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1 Entrò in classe,lui,imponente,massiccio,con l
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Entrò in classe,lui,imponente,massiccio,con l’aria sussiegosa di chi pensa di sapere tutto della
vita,ma che,in realtà,sa poco o,addirittura,niente. Il volto,però,non aveva la stessa altezzosità
dell’atteggiamento,anzi,mostrava un viso mite e sorridente,quasi fosse la bontà fatta persona.
Con fare minaccioso si sedette alla cattedra e,come faceva tutti gli anni, fosse cascato il
mondo,pronunciò queste strane parole agli alunni del primo anno di filosofia:
- Per Parmenide,pensare ed essere,e dunque esistere,coincidono. Voi che non siete filosofi,non
siete capaci di pensare,dunque siete il “non-essere”,e dunque non esistete;io,invece,sono un
filosofo,e dunque penso;quindi sono “l’essere”,e dato che “l’essere” è Dio,io sono DioCome avrete ben capito,questo è un professore di filosofia: se poi insegnasse presso un liceo
classico o un liceo scientifico , se in una città, un tempo felice, lungo la via Emila o sotto le
pendici dell’Etna, non è proprio il caso d’indagare .
Eh,insomma,ad una prima occhiata si sarebbe potuto dire che era una persona un po’ fuori
norma…niente di più sbagliato!
Questo,purtroppo,non era un passo o due oltre la norma:lui ormai era andato così oltre la norma
che nemmeno col telescopio Hubble l’avrebbe ritrovata,e a lui andava bene così; ma forse è più
probabile che non se ne rendesse conto.
Comunque,dopo aver scomodato il povero Parmenide,si alzo,uscì dalla stanza,e un minuto dopo
tornò con in mano una borsa da viaggio blu,ricolma,pensavano gli studenti, di manuali o di opere
di filosofi che magari avevano solo sentito nominare: Giordano Bruno, Sartre, Aristotele
Nietzsche….
Non era assolutamente così.
Era invece piena di videocassette e dvd (adorava i film),e di strani di libri sugli argomenti più
strampalati e bislacchi: I calzini di Immanuel Kant, oppure Fragole o funghi? Antropologia di una
cucina cosmopolita, ma anche Hegel in pasticceria:fenomenologia del cornetto, tematica questa, a
suo dire, di non poco conto e che lo stava appassionando in modo del tutto particolare.
Poi,proprio vicino al suo astuccio,dove teneva solo matitine di non più di due pollici e mezzo di
lunghezza,era posta una bustina di carta con una merendina,che,di solito,dopo la prima ora di
lezione era già stata divorata.
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Ma,soprattutto,in quella borsa c’era qualcos’altro, ed era molto,molto importante:le sue
illustri,famosissime dispense1, pura emanazione di Dio,o,come gli piaceva dire, “Dio stesso che
tracima”:riempiva, inondava i suoi studenti delle sue “opere” le quali,checché ne dicesse,erano un
concentrato di aneddoti, bislaccherie, e sue annotazioni,confutazioni,interpretazioni(alcune volte
addirittura “miglioramenti”),e di tanto in tanto,magari in una noticina a margine ,qualche briciolo
di filosofia,che,però,andava dispersa nel gran mare di cianfrusaglie che scriveva;come ad esempio
la dispensa su Peter Pan e la cioccolata(imperdibile!),o quella su Kant e gli orologi di Königsberg
o ancora,e questa era stata votata all’unanimità come migliore opera, quella su Nietzsche che
sussurrava ai cavalli…
E non sarebbe nemmeno diventato un problema se la sua opera fosse stata solo un aiuto per meglio
comprendere la filosofia ; no ,le sue dispense andavano studiate rigorosamente a memoria e
ripetute con la stessa cadenza con cui lui le recitava ai suoi alunni:ovviamente nessuno lo faceva.
Infatti durante le interrogazioni,seduti vicino alla cattedra, questi poveri malcapitati nascondevano
agli occhi del professore queste “Wunderkammern” e si limitavano a leggerle per la prima volta
davanti a lui,che godeva nel sentire studenti recitare a pappagallo tutta la saggezza che aveva
riversato nei suoi discepoli. E tutto questo poteva andare bene per gli studenti del terzo e del quarto
anno,ma per quelli del quinto che avrebbero dovuto portare tutta quella saggezza all’Esame di
Stato diventava veramente un problema:così tutti gli anni si assisteva alla solita sceneggiata tra lui
e i rappresentanti di classe che cercavano di ridurre il programma di filosofia, lottando
disperatamente contro la sua “opera” per portare meno saggezza possibile all’esame mentre lui
continuava ad aggiungere dispense su dispense ed autori su autori affinché loro facessero “bella
figura” davanti alla commissione.
E si poteva andare avanti con la discussioni anche per delle ore o dei giorni, ma alla fine era
sempre lui il vincitore di quello che oramai tutti chiamavano il bellum fasciculorum 2:e gli studenti
si ritrovavano a dover portare per l’esame un programma di filosofia che partiva dall’alba dei
tempi e finiva…; no,non finiva affatto;ovviamente durante la prova orale gli altri professori non
sapevano se piangere o ridere:
-Mi dica Lamberti,quali sono i tre stadi dell’esistenza secondo Kierkegaard?1
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Fascicoli tematici o monografici curati dal docente in sostituzione del manuale di Storia della Filosofia
“Guerra delle dispense”
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-Ehm,no quelli non li so,ma se vuole le posso dire tutti i motivi della rottura tra lui e Regina
Olsen,le interessa?-No,evitiamo. Mi esponga,allora,la seconda topica di Freud.-La seconda topica?Uhm,non la so,ma lei sa, professore,che nel film della Disney “Bambi” c’è un
chiaro riferimento al complesso edipico?-Sinceramente no,ma non è questo l’importante. Beh,visto che non sa nemmeno questo le faccio
un’ultima domanda,semplice semplice:Cos’è il velo di Maya?-Ehm,si parla di…
-Heidegger,ovviamente…
-Ah,già,di Heidegger!-Ma che dice?!Stiamo parlando di Schopenhauer!
-Già,è vero,mi scusi;comunque non so cosa sia il velo di Maya. Ma so tutto sulle divergenze tra
Schopenhauer ed Hegel quando erano insegnanti universitari…E a questo punto,in genere,l’esaminatore di filosofia di turno si arrendeva o,addirittura,si alzava ed
usciva dalla stanza,con estrema vergogna dell’esaminato e dei commissari interni,che avrebbero
strangolato volentieri il nostro eroe.
Ora,al sentire citare questo Parmenide,alcuni studenti sentirono un brivido lungo la schiena,altri si
sentirono intimoriti,altri ancora rimasero a bocca aperta,quasi a dimostrare tutta la loro
ammirazione…
Ma poi il professore fece una cosa che nessuno in quella stanza, men che meno quei poveri
sprovveduti,si sarebbe mai aspettato:frugò per un po’ nella borsa ed estrasse quello che sembrava
un quadernino,ma che nascose subito sotto la giacca con un movimento così rapido da non dare
neanche il tempo di intravederlo. Gli studenti avrebbero poi appreso che lì avrebbe segnato i voti
delle loro interrogazioni. Si avviò poi al centro della stanza e mostrò “Il Gattone”,come lo
chiamava lui(in pratica:un quaderno che aveva un gatto sulla copertina),e cominciò solennemente:
-Osservate e ammirate il Gattone. Prostratevi e inchinatevi al suo cospetto perché lui sarà il nostro
totem,il nostro spirito guida durante gli anni impetuosi della filosofia. E ora un bell’applauso!!Come mai un gatto,o,meglio il “Gattone”?Perché lui adorava i gatti,li amava - è proprio il caso di
dirlo -alla follia;li vedeva ovunque,e diceva di averne centinaia a casa sua,che,naturalmente,vedeva
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solo lui,mentre in realtà ne aveva solo due:magrolini,spelacchiati,malmessi perché si dimenticava
di curarli o di dar loro da mangiare;e sarebbero sicuramente morti se non li avessero nutriti il
padre o i vicini di casa…
Gli studenti rimasero sbalorditi:qual era il significato di un tale comportamento?Era forse
ammattito?O li stava semplicemente prendendo in giro?Queste e molte altre erano le domande che
attanagliavano quelle povere menti;così dopo un silenzio imbarazzante,per assecondarlo(i matti,si
sa,è meglio assecondarli) partì uno scroscio di fragorosi applausi che risuonarono per tutto il
liceo…
Eh,poveri studenti!Che insegnante di filosofia avevano incontrato!
Erasmo-questo era il suo nome- non aveva proprio alcun dubbio:era convinto di essere un dio,e ogni
momento era utile per ribadirlo,e partivano,così,dissertazioni filosofiche con cui cercava di
dimostrare di avere origini divine,che se ovviamente non avevano presa sugli studenti tanto meno
ne avevano sui colleghi che si limitavano o a compatirlo in silenzio o a ridergli dietro le spalle. Ma
lui sembrava non accorgersene,sembrava contento e beato in quello stato di pazzia;e gli studenti ne
approfittavano…
Infatti,subito dopo il primo giorno di lezione,i ragazzi del primo anno venivano bene istruiti da
quelli degli ultimi anni su vita,morte e miracoli di quest’uomo,su trucchi e strategie,anzi,sull’unico
trucco che poteva essere utilizzato contro note,votacci,interrogazioni a sorpresa e cazziatoni vari,in
una sorta di lavacro generale:portare al prof. una bella torta!
Non importa se una crostata di frutta,una sacher,o una torta alla crema,l’importante era fargli
muovere quelle fameliche fauci,che durante la giornata erano sempre in movimento;tanto che anche
quando non stava sgranocchiando qualcosa la sua mascella ripeteva automaticamente il gesto del
masticare. E adorava a tal punto le torte che quando gliene veniva mostrata una sulla
cattedra,perdeva completamente il lume della ragione(come se mai ne avesse avuto uno…),e si
dimenticava,appunto d’ interrogazioni e verifiche. Naturalmente questo suo punto debole prestava il
fianco a scherzi più o meno cattivi con cui i suoi studenti lo tormentavano:come quella volta che al
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posto dello zucchero a velo sbriciolarono un gesso e lo sparsero sulla torta senza che lui se ne
accorgesse;anzi,a fine pasto si era addirittura complimentata con l’autrice di tanta delizia, che,
ancora disgustata, non riusciva proprio a capacitarsi d’una voracità così insana.
Quindi,dopo il primo giorno di “filosofia” questi nostri “Aristotele in erba” perdevano qualsiasi
interesse per la disciplina e durante le sue ore non facevano altro che prenderlo in giro,senza che lui
si scomponesse o rispondesse. Non era difficile,infatti,che durante le sue ore si vedessero intere
flotte di aeroplanini di carta volare per la classe,oppure persone che,come iniziava la sua
ora,uscissero per andare a fare colazione in centro(e naturalmente tutte le volte un bel croissant alla
crema veniva offerto al professore);e tutto continuò così per l’intero anno scolastico,finché l’ultima
settimana di scuola, il prof.Erasmo invitò tutte le classi a casa sua per festeggiare l’inizio delle
vacanze:un invito strano,venuto da una persona ancora più strana,che non prometteva sicuramente
niente di buono…
Il giorno stabilito,dunque,tutti,eccitati e curiosissimi,si fiondarono presso la sua abitazione,che si
trovava in un paesino,sperduto in mezzo al nulla,dove c’erano più animali che persone;e,infatti,non
poco faticarono a trovarla,e girovagarono per ore prima arrivare a quel “regal Parnaso”, come
appunto era solito chiamarla.
Ma quando finalmente tutti arrivarono la sorpresa fu strabiliante…
L’aveva sempre descritta come una bellissima magione da far crepare d’invidia perfino la reggia di
Versailles,un luogo incantato,dove vivevano satiri e ninfe,dove dei e dee potevano consumare i più
candidi amori,una sorta di paradiso in terra,dove scorrevano fiumi di latte e miele e gli alberi
producevano frutti spontaneamente;ovviamente, i suoi alunni non si aspettavano certo di trovare
tutto ciò,ma quanto meno,una bella villetta con giardino e piscina annessi. In realtà,le cose stavano
ben diversamente:era una vera catapecchia,fatiscente,sporca,probabilmente anche poco a norma;il
giardino(se proprio si volesse chiamarlo così)era orrendo,tanto che le piante più belle che si
potessero trovare erano erbacce secche,e l’erba era talmente alta che chi era più basso di un metro e
settanta doveva essere preso in braccio per superarlo;si poteva vedere,poi,sul lato est,uno stagno
pieno di rospi e zanzare:probabilmente la cosa più malsana che quei poveri studenti avrebbero visto
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in tutta la loro vita;non oso immaginare quali ninfe facessero il bagno in quel bacino di virus
endemici…e le sorprese non erano ancora finite…
Ad accoglierli,infatti,arrivò lui,ma non con la solita giacca nera e la cravatta azzurra come era
solito;no,indossava una vestaglia giallognola,tutta sporca e sgualcita,che non gli arrivava alle
ginocchia,lasciando intravedere delle caviglie bianche e malaticce,leggermente nascoste da due
ciabatte sinistre di due colori diversi. Inoltre,aveva l’aria malandata,nonostante fossero passati solo
tre giorni dalla fine della scuola:i capelli unti e arruffati,una barba incolta che neanche Feuerbach..,e
poi le unghie mangiate quasi fino alla pelle (forse a causa dell’astinenza da torte).Insomma,non era
proprio uno splendore…
-Entrate,entrate pure nel mio piccolo Olimpo!-Ma prof.-risposero tutti in coro-non sembra proprio l’Olimpo!-Ma che dite?!Non vedete che splendore?-Veramente no…-Quisquilie,entrate,entrateUna volta dentro,videro subito il padre di cui tanto avevano sentito parlare:un arzillo(si fa per dire)
vecchietto di poco meno di cent’anni,in condizioni pietose,costretto dall’artrite a starsene quasi
sempre su una poltrona ad ascoltare vecchie mazurche che gli ricordavano i bei tempi andati.
E le poche volte che riusciva ad alzarsi era solo per riprendersi quella fettina di prosciutto che i due
poveri gatti riuscivano a rubargli dal piatto quando cadeva addormentato durante la cena:e le due
povere bestiole,in condizioni peggiori delle sue,di solito,dopo una dura lotta per contendersi quel
succulento pasto,dovevano cedere perché troppo deboli per riuscire ad avere la meglio.
Eh,già,viveva ancora con il padre;che non faceva altro che rimproverarlo perché non aveva trovato
un bel lavoro,perché non si era fatto una famiglia,perché non gli aveva dato dei nipotini;e poteva
andare avanti per delle ore senza nemmeno fare pause per respirare,ed Erasmo lo
ascoltava,annuendo ad ogni suo rimbrotto,con un sorriso ebete stampato sulle labbra,fino a che la
radio non riprendeva a trasmettere le sue adorate mazurche.
Cominciarono poi a perlustrare la casa,formata di giusto tre stanze:un bagno,la cucina-soggiorno e
la camera da letto.
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Il bagno era forse peggiore dello stagno fuori.
La camera da letto era piccolissima:c’erano solo un armadio(al cui interno Erasmo custodiva
gelosamente le sue immancabili giacche) e un letto a una piazza e mezzo,dove era costretto a
dormire col padre(che,fortunatamente,non era un omone come lui).
Finita la perlustrazione,si riunirono tutti in soggiorno,per gustare il banchetto che il professore
aveva promesso;e che banchetto!
Sul tavolo c’erano solo una torta tagliata quasi in briciole affinché tutti ne avessero un pezzo,e una
bottiglia di spumante,che più che invecchiato doveva essere andato a male:era proprio una tavola
imbandita degna di un re:
-Favorite,ecco per voi nettare e ambrosia!Tutti,a sentire quelle parole,e davanti a un volto così sorridente come il suo,si vergognarono,e
assaggiarono quegli atomi di torta solamente per non offenderlo.
E allora tutti cominciarono a capire:ora capivano perché si comportava in quel modo.
Non lo faceva per prenderli in giro o perché fosse effettivamente impazzito;no,la spiegazione era
un’altra…
La vita era stata estremamente crudele con lui:dopo una giovinezza spensierata e una carriera
universitaria favolosa,avrebbe potuto fare tutto nella vita; ma la morte della madre poco dopo la
laurea,e la malattia del padre infransero tutte le speranze del povero Erasmo,che non aveva quindi
potuto trovare il lavoro dei suoi sogni,o farsi una famiglia,o fare tutto quello che aveva sempre
desiderato. Aveva,quindi,trovato una sola soluzione al logorio di quella vita per lui così
frustrante:rifugiarsi in un mondo immaginario,dove poteva dar sfogo a tutte le sue fantasie:un luogo
magico,solo per lui,dove i problemi non potevano entrare,dove poteva discutere con Zeus o
amoreggiare con Afrodite;e non importava che fosse la Civitas Dei agostiniana o la Repubblica di
Platone,l’importante era allontanarsi per un po’ dallo squallore di una vita che gli aveva negato ogni
cosa bella.
Purtroppo lo scoramento era stato così grande che una volta partito per quel mondo favoloso,non
era più voluto ritornare,e lì era rimasto;e non si rendeva più conto della realtà, perso tra eroi e
naiadi.
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Quest’uomo aveva avuto in sorte dalla natura un carattere sensibilissimo:a tanto era stato ridotto
dalla sua filosofia.
E solo adesso i suoi studenti, divenuti improvvisamente seri, capivano:capivano perché diceva che
tutte le estati andava in villeggiatura ai Campi Elisi,o che tutte le mattine Apollo lo accompagnava a
scuola sul carro del Sole.
Ma,questa volta,anche i gatti del prof. Erasmo avevano smesso di ridere sotto i baffi: neanche loro
riuscivano più a giocare con le “sfere perfettamente rotonde di Parmenide” 3.
Abstract: Il professor Erasmo insegna filosofia in un liceo di un paese che non so;grand’uomo(in
tutti i sensi),alquanto eccentrico,tanto da credere di essere un dio,a cui non importa nulla di ciò che
gli accade intorno. Ma questa è soltanto una maschera:il rimedio contro l’illusione-delusione della
vita che lo aveva condannato a un’esistenza squallida,costringendolo a vivere col padre malato e i
suoi due gatti;a malincuore,i suoi studenti ne sentiranno il dramma,dopo aver avvertito il contrario
in classe
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Parmenide descrive l’essere di cui parla con la metafora di una «sfera perfettamente rotonda»
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Tematica:La novella si ispira alla concezione umoristica della realtà di Pirandello,teorizzata
soprattutto nel saggio L’umorismo,pubblicato nel 1908.