Prodotti tipici e marketing: il Parmigiano-Reggiano

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Prodotti tipici e marketing: il Parmigiano-Reggiano
ECONOMIA E TERRITORIO
Prodotti tipici e marketing:
il Parmigiano-Reggiano
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Stefano Magagnoli
L’industria di fronte ai prodotti tipici
A cavallo tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento e la prima guerra mondiale l’industria agro-alimentare italiana conosce
una fase di significativa espansione, che si
collega strettamente agli albori della cosiddetta retailing revolution.
La transizione dei prodotti alimentari da
produzione artigianale a industriale porta
con sé numerosi elementi d’innovazione, che abbracciano sia le modalità con
cui i consumatori si pongono di fronte al
“cibo” diventato “prodotto alimentare”, sia
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le strategie comunicative dei produttori,
chiamati a elaborare nuovi schemi con cui
presentare i propri beni in un mercato caratterizzato da un numero crescente di referenze; strategie che in molti casi rappresentano un punto d’incontro, una sintesi,
tra tradizione e innovazione.
La necessità di individuare nuove strategie
comunicative riguarda in modo particolare quei prodotti che hanno nella “tipicità”
il proprio principale punto di forza, e che
dal rapporto strettissimo con uno specifico territorio (con cui condividono storia,
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tradizione, simboli) traggono le proprie
peculiarità in termini di “reputazione” e
capacità competitiva.
L’industrializzazione del prodotCon la retailing to alimentare, e in particolare di
quello “tipico”, determina quindi
revolution divenne una situazione in cui il prodotto
fondamentale tipico potrebbe entrare nel cono
trovare strategie d’ombra dell’anonimato. Rischio
che porterebbe alla dicomunicative per i rilevante,
spersione di quell’universo di vaprodotti tipici lori immateriali e simbolici intorno a cui si definisce l’identità dei
prodotti tipici, determinato da tre fattori
complementari:
1. la serialità e la moltiplicazione numerica
(che supera il vincolo secolare della scarsità del bene offrendo al produttore nuove opportunità di profitto) garantiscono
uniformità e ripetizione costante dei risultati, ma inevitabilmente si oppongono
all’unicità e all’individualità, rendendo il
prodotto anonimo e meno associabile a
precise specificità territoriali;
2. l’affermarsi di un nuovo modello distributivo comporta la necessità di confezionamento del prodotto, processo che
cela il contenuto agli occhi del consumatore e lo disperde negli affollati
punti vendita di un mercato geograficamente sempre più ampio, e proprio
per ciò proporzionalmente sempre
meno capace di distinguere e apprezzare le specificità di un prodotto tipico;
3. il prevalere della marca sul prodotto,
e sul nome del produttore: si tratta di
un’evoluzione capace nel tempo di produrre valore, ma che nelle fasi iniziali
rischia di mettere in ombra, di occultare, il differenziale positivo di un prodotto tipico.
L’industria agro-alimentare di prodotti tipici si trova dunque a fronteggiare questa
situazione in numerosi modi, variabili a
seconda della natura del prodotto e dello
specifico momento storico, tenendo conto
delle continue e rilevanti trasformazioni
che abbracciano l’arco del Novecento. Prima di vederli nel dettaglio, possiamo però
enunciarli in modo sintetico: la costante
innovazione dell’imballaggio, trasformatosi via via in packaging dotato in modo crescente di specifiche valenze “comunicative”; il crescente ricorso alla comunicazione
pubblicitaria per “mostrare” ai consumatori
le “virtù” del prodotto; la costruzione di un
canone narrativo (che abbraccia i linguaggi
del packaging comunicativo come pure della
comunicazione pubblicitaria) fondato sulla
presentazione dei valori della tradizione
(che permeano il prodotto) e del richiamo
alla sedimentazione di una “storia lunga”
(che ha generato il prodotto) ancorata a un
preciso territorio.
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Gli elementi costitutivi di questo canone
sono ovviamente il prodotto di un disegno
strumentale, spesso risultano “inventati”,
frequentemente sono invece il risultato di
un “adattamento” che miscela valori evocativi molti forti, quali antichità, storicità e naturalità, rappresentati e trasferiti al
consumatore da paesaggi, racconti, volti
del passato, luoghi storici.
Il marketing del Parmigiano-Reggiano
L’evoluzione degli strumenti di marketing
del Parmigiano-Reggiano nell’età contemporanea può essere suddivisa in due
macro-periodi: dagli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento sino alla vigilia della
seconda guerra mondiale, in cui si registra
l’inizio della produzione industriale del
formaggio e la lenta ripresa della sua diffusione sui mercati dopo l’arretramento settecentesco; dalla fine della seconda guerra
mondiale in poi, fase in cui ha inizio la
ripresa dei mercati dopo la brusca battuta
d’arresto (misurabile sia in quantità che in
qualità) provocata dagli eventi bellici.
In linea di estrema sintesi, si può affermare
che in ambedue i periodi l’esigenza principale cui ci si trova a dover fornire risposta è
sostanzialmente la medesima: riaccreditare
il prodotto dopo una fase di difficoltà, rivitalizzare il settore produttivo locale, riconquistare la fiducia dei mercati attraverso la
promozione pubblicitaria del prodotto.
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Di fronte a esigenze sostanzialmente similari (benché diverse ne siano le cause)
si assiste però a strategie comunicative relativamente difformi, da contestualizzare
tuttavia all’interno delle specifiche situazioni determinate dal differente livello di
integrazione dei mercati e dalla diversa
strutturazione del sistema dei consumi.
La ripresa produttiva dell’Ottocento
L’espulsione dei gesuiti dal ducato di Parma, nel 1768, arreca gravi danni al sistema
di produzione del formaggio grana di Parma. Abili innovatori delle tecniche produttive, essi avevano dato L’espulsione dei
un impulso importante alla produzione e al miglioramento della gesuiti dal ducato e il
qualità del prodotto. L’economia dominio napoleonico
parmense, peraltro, è esposta per furono un danno per
tutto il Settecento alla crescente
la filiera del grana
competizione del ducato di Modena, che modernizza le tecniche
di produzione, permettendo all’agricoltura modenese e reggiana di divenire un’agguerrita concorrente di quella parmense,
che perde in competitività e vede diminuire
quantità e qualità del prodotto. L’amputazione territoriale subita con la dominazione
napoleonica arreca ulteriori danni alla filiera
produttiva del grana di Parma, poiché sottrae al dominio ducale i territori del lodigiano e del bibbianese (corona pedemontana di
Reggio Emilia), due aree che storicamente
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avevano contribuito alla reputazione del
prodotto.
Una parziale ripresa si registra nei primi
decenni dell’Ottocento, caratterizzati da
un’evoluzione delle tecniche agricole cui
corrisponde un significativo incremento della resa lattea del bestiame (da 750
a 1.600 kg/annui per vacca), grazie anche
all’introduzione della razza bruna svizzera. Pur in presenza di un significativo
rinvigorimento del settore caseario, per
tutto l’Ottocento continua a spiccare sui
mercati la qualità di grana “reggiano” e
in particolare dell’area di Bibbiano, dove
nel 1868 operano 14 caseifici sostenuti dall’attività della Società
Obiettivo storico bibbianese per il commercio del
della promozione formaggio, che si fa carico deldel Parmigiano è la la promozione del prodotto nel
ricostruzione della mercato interno e in quello internazionale.
sua immagine In realtà, sul finire del XIX secolo, coesistono sul mercato del
grana due prodotti sostanzialmente equivalenti, cui si affiancano le “imitazioni”
(molto simili peraltro) realizzate nel modenese e in alcune aree del bolognese e del
mantovano. Una situazione di ambiguità e
frammentazione che rischia di indebolire
il potenziale competitivo del prodotto, superata soltanto negli anni Trenta del Novecento con la costituzione del Consorzio
del Grana Tipico.
Nella seconda metà dell’Ottocento si assiste dunque alla ripartenza del settore
produttivo del formaggio grana, messo
di fronte a una duplice necessità: a) l’introduzione di profonde innovazioni delle
tecniche di lavorazione; b) la definizione
di un’efficace strategia comunicativa per
riposizionare il prodotto sui mercati incentrandosi sulla valorizzazione della sua
“reputazione”.
Per tutta questa prima fase la strategia
adottata fa leva sul prestigio del marchio del
singolo produttore. Le forme di grana sono
ancora le “forme nere” della tradizione, sulle
quali viene affissa una piccola placca metallica con il nome dell’impresa produttrice.
Rilevanti appaiono gli investimenti nel
campo della cartellonistica nei primi decenni del Novecento, tra cui spiccano alcune vere e proprie opere d’arte, come quelle
di Achille Luciano Mauzan per la ditta
Bertozzi e di Gino Boccasile per la ditta
Tavella. Senza dimenticare le affiche anonime, ma di spiccato buon gusto, realizzate per la ditta Pelagatti, che si configura
come l’impresa pioniera nel campo della
commercializzazione del Parmigiano in età
contemporanea.
Gli stilemi comunicativi di Mauzan e Boccasile, antesignani del futuro marketing, si
caratterizzano per un’insistenza quasi maniacale sull’elemento sensoriale dell’olfatto.
Nella pubblicità di Boccasile è il cuoco dal
viso porcino a perdersi estasiato tra le braccia della forma di Parmigiano. Occhi chiusi
per conferire al senso olfattivo assoluta priorità, lo chef sembra aprirsi alla concupiscenza carnale col Parmigiano, pregustando
col naso quegli aromi sapidi e speziati che
più tardi avrebbero soddisfatto anche il suo
gusto, metaforicamente rappresentato dalle
labbra strette e protese a invocare dal pro-
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co porcino” col tocco di Boccasile. Lusso e
distinzione – ma anche evocazione di un
affresco parigino, col muretto in mattoni su
cui stanno accucciati una forma di grana e
un gatto bianco dallo sguardo malizioso –
che sono comunicati anche con le medaglie
dei premi ottenuti e le onorificenze, come
mostra la cartolina dell’impresa Pelagatti,
che sulla reputazione basa molta parte della
propria strategia comunicativa.
dotto il bacio tanto atteso. Nell’altrettanto
suggestivo manifesto di Mauzan (dedito
in questi anni a un’intensa attività pubblicitaria sia in Italia che all’estero; attività
che ci ha consegnato numerose decine di
prodotti dall’elevatissimo spessore comunicativo) troviamo invece il Parmigiano al
centro dell’attenzione olfattiva di tre uomini dal naso enorme. Evocativa come la
precedente, questa scena si caratterizza per
una maggiore “materialità”. I volti dei tre
uomini, che evocano inconsciamente protagonisti rabelaisiani se non addirittura gli
anziani viziosi dei racconti del marchese
De Sade, appaiono infatti accaldati ed eccitati dall’odorosa vicinanza del formaggio.
Pronti a sfamarsene, appagano però prima
collettivamente i loro bisogni olfattivi che
fanno crescere il desiderio del consumo.
La pubblicità di Pelagatti propone invece una stretta equivalenza tra Parmigiano
e lusso. Si tratta di un’assonanza esplicita,
che mostra il maître di un ristorante per
l’alta borghesia che grattugia un’abbondante spolverata di formaggio su una pietanza, probabilmente proprio quella “pasta al
sugo” che a cavallo tra Otto e Novecento
cessa di essere prerogativa della cucina popolare e viene ammessa tra le ricette della
“buona” società borghese. Lusso che diviene quindi un importante strumento di
comunicazione. Mercato del lusso che in
questa fase storica è probabilmente il target
primario dei produttori e commercializzatori delle “forme nere” marchiate e cui in
fin dei conti allude anche la figura del “cuo-
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Il marketing del Dopoguerra
L’inizio di un’effettiva strategia comunicativa del prodotto si registra agli inizi
degli anni Sessanta, in concomitanza con
l’allargamento dei mercati determinato
dal boom economico, facendo leva anche
sui “nuovi media” quali radio e televisione. Tuttavia, già verso la metà degli anni
Cinquanta sono da registrare alcuni importanti segnali della volontà del
Consorzio di promuovere l’imLe prime pubblicità
magine del Parmigiano sui mercati. Possiamo comunque notare degli anni ’50
che si tratta di forme comuni- restavano
cative ancora molto “primitive”, “primitive”, basate
incentrate su un generico richiamo alla genuinità e al rapporto di sul generico richiamo
fiducia face-to-face tra venditore e alla genuinità
consumatore e imperniate su tre
elementi fondamentali: a) la reputazione
universale del prodotto (“tutto il mondo
conosce e apprezza il Parmigiano-Reggiano”); b) il richiamo alla genuinità della
lavorazione artigianale (“la buona riuscita
di una ricetta dipende […] dalla genuinità delle materie prime”); c) la garanzia
offerta dal marchio collettivo del Consor-
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zio (“solo il marchio di garanzia garantisce
l’origine e l’autenticità”).
Si può tuttavia osservare come gli strumenti di persuasione siano molto flebili.
Assente è la definizione precisa di un canone comunicativo in grado di scongiurare il rischio dell’anonimato del prodotto.
Nel 1953 non c’è nessuna immagine; nel
1954 si riproduce quella del formaggiaio tradizionale che offre alla consumatrice
un anonimo pezzo di formaggio. Assente
appare inoltre un richiamo esplicito alla
dimensione territoriale. Dove sono Parma,
Reggio Emilia o il resto del comprensorio?
L’indirizzo del Consorzio è confinato in un
pay-off dall’efficacia discutibile, che più che
a una funzione evocativa o suasiva sembra
corrispondere alla funzione di “firmare” la
comunicazione, così come si firmano le fatture di vendita o la carta intestata.
Da sottolineare infine l’assenza di qualsiasi richiamo alla lunga tradizione del prodotto. Probabilmente si tratta della scelta
di “destoricizzare” il prodotto nella convinzione che un packaging pubblicitario
“industriale” possa risultare più efficace,
tanto più in un momento storico in cui
le campagne, simbolo del passato, stanno
scomparendo. Celebrazione del progresso,
dunque, affidata all’immagine di un prodotto “moderno”, acquistato da una donna
della borghesia cittadina. In filigrana, la
rappresentazione della città che sta soppiantando la campagna.
«ballata di un antico e nobile formaggio da
sette secoli famoso […] con due secchi di
buon latte si fa un chilo di formaggio genuino e prelibato […] chi lo mangia è un
uomo saggio, son le forme garantite da un
inciso marchio a fuoco, è il marchio che
più vale, ce lo dice ogni buon cuoco».
Al di là dell’impianto metrico un po’ claudicante, tre sono gli elementi da segnalare: il richiamo al suo antico lignaggio di
prodotto di lusso; la sottolineatura della
genuinità e delle tecniche di lavorazione artigianali; il prodotto è garantito dal
Consorzio con la marchiatura a fuoco. Più
sofisticata appare la comunicazione dei
cartelloni pubblicitari e delle inserzioni
sulla stampa.
Nella campagna del 1963 compare esplicitamente il richiamo alla tradizione («da
sette secoli un gran formaggio»). Non è
ancora un canone narrativo compiuto, ma
si colmano le lacune del passato. Al moderno si affianca la tradizione, raffigurando per la prima volta un esplicito sincretismo tra tradizione e innovazione.
Complessivamente, è un manifesto molto elegante ed estremamente equilibrato.
La parte testuale riporta un’unica headline: «Parmigiano-Reggiano: da sette secoli
L’universo comunicativo del boom economico
Nel 1962, uno dei primi passaggi radiofonici associa il Parmigiano-Reggiano alla
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un gran formaggio». Da notare che non
ci sono elementi testuali che distraggano
da quest’asserzione, che apostrofa molto schiettamente il consumatore, lasciando implicita l’ipotetica conclusione («… e
quindi vedete voi…»). Significativa anche
l’elisione della sillaba finale di “grande”.
Quel «gran» utilizzato nel testo non solo
conferisce musicalità e ritmo alla frase, ma
“gioca” anche con l’allusione a “Grana”,
storica denominazione del Parmigiano, ma
anche il nome di quello che ne sarebbe diventato il principale concorrente (Grana
padano).
Cromaticamente, le tre componenti (nero
della crosta, giallo paglierino del formaggio, rosso della campitura di sfondo) si
“impastano” molto bene tra loro, risultando molto eleganti e facendo sì che l’insieme iconografico evochi inconsciamente la
percezione visiva di un interno abitativo
borghese. È in questo modo che la tradizione (rappresentata nel testo) e l’innovazione (rappresentata dalla tipologia di
consumatore) si incontrano felicemente e
verosimilmente con notevole efficacia comunicativa.
Il messaggio del 1964, in cui si ha un
significativo ricorso al tradizionale
black&white, appare invece di notevole
complessità. Numerosi sono infatti gli elementi da sottolineare:
2.
1. si dissocia il gradimento del gusto
dall’azione del consumo («comprarlo è
già pregustarlo»). Prima ancora di uti-
3.
4.
5.
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lizzare la sensorialità gustativa, il consumatore trae piacere dall’atto dell’acquisto. Non siamo ancora al packaging
che conferisce identità al prodotto,
quel packaging capace di definire gusto
e qualità prima o in assenza dell’atto
del consumo, ma l’incipit del messaggio
testuale vorrebbe persuadere il consumatore che è proprio così;
utilizzo dell’allusione alla memoria («vi
ritrovate in bocca quel suo sapore […]
così stuzzicante anche alla memoria»).
C’è un evidente richiamo a Proust in
questa affermazione. Addentato un
boccone di Parmigiano-Reggiano il sapore stuzzica nel consumatore una madeleine: in questo modo il consumatore
è attratto dal gusto del prodotto, ma
anche dall’associazione a qualche emozione positiva del passato;
il prodotto si “sdoppia” («come condimento o come formaggio da tavola»):
al tempo stesso il Parmigiano è cibo e
condimento; specie per i consumatori
geograficamente più lontani si tratta di
un piccolo “manuale d’uso”;
un prodotto familiare («perché voi lo
conoscete bene»): la frase suggerisce
estrema familiarità, propone cioè l’immagine di un alimento conosciuto, appartenente alla memoria di tutti;
richiamo alla naturalità («è un prodotto naturale, fatto oggi con gli stessi sistemi artigianali di sette secoli fa»): in
questo modo si dichiara che il prodotto
non solo ha sette secoli di storia, ma
che anche le tecniche di lavorazione
sono rimaste invariate;
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6. sottolineatura dell’unicità («unico al
mondo»): il Parmigiano-Reggiano è
“unico” ed “eccezionale”. Si intende far
leva anche su questo fattore di competizione: gli altri formaggi (i competitor)
possono essere buoni, ma non sono unici;
7. fattore prezzo («e lo pagate volentieri»):
il prodotto costa più dei concorrenti. Si
chiede al consumatore lo sforzo di corrispondere un premium-price perché il
prodotto gratifica il consumatore e gli
conferisce status sociale.
Complessivamente, il cartellone è complesso e di non immediata lettura, anche
in virtù del fatto che tutti questi elementi
comunicativi sono affidati al testo scritto,
che risulta particolarmente lungo. Non si
presta, cioè, a una decifrazione immediata.
Occorre smontarlo, analizzarlo e ricomporlo. L’impressione è che l’efficacia rispetto alla funzione comunicativa sia blanda se
non addirittura scarsa. Possiamo
considerarlo come la summa
L’evoluzione della però
programmatica dell’universo cosocietà negli anni municativo del Consorzio in que’60 obbliga la sto scorcio iniziale del decennio.
comunicazione a Nel 1965, sempre con l’utilizzo
di un elegante bianco e nero, è
variare di continuo da segnalare una campagna pubblicitaria che fa leva su alcuni
elementi significativi. Da una parte, il già
evocato radicamento in una “storia lunga”
(«il Parmigiano ha compiuto i sette secoli»), che conferisce al prodotto quell’aura
di tradizionalità che, in questa fase, si intende utilizzare quale arma principale di
competizione sui mercati. Tra le altre cose,
in questo prodotto pubblicitario si fa esplicito riferimento alla presenza del Parmigiano-Reggiano nella letteratura. Citando
un non meglio identificato scrittore elisabettiano del 1600, si sottolinea come la reputazione del prodotto fosse in quell’epoca già consolidata, tanto da spingere i profughi di una città in fiamme, protagonisti
dell’opera, a cercare in ogni modo di mettere in salvo le forme di “parmesan cheese”.
Dall’altra, è degna di nota la sottolineatura
che il prodotto debba essere inteso come
un ingrediente importante per la realizzazione di preparazioni alimentari. Rotoli di
prosciutto, tartellette al formaggio e asparagi al formaggio diventano così le portate
consigliate dai produttori di Parmigiano,
che iniziano a sostituire i piatti più grevi delle tradizioni della cucina regionale
italiana, segnando un punto a favore del
progressivo rinnovamento dei comportamenti alimentari della nazione, alla ricerca
di pasti più leggeri e più adatti alla nuova
organizzazione del tempo di una società in
via di rapido sviluppo. Un processo di rinnovamento in cui il Parmigiano-Reggiano
intende giocare un ruolo importante.
L’head-line del manifesto comparso nel
1966 è molto netta e introduce alcuni elementi di novità. Con la dicitura «il Parmigiano-Reggiano è il marito della cucina italiana» il prodotto diviene sessuato e acquisisce una precisa identità associata al ruolo
sociale di “marito”. Giocando sulla funzione evocativa radicata nella cultura tradizionale, il prodotto si carica così di un ruolo
importante, qual è quello che in questi anni
è attribuito al “marito capofamiglia”.
Si tratta di una mimesi imperniata sul
messaggio metaforico, ulteriormente rafforzata dalla comunicazione iconografica,
che rappresenta il Parmigiano-Reggiano
“marito” accanto a una curata figura femminile, sorridente casalinga di una famiglia cittadina, alle prese con la pentola di
coccio del ragù e il mestolo di legno.
Testo e immagine appaiono strettamente
legati, dando vita a un messaggio “rassicurante” incentrato sui valori tradizionali
della famiglia. Richiamo alla tradizione,
quindi, che si incarna nel prodotto pubblicizzato. Parmigiano-marito, che si fa
garante degli equilibri tradizionali a difesa
dell’integrità di un modello sociale in via
di progressivo sgretolamento, nel quadro
di quell’ondata di trasformazioni culturali che fanno seguito al boom economico e
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precedono gli eventi del Sessantotto.
Emblematica anche la rappresentazione
iconografica. L’accostamento del prodotto
a una pentola e a un mestolo sta a indicare una precisa opzione di consumo: prima
ancora che alimento primario, il Parmigiano-Reggiano deve essere inteso come condimento, con cui “completare” preparazioni gastronomiche. Richiamo e indicazione
del resto già presentati nelle campagne
pubblicitarie degli anni precedenti.
Due anni dopo si registra un ulteriore sviluppo rispetto alla campagna del 1966, pur
rimanendo all’interno dello stesso paradigma culturale. «Per lui che merita il meglio
questo è il formaggio da tavola». Il testo,
che si sviluppa occupando sia l’headline che
il pay-off, si collega strettamente alla grafica
del manifesto, che presenta due elementi
centrali: il torso di un uomo seduto davanti
a una forma di Parmigiano, sovrastata da un
piatto con uno spicchio di formaggio e il
coltellino per frantumarne piccoli pezzi, e
le braccia di una donna – verosimilmente
la moglie – che gli cinge amorevolmente le
spalle con le braccia. Singolare è l’assenza
dei volti dei due personaggi, che occupano
solo una piccola parte della scena ed esclusivamente con alcuni dettagli.
Pur nell’incompletezza della rappresentazione (che conferisce però centralità alla
forma e al piatto), molto chiare appaiono le identità dei protagonisti. Giacca e
cravatta testimoniano che l’uomo appartiene al ceto borghese cittadino, impegnato in un lavoro d’ufficio di una certa
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responsabilità e di altrettanto prestigio.
In realtà, altro non è che un altro modo
di rappresentare il “marito” comparso nel
linguaggio scritto nel 1966. Accanto a
lui la moglie amorevole, tratteggiata con
pochi segni, che indicano l’identità della
figura femminile. La fede nuziale testimonia del suo status di coniuge; il bracciale
all’avambraccio destro quello di donna di
famiglia benestante; le sue mani curate e
le unghie smaltate, infine, dicono che non
sono quelle di una persona che si
occupa di lavori manuali.
Con la modernità
Le innovazioni comunicative
sono molteplici, ma analogo ri- il Parmigiano
mane il solco culturale entro il si sgancia dalla
quale si collocano. L’evocazione pasta diventando
della dimensione familiare rimaingrediente
ne esplicita sebbene l’impianto
comunicativo appaia più “raf- autonomo di pasti
finato”, facendo leva su alcuni leggeri
elementi visivi di “dettaglio” (la
fede, la cravatta, ecc.), e concentrando
nell’incipit «per lui» la funzione associativa Parmigiano-marito, troppo esplicita e
grossolana nella precedente campagna.
Un certo rilievo è invece da attribuire alla
“chiusa” del testo concentrata nel pay-off,
che appare in sostanziale controtendenza
rispetto al passato. In questo caso il prodotto non è più proposto al consumatore esclusivamente come condimento, ma
quale alimento da consumarsi come piatto principale. Si cavalca così l’onda della
“modernità”, che, soprattutto per le persone non più occupate in gravosi e faticosi
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lavori manuali, suggerisce lunch sempre
più leggeri, e compatibili con lo svolgimento di attività professionali intellettuali
nelle ore pomeridiane.
Il Parmigiano-Reggiano si dissocia quindi
dalla pasta al sugo, e acquisisce una propria identità di “portata principale”, che,
magari accompagnata da una porzione di
verdure o di frutta, può costituire da solo
un pasto completo.
Nel 1969 l’Italia è attraversata da un’ondata senza precedenti di proteste operaie,
che fanno seguito alle perturbazioni sociali dell’anno precedente determinate dalle
grandi contestazioni studentesche. Nello
stesso anno la comunicazione pubblicitaria
del Parmigiano sembra strizzare l’occhio a
quella parte “silenziosa” del Paese, avversa
sia all’una che all’altra manifestazione di
contestazione.
«A tavola fa pranzo»: in quest’unico elemento testuale si coglie il messaggio comunicativo della camNegli anni ’70 la pagna, che segna una sostanziale
pubblicità fa leva per discontinuità rispetto agli stilemi
la prima volta sulle del passato. Sparisce l’issue della
come pure la centralità
virtù del territorio famiglia,
della figura maschile del marito
quale perno della comunicazione. Nel bel mezzo della protesta sociale
si assiste a un ribaltamento di piani, con
la comparsa nel manifesto pubblicitario
di un gruppo di uomini disposti lungo
un tavolo su cui troneggia una forma di
Parmigiano-Reggiano. Numerosi sono gli
elementi da sottolineare:
1. si tratta di uomini adulti vestiti in
abito scuro da sera, camicia bianca e
papillon nero. Uomini d’affari, colti e
benestanti, che si ritrovano a un convivio gastronomico a margine di una
riunione d’affari (la mancanza di personaggi femminili accredita quest’ultima considerazione: non solo si registra
l’assenza delle “mogli”, ma anche delle
“segretarie” escluse di norma dalle cene
di lavoro “ai vertici”);
2. l’iconografia allude però alla tradizione, riproducendo l’immagine classica
dei matrimoni o degli incontri familiari
dell’epoca, in cui la comitiva era ripresa
dal posto del capotavola;
3. la forma di Parmigiano siede al posto dell’ospite più importante (il capotavola) e conferisce al prodotto
un’“autorevolezza” mai attribuitagli in
passato. Il Parmigiano-Reggiano si fa
ospite divenendo alimento che siede
a tavola “alla pari” con gli altri invitati
importanti. E tutto ciò avviene in un
convivio di “alto rango”, testimoniando così dell’importanza e del lignaggio
che s’intende conferire al prodotto;
4. propone un preciso target di consumatori: professionisti “in carriera”, del
tutto insensibili al fattore prezzo del
prodotto.
L’isola del tesoro
Nel 1971 viene varata la prima campagna
pubblicitaria che, in modo esplicito, fa leva
sulle “virtù” del territorio per promuovere
il prodotto. È una campagna articolata su
diversi livelli: da una parte la tradizionale
comunicazione cartellonistica; dall’altra il
ricorso, come negli anni passati, al format
televisivo Carosello proponendo uno spot
televisivo, però, che questa volta appare in
piena sintonia con i contenuti della comunicazione a stampa.
L’impianto comunicativo è semplice ma al
contempo sofisticato: la forma di Parmigiano-Reggiano, già tagliata per mostrare
la grana sabbiosa della pasta del formaggio, è adagiata su una pergamena che riproduce la mappa della zona d’origine del
prodotto, che comprende i territori di Parma, Reggio Emilia, Modena, una parte del
mantovano e del bolognese.
Pochi elementi, che conferiscono tuttavia
grande forza comunicativa allo strumento
pubblicitario, che fa leva su alcuni elemen-
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ti simbolici per trasmettere al consumatore il senso di “tradizione” e di “lunga storia” del prodotto. Pochi elementi-chiave,
decisivi però per mostrare che non si tratta
soltanto di un prodotto alimentare, ma che
si sta “celebrando” un’entità su cui convergono le virtù migliori di un territorio ricco
e prosperoso, immortalato da numerosi resoconti di viaggio già nell’epoca del Grand
tour in Italia.
La frase dell’head-line («l’isola del tesoro: la
zona d’origine del Parmigiano-Reggiano»)
è evidentemente assertiva e può essere compresa solo se messa in relazione con l’immagine sottostante. È tuttavia significativo
che a tale frase sia assegnato il compito di
definire il “genere” comunicativo, fornendo
al destinatario della pubblicità gli strumenti
necessari per decifrare e interpretare i segnali metaforici proposti dall’iconografia:
1. si noti anzitutto la mappa: è un rotolo di pergamena antica (aperto solo
in parte con il formaggio a impedirne
l’arrotolamento) su cui è disegnata (con
i tratti e i colori degli antichi mappali)
la zona di produzione del ParmigianoReggiano. L’effetto è di sicuro impatto
emozionale: l’isola del tesoro – si afferma tra le righe – non è una componente del messaggio pubblicitario, ma rappresenta un oggettivo e inconfutabile
dato storico, con profondi ancoraggi
nella memoria e nella storia;
2. un elemento di potente associazione
evocativa è costituito dal contrasto creato tra il colore pastoso e un po’ irregolare della pergamena e la sabbiosità
altrettanto irregolare del ParmigianoReggiano. Si tratta di un’associazione evocativa che si intende suscitare
nell’inconscio del consumatore sotto forma di assonanza cromatica. La
triangolazione è semplice: la mappa testimonia del radicamento del prodotto
in un dato territorio che ha alle spalle
una “lunga storia”, fatta di simboli e
tradizioni. Tutto ciò trova conferma
nella pergamena antica mostrata su cui
è adagiato il prodotto tagliato, il cui
“cuore” – la parte destinata ad appagare
il gusto del consumatore – si presenta con gli stessi colori e sembra quasi costituito della stessa materia della
pergamena. O meglio, in un processo
di mimesi, è la pergamena che sembra
fatta di parmigiano. Alla fine di questo
processo mentale il cerchio si chiude,
42 PARMA economica
e l’obiettivo di “vendere” la tradizione
prima ancora del prodotto è sostanzialmente raggiunto.
Una rielaborazione della campagna del ’71,
con l’aggiunta di alcuni nuovi elementi evocativi, fa la sua comparsa nel 1973, con l’utilizzo di un testo che esplicita quali siano
le ricchezze disponibili nell’isola del tesoro:
«Dall’isola del tesoro l’antica genuinità del
Parmigiano-Reggiano». L’elemento innovativo è rappresentato dalla stretta associazione proposta tra tradizione, genuinità e
territorio. La ricchezza dell’isola, quindi,
va oltre l’elemento sensoriale del gusto e
abbraccia anche gli aspetti legati
alla salubrità del prodotto. Del re- Il consumatore,
sto, è proprio in questi anni che il
consumatore, dopo essersi saziato “saziato” dal boom
con abbondanza durante il boom economico, inizia
economico, sta iniziando a inter- a interrogarsi sulla
rogarsi sui contenuti salutistici
genuinità degli
degli alimenti. Un cambiamento
ovviamente molto importante, alimenti
che viene colto dai produttori di
Parmigiano e che accompagnerà anche alcune campagne negli anni successivi.
L’iconografia della campagna del 1973
presenta però altre innovazioni, che è importante sottolineare, sia per la loro valenza evocativa, sia per il comportamento
alimentare che suggeriscono. Osservando
la fotografia si può infatti notare la presenza, accanto alla punta di formaggio, di altri
alimenti: un grappolo d’uva, una noce, una
ECONOMIA E TERRITORIO
nocciola, una pesca e alcune bacche di ribes. Si tratta ovviamente di un’indicazione
gastronomica (che suggerisce peraltro un
consumo del Parmigiano estremamente
innovativo, destinato a essere protagonista
non solo di pasti “convenzionali”, ma anche di momenti conviviali meno formali in
cui il formaggio può assumere la funzione
di appetizer o di complemento di un happy
hour fuori programma) ma non solo.
L’accostamento di questi prodotti alimentari – oltre all’innegabile efficace cromatica
– ha infatti la capacità di evocare rappresentazioni pittoriche del passato,
suggestive, come
La crescita del estremamente
lo sanno essere tutte le nature
Consorzio impone morte della tradizione figurativa
lo sbarco sulla europea. In questo caso, però, il
televisione di stato messaggio subliminale contenuto
nella fotografia trascende l’emocon uno spot ad hoc zionalità contenuta in una “natura
morta”, insinuando nel consumatore la curiosità di accostare alla sapida dolcezza di una scaglia di Parmigiano il retrogusto amarognolo del gheriglio di noce, per
sperimentare nuove sensazioni gustative.
In realtà, si tratta di un messaggio iconografico che cerca di stimolare curiosità:
quale sarà il gusto della pesca con il Parmigiano? E quello della nocciola? E attraverso
queste curiosità gettare una nuova passerella tra tradizione e innovazione, suggerendo
inoltre l’estrema versatilità del formaggio
di Parma.
Tesori e pirati negli sketch di Carosello
Sulla scia della spenta serie Il torneo, trasmessa da Carosello nel 1968 (siparietti in
cui sono rappresentate improbabili analogie tra il mondo d’oggi e i tornei medievali:
comunque un tentativo di creare un ponte virtuale per ancorare il prodotto all’olografia del passato), tra il 1969 e il 1972
il Consorzio del Parmigiano-Reggiano
proietta il binomio comunicativo Parmigiano-tesoro sulla scena televisiva, commissionando prima all’agenzia Linea e poi
alla Lambert la realizzazione di una nuova
campagna promozionale da trasmettere
sempre dentro il principale contenitore
pubblicitario della televisione di Stato.
Si tratta della serie a cartoni Briganti
mattacchioni, impersonata da quattro improbabili briganti della tradizione italiana (l’oculista di Benevento, l’indovino di
Gallarate, ecc.) alla costante ricerca di un
tesoro da rubare. I protagonisti tentano di
realizzare il proprio intento introducen-
dosi in un accampamento di soldati per
rubare le paghe, oppure cercando di forzare il portone d’ingresso di una fortezza,
o anche provando a introdursi in una piramide egizia per forzare la stanza segreta
del tesoro. I quattro briganti mattacchioni,
però, incarnano in realtà la figura classica degli antieroi dei cartoon e, come il più
celebre “Wile il coyote”, finiscono sempre
vittima di ciò che hanno escogitato. Pestati, rincorsi e malconci dopo un’esplosione
imprevista, i quattro mattacchioni si danno a una rapida fuga, lasciando spazio al
“codino” finale dello spot nel quale vengono esaltate le vere virtù della padana “isola
del tesoro”, che da tanti secoli rappresenta
la patria del Parmigiano-Reggiano. L’unico vero “tesoro” per cui valga la pena darsi
così tanto da fare.
L’efficacia della serie è molto elevata, grazie soprattutto alla bellezza delle musiche,
all’originalità delle avventure e alla grande
originalità dell’idea comunicativa. Forte ed esplicito risulta il canone narrativo
generale, che fa appello alla storia e alla
tradizione per apostrofare il consumatore,
senza tuttavia rinunciare all’ironia (incarnata nelle disavventure dei protagonisti) e
alla giocosità, riuscendo perciò a proiettare nello strumento pubblicitario quei segni che indicano l’ancoraggio del prodotto
alla tradizione senza scadere nel retorico
e nell’artefatto. Understatement comunicativo estremamente efficace e suggestivo,
come è del resto testimoniato dalla vita relativamente lunga della serie.
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