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Racket
Racket in lingua inglese indica mafia, rete criminale, che sistematicamente cerca di
estorcere denaro in alcune attività economica mediante minaccia, intimidazione e
punizione.
In senso psicologico, il racket si manifesta come lamentela, pretesa, accusa,
giudizio moralistico, ma anche come cattivo umore, criticismo, svalutazione. In altre
parole, tutti gli inquinanti della mente funzionano come racket. Sono cioè cattiva
politica, cattivo governo del proprio paese, di cui non ci si prende la responsabilità,
ma la si addossa agli altri sotto forma di esternalizzazioni, cioè di costi aggiuntivi
che essi devono pagare al nostro posto. Quando pratichiamo il racket, siamo come
un’impresa disonesta, che cerca di massimizzare i profitti, non migliorando le
proprie prestazioni, ma aggirando la legge, evitando di pagare le tasse ed
inquinando l’ambiente.
In un ambiente dove la maggior parte delle imprese si comporta così, è molto
difficile per un’impresa onesta sopravvivere. Il racket tende quindi a diffondersi.
Così accade tra le persone: il racket è onnipresente in quasi tutti i rapporti
significativi. Il che significa che l’egoismo, l’individualismo, l’avarizia e la falsità, per
lo più inconsapevoli, dominano sull’apprezzamento, sulla generosità, sulla
gratitudine, sulla responsabilità. In tal modo, nonostante che tutti, senza eccezioni,
cerchino l’amore, in realtà l’amore autentico, e la felicità che ne consegue,
fioriscono raramente. Liberarsi dalla pratica del racket, e imparare a non subire quello degli altri,
è l’apprendimento più importante per una vita piena e gratificante.
ABSTRACT
Quando l’Io governo è connesso all’Anima e sa discernere, è nelle Qualità
dell’Essere e quindi nella Gioia e nell’Amore.
Quando, invece, l’Io lascia che il giudizio si inserisca tra sé e l’Anima, vive negli
inquinanti, nel racket e nella sofferenza. La sua politica si corrompe, accrescendo
dolore ed insoddisfazione. Tutto questo genera rabbia e frustrazione.
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La Bilancia Strutturale ci insegna come, a questo punto, gli esseri umani
propendano alternativamente per due scelte: se prevale il bisogno di appartenenza
e di essere amati, optano per internalizzare il costo di questa rabbia. Se prevale
invece il bisogno di affermare la propria individualità, propendono per
esternalizzarlo. Nel primo caso entrano in una struttura depressiva, nel secondo in
una narcisistica; in entrambi i casi partecipano alla danza del potere, e, oltre a non
soddisfare i bisogni originari, inquinano l’ambiente con emozioni tossiche.
Come abbandonare questa danza egoica per abbracciarne una evolutiva e fonte di
gioia?
Smettendo di proteggere e giustificare la propria cattiva politica (= identificarsi col
proprio ego) e ringraziare ogni volta che un amico fidato mi indica un passaggio di
crescita (idenficarmi con la mia Anima).
Quando ci accorgiamo di intossicare l’ambiente con veleni emotivi, prendiamone
coscienza, e, scusandoci di cuore, allontaniamoci dagli altri per non nuocere
ulteriormente alla loro salute. Quando torneremo, ripuliti, avremo compiuto un
grande passaggio evolutivo.
La vera rivoluzione spirituale è rendere diseconomica la
pratica del Racket.
Bilancia Strutturale: quando l’io-governo si separa dall’anima, cominciando a
praticare il giudizio al posto del discernimento, non si ispira più alle qualità
dell’essere, ma cade in balia degli inquinanti. Apprezzamento, generosità,
gratitudine, vengono sostituiti da pretese, lamentele, accuse: mia madre non
doveva farmi questo, mio padre è un imbelle, io sono un incapace.
Di fronte al giudizio: amore e gioia di fondo lasciano il posto a insoddisfazione,
risentimento e cattivo umore, che sono le fonti energetiche del racket psichico.
Un io separato dall’anima è un io corrotto: mantiene il suo posto di governo, ma
non svolge più la sua vera funzione, che è quella di servire l’anima. Da buon
governo, diventa cattivo governo che fa cattiva politica.
Chi paga il prezzo? Di sicuro una parte viene pagata dalla popolazione delle parti
interne che, non potendo più attingere alle fonti del nutrimento o, come le chiama
Etty Hillesum, non potendo più attingere alle sorgenti dell’essere, deve ricaricarsi in
altri modi per riempire un vuoto che, con il tempo, diventa sempre più insostenibile.
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Da qui origina la rincorsa ai piaceri compensativi: eccesso di cibo, alcol, sesso
compulsivo, droghe e dipendenze di vario tipo.
Ma questi piaceri non appagano mai: ottenuta la soddisfazione, subito riparte il
desiderio. Inoltre indulgere nella ricerca di questi piaceri, ci allontana sempre più
dalla possibilità di contattare la vera gioia, la gioia dell’essere.
Il corpo di dolore si alimenta attraverso gli inquinanti della mente e gli inquinanti del
corpo (cibi, bevande, pratiche intossicanti).
Ogni paese, guidato da cattivo governo, è un paese insoddisfatto. L’insoddisfazione
genera rabbia. Il governo, per rimanere in carica, ha bisogno di controllare questa
rabbia, in modo da non diventarne bersaglio ed essere distrutto da una rivolta.
Un modo comune di controllare la rabbia è scaricarla su circostanze esterne
(difficoltà sul lavoro, sfortuna in amore, problemi finanziari) o su altre persone
(padre, madre, partner, figli, amici, chiunque non possa troppo sottrarsi agli
attacchi). Affinché questi attacchi vengano considerati legittimi, l’io-governo ricorre
ad un’azione di propaganda, proiettando all’esterno la causa dei propri guai: questa
è la vera causa, sei tu il responsabile, tu sei il colpevole. Se tu cambiassi, se le
circostanze cambiassero, io starei bene; se tu non ti comportassi come fai, io sarei
felice.
Questa visione rende legittima ogni forma di lamentele, pretese, accuse, attraverso
le quali l’io-governo può esternalizzare, almeno in parte, i costi della sua cattiva
politica.
1.
Lamentele, pretese, accuse - anche manifestate indirettamente con
comportamenti non verbali -, sottendono un giudizio morale sull’altro, una
riprovazione allo scopo di generare in lui senso di colpa, vergogna, o paura,
affinché cambi i propri comportamenti.
2.
L’unico effetto sicuro del giudizio morale è quello di rompere il
rapport, cioè la simpatia, l’empatia, la fiducia tra le persone: se anche l’altro
si adeguerà al rimprovero, lo farà per paura, per costrizione, non per amore.
E prima o poi cercherà di vendicarsi dell’umiliazione subita.
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Essendo il giudizio morale un’abitudine sociale ampiamente condivisa, non viene
vista nella sua natura distruttiva. Lo sfogo viene considerato normale, addirittura
benefico. Chi lo subisce, si sente in colpa se cerca di sottrarvisi. Oppure reagisce
con rabbia, praticando a sua volta il giudizio, per non subire quello altrui.
Ma anche chi subisce prima o poi presenta il conto.
Visto con distacco e disidentificazione, lo scambio tra esseri umani appare spesso
come uno scambio mafioso: ognuno cerca di accollare ad altri le tossine psichiche
che produce al suo interno.
Tornando alla bilancia strutturale, la parte depressa, per ottenere appartenenenza e
amore, è pronta ad internalizzare. Quella narcisista, per affermare la propria
individulità, tende ad esternalizzare. In realtà entrambe partecipano alla stessa
danza: quella di inquinare l’ambiente con emozioni tossiche, incrementando il corpo
di dolore individuale e collettivo.
Un Sangha, un gruppo evolutivo, comincia a funzionare davvero, anziché essere
solo una maschera, quando i partecipanti, tutti i partecipanti, si rendono disponibili
a rinunciare a questa danza, aprendosi al feedback reciproco. Non c’è aiuto più
efficace per liberarsi dall’Ego. Politica dell’Ego e politica dell’Anima sono
incompatibili.
Per questo occorre compiere la più grande rivoluzione: non cercare giustificazioni,
per proteggere la propria cattiva politica (presupposto = io sono il mio Ego, il mio
narcisismo, la mia depressione), ma ringraziare ogni volta che qualcuno ci indica un
passaggio che possiamo compiere per migliorarla (presupposto = io sono la mia
Anima).
Proposta: appendere un cartello sulla porta di casa, con la scritta:
VIETATO FUMARE all’interno,
VIETATO INTOSSICARE L’AMBIENTE
con VELENI EMOZIONALI
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Tutti sono uguali di fronte alla legge
questa legge vale per tutti
Come esiste il fumo passivo, così esiste l’intossicazione passiva di veleni
emozionali. Proteggiamo noi stessi e gli altri da questo pericolo.
Chi si accorge di esternalizzare, si fermi, ne prenda coscienza, si scusi e si allontani
di casa, consapevole di compiere un gesto che favorisce la crescita della propria
Anima e dell’Anima altrui. Tornerà assai più felice quando si sarà ripulito e, se c’è
qualche richiesta che vuole fare agli altri membri del gruppo, la faccia in stato
d’amore (M. Rosemberg, Le parole sono finestre).
Chi si accorge che un’altra persona esternalizza, anziché cadere nel giudizio
morale, contatti la propria anima e, in stato d’amore, inviti l’altro a cambiare o ad
uscire di casa.
Chi riceve l’invito a cambiare, per prima cosa si scusi, perché non è suo diritto
accollare agli altri i costi emotivi della sua cattiva politica.
Per compiere queste mosse, occorre sviluppare la resilienza dell’io-governo,
cioè la capacità di disidentificarsi dallo stato problema, riconoscendolo per
quello che è: un modo disfunzionale di utilizzare la propria mente cervello.
Si porrà così fine al guadagno che si ricava dal praticare questa danza
distruttiva: scaricare all’esterno i propri errori, attirare l’attenzione, sottrarre energia
ad altri, evitare la fatica di assumersi la responsabilità.
Per una legge dell’economia, finché la legislazione consentirà alle aziende di
ottenere un vantaggio competitivo scaricando veleni nell’ambiente, queste pratiche
non finiranno mai. Finché la disonestà sarà premiata, e l’onestà punita, vivremo in
un mondo alla rovescia.
Smettiamo di lamentarci, applichiamo questi principi nel Sangha. Ponendo
fine alla piaga del racket, assisteremo al fiorire delle qualità dell’essere che
rendono la vita gratificante, piena, densa di significato.
L’esperienza di questa rivoluzione radicale ci darà la forza di promuovere gli
stessi principi in ogni contesto: famiglie, scuole, gruppi, organizzazioni.
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COS’è IL RACKET?
Il racket è manipolazione
Un racket è un messaggio, o una serie di messaggi, contenenti una falsità,
una mistificazione. La menzogna serve a manipolare l’altro a proprio
vantaggio.
È rifiuto della propria responsabilità.
Un esempio tipico di racket è la lamentela, specie se ricorrente: mi lamento dei miei
dipendenti, di mia moglie, dei miei figli. In tal modo rigetto ogni mia responsabilità.
Sono loro la causa delle difficoltà e dei problemi. Sono loro in colpa, io non c’entro.
È scaricare la responsabilità su altri.
Scaricare la responsabilità toglie il peso dei sensi di colpa e inadeguatezza.
Attraverso la manipolazione tale peso viene interamente accollato ad altri.
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Guadagni del racket
Liberarsi dai sensi di colpa o inadeguatezza, liberarsi dal peso dei propri errori,
addossarli ad altri (persone, società, natura, destino, sfortuna, Dio), sono i
guadagni comuni ad ogni forma di racket.
Dominare, evitare di essere dominati, aver ragione, attirare l’attenzione su di sé,
sono guadagni specifici. Tutti temporanei ed illusori.
QUALI SONO I COSTI?
Il prezzo da pagare in termini di affiliazione, amore, vitalità, creatività,
invece, è reale, concreto, verificabile.
Chi pratica il racket, si indebolisce sempre più, perde potere personale e
leadership. Può diventare un capo potente e odioso, ma non certo stimato. Può
essere temuto, ma non certo amato. Può circondarsi di persone succubi e
compiacenti, ma rimane psicologicamente solo e impaurito.
Oppure, può apparire una vittima, mentre è un persecutore. Un povero disgraziato,
bisognoso di aiuto, mentre in realtà cerca solo di coinvolgere chi può nelle sue
disgrazie. Le varianti sono infinite. La sostanza non cambia: chi pratica il racket,
mentre lo pratica, non è integro, ma falso, doppio, mendace. In altri termini,
nevrotico, cioè inconsapevole della trappola in cui si è cacciato e si
mantiene con le sue mani.
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LA PROTEZIONE DELL’IMMAGINE
Il racket è un meccanismo inconscio, messo in atto per proteggere la propria
immagine da una minaccia esterna (o interna).
Ad esempio, il fatto che i miei dipendenti resistano alle mie richieste, costituisce
una minaccia alla mia immagine di leader efficace. La ribellione di mio figlio crea
una minaccia all’immagine di me come padre. Il malumore di mia moglie crea una
minaccia alla mia immagine di uomo affascinante e marito ideale.
Attribuendo loro la colpa, libero me dal dover mettere in discussione le mie
capacità, la mia intelligenza, il mio valore di leader, di padre, di marito.
La mia cattiva salute può creare una minaccia all’immagine di me come uomo forte
e sano. Combatto pertanto contro l’idea di essermi comportato in modo sciocco,
abusando del mio corpo, e preferisco attribuire la cattiva salute alla sfortuna o ad
un agente esterno. Su di essi scarico la mia aggressività e i miei sensi di colpa
lamentandomi.
L’abbandono di una fidanzata può minacciare la mia immagine di uomo
desiderabile. Rifiuto di considerare l’idea che non sono unico e speciale, e che altri
possano rivelarsi più amabili e attraenti di me.
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IMMAGINE POSITIVA E IMMAGINE NEGATIVA
Ma che cosa significa immagine? In che modo differisce dall’identità? L’immagine
di sé è una struttura falsa, un’immagine, appunto, non la realtà. Ogni volta
che costruiamo un’immagine di noi stessi, stiamo negando il suo opposto,
relegandolo nell’ombra. Se mi creo un’immagine di uomo forte, sto negando e
relegando nell’inconscio la sensazione opposta: di essere fragile. La fragilità mi fa
paura, e allora supero la paura con una compensazione: mi convinco di essere più
forte della media. Se ho paura di essere stupido, mi creo l’immagine di essere
particolarmente intelligente. Se ho paura di essere egoista e meschino, mi creo
l’immagine di essere onesto e virtuoso come pochi.
Quindi: prima ci sono le paure. Poi ci sono le compensazioni, le immagini,
appunto. Le immagini sono illusioni, e come tali non sciolgono le paure, così come
un tappeto messo sopra un pavimento sporco non toglie la sporcizia. Si limita ad
occultarla. A chi? A se stessi, in primo luogo, e poi agli altri.
IMMAGINE DI Sé E CONFERMA DALL’ESTERNO
Non si può mantenere un’immagine falsa di sé se gli altri non la confermano almeno
parzialmente. Gran parte della nostra comunicazione ha come scopo confermarci
reciprocamente nell’immagine che abbiamo di noi stessi (P. Watzlawick et al.,
Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio). Una comunicazione di questo
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tipo costituisce il più potente collante sociale, ed è spesso alla base di molte
relazioni dette di amicizia o di amore.
Si tratta di comunicazione superficiale, che si svolge su un piano di falsità.
Un rapporto che si svolge su questo livello, non cresce nel tempo, in quanto non
c’è la disponibilità a mettere in comune cose via via più profonde di sé.
PAURA DELLA VERITà
Ma in che cosa consiste la verità profonda? Che siamo disonesti, stupidi,
privi di valore? È questa la verità? È questo che dobbiamo ammettere a noi
stessi e agli altri per essere veri, in modo che essi possano finalmente
umiliarci e ferirci, scaricando su di noi la loro ostilità repressa?
Molte persone inconsciamente credono proprio questo. In tal caso, le
resistenze alla conoscenza di sé e alla comunicazione profonda sono
naturali ed ineliminabili. Nessuno ama riconoscersi stupido, disonesto o
meschino, e subire i conseguenti giudizi esterni (oltre a quelli interni), così come un
ladro non ama farsi prendere con le mani nel sacco e consegnarsi alla prigione.
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ORIGINE DELLA PAURA
Dobbiamo allora chiederci: da dove originano questi timori? Sono timori
adulti? No, sono le paure di un bambino dai tre ai sei anni, che permangono
nell’adulto e condizionano il suo copione di vita e il suo destino. Esse spesso
originano da giudizi, minacce, punizioni, messaggi o esempi ricevuti nell’infanzia, da
parte di genitori, o altre persone significative, mentre erano in uno stato egoico o
sadico, non amorevole.
Questi messaggi si sono imprintati nella plastica mente infantile, come paure e semi
di infelicità, generando immagini negative. E come protezione da queste paure, per
fuggire alla sofferenza, si è sviluppato il bisogno di compensazione attraverso la
creazione di un’immagine positiva.
LA DIFESA DELL’IMMAGINE
Con il tempo, la paura scende sempre più nell’ombra, e l’immagine positiva
assume l’aspetto di realtà, una forma illusoria che svolge una funzione
protettiva. La persona impara ad identificarsi nella sua immagine positiva.
Per questo ogni minaccia all’immagine è avvertita come minaccia all’identità. Una
minaccia tanto più pericolosa in quanto rischia di far riemergere la vecchia paura
che essa copre.
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Per evitare questo pericolo, la persona automaticamente si difende.
Si tratta di una reazione difensiva simile a quella che il sistema nervoso è
predisposto ad attuare di fronte a una minaccia di tipo fisico alla propria
sopravvivenza. Quindi, si tratta di una reazione primitiva, automatica, inconscia e
terribilmente potente.
ATTACCAMENTO ALL’IMMAGINE ED OFFESA
L’identificazione nell’immagine positiva e il rifiuto di quella negativa, con il suo
occultamento nell’ombra, è un fenomeno universale. Con la proiezione che ne
segue, riguarda tutti gli esseri umani. Da uno all’altro varia solo nel grado e
nell’intensità.
Ciò che viene rimosso, alimenta nello stesso tempo la nostra ombra e le
nostre proiezioni.
Se non riconosciamo la nostra aggressività, perché ne abbiamo paura, la vediamo
regolarmente negli altri, nella natura o in Dio. La verità è che ci sentiamo minacciati
dalla nostra stessa minacciosità.
Per la stessa ragione, quanto più sono attaccato alla mia immagine di persona
amabile, tanto più sono suscettibile e reattivo rispetto a qualunque messaggio che
la metta in dubbio.
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Ma a che cosa reagisco? Al messaggio esterno? Così credo io, sentendomi
sdegnato e offeso. In realtà il messaggio esterno non fa che stimolare e far
riemergere la paura che cerco di tener celata nell’inconscio, di essere una
persona meschina, disprezzabile o di poco valore. Quindi, in definitiva, reagisco
solo a me stesso. A che scopo? Allo scopo di confermare, almeno a me,
l’autoimmagine positiva ed evitare così di soffrire.
EVOLVERE SIGNIFICA LASCIARE ANDARE L’IMMAGINE
Il cammino evolutivo, sotto questo aspetto, è semplice da comprendere, ma difficile
da attuare.
Ogni volta che reagiamo con un’emozione distruttiva (odio, rancore, sdegno,
rabbia, offesa) dobbiamo chiederci: quale immagine di me sto difendendo?
Quale è l’immagine che se io lasciassi andare, rimarrei sereno e tranquillo?
Le immagini fondamentali più comuni sono tre:
1. • l’immagine di persona intelligente, capace, che ha ragione (a difesa
dalla paura di essere stupido, incapace, in torto)
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2. • l’immagine di persona amabile e buona (a difesa dalla paura di essere
egoista, traditore, meschino)
3. • l’immagine di avere forza, valore, potere (a difesa dalla paura di essere
debole, succube, senza valore)
Finché inconsciamente manteniamo queste immagini, altrettanto
inconsciamente le difendiamo attraverso barriere nella comunicazione e
racket. E a loro volta, le barriere indicano la presenza di queste immagini e delle
relative paure da esse compensate.
Abbandonare queste immagini significa accettare di apparire talvolta stupidi,
ignoranti, ridicoli, poco amabili, e stare bene lo stesso.
Il racket e la difesa della propria immagine sono così diffusi nella nostra cultura
competitiva, che non ce ne accorgiamo neppure più, come non ci rendiamo conto
dell’aria che respiriamo.
Per questo abbandonare la cultura del racket ed entrare nel mondo
dell’integrità è un’autentica rivoluzione, una pratica di anti-potere, in grado
di trasformare radicalmente la nostra vita.
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