A.G. Chizzoniti - Accademia Nazionale dei Lincei

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A.G. Chizzoniti - Accademia Nazionale dei Lincei
ANTONIO G. CHIZZONITI ()
Università Cattolica del Sacro Cuore – Sede di Piacenza
CIBO, DIRITTO E RELIGIONE
(MACELLAZIONE RITUALE E TEMI CORRELATI)
Il tema della “macellazione rituale” è in certo qual modo emblematico del più
ampio problema del rapporto tra tutela della libertà religiosa e tutela del benessere
animale.
Due le questioni riconducibili al rapporto tra fenomeno religioso e diritto a tutto
tondo che segnano il nostro percorso. Una prima è così formulabile: il diritto di libertà
religiosa, come enunciato principalmente dalla nostra Costituzione, ma anche dalle carte
sovranazionali da noi sottoscritte (principalmente Trattato dell’Unione Europea e CEDU)
riconosce in capo al fedele-cittadino, nel vario catalogo di facoltà tutelate, anche quella di
adeguare il proprio regime alimentare ai complessi normativi confessionali/fideistici di
appartenenza? La seconda è così configurabile: quali limiti possono essere configurati
nella tutela del benessere degli animali dalla tutela della libertà religiosa degli umani
esercitata attraverso l’affermazione della propria identità alimentare religiosa (IAR)?
Bene, dunque, si comprende come la pratica della macellazione rituale finisca col
proporsi come ottima cartina di tornasole per la tenuta delle risposte da dare ad entrambi
gli interrogativi, risposte che dovranno necessariamente essere consequenziali.
Concentrando la nostra attenzione sui profili più strettamente giuridici possiamo
iniziare col notare come le Regole Alimentari Religiose (RAR) sono così diffuse che
analizzando i comportamenti alimentari dei singoli possiamo quasi individuare, se non la
confessione di appartenenza, per lo meno la tendenza religiosa degli individui. Cibo e
Religione possono essere analizzati nel loro interagire attraverso il ricorso a svariati punti
di osservazione. Classica è l’intersezione con gli studi antropologici, non meno interessanti
i profili sociologici. Poco frequentati sono stati gli incroci di cibo e religione con le scienze
economiche così come quelli con il mondo del diritto.
Da quest’ultima intersezione emergono per lo meno due profili d’interesse: un
primo, proprio del fedele, è legato alla ricostruzione dei complessi normativi confessionali
delle Regole Alimentari Religiose (RAR); un secondo profilo attiene, invece, alla doppia
identità del fedele/cittadino chiamato a rispondere a due distinti ordinamenti giuridici
quello religioso e quello statuale, dalla cui sovrapposizione possono generarsi contrasti
()
Ordinario di diritto ecclesiastico e canonico. Università Cattolica del Sacro Cuore – Sede di Piacenza.
e-mail: [email protected]; twitter: @AG_Chizzoniti.
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con la conseguente necessità dell’individuazione di profili di contemperamento tra
comandi eventualmente in conflitto.
Fedele/cittadino e cittadino/fedele, due tipologie di relazioni identitarie
giuridicamente rilevanti, sono due facce di un rapporto che nell’intersezione di cibo,
religione e diritto porta ad un’asserzione dal forte significo giuridico. La mancata
previsione tra le facoltà che strutturano il diritto di esercizio della libertà religiosa della
facoltà di adeguare il proprio regime alimentare alle RAR di appartenenza, comporterebbe
un vulnus alla tutela della libertà religiosa.
Questo riconoscimento, declinabile nella sola garanzia che nessuna norma o
attività della Pubblica Amministrazione vieti al singolo di conformare la propria dieta
alimentare alle RAR previste dalla sua confessione (tutela negativa) o che a questa
guarentigia si affianchi anche una azione positiva statuale tesa a promuove ed agevolare il
concreto adeguamento del cittadino/fedele al proprio regime alimentare religioso (tutela
positiva), non è senza limiti e pone per la sua attuazione quesiti di non facile soluzione.
Occorrerà individuare il rispetto di quali RAR e di quali confessioni religiose andrà
inteso come esercizio del diritto di libertà religiosa. Superato questo nodo, occorrerà
affrontare il non facile tema degli eventuali conflitti che questo impegno possa generare
nel rapportarsi con la tutela di diritti parimenti riconosciuti dallo Stato (ipoteticamente
anche di natura costituzionale). Ed è a quest’ultimo ambito che potrebbe attenere la
questione del possibile contrasto tra tutela del benessere degli animali e liceità di forme di
macellazione rituale in attuazione delle garanzie in favore dell’esercizio della libertà
religiosa.
Per entrambe decisiva sarà l’individuazione del sistema di relazioni tra Stato e
confessioni religiose di volta in volta interessato.
Non sono state molte le disposizioni normative del nostro ordinamento che negli
ultimi decenni hanno toccato espressamente la questione delle RAR.
Quanto alla macellazione rituale, potrà apparire strano, ma dal punto di vista
legislativo ha avuto una parabola quasi sovrapponibile ad un altro rituale giuridicamente
controverso, ovvero la circoncisione rituale maschile. Due pratiche religiose a lungo
tollerate, quando non espressamente tutelate dalla legislazione statuale e oggi ritenute
contraddittorie anche in ragione della sovrapposizione sui temi classici della questione
islamica.
Soffermandoci sulla macellazione rituale, un primo intervento normativo è
rinvenibile nella legge n. 439 del 1978 che in attuazione della direttiva (CEE) n. 74/577,
sullo stordimento degli animali prima della macellazione, all’art. 4 disponeva potessero essere
autorizzati “speciali metodi di macellazione, in osservanza di riti religiosi”, previa
autorizzazione “con decreto del Ministro della sanità di concerto col Ministro dell’interno”.
In attuazione di detto articolo l’anno successivo venne emanato congiuntamente dai due
ministeri il Decreto 11 giugno 1980, Autorizzazione alla macellazione degli animali secondo i riti
religiosi ebraico e islamico il cui articolato autorizza la macellazione senza preventivo
stordimento eseguita secondo i riti ebraico ed islamico da parte delle rispettive comunità
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(art. 1), a condizione che essa venga effettuata “da personale qualificato che sia
perfettamente a conoscenza ed addestrato nell’esecuzione dei rispettivi metodi rituali” (art.
2, 1° comma) e che l’operazione venga effettuata “mediante un coltello affilatissimo in
modo che possano essere recisi con un unico taglio contemporaneamente l’esofago, la
trachea ed i grossi vasi sanguigni del collo” (art. 2, 2° comma).
Il Decreto del 1980 ricorre ad una presupposizione implicita delle RAR, con ciò
ribadendo, ove ce ne fosse stato bisogno, che l’incompetenza dello Stato nell’ordine
spirituale impedisce un intervento diretto sul tema. Sono già presenti ed esplicitati, anche
se in forma ridotta, i possibili contrasti che alcune RAR possono proporre rispetto alla
tutela del benessere degli animali e la conseguente esigenza di ricercare forme di
contemperamento.
La stipula delle prime intese con alcune confessioni religiose ai sensi dell’art. 8, 3°
comma della Costituzione non propone molte novità nell’ambito dell’alimentazione.
L’unica eccezione è presente, ovviamente, nell’intesa sottoscritta con le Comunità
israelitiche, approvata con legge n. 101 del 1989. Al suo interno sono due le norme che
toccano il tema delle RAR: l’art. 6, 2° comma ribadisce che “la macellazione eseguita
secondo il rito ebraico continua ad essere regolata dal decreto ministeriale 11 giugno 1980,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 168 del 20 giugno 1980, in conformità alla legge e alla
tradizione ebraiche”.
La conferma del decreto ministeriale 11 giugno 1980 ha un suo effetto giuridico
forte per più di una ragione: avvalora il significato che la macellazione rituale possiede per
l’ebraismo italiano, e rafforza l’impegno da parte dello Stato a garantire questa forma di
macellazione “in conformità alla legge ed alle tradizioni ebraiche” ora riprodotto a livello
pattizio e perciò assistito dalla garanzia costituzionale propria delle leggi di approvazione
delle intese. Lo stesso non può dirsi per la macellazione islamica che, proprio perché fino
ad ora non oggetto di intesa, pur nel necessario rispetto delle indicazioni religiose che la
regolano, potrebbe essere comunque oggetto di interventi normativi tesi a modificarne gli
assetti civilistici o addirittura a vietarne la pratica.
Una garanzia assoluta non credo possa essere considerata quella stabilita dal d.lgs.
1 settembre 1998, n. 333, Attuazione della direttiva 93/119/CE relativa alla protezione degli
animali durante la macellazione o l’abbattimento, che si limita a fissare alcuni criteri da
rispettare in caso di macellazione rituale.
Da segnalare che il REGOLAMENTO (CE) N. 1099/2009 del 24 settembre 2009
relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento al punto 18 del Considerato
iniziale ricordando che: “La direttiva 93/119/CE prevedeva una deroga alle pratiche di
stordimento nel caso di macellazioni rituali effettuate nei macelli”, afferma “Poiché le
norme comunitarie in materia di macellazioni rituali sono state recepite in modo diverso a
seconda del contesto nazionale e considerato che le normative nazionali tengono conto di
dimensioni che vanno al di là degli obiettivi del presente regolamento, è importante
mantenere la deroga allo stordimento degli animali prima della macellazione, concedendo
tuttavia un certo livello di sussidiarietà a ciascuno Stato membro. Il presente regolamento
rispetta di conseguenza la libertà di religione e il diritto di manifestare la propria religione
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o la propria convinzione mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei
riti, come stabilito dall’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.”
Passando alla seconda questione: quella dell’eventuale esigenza di bilanciamento
tra tutela della libertà religiosa nella sua dimensione di diritto all’identità alimentare
religiosa e tutela del benessere degli animali, senza proporre una articolata ricostruzione
dell’assetto legislativo sviluppatosi negli ultimi decenni, in particolar modo a livello di
Unione Europea, sulla “questione animale”, possiamo prendere le mosse dall’art. 13 del
Trattato sul Funzionamento dell’Unione. La norma affonda le sue radici nel Trattato di
Maastricht ed in particolare nella dichiarazione n. 24 allegata all’Atto finale della
Conferenza Intergovernativa, e dispone che: “Nella formulazione e nell’attuazione delle
politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della
ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto
delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel
contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per
quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale”.
L’art. 13, come molte delle disposizioni dei Trattati dell’UE, è strutturato in maniera
da consentire interpretazioni le più varie. Una sua prima lettura può essere fatta
fissandone il focus nella parte in cui si fa carico, per la prima volta in maniera così chiara,
delle “esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”: in questo
caso, tenendo conto dell’ampiezza dei settori interessati e del richiamo espresso al
“benessere degli animali”, essa deve essere considerata senz’altro come un ulteriore passo
in avanti verso una qualche forma di riconoscimento di tutela per gli animali in quanto
esseri senzienti.
Basta però spostare il baricentro della norma sui numerosi limiti al suo pieno
esercizio presenti nella sua seconda parte per quasi capovolgerne il senso. L’attenzione
per il benessere degli animali, secondo il Trattato, deve rispettare “al contempo” non solo
le disposizioni legislative o quelle amministrative (ribadendo in tale ambito la natura
sussidiaria della disposizione Europea a favore delle legislazioni domestiche), ma anche le
consuetudini degli Stati membri in tema di riti religiosi, tradizioni culturali e patrimonio
regionale. Si rende, così, sufficiente per il ridimensionamento della tutela all’animale
anche una mera pratica locale, non regolamentata neppure a livello amministrativo:
dunque non solo la corrida spagnola o portoghese, ma anche forme meno diffuse e
comunque fortemente radicate nell’ambito di una regione dell’UE. Quanto agli aspetti
religiosi, il mancato richiamo del diritto di libertà religiosa – con la menzione, al suo posto,
dei “riti religiosi” – come possibile limite alle esigenze di benessere degli animali, non può
ovviamente essere inteso nel senso di una minore protezione del primo a favore delle
seconde, quanto piuttosto come una giusta non contrapposizione tra elementi non
omogenei: da una parte un diritto espressamente garantito dall’UE, dalla CEDU e da tutte
le carte costituzionali degli Stati membri, dall’altra un mero richiamo alla protezione del
benessere degli animali. A mettere in discussione il pur opportuno e del tutto condivisibile
impegno in favore del “benessere animale” a fronte del rispetto di un’esigenza religiosa,
sarà così sufficiente la menzione di un rito in una disposizione legislativa (es. Intesa con le
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Comunità israelitiche) o anche in un meno impegnativo atto amministrativo (come nel
Decreto ministeriale del 1980). D’altro canto la portata della norma credo vada misurata in
funzione del limite più basso, ovvero quello delle sfuggenti consuetudini dei patrimoni
regionali.
Parlare di cibo e religione e delle sue connessioni con il diritto non può essere più
ritenuto un esercizio meramente teorico di analisi giuridica, è aumentata la sensibilità
rispetto a questa forma di esercizio della libertà religiosa che presenta risvolti identitari
molto forti. Forse anche per questo, in un’epoca di pluralismo religioso diffuso ma non
ancora del tutto metabolizzato dalla nostra società (in crisi economica e culturale), una
tutela convinta e attiva del diritto di adeguare il proprio regime alimentare alle RAR
dettate dalla propria fede incontra difficoltà. Le pratiche per alcuni aspetti non facilmente
conciliabili con le tradizioni culturali e religiose radicate sul territorio, le endemiche
questioni derivanti dalla mancanza di una chiara politica ecclesiastica (o se si preferisce di
relazione con le confessioni religiose) sono alcuni degli elementi problematici di un
quadro che non potrà essere facilmente rimosso dalle pareti nella nostra società.
Resta poi chiara e forte l’esigenza “religiosa”, intra ed extra confessionale di una
approfondita riflessione sul ruolo e sul senso degli esseri animali nei vari percorsi di fede.
Insomma urge, almeno a mio avviso, come credente e come giurista, una profonda
riflessione teologica su tali temi.
Da appassionato amante dell’arte cinematografica e di una forma di letteratura non
sempre valutata a dovere chiudo con una citazione decisamente in tema con il titolo di questo
nostro incontro:
Anno 3978, forse Terra. Il prof. Zaius (orango) alla dott.ssa Zira animalista
(scimpanzè): «Dottoressa, lei è molto giovane, la neurochirurgia sperimentale su questi animali è
una cosa e ne riconosco pienamente la validità. Ma i suoi studi sul loro comportamento sono
tutt’altra cosa! Obbinare (così nella pellicola) che noi possiamo apprendere qualche cosa sulla
natura delle scimmie dallo studio dell’uomo è un’assurdità! Inoltre l’uomo è dannoso... Quando non
riesce a trovare il suo sostentamento nella foresta si riunisce in branchi e invade le nostre campagne
e devasta le nostre colture! ... Più presto l’uomo sarà sterminato e meglio sarà. È un problema di
sopravvivenza: per le scimmie!»
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