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Il paesaggio della candidatura
Come e perché attivare una Piattaforma Paesaggio nell’ambito
della candidatura di Venezia con il Nordest a Capitale Europea
della Cultura 2019
di Claudio Bertorelli*
Impatto paesaggio
Quale vento soffia nella città contemporanea a Nordest?
In questa fascia di provincia italiana si concentra ormai il meglio e il
peggio di ogni grande città. Da un lato: crisi della mobilità, rischio sicurezza,
ritardi nei servizi, costi alti della casa, fasce periurbane degradate e senza
alcuna storia da raccontare. Dall’altro: centri storici non più minori divenuti
appetibili, paesaggi di grande valore, pezzi di natura intatta, pressione sociale
contenuta, rete creativa da guinness e visibilità economica sui mercati
internazionali. Una condizione complessa, nella quale è difficile capire quale
delle due anime stia prevalendo e quali i progetti strategici da attivare. Verrebbe
voglia di semplificare tutto e darle un nome, Metropoli, ma ciò rischia di spingere
il dibattito verso un ragionamento che sembra retorico ancora prima di dargli
forma.
Il primo passo da fare è piuttosto quello di chiedersi quale sia lo stato
dell’uomo in un territorio in grado di produrre bisogni frenetici e,
contemporaneamente, esaudire ogni desiderio generato, favorire la mobilità
restituendo però in cambio una sempre più asfissiante dipendenza da code e
ritardi, invogliare a raggiungere i salotti buoni per poi generare l’opposto
desiderio di una vita in campagna. Un territorio che in cinquant’anni ha saputo
cambiare fonte economica primaria (prima micro-agricola, poi micro-industriale,
ora polverizzata), mobilità sociale (prima si andava nella piazza con il
campanile, oggi all’outlet più vicino) e densità urbana (prima orientata per poli
storici e assi viari primari, oggi spalmata in funzione della presenza di hub
economici) e lo ha fatto, cosa non trascurabile, indipendentemente dalla propria
massa critica: perché il tempo di attesa in auto è identico a Conegliano Veneto
e a Verona, così come lo è sempre più il miraggio di poter acquistare il pane
sotto casa.
E’ un modello di vita accelerata che ha portato il Nordest a mutare in
fretta le proprie regole centenarie, fino a divenire un organismo dissociato:
autodromo perfetto, urbanizzato e illuminato; paesaggio a rischio dissolvenza
(Pasolini se ne accorse non vedendo più le lucciole); sede privilegiata di merci
che si spostano senza distinzione di genere, animate o inanimate che siano.
Si prefigura il rischio di una nuova Babilonia o, appunto, di una metropoli
inconsapevole tesa a promuovere un “progresso scorsoio” (A. Zanzotto) fatto di
vite accessoriate ad alto prezzo, macchina sempre accesa e in coda, case fulloptional a tre vani e basso indice di benessere? Se così fosse ci ritroveremmo
di fronte al più grande fallimento della storia italiana e, per uscirne, potremmo
solo ricorrere ad atti di dissidenza capaci di generare nuove visioni che
permettano anche all’outlet vestito di merli in cartongesso di abbandonare un
linguaggio pseudo-rassicurante e ipocrita. Perché non esiste un sovraccarico di
luoghi commerciali, industriali, residenziali, ma piuttosto una scarsa capacità di
immaginarli attivi nello spazio contemporaneo e aderenti al reale servizio dei
bisogni dell’uomo.
Quindi, più che trasportati dal vento che soffia, dobbiamo essere
guardiani del faro che vigila sul Nordest.
Ambiente Paesaggio Territorio. Ecco tre termini da cui partire, legati tra
loro da vincolo circolare, costretti a rincorrersi senza mai trovare la giusta
definizione reciproca e, oggi, usati abusati e rapinati in nome di una tutela che
non trova risultato non certo solo a Nordest. Eppure in modo semplice
potremmo dire che il territorio si fa con le regole amministrative e le
infrastrutture, l’ambiente con la chimica degli elementi cosmogonici e artificiali, il
paesaggio con la cultura dell’uomo; che i tre producono effetti diversi ma
restituiscono, se indovinati, la capacità dell’uomo di rappresentare la storia del
proprio tempo. Per dirla con un brillante scioglilingua di Rosario Assunto “il
Paesaggio è la forma che l’Ambiente conferisce al Territorio” (Il paesaggio e
l’estetica, Giannini, Napoli, 1973). Oppure con una sintesi di Franco Farinelli:
“…se tra i sensi del mondo il paesaggio è un’icona e lo spazio è un indice, il
territorio è un simbolo…” (Farinelli 2009, La crisi della ragione cartografica, p.
10, ed. Einaudi).
Il paesaggio è azione dunque (“Paesagire …” diceva sempre Andrea
Zanzotto), è più di natura e cugino diretto di alcune grandi presenze che
popolano il Nordest:
- Il Corridoio 5, la superstrada Pedemontana e il Sistema Metropolitano
di Superficie, infrastrutture che andranno ad incidere e micro-incidere
molti ambiti del territorio veneto. Addirittura la superstrada
Pedemontana, attestandosi nella fascia collinare di mezzo, fungerà da
ultima grande circonvallazione esterna nel sistema metropolitano (!?!),
luogo del metalmezzadro e di quelle variazioni di paesaggio che hanno
arginato un possibile fenomeno sprawl e garantito future partite turistiche
(queste sì a basso impatto…).
- I capannoni. Dice il paesaggista Franco Zagari: “È finita l’era del
capannone? No. Lo abbiamo, ora dobbiamo evolverlo. Dove sarà utile lo
demoliremo, in qualche caso lo sostituiremo con un suo parente più
consono ai tempi. Nella maggioranza dei casi, almeno in principio, si
tratterà di adeguarlo a principi energetici attivi e passivi e di renderlo più
decoroso, con progressivi trapianti di pezzi o anche solo con interventi di
lifting”. Un recente workshop dal titolo “Capannone senza padrone” ha
aperto il dibattito sul loro futuro. Il passaggio all’economia dei saperi si è
sommato alle crisi incrociate degli ultimi anni e ciò ha messo fuori gioco
moltissimi volumi industriali; la recente crisi del manifatturiero ha reso
ancor più palese che a Nordest non è risolta la delicata convivenza tra le
comunità locali e i luoghi della produzione; il modello di produzione è
cambiato e con lui il modello di stoccaggio dei prodotti; sono presenti
casi di capannone rurale in area collinare, capannone periurbano cinto
da edilizia consolidata, capannone che impedisce il completamento dei
tessuti sociali, capannone inadeguato a raccogliere le sfide in materia di
risparmio e razionalizzazione energetica, e così via. Quindi sono
capannoni senza padrone, dismessi in età troppo giovane per essere
accettati da una cultura che li rifiuta e li denuncia. Eppure rappresentano
un caso tipologico tra i più flessibili che possiamo ricordare, perchè il
passaggio al telaio strutturale li ha resi praticamente indifferenti ad ogni
destinazione d’uso, quindi in grado di assorbirle tutte. Ne deriva che da
essi possono scaturire le migliori riflessioni su un’area, quella della
Pedemontana veneta, in cui il Paesaggio è andato modificandosi a colpi
di “un capannone per campanile”.
- L’ acqua, mezzo attraverso il quale rimettere in gioco moltissimi luoghi
del Nordest. Fra mille paesaggi diversi di questo straordinario contesto
l’acqua ha tutta la ricchezza di un elemento fondamentale del cosmo, la
sua struttura fisica, così come la sua essenza filosofica. A cominciare
dalla sua immagine complessiva di grande sistema essa ha sempre
avuto un alto valore simbolico nelle vicende umane; anche a Nordest è
stata elemento generatore in molte fasi della sua storia (si pensi alle
pianure della bonifica sul fronte lagunare e alle fasce pedemontane rese
coltivabili dalle grandi opere di derivazione idraulica) e oggi torna
prepotentemente ad assumere un ruolo di connettore sociale, turistico
ed urbano con le sue molte dorsali. Solo nel Trevigiano il Piave, il Sile e
il Livenza danno vita ad un sistema capillare di canali, rogge, prese e
derivazioni che interagiscono fortemente con lo spazio abitato. La
candidatura deve quindi accelerare le proposte finalizzate al
completamento della mobilità dolce lungo i corsi d’acqua.
- I corridoi ecoturistici, parchi lineari di scala urbana ed extraurbana, che
in ottica Capitale Europea della Cultura divengono il luogo del loisir attivo
e di tematismi contemporanei. Una tale tipologia ben si presta ad
intercettare bandi e visioni di scala europea (si pensi al parco
transfrontaliero del Carso triestino ed al recente concorso per la
realizzazione del progetto “Drava Piave Fiumi ed Architetture” previsto
nell'ambito del programma Interreg IV A Italia – Austria).
- Il paesaggio rurale. La candidatura può restituirgli dignità e non a caso
alcune indagini (es. “Rethinking Happiness” di Aldo Cibic) hanno aperto
un rinnovato fronte di lavoro sulla sostenibilità delle comunità rurali. Tra
l’altro le stesse arterie carrabili di breve scorrimento possono trovare nei
paesaggi rurali un nuovo sedime di appoggio alternativo all’immagine
delle strade senza qualità di oggi.
- Le comunità culturali e creative, che già oggi rendono il Nordest un
territorio ad altissimo contenuto di innovazione, una “Innovetion Valley”
(così l’ha battezzata Cristiano Seganfreddo) capace di concorrere su
scala mondiale al diffondersi dell’economia della conoscenza. Moda,
design, perfino food design, nuovo artigiano, festival, nuove piattaforme
e workshop dedicati rappresentano i paesaggi culturali sui quali misurare
la lunghezza delle nuove reti di senso che la Capitale Europea della
Cultura saprà creare.
Ma si badi, il protagonista di tutti questi scenari è sempre lo stesso, il
Contesto. Un rebus irrisolto per tutti i decisori. C’è da chiedersi: è il contesto che
comanda o siamo noi che facciamo il contesto? Su questo sempre si dibatte, da
ultimo nell’ambito della Biennale Architettura 2010 “People meets in
Architecture”, cercando di trovare il giusto limite in cui collocare il progetto di
paesaggio, la cui fortuna è sempre più figlia di piccoli atti di sensibilità culturale
e economica (altrimenti Yunus non avrebbe vinto il Nobel …).
Purtroppo il continuo dare importanza alla dimensione dell’intervento
piuttosto che al suo valore ci ha tolto l’allenamento alla visione. Eppure oggi
viviamo in città che non hanno mura, in un mondo “che non ha più un esterno”,
ed è possibile immaginare le grandi trasformazioni come il “risultato di micro
interventi” (A. Branzi); rinunciando ai processi di mimesi delle opere necessarie,
liberando la conoscenza e mettendola al servizio delle piccole opere in un’ottica
di grande disegno, indagando le potenzialità di modelli urbani meno rigidi, nei
quali gli ambiti estremi della produzione diretta e del loisir siano più vicini. Ecco
una prima prospettiva futura per i capannoni a Nordest: sfruttarne l’implicita
flessibilità e la collocazione in fasce destinate ad essere saturate, renderli il
fulcro dei nuovi stili di vita, oggi non più differenti tra piccola e media città.
Per far ciò è urgente dare gambe alla nuova idea di paesaggio e
trasferire alle nostre comunità il linguaggio della Convenzione Europea in
materia, per la quale argini e tunnel, strade e nuova TAV, nuove ciclopedonali
su vecchi tracciati, barriere architettoniche e piccoli ponti, vettori e produttori di
energie rinnovabili, rappresentano tutte infrastrutture strategiche per una
candidatura forte.
Paesaggi as found
Con l’entrata in vigore della Convenzione Europea di riferimento il
paesaggio ha assunto un definitivo significato complesso. Il termine non vuole
più, o meglio non solo vuole, rappresentare il cinquecentenario orizzonte di
indagine da parte di pittori e poeti sulla natura abitata (si dice che “La fuga in
Egitto” di Tiziano rappresenti l’atto di nascita del paesaggio), ma piuttosto
giunge ad inglobare nel suo stesso significato quello delle comunità abitanti fino
ad oggi rimaste di sfondo nella tela degli autori. Il paesaggio ora si alimenta e si
manifesta non solo dove è presente o prevale un ambiente naturale, ma in ogni
luogo in cui sia attiva una comunità, ed è quest’ultima a metterne in moto i
progetti, che si tratti di un semplice marciapiede o di una grande infrastruttura.
In tale ottica va segnalato il bel progetto di Paolo Burgi finalizzato a realizzare
lungo i tratti del Mose di Venezia una passerella a servizio dei manutentori e dei
visitatori.
Ma parlare di paesaggio a Nordest non ha senso, perché esso è un
territorio plurale, che cambia ogni 50 km e con esso le comunità che abitano.
Ha quindi molto più senso parlare di paesaggi, dei quali riconoscere le rispettive
invarianti, sapendo che una non prevale sull’altra, semplicemente perché
ognuna di esse conserva uno spiccato radicamento identitario.
Ed inoltre bisogna accettare di ragionare sull’“as found” (il “come
trovato”), già titolo di uno dei più avanzati convegni internazionali svoltosi a
Copenaghen nel 2010. Solo con questa presa d’atto è possibile mettere fine al
senso del lutto che ancora si respira a Nordest, terra in cui si reclama a gran
voce la demolizione dei capannoni ignorando che essi rappresentano ancora un
credito finanziario presso gli istituti bancari che ne hanno garantito
l’edificazione. Di male in peggio se, oltre a definirla diffusa e confusa, questa
città la lasceremo “illusa” nell’idea di sfruttare il proprio passato per rilanciare sul
futuro. Al contrario oggi serve più che mai il coraggio dei grandi per andare oltre
il messaggio della città storica (composta da semplice tessuto e monumenti),
verso la città contemporanea (composta, ad esempio, da verde e capannoni, le
cui relazioni sono tutte da indagare) e oltre il mantenimento delle discipline
come contenitori di saperi predeterminati. Oltre l’idea di paesaggio come “bel
paesaggio” vince il paesaggio come anti-disciplina.
Questioni di paesaggio
Ecco alcune questioni su cui rimanere vigili:
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IBRIDAZIONE. Non c’è più distinzione tra centro e periferia; il Nordest è
centro e coagulo di varie comunità.
FLUIDIFICAZIONE DELLO SPAZIO. Lo spazio è sì oggettivo ma anche
soggettivo, ha una curvatura a seconda della persona che lo vive, non è
solo basato sull’origine ma ha un’identità scelta (sei andato dove ti
sembrava di stare meglio). Lo spazio fluido ci consente una mobilità che
vogliamo riempire.
DISEGNO DELLA CITTÀ. Dobbiamo ricostruire questa città infinita che
oggi abbiamo delegato all’automobile. La città va ricostruita a 3 livelli: la
città quotidiana (che dà ancora prossimità), la città metropolitana (che ha
un gate sul limite della città quotidiana e che consente una mobilità dei
servizi quotidiana), la città globale.
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CITTA’-PAESAGGIO. Il Nordest è oggi un Sistema che supera la
suddivisione del “comando per campanili”, eredità identitaria che ha
preservato molte specificità locali ma oggi limita l’individuazione di una
massa critica e soprattutto l’affermazione del paesaggio come bene
comune.
ARCIPELAGO. Nella città-paesaggio con pattern ad arcipelago il
paesaggio svolge un ruolo connettivo e strutturante, allo stesso modo in
cui nella Venezia lagunare lavora lo spazio acqueo. Il paesaggio si
propone come infrastruttura primaria della nuova città (o metropoli) e
come connettore di relazioni umane.
COSTELLAZIONE. Il paesaggio va visto come un’infrastruttura fondata
sulle criticità provocate dalle trasformazioni, su quanto generalmente é
percepito come scarto o come imperfezione, purché noi assumiamo il
valore di sistema di queste possibili "risorse" da riciclare. Fabbriche
dismesse e capannoni, cave in disuso o installazioni militari
abbandonate sono gli elementi connotanti del vero ritratto del Nordest e
di nuovi paesaggi identitari della metropoli diffusa.
ITINERANZA. Ma questi sistemi connotanti la citta-paesaggio
metropolitana, quindi la sua possibile cultura in evoluzione, acquistano
senso soprattutto se considerati secondo la componente dinamica,
itinerante e lenta del paesaggio, che consente una percezione non
distratta di esso. Il paesaggio si percepisce attraverso un'esperienza
immersiva, multisensoriale, attraverso il vissuto e l'azione performativa.
La Capitale Europea della Cultura può essere giocata in primo luogo su
relazioni, mobilità, eventi performativi, comunità culturali temporanee.
La candidatura può
Come non cogliere dunque l’occasione della candidatura di Venezia con
il Nordest a Capitale Europea della Cultura 2019 per recuperare il terreno di una
conoscenza perduta sul paesaggio, che ci fa pensare ad esso come ad un
miraggio naturale piuttosto che ad un intelligente limite di contrapposizione con
la natura creato dall’uomo? Per far questo la Comunità va riproposta al centro
della scena, animata da più identità e meno folklore.
La candidatura al 2019 deve proprio darsi il compito di mappare le
invarianti e i nodi che stanno attivando questi nuovi paesaggi appena descritti.
Lo possono essere le Università, le Fondazioni, i centri studi, gli ordini di
competenza e i nuovi osservatori regionali; ma anche e soprattutto i luoghi
informali e le “comunità consapevoli” che hanno costruito il proprio paesaggio, i
nuovi manifesti di paesaggio, le riviste, i magazine e i portali web di tendenza.
La candidatura può inoltre divenire un ottimo veicolo per riconoscere un
principio di tutela ai “luoghi in” (quelli cioè che già oggi identifichiamo con il bel
paesaggio) e per accreditare nuove logiche di senso ai “luoghi off”, luoghi che
oggi “si pongono simultaneamente alla vista” (questa la definizione di
Paesaggio che dà lo Zanichelli …) senza restituire alcun valore di qualità: i
luoghi del rifiuto, i cosiddetti “paesaggi del no”, i capannoni, le cave in disuso, le
installazioni militari abbandonate, i luoghi di resto, le fasce pedemontane né
urbane né rurali e le conurbazioni indistinte.
Sono tutti lì a testimoniarci che il paesaggio è bene comune. Quindi, se
“Common Ground” sarà il tema guida per la Biennale Architettura 2012, non
appare fuori luogo segnalare che il paesaggio della candidatura potrà affermarsi
mettendosi in ascolto di quel “Common Background” che vive alle spalle della
capitale, Venezia, e che da anni è divenuto un campo prova di paesaggi molto
fertile.
Ecco quindi che la candidatura può, o meglio deve, divenire il coagulo
tra ambienti consolidati, ambienti formali, da formalizzare e informali che
portano con sé una dose di sperimentazione tale da poter definire i nuovi valori
di paesaggio così come richiesto dalla Convenzione Europea. Questi nuovi
livelli di connessione si manifestano nel locale e trovano nella candidatura un
assetto globale di maggior visibilità.
La candidatura può infine, meglio di qualunque nuovo atto normativo,
portare a galla l’atlante interpretativo del paesaggio a Nordest “così come
percepito dalle comunità” (lo dice ancora la Convenzione Europea …) e stabilire
al loro interno un grado di consapevolezza forte. Può scatenare non tanto nuovi
eventi ma piuttosto nuovi programmi di lavoro.
Ancora oggi si leva la voce di Proust: “Il vero viaggio di scoperta non
consiste nel vedere nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”.
* CLAUDIO BERTORELLI
Affronta da anni un percorso di ricerca operativa finalizzata alla costituzione di nuovi modelli nel campo
dell’analisi urbana, della progettazione architettonica e del design.
Nel 2002 ha fondato il Centro Studi USINE e nel 2007 ha ideato il Festival Comodamente, di cui è oggi
direttore artistico.
Dal 2002 al 2010 ha svolto attività di collaborazione didattica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università
degli Studi di Trieste. Per suo conto nel 2002 ha partecipato alla Biennale di Architettura di Venezia con il
progetto NexTrieste, nel 2003 ha ideato e sviluppato LAST – Laboratorio Master dell’Università di Trieste, di
cui è stato responsabile operativo.
Nel 2005 ha fondato Asprostudio, agenzia di Architettura con sede a Vittorio Veneto e Verona, con cui ha
realizzato opere di carattere pubblico e privato.
Ha pubblicato con Franco Zagari “Il valore dell’acqua”, un saggio di analisi sui paesaggi del Veneto Orientale
presentato al G8 Agricoltura tenutosi in Italia, e “Verona Reload”, sintesi di primo programma di lavoro sulla
trasformazione delle ex aree ferroviarie di Verona.
Ha curato workshop di progettazione e programmi di festival a carattere nazionale.
Dal 2008 è membro del Comitato Scientifico del Festival delle Città Impresa, dal 2010 del Comitato Scientifico
della Fondazione Francesco Fabbri e dal 2011 dell’Osservatorio del Paesaggio dell’Alta Marca Trevigiana.