L`obesità, il nuovo incubo italiano - Casa di Accoglienza Santa Rita

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L`obesità, il nuovo incubo italiano - Casa di Accoglienza Santa Rita
L'obesità, il nuovo incubo italiano
I bambini in sovrappeso sono sempre di più. E molti di loro diventeranno adulti con problemi di salute:
malattie cardiovascolari, diabete, disturbi circolatori. Che il sistema sanitario non sarà in grado di
reggere
di Silvia Cerami
Otto miliardi e 300 milioni di euro. Ogni anno. Un peso sempre più insostenibile per le casse dello Stato.
A tanto ammonta il costo degli obesi. E la cifra è destinata a crescere. Perché a pesare sempre di più nel
Belpaese sono i bambini. Uno su tre pesa infatti più di quanto dovrebbe, uno dei tassi più elevati
dell'area Ocse, al terzo posto subito dopo Usa e Grecia. E così se già oggi oltre 5 milioni di adulti sono
obesi, quasi il 40 per cento della popolazione è in sovrappeso e più di un italiano su tre non pratica alcun
tipo di sport, è l'obesità infantile ad allarmare, considerando che tre bimbi su quattro rischiano di
restare obesi anche in età adulta. Un'epidemia che colpisce soprattutto i più poveri e le persone meno
istruite. Se il ministro della Salute inglese, Anna Soubry, ha suscitato polemiche affermando che
potrebbe «dedurre il retroterra sociale di una persona dal suo peso», purtroppo «ci sono forti
diseguaglianze sociali nell'obesità e le disparità in Italia sono spesso più marcate rispetto agli altri Paesi»
spiega il professor Franco Sassi, Senior Health Economist dell'Ocse, uno dei maggiori esperti al mondo in
materia. «L'obesità è più comune tra le persone con bassi livelli di reddito o d'istruzione, in particolare
quella femminile. Le donne con basso livello d'istruzione hanno una probabilità di essere sovrappeso 2-3
volte maggiore rispetto a quelle con maggiore educazione». Se a questo si aggiunge il fatto che i
bambini con almeno un genitore obeso hanno una probabilità 3-4 volte maggiore di esserlo, in parte per
cause genetiche e soprattutto perché acquisiscono stili di vita poco salutari dai genitori, il contagio è
esponenziale. Una bomba sociale ad orologeria che rischia di condizionare il futuro già incerto della
sanità pubblica. Perché un peso eccessivo significa malattie cardiovascolari, diabete, disturbi circolatori
e le malattie non rappresentano solo un serio problema di salute ma anche economico, in quanto
riducono la produttività e aumentano il bisogno di servizi. La spesa sanitaria per una persona obesa è
superiore del 25 per cento e se a soffrirne sono soprattutto i più deboli, che non si possono permettere
assicurazioni private, occorre considerare il fenomeno come un problema per il bilancio dello Stato. Il
peso in eccesso ha un costo sociale pari a 1.700 euro all'anno per ogni persona obesa. In totale 7,2
miliardi di euro per il costo sanitario e un altro miliardo e mezzo per i costi sociali, quali giornate di
lavoro perse da loro o dai familiari, assistenze domiciliari, indennità di invalidità. Il 6,7 per cento della
spesa sanitaria pubblica. «Ipotizzando una media attesa della persona obesa di 75 anni (ogni 15
chilogrammi di peso in eccesso il rischio di morte prematura aumenta del 30 per cento n.d.r.), è
stimabile in circa 100 mila euro aggiuntivi il costo sociale di un diciottenne obeso rispetto ad un
coetaneo normopeso», chiarisce il professor Giuseppe Turchetti, docente di Economia e Gestione delle
Imprese alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e coordinatore dello studio sul peso sociale dell'obesità.
Tanto per fare un po' di esempi in Lombardia il costo è di oltre 1 milione e 300 mila euro, in Sicilia di 729
milioni, di oltre 66 milioni persino nel piccolo Molise e in Campania di 875 milioni. Nella seconda regione
italiana per abitanti, dove più di 700 mila persone sono obese e un bambino su due è in sovrappeso,
solo lo scorso anno ci sono state seicento amputazioni a causa delle complicanze vascolari da diabete di
tipo 2 che riguarda ormai 3 milioni di persone. «La mortalità femminile è la più alta d'Italia, 51,2 per 100
mila, e l'incidenza di obesità grave e infantile nell'area metropolitana di Napoli non ha pari in Europa»
spiega il professor Fabrizio Pasanisi del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell' Università
Federico II di Napoli. «Le abitudini alimentari sono cambiate, basti pensare all'incredibile consumo di
bibite gassate zuccherate, inoltre incidono stress, precarietà, quartieri degradati con spazi ristretti e
parchi gioco inesistenti. E poi vi è una debolezza culturale ed economica che fa sì si preferiscano cibi a
Associazione per Una Nuova Vita onlus – Casa S. Rita
basso costo, ma alto contenuto energetico ».Al posto di pesce, carne, frutta e verdure sempre più care,
meglio cibi ricchi di grassi e carboidrati, che costano poco e sfamano. Il ministro della Sanità Renato
Balduzzi lanciò persino l'ipotesi di introdurre una tassa sul cibo spazzatura, poi sfumata tra le polemiche.
Del resto «è difficile stabilire la reazione dei consumatori, dipende dall'elasticità della domanda e da
eventuali cibi sostitutivi che possono comunque essere non salutari. Ci potrebbero essere effetti
distorsivi, inoltre un approccio basato sull'uso di misure fiscali colpisce indistintamente tutti i
consumatori con costi politici e sociali potenzialmente elevati, oltre ad avere effetti regressivi» nota
Sassi. Insomma, oltre a non sapere se la tassazione sia effettivamente efficace sull'obesità, di fatto
potrebbero risultare più danneggiati dal balzello i poveri che consumano cibi meno sani. Cosa fare allora
di fronte a un'epidemia che rischia di far collassare un servizio sanitario già in crisi? Bastano gli spot tv
volti a incoraggiare un'alimentazione sana e uno stile di vita attivo? Di certo alcune iniziative di
prevenzione aiutano, come quelle volte rivolte ai bimbi come l'introduzione di cibi sani nei menu
scolastici, ma «sarebbe opportuno partire dai medici di famiglia. Sono un ottimo investimento e una
simile strategia permetterebbe di evitare oltre 50 mila morti per malattie cardiache ogni anno con un
costo di soli 17 euro all'anno per abitante» sostiene Sassi.
Di certo la prevenzione può migliorare la salute della popolazione a un costo inferiore rispetto a molti
trattamenti offerti dai sistemi sanitari e occorrerebbe incoraggiare l'impegno e il contributo del settore
privato, considerando anche gli interessi in gioco che a volte sono in conflitto tra loro. Coca-Cola negli
Stati Uniti, dove Michelle e Barack si stanno battendo per mettere un freno ad una piaga che ha un
costo superiore all'1 per cento del Pil nazionale, ha ad esempio di recente lanciato una campagna
salutista.
I grandi player dell'alimentare hanno dato vita a centri di ricerca, nuove linee di prodotti, ma agire
sull'obesità solo dal lato dell'alimentazione rischia di farci diventare dei castrati del piacere. «Se l'obesità
è il prodotto di quanto mangiamo in rapporto a quanto ci muoviamo, il secondo aspetto è quello meno
considerato, ma è altrettanto decisivo. Cosa fare per trasformare l'Italia in una nazione di praticanti
sportivi, e non solo di tifosi? In Francia stanno creando la figura del medico di base che 'somministra'
attività sportive, è un'evoluzione interessante. Poi servono investimenti pubblici per lo sport nelle
scuole, aspetto su cui l'Italia è molto indietro rispetto a tutti gli altri paesi europei. Ma un contributo
fondamentale può arrivare dalle grandi icone sportive e dai grandi player dell'industria di abbigliamento
sportivo. Se nella cultura popolare Mc Donald's e Coca-Cola sono diventati simboli dell'obesità, Nike,
Adidas o Puma devono diventare simboli della lotta all'obesità, in grado di penetrare con le loro
operazioni di marketing virale anche a Scampia, Afragola e Giugliano, non solo nelle grandi città»,
sostiene Moris Gasparri, autore dell'ebook ‘Lo sport al tempo della geopolitica dell'obesità'.
Meno farmaci insomma e più scarpette per correre, anche perché la corsa è lo sport più accessibile a
parità di costo/opportunità. Un invito a far diventare il movimento una cultura sociale veicolata
attraverso i social network, a trasformare lo sport in un farmaco. L'industria alimentare e quella dello
sport possono giocare un ruolo importante, ma per combattere l'obesità e le malattie croniche servono
cooperazione e compromessi. Serve un controllo complessivo delle iniziative di prevenzione da parte
della politica, che deve incoraggiare l'impegno e il contributo del settore privato.
La prevenzione dell'obesità non è certo la sola soluzione al problema della crescita dei costi sanitari, ma
forse il governo che verrà dovrà iniziare a pensare che un fallimento imporrebbe pesantissimi oneri alle
generazioni future.
Associazione per Una Nuova Vita onlus – Casa S. Rita