica
per avocare a sé la ‘proprietà’ di aree artiche più vaste possibili, rivendicando
l’appartenenza di queste alla propria ‘piattaforma continentale’.
©Seth Resnick/Science Faction/Corbis
O R I Z Z O N T I
LA N AT U R A nelle zone artiche è imprevedibile e gli ecologisti temono
che possano verificarsi facilmente disastri ambientali. Nella foto, la piattaforma
per perforazioni petrolifere Kulluk della Shell che, lo scorso dicembre, fu spinta
dalla furia dei venti sull’isola di Sitkalidak.
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a sud dell’India, attra­versare il Mar Rosso e il Mediterraneo e quindi l’Oceano Atlantico; attualmente,
invece, in estate possono scegliere la rotta polare.
In altre parole, sono stati ‘trovati’ quei ‘passaggi a
nord-est e a nord-ovest’, ovvero le rotte commerciali
all’estremo Nord del mondo, che tra il 1400 e il 1900
vennero cercate da numerosi esploratori, senza
successo a causa della permanenza dei ghiacci.
gnie che estraggono minerali e idrocarburi dal
fondo degli oceani. I ghiacci, infatti, hanno sempre
impedito la trivellazione delle aree artiche, ma se
dovessero in futuro ridursi ulteriormente si aprirebbe ‘un nuovo mondo’ di giacimenti ancora intonsi tutti da sfruttare. Secondo ricerche condotte
dai russi, infatti, i fondali dell’estremo Nord potrebbero nascondere da 9 a 12 miliardi di tonnellate
di petrolio e gas. Queste cifre possono sembrare
non enormi in termini assoluti, ma si tratta comunque di una quantità tale da giustificare i costi e gli
sforzi per la ricerca e l’estrazione. Alcune proiezioni rilevano che nell’Artico si troverebbero il 13%
del petrolio e il 30% del gas convenzionale non
ancora scoperto sulla Terra.
Ma non è tutto: vi sono ottime probabilità dell’esistenza di depositi di metalli inglobati nei ‘noduli
di manganese’ (noduli grandi all’incirca come palle
Caccia ai giacimenti
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T R A T U T T I I PA E S I che circondano l’Artico, la Russia è il più attivo
nella ricerca dei confini della propria
‘piattaforma continentale’ e ha già
rivendicato come proprie vastissime
aree. Nello foto sotto, il rompighiaccio
nucleare russo ‘Rossiya’ impegnato
in rilievi sismici lungo la Dorsale di
Lomonosov a sostegno delle tesi degli
scienziati della Federazione.
I N E S TAT E , AL P OLO N O R D , a causa del
riscaldamento globale, sempre più estese aree
coperte dai ghiacci si sciolgono, ‘liberando’
i cosiddetti ‘passaggi a nord-est e a nord-ovest’
(evidenziati nella foto a sinistra), ovvero le rotte
commerciali stagionali all’estremo Nord del mondo.
©PAUL SOUDERS/CORBIS
©Fedoseyev Lev/ITAR-TASS/Corbis
©EUROPEAN SPACE AGENCY/SCIENCE PHOTO LIBR ARY
©ARCTIC - IMAGES/CORBIS
Grazie a questi passaggi, le navi commerciali in
rotta da Londra a Tokyo possono accorciare il viaggio di quasi 9 mila km. Nel 2012, ben 35 navi
hanno sfruttato il passaggio a nord-est, trasportando oltre un milione di tonnellate di materiali.
Entro il 2020 potrebbero essere raggiunti i 45
milioni di tonnellate. Chi si sta ‘rallegrando’ ancor
di più per questo scenario sono le grandi compa-
I ghiacci hanno sempre
impedito alle grandi
compagnie che
estraggono minerali
e idrocarburi dal
fondo degli oceani
la trivellazione delle
aree artiche, ma se
dovessero continuare
a ridursi si aprirebbe
‘un nuovo mondo’
di giacimenti ancora
tutti da sfruttare.
da tennis) che si formano sui fondali per precipitazione di metalli immessi negli oceani in seguito
a eruzioni vulcaniche. Esisterebbero, inoltre, dei
giacimenti di ‘idrato di metano’: il metano, che viene
rilasciato dai processi di decomposizione delle
sostanze organiche presenti all’interno dei sedimenti, combinandosi con l’acqua fredda delle profondità abissali va a formare una sorta di ‘ghiaccio’.
Questo metano può essere opportunamente trattato
e portato in superficie per venire poi sfruttato.
La caccia a questi tre elementi - petrolio, metano e
metallo - sta scatenando una vera e propria corsa
all’Artico. Russia, Canada, Stati Uniti, Norvegia e
Danimarca, ovvero i Paesi che si affacciano sul Mar
Glaciale Artico, oltre ad aver già rivendicato, per
diritto internazionale, i giacimenti che verranno
scoperti entro 200 miglia dalle loro coste, hanno
anche avanzato pretese su quelli che dovessero
appartenere alla loro ‘piattaforma continentale’.
In base a leggi internazionali, infatti, se le rocce
appartenenti a una certa nazione si prolungano in
un mare o in un oceano anche al di là delle 200
miglia, queste possono essere rivendicate dalla
stessa nazione come di propria appartenenza. Si
parla, in questo caso, di ‘prolungamento sommerso
delle terre che appartengono di diritto al Paese’.
Questa nuova rivendicazione è stata enunciata
sostenendo che il livello dei mari può variare notevolmente nel corso del tempo e che dunque un’area
che oggi risulta sommersa potrebbe invece emergere fra alcuni secoli, o viceversa; dunque, il livello
del mare non può essere determinante per definire i corretti confini di una nazione. Questo nuovo
modo di vedere le cose sta creando forti controversie nelle regioni artiche, in quanto, al momento,
non si conosce nei dettagli la geologia dei fondali
e, quindi, la rivendicazione di una certa area sommersa da parte di un determinato Paese può non
essere accettata dalle nazioni limitrofe.
Tra tutti i Paesi che circondano l’Artico, la Russia
è il più attivo nella ricerca di tali ‘confini’. Ha già
eseguito sondaggi geologici che l’hanno portata a
rivendicare con fermezza una vastissima area
occupata dalle acque artiche. Alcuni anni fa, ad
esempio, aveva reclamato come propri 1 milione
e 200 mila km² di oceano (ovvero un’area grande
tre volte l’Italia), ma questa rivendicazione fu poi
rigettata dall’ONU. Nel 2007, inoltre, il sommergibile Mir-1 depositò una bandiera della Federazione
Russa esattamente sul fondale sotto il Polo Nord
geografico sostenendo, appunto, che fosse ‘di proprietà’ russa. In seguito, un altro sottomarino venne
inviato dai russi per raccogliere campioni
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Per lo sfruttamento delle terre della Groenlandia
(regione che appartiene alla Danimarca) la situazione è ancor più complessa. Dai giacimenti minerari sia marini sia sulla terraferma, la grande isola
artica vorrebbe trarre profitti tali da rendersi indipendente dalla Danimarca. Attualmente, infatti, il
processo di indipendenza, iniziato diversi anni or
sono, trova difficoltà ad arrivare alla svolta definitiva perché i 57 mila abitanti della Groenlandia
ricevono annualmente dalla Danimarca importanti
sovvenzioni. Ma i tesori che nascondono i ghiacci
e le terre groenlandesi non potranno rimanere
ancora a lungo nei loro scrigni. La London Mining,
ad esempio, è pronta a investire 2 miliardi di dollari per mettere in funzione la miniera Isua, dove,
stando ai rilevamenti geologici, si potrebbero
estrarre 15 milioni di tonnellate di ferro all’anno
per almeno 15 anni. Ma c’è anche la miniera Mary
River che potrebbe offrire 18 milioni di tonnellate
di ferro all’anno per 21 anni. Ci sono, inoltre,
importantissimi giacimenti di ‘terre rare’ (come
quello di Kvanefjel, il secondo al mondo per quantità estratta) per l’approvvigionamento di fluoro,
vanadio e molti altri preziosi minerali. La Cina si
è già fatta avanti offrendo alla Groenlandia il pro-
Secondo ricerche condotte dai russi, i fondali
dell’estremo Nord potrebbero nascondere da
9 a 12 miliardi di tonnellate di petrolio e gas.
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I L D I S E G N O mostra i giacimenti
di petrolio (punti verdi), di gas liquido
naturale (punti rossi) e i siti minerari
(quadrati grigi) attualmente attivi nella
regione artica. Le ampie aree colorate in
violetto indicano invece le riserve conosciute
di petrolio e gas non ancora sfruttate.
prio ‘aiuto’ per sfruttare i giacimenti artici che ricadono sul suo territorio. Che la Cina sia interessata
alle aree artiche è un dato di fatto (sul posto lavorano già 2 mila suoi minatori): nell’ultimo decennio ha organizzato ben 4 campagne di ricerca
scientifica nella regione e ha costruito una base a
Ny-Alesund, sulle Isole Svalbard, in Norvegia.
Infine, a un proprio rompighiaccio, ormai datato,
recentemente ne ha affiancato uno nuovissimo ad
alta tecnologia, mentre si sono largamente intensificati i suoi contatti con i Paesi artici. Ma il
governo groenlandese procede coi piedi di piombo
nei confronti del colosso asiatico: non vuole diventare uno Stato vassallo della Cina, ma soprattutto
vuole essere certo che lo sfruttamento dei giacimenti non danneggi l’ambiente, anche perché
quello della Groenlandia è uno dei pochi al mondo
ancora ben preservato. Secondo molti ecologisti,
infatti, nonostante le tecnologie oggi a disposi-
PER L’EL ABOR ATO GR AFICO SUI GIACIMENTI ARTICI: ©UNITED STATES GEOLOGICAL SURVEY. FONTI: USGS; AMAP; CAFF; UNEP/ WCMC; U. S. EIA; IEA; BEAC; CPDP, PARIGI; IFP; NOA A; THE WORLD BANK;
AL ASK A DEPARTMENT OF ENVIRONMENTAL CONSERVATION, DIVISION OF SPILL PREVENTION AND RESPONSE; USCG. PER L A CARTINA GEOGR AFICA DELL A REGIONE ARTICA: ©W W W.ATHROPOLIS.COM
NASA/SCIENCE PHOTO LIBR ARY
La ‘questione’ Groenlandia
©PAUL SOUDERS/CORBIS
NASA/SCIENCE PHOTO LIBR ARY
RIA NOVOSTI/SCIENCE PHOTO LIBR ARY
di roccia su quel fondale e, stando a un’equipe di
135 geologi voluta dal presidente Putin in persona,
i campioni raccolti sarebbero risultati del tutto
simili alle rocce più settentrionali della Federazione Russa; questo a dimostrazione di come il Polo
Nord le ‘appartenga’. La pretesa sarebbe suffragata
anche da rilievi sismici realizzati lungo la Dorsale
di Lomonosov (una struttura geologica che viene
rivendicata anche da Canada e Danimarca); tuttavia, per la comunità internazionale, le prove avanzate dai russi non sono attualmente incontrovertibili.
In ogni caso, il Paese sta oggi convertendo un rompighiaccio nucleare in nave da perforazione artica
per continuare le ricerche a sostegno delle proprie
teorie. Che l’interesse sulla questione sia elevato
ne è prova anche il fatto che la ExxonMobil abbia
finalizzato un contratto con la Russia (dal valore
stimato in 500 miliardi di dollari) che dischiude al
colosso texano i giacimenti sottostanti l’Artico nella
sfera territoriale della Federazione.
U N CO N F R O N T O che mostra
l’estensione minima raggiunta dai
ghiacci del Polo Nord durante l’estate
del 1979 e del 2012 (foto sotto).
Le immagini sono state riprese da
satelliti della NASA ed evidenziano
chiaramente le conseguenze del
surriscaldamento climatico.
V E D U TA D E LLA D I S KO B AY, in Groenlandia. La grande isola artica vorrebbe ricavare
dai propri giacimenti minerari profitti tali da
rendersi indipendente dalla Danimarca.
zione, incidenti che potrebbero causare sversamenti ingenti di petrolio sono dietro l’angolo,
soprattutto in regioni dal clima così estremo, dove
qualunque emergenza ambientale sarebbe molto
più difficile da affrontare rispetto a ogni altra parte
del mondo. Quanto avvenuto lo scorso dicembre
alla piattaforma per perforazioni petrolifere Kulluk della Shell suona effettivamente come un campanello d’allarme. Venti che soffiavano a 150 km/h
l’hanno strappata da due rimorchiatori che la stavano portando a una revisione e l’hanno spinta
sulle coste di un’isola disabitata, Sitkalidak, dove
si è temuto che potesse riversare tutto il petrolio
a bordo. Per fortuna il disastro è stato evitato, ma
quanto è successo è stata l’ennesima dimostrazione che la natura in quei luoghi non è così semplice da piegare alla volontà dell’uomo. Un’altra
questione che preoccupa il governo della Groenlandia è anche quella della salvaguardia delle
comunità locali, che potrebbero dover subire profonde trasformazioni nel loro modo di vivere. Già
si parla di indennizzi di decine di milioni di dollari alle popolazioni indigene proposti dai governi
o dai colossi petroliferi interessati ai giacimenti
artici. Ma, almeno per il momento, la Groenlandia
non ne fa una questione di soldi …
LA R E G I O N E
A R T I CA può essere
definita in tre modi
diversi: 1. come l’area
che racchiude i territori
situati all’interno del
Circolo Polare Artico;
2. come l’area in cui le
temperature medie del
mese più caldo
dell’anno (luglio) non
superano mai 10 °C;
3. come l’area sopra la
cosiddetta ‘linea degli
alberi’, ovvero dove
risulta assente ogni
forma di vita vegetale.
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