Racconto x Felice Daneo 2014

Transcript

Racconto x Felice Daneo 2014
Concorso Letterario Felice Daneo 2014
Concorso Letterario Felice Daneo / MODELLO INDICATIVO PER L’ELABORATO
Categoria di
partecipazione
Ragazzi
Giovani
Adulti
X
Piccoli scrittori
Traccia / personaggio scelto: Barney Panofsky
Titolo del racconto (assegnato dall’autore):
L’arcipelago dei ricordi
Scambierei volentieri due parole con il tizio che ha concepito questo supermarket in stile casa del boscaiolo. Riesco quasi a immaginare lo sfrigolio delle sue meningi surriscaldate per lo sforzo di stabilire un nuovo primato nella categoria del cattivo gusto. Sarei tentato di indignarmi ma decido di sorvolare, dubito che ci riuscirei se questo non fosse l’unico supermarket in un raggio di dieci miglia dal cottage dove trascorro le vacanze con Miriam e i ragazzi. Miriam è la sola donna che abbia amato davvero e in un mattino come questo il pensiero di lei ha la meglio su tutti i demoni rabbiosi che mi fanno visita ogni giorno. Il carrello che sto spingendo ha una ruota cigolante, un bimbo vaga tra gli scaffali, abbandonato a sé stesso. Pare si stia nascondendo da chi l’ha portato qui; come dargli torto, dopotutto. La madre lo raggiunge e non appena apre bocca decido che non la posso soffrire. Ho un vero talento per trovare il lato odioso del prossimo, Miriam me lo fa notare spesso. Facciamo tutti con piacere ciò per cui siamo portati, in fondo non ho colpa se pensare e comportarmi da stronzo mi viene tanto naturale. Scorro la lista assaporando la calligrafia leziosa della mia donna, la prima voce è: dentifricio. Esamino le confezioni delle varie marche e realizzo con fastidio che non ricordo quale sia quella giusta. Decido in base al colore –sono attratto dal rosso-­‐ e già mi preparo alla disapprovazione dell’intera famiglia quando si scoprirà che ho sbagliato. Mi dedico al sapone liquido e ad altri detersivi. Mentre li maneggio non posso fare a meno di pensare alla congrega di gente senza scrupoli che si è riunita fino a tardi per affibbiare un nome idiota a ciascuno di questi prodotti. Infine mi dirigo al reparto alimentare, non senza aver lanciato, di passaggio, un’occhiata languida allo scaffale dei liquori. Incrocio una ragazza, porta un camice azzurro e una targhetta appuntata sul petto. Marie, così dice la targhetta, sembra avere una missione urgente da compiere e il suo ancheggiare mi sfiora lasciandosi dietro una scia magnetica. L’impulso di seguirla somiglia a un cane irrequieto che tende il guinzaglio e mi trascina con sé. I pensieri si ramificano protendendosi nel futuro. Le scuse che potrei usare per attaccare bottone, le possibilità che farei balenare -­‐senza promettere nulla-­‐ nella successiva conversazione e le incerte conseguenze di quell’incontro, si trovano tutte lì, a pochi istanti da me. Sono un produttore televisivo, che diamine, tutti conoscono la mia insulsa serie sulle Giubbe Rosse; mi basterebbe lanciare una manciata di parole e subito grappoli di illusioni si allargherebbero in cerchi concentrici sulla superficie di una mente ingenua. Stringo forte il guinzaglio e tiro, per questa volta lo sciocco animale chiamato Tentazione è ridotto all’obbedienza ma nei suoi occhi non c’è traccia di sconfitta, la partita tra noi è solo rimandata. Credo sia l’idea della fine inevitabile che ci attende a trasformare ogni sedere ben disegnato in un’occasione e poi in un rimpianto. Eccomi in coda alla cassa, preceduto da un ciccione in tuta da ginnastica. Trovo quasi osceno il suo carrello stracolmo, è soprattutto la smodata provvista di carta igienica a indignarmi. Una folla di commenti sgradevoli si accalca sulla punta della mia lingua e ho un bel da fare per tenerla a bada. La spesa del nemico è poco più abbondante della mia ma quest’ovvia constatazione annega ben presto nella tempesta di inutile rancore che mi scuote. Le qualità che dovrebbero permettermi di comprendere le ragioni degli altri, e i miei torti, sono rinchiuse in un luogo buio e puzzolente nel quale mi rifiuto di mettere piede, e quando sono obbligato a entrarci non scordo mai di portarmi dietro una bottiglia di whisky da scolare a lunghi sorsi. Voglio esser certo di dimenticare, o almeno travisare, ogni suggerimento della coscienza. Per ritrovare la calma, torno col pensiero a questa mattina. Mi sono alzato presto, ho guardato Miriam addormentata nella penombra, sfiorando la felicità mentre percorrevo il profilo del suo volto. Ho preparato del caffè e sono uscito in veranda. Il caffè amaro ha un buon gusto, mi sono concesso di assaporarlo insieme all’idea che, una volta tanto, non lo stavo bevendo per riprendermi dai postumi di una sbronza. La nebbia indugiava sul lago e ho trascorso qualche istante paragonandola al vapore che sorgeva dal liquido scuro nella tazza tra le mie mani. Quando il ciccione si è tolto di mezzo ho pagato il conto, caricato la merce nel bagagliaio e messo in moto. Guidavo sotto il sole di una giornata che prometteva di essere magnifica, questa è l’ultima cosa che ricordo. Ora mi ritrovo qui, smarrito nel pensiero di quel mattino lontano, incapace di continuare a seguirne le tracce. Sapere di aver dimenticato è un tormento che tuttavia conserva in sé il seme della speranza, ciò che non troviamo più nella memoria potrebbe, prima o poi, tornare in modo inatteso; a me non accade più ma per ora riesco a fingere che non sia così. Dimenticare di aver dimenticato, quello è il terrore più grande, perdere qualcosa di prezioso senza nemmeno rendersene conto. L’Alzheimer avanza, inesorabile come la marea, e sommerge poco alla volta l’arcipelago dei miei ricordi. A me non resta che vagare sulle spiagge della memoria, guardando il passato che scompare all’orizzonte.