La vittima del racket e lo Stato che non c`è

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La vittima del racket e lo Stato che non c`è
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Anno IV, numero 107
[next: 10/08/2005]
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LA VITTIMA DEL RACKET E LO
STATO CHE NON C'È
di Carlo Ruta
pubblicato il 05/08/2005
Clamorosa
protesta
dell'imprenditore
vittoriese
Giovambattista Gulino, davanti alla prefettura di Ragusa
Giovambattista Gulino è un imprenditore vittoriese che
non si è voluto piegare ai racket estorsivi della sua città,
perché crede fino in fondo nella dignità umana. Ma è
insorto pure contro l'istituzione più rappresentativa dello
Stato, da cui è sentito del tutto abbandonato. E lo
scorso 22 luglio ha attuato una clamorosa protesta. Ha
indetto una conferenza stampa sotto il portone della prefettura di Ragusa,
per reclamare il risarcimento dei danni subiti dal racket, come prescritto
dalla legge 44/99. Siamo andati alla conferenza, dove era accompagnato
dalla moglie Concita, giornalista, e da alcuni suoi dipendenti. Ha esposto le
sue ragioni, che meritano la condivisione piena della società civile. Abbiamo
raccolto alcune sue significative dichiarazioni, che proponiamo di seguito.
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Vittoria ha traversato un periodo particolarmente drammatico, e tu
in tale contesto, insieme con la tua famiglia, hai vissuto esperienze
durissime. Sei stato tra gli imprenditori che più sono stati presi di
mira dai racket estorsivi e dalle organizzazioni criminali. Ma non hai
conosciuto solo attentati incendiari e minacce estorsive. Hai subìto,
come hai argomentato in altre sedi, l'indifferenza colpevole se non
addirittura l'ostilità delle istituzioni dello Stato. Cosa puoi dire di
tutto questo?
Posso dire che ho riscontrato delle sostanze comuni, a partire dal metodo,
malgrado le diversità che passano fra i vari livelli. Il racket mi ha tenuto per
anni sotto scacco, al fine di distruggermi. Le istituzioni pubbliche prima mi si
sono presentate "vicine", ma quando più sono stato esposto mi hanno
abbandonato.
Partiamo dalla vicenda dei racket. Cosa è ti accaduto in particolare?
Nei primi anni novanta, quando Vittoria è divenuta una capitale siciliana
delle cosche, io effettivamente sono stato preso di mira dal racket estorsivo,
ma non ho voluto piegarmi alle minacce e agli attentati. Ho deciso quindi di
denunciare i fatti alle istituzioni, che tuttavia, sin da subito, malgrado la
disposizione apparentemente favorevole, hanno dimostrato carenze e scarsa
professionalità. In quelle prime fasi qualcosa si è fatto beninteso, grazie
pure alla buona volontà mia e di altri, malgrado la confusione imperante
negli uffici operativi e i deficit di coordinamento da parte della Procura. Via
via ho però capito che qualcosa non andava. Con l'ausilio dei mezzi
d'informazione si voleva dare il senso della vicinanza dello Stato al cittadino
che denunzia. In realtà le vittime del racket erano tenute in scarsissima
considerazione. Di primo acchito i responsabili degli uffici cui mi ero rivolto
promettevano di aiutarmi, di stare vicino a me e alla mia famiglia. Ma sono
sopravvenute presto altre condotte. Si trinceravano nei loro uffici. Si
mostravano indisponibili a ricevermi, facendomi dire che erano impegnati. Mi
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evitavano in tutti i modi, anche perché a corto di argomenti. E tutto questo
era mortificante.
Giovambattista, il racket ha cambiato la tua vita?
Il racket ti distrugge, perché ti colpisce a 360 gradi. Ti colpisce nella mente,
negli affetti, per timore che possano subire danni le persone che ti sono più
vicine, mette profondamente in discussione tutto quello che hai realizzato in
una vita. Non ti senti più padrone delle tue cose, se arrivano a bruciarti
l'automobile davanti alla porta di casa. Il racket ti colpisce nelle amicizie,
perché ti fa il vuoto attorno, perché ti ritrovi improvvisamente solo. Ti posso
dire che in certi periodi non potevo addirittura uscire di casa: non perché
avessi paura di coloro che mi minacciavano, ma perché avevo "paura" della
società, della gente "onesta" che mi bollava come un perdente. La città
rispondeva agli attacchi dei racket con inadeguatezza. Il cittadino osservava
con distacco la mia vicenda, mi additava, mi giudicava, dicendo magari fra
sé e sé "chissà cosa c'è sotto". Tutto questo io lo avvertivo e mi faceva
male, più di quanto me ne facessero le vessazioni degli estortori.
Vogliamo dire adesso del tuo rapporto con le istituzioni in questi
lunghi anni?
Dei cosiddetti boss, come ti dicevo, in fondo non avevo paura. Li conoscevo
bene, sin da quando erano dei ragazzini. Individualmente erano dei codardi.
Solo nel muoversi in gruppo acquistavano forza. Quindi non potevo temerli.
E se non temevo loro, che pure mi tenevano sotto tiro, non potevo certo
temere le istituzioni quando hanno preso a esibire nei miei riguardi un
aspetto torbido e nemico. Debbo dire che per dieci anni ho chiesto ristoro
allo Stato, e, pur avendo ottenuto il riconoscimento di vittima
dell'estorsione, per dieci anni è stato fatto il possibile per impedirmi di
attingere al fondo previsto dalla legge. Ho dovuto ricorrere al TAR, e questo
mi ha dato ragione. Ma mi è stato nuovamente negato ogni risarcimento.
Per reclamare i miei diritti ho dovuto attuare quindi una dura protesta,
rivolgendomi pure ai mass media, e solo allora ho ottenuto delle tranches di
quanto mi spettava.
Puoi dire quali persone e quali uffici istituzionali si sono messi di
traverso, hanno cercato cioè di impedire che ti fossero risarciti i
danni causati dai racket, come previsto dalle leggi dello Stato?
Faccio una premessa. Il sud-est siciliano ha accolto solitamente prefetti di
pura rappresentanza, che talora hanno finito con il fare da notai degli
interessi in gioco, leciti e non solo, ma ne ha ospitati anche valorosi, che
hanno fatto del loro meglio per combattere le iniquità, visibili e nascoste,
come Prestipino Giarritta, nei primi anni novanta. Ebbene, a mio discapito ho
potuto capire che l'attuale prefetto di Ragusa, il calabrese Sandro Calvosa,
incarna la tradizione principale, trattandosi di una persona inadeguata al
ruolo istituzionale che ricopre. Riguardo al mio caso, tale rappresentante
dello Stato ha assunto impegni morali che, premeditatamente, non ha
mantenuto. Con il suo veto ha infatti reiteratamente bloccato il definitivo
risarcimento dei danni da me subiti: a dispetto della legge 44, che pure è
chiara, precisa, inequivoca.
Come hanno reagito i vittoriesi?
I vittoriesi sono laboriosi e ricchi di inventiva, in massima parte sono
persone perbene, però in città permane molta ignoranza, pure a causa della
dispersione scolastica, che non risparmia le ultime generazioni. E in tali
condizioni, che diventano drammatiche in alcuni quartieri, insistono a
trovare buon gioco fenomeni degenerativi come il pizzo, l'illegalità delle
cosche, il traffico dei narcotici, la tradizione della "giustizia" privata. A fare
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da collante al tutto è ovviamente una certa cultura dell'omertà, che tarda a
scomparire.
Il tuo rapporto con le istituzioni come è mutato?
Prima che vivessi le esperienze di cui stiamo parlando avevo soggezione
davanti a coloro che rappresentano l'autorità. Quando mi introducevo in certi
uffici pubblici provavo disagio. Sentivo lo Stato come una presenza austera,
che mi incuteva timore. Ma lentamente ho maturato tante cose.
L'educazione civica suggerisce che non si è sudditi bensì cittadini, che tutti
siamo uguali di fronte alla legge, che la dignità umana va rispettata, che chi
esercita una funzione pubblica non può arrogarsi privilegi e intimorire il
cittadino, né può trasformare la sua mansione in un potere personale.
Ebbene, purtroppo le cose stanno diversamente, e io ne ho fatto esperienza
a mie spese. Sono stato vilipeso, isolato, mortificato. Ma, come detto, non
ho avuto paura. Non ho esitato nel reclamare i miei diritti. Non ho avuto
timore di dire e di scrivere al prefetto tutto quello che pensavo di lui. E oggi,
nonostante tutto, non ho timore a protestare, qui, sotto la prefettura di
Ragusa, perché venga fatta giustizia.
per contatti: [email protected]
Cell.338.2318692
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