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Dopo Fukushima
Cambiare stile di vita
P
er dare maggior forza al loro appello al governo, i vescovi giapponesi hanno scelto di renderlo pubblico alla vigilia del 17° incontro annuale
dei vescovi cattolici del Giappone e della
Corea del Sud, che anziché tenersi come
previsto a Nagoya è stato spostato a
USCIRE
Sendai, nel cuore della regione sinistrata
dalla triplice catastrofe – terremoto, tsunami, incidente alla centrale nucleare di
Fukushima – dell’11 marzo. Avviati nel
1995, gli incontri annuali tra i vescovi cattolici della Corea e del Giappone si situano all’interno di un cammino di ri-
conciliazione tra i rispettivi paesi, che
condividono una storia contemporanea
ancora segnata dalle ferite della colonizzazione e della guerra. Il 10 novembre in
una conferenza stampa nella cattedrale
di Sendai cinque vescovi cattolici, in rappresentanza della Conferenza episcopale
giapponese, hanno presentato un documento rivolto «a tutti quelli che vivono
in Giappone» e intitolato Chiudere immediatamente le centrali nucleari. Di
fronte alla tragedia dell’incidente all’impianto nucleare di Fukushima Daiichi
(cf. qui sotto).
Il dibattito è oggi al centro del dibattito politico. Il Giappone è stato profondamente segnato dalle vicende di
marzo, e l’opinione pubblica – che si è
spostata dal sostegno al nucleare civile al
suo rifiuto – ha tentato a diverse riprese
di fare pressione sul governo per una revisione della politica energetica nazionale, che releghi l’epoca nucleare al passato.
DAL NUCLEARE
A tutti coloro che abitano in Giappone
L’
incidente nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi,
provocato dal grande terremoto del Giappone orientale,
ha contaminato l’oceano e il territorio con radiazioni, e
ha tragicamente sconvolto la vita quotidiana di un numero
enorme di persone. Tuttora almeno 100.000 persone sono rimangono evacuate dall’area intorno alla centrale nucleare, e
molta gente è costretta a vivere nella paura e nell’ansia costante.
In riferimento ai pro e ai contro delle centrali nucleari, noi
vescovi giapponesi scrivevamo nel nostro documento Rispetto
per la vita. Un messaggio per il ventunesimo secolo: «Il nucleare ha procurato una fonte totalmente nuova di energia per
l’umanità, ma come possiamo vedere nella distruzione della
vita umana in un istante a Hiroshima e Nagasaki, nel disastro di
Cernobyl e nell’incidente di Tokaimura, ha anche il potenziale
per passare immensi problemi alle generazioni future. Per
usarlo efficacemente abbiamo bisogno della saggezza di conoscere i nostri limiti e di esercitare la massima prudenza. Per
evitare tragedie, dobbiamo sviluppare dei mezzi alternativi sicuri per la produzione di energia». (…)
In quel messaggio noi, vescovi giapponesi, non abbiamo
potuto spingerci fino a chiedere l’immediata chiusura degli impianti nucleari. Ma dopo il disastro nucleare di Fukushima ce
ne siamo rammaricati e abbiamo ripensato il nostro atteggiamento. E ora vogliamo levare un appello per la chiusura immediata di tutte le centrali nucleari in Giappone.
Riguardo a questo molti esprimono preoccupazione per un
deficit energetico. Vi sono implicate diverse questioni critiche,
come la riduzione del diossido di carbonio. Ma ciò che più importa è che noi, come membri della razza umana, abbiamo la
responsabilità di proteggere ogni vita e la natura come creazione di Dio, e di lasciare un ambiente più sicuro e senza rischi
alle generazioni future. Per proteggere la vita, che è così preziosa, e la natura, che è così bella, non dobbiamo concentrarci
sulla crescita economica dandoci come priorità il profitto e
l’efficienza, ma decidere subito di abolire le centrali nucleari.
(…)
Certo, l’elettricità è essenziale per la nostra vita oggi. Ma è
fondamentale che noi correggiamo il nostro modo di vivere,
cambiando gli stili di vita che dipendono in misura eccessiva dall’elettricità.
Il Giappone ha una cultura, una saggezza e una tradizione
che hanno per lungo tempo vissuto in armonia con la natura.
Religioni come lo shintoismo e il buddhismo sono basate sullo
stesso spirito. Anche il cristianesimo condivide lo spirito di povertà. Perciò i cristiani hanno il dovere di testimoniare con autenticità il Vangelo attraverso lo stile di vita che Dio si attende:
«Semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia» (Evangelii nuntiandi, n. 76).
Dobbiamo ritornare a scegliere uno stile di vita semplice e sobrio basato sullo spirito del Vangelo, anche quando si tratta di
risparmio energetico. Viviamo nella speranza che la scienza e la
tecnologia si svilupperanno e progrediranno sulla base di questo stesso spirito. Questi atteggiamenti porteranno certamente
a una vita più sicura e tutelata senza centrali nucleari.
Da Sendai, 8 novembre 2011.
La Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone
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Tibet
Buddhismo
Il suicidio
dei monaci
A
giose vanno sostenendo negli ultimi anni
(cf. Regno-doc. 3,2009,106; 9,2009,309),
sarà impossibile affrontare la sfida del
cambiamento senza mettere anche in
questione l’organizzazione delle nostre
società, i nostri stili di vita e il nostro sistema di valori.
Ma, notano i vescovi giapponesi, che
rappresentano la percentuale minima
dello 0,4% di credenti nel paese, il Giappone possiede «una cultura, una saggezza e una tradizione che hanno per
lungo tempo vissuto in armonia con la
natura».
Lo shintoismo e il buddhismo hanno
contribuito a diffondere nella società
questo stile spirituale, e «anche il cristianesimo condivide lo spirito di povertà». Per questo ciascuno è chiamato
a cambiare radicalmente il suo stile di
vita.
Ha specificato mons. Kikuchi Isao, vescovo di Niigata, in un’intervista all’agenzia Fides l’11 novembre: «Chiediamo al
governo di tornare a investire nelle fonti
rinnovabili come l’energia solare. Il nostro
documento non vuol essere politico ma
di natura religiosa e sociale. Contiamo
sul sostegno dei credenti di tutte le religioni».
uto-immolarsi dandosi fuoco è la
forma estrema di protesta, che
con frequenza crescente negli ultimi mesi i monaci tibetani hanno scelto
per reagire alla politica repressiva della
Cina nei confronti del Tibet occupato.
Dal 10 marzo 2011, 52° anniversario
della ribellione tibetana e 3° dei moti anticinesi del 2008, nove monaci e una monaca buddhisti – la maggior parte dei
quali sotto i 20 anni – hanno tentato di
suicidarsi dandosi fuoco, al grido di: «Non
c’è libertà religiosa in Tibet!». Non tutti
sono morti. Si tratta di un gesto estremo
ed estraneo alla cultura tibetana e al buddhismo da essi professato. Balza viceversa agli occhi l’analogia e la concomitanza temporale con il gesto di
Mohammed Bu’azizi in Tunisia, nel dicembre 2010, che ha dato avvio alle rivolte arabe. Il primo caso tibetano risale
al 2009.
8 monaci su 10 si sono dati fuoco
dopo il 26 settembre, giorno in cui un’autorità del Ministero per gli affari esteri cinese aveva dichiarato che «la reincarnazione [del Dalai Lama] deve rispettare le
regole religiose, le norme storiche, le
leggi e i regolamenti dello stato», rivendicando in sostanza il diritto di scegliere
il prossimo Dalai Lama e prefigurando la
fine del buddhismo tibetano. All’ondata
di auto-immolazioni, la Cina per ora ha
reagito indurendo la repressione e la «rieducazione patriottica» dei monaci. Deboli le reazioni da parte degli Stati Uniti
e del Parlamento europeo.
Il Dalai Lama ha ricordato di non aver
mai incoraggiato gesti simili, che vanno
«contro il carattere sacro della vita secondo i precetti buddhisti», ma ha aperto
alla possibilità – contemplata da alcune
correnti – che questi casi possano essere
considerati non come un suicidio, ma
come un tentativo d’influire attraverso il
sacrificio della propria vita sul destino
del mondo.
D. S.
D. S.
11 novembre 2011. I vescovi depongono fiori alla memoria delle vittime dello tsunami su una collina
sopra la città di Ishinomaki, gravemente colpita lo scorso 11 marzo.
I vescovi cattolici avevano precorso i
tempi in due documenti, rispettivamente
del 1999 e del 2001, in cui auspicavano un
abbandono del nucleare e lo sviluppo
delle energie rinnovabili. Anche ultimamente, in agosto (cf. Regno-att. 16,2011,
555), si erano espressi in questo senso,
ma i leader politici sinora si sono dimostrati renitenti a prendere impegni conseguenti. Il nuovo primo ministro Yoshihiko Noda, entrato in carica il 2 set tembre, ha anzi affermato che prima dell’estate 2012 dovranno rientrare in funzione i reattori ora inattivi per motivi di sicurezza o per manutenzione (le centrali
nel paese sono 54), perché è «impossibile» che il Giappone possa fare a meno
dell’energia nucleare nel breve periodo.
Ai vescovi non sfugge il dato di realtà:
il Giappone, che copre un terzo del proprio fabbisogno energetico attraverso il
nucleare, è per il resto totalmente dipendente dall’importazione di petrolio e
gas naturale liquefatto, di cui è il maggior
importatore al mondo. Ma non per questo – sostengono – viene meno la responsabilità degli abitanti di oggi di lasciare alle generazioni di domani un
ambiente sano: di qui la necessità di superare l’attuale epoca energetica legata al
nucleare e ai combustibili fossili. Come
anche altri episcopati e comunità reli-
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