Che ne è stato di lui

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Che ne è stato di lui
Gli alunni della IIIE sono rimasti molto colpiti da un articolo di giornale “THE DARK
SIDE OF THE ITALIAN TOMATO” in cui si racconta la storia di un emigrato ghanese,
Prince Bony costretto ad emigrare per colpa del pomodoro in scatola inviato dall’Italia.
Da qui l’idea di riscrivere la sua storia con “riferimenti puramente casuali”.
Hanno lavorato prima singolarmente poi in gruppo e attingendo dai vari elaborati ne
hanno prodotti quattro.
Questi sono stati proiettati sulla LIM e in modo collettivo è stata scritta la versione che
segue.
L’unico problema: il finale …. Avrebbero voluto un lieto fine, ma la maggioranza ha
preferito la triste realtà!
CHE NE E’ STATO DI LUI?
Sperduto nel cuore del Ghana, in Africa, c’è un piccolo paese Navrongo.
E’ baciato dal sole e strano per un paese africano, è anche ricco d’acqua. Ricchezza
per tutti è la produzione dei pomodori. Una volta colti, i succosi frutti vengono venduti
disposti su banconi nei vari mercati.
Sembra una bella fiaba, ma come succede nelle fiabe un giorno questa ricchezza
svanisce ….
Dal 2000 iniziarono ad arrivare carichi di pomodori in scatola dall’Italia e dalla Cina. I
banconi dei mercati, ricchi di pomodori luccicanti, vennero sostituiti da ammassi di
metallo colorato contenente una salsa, rossa come il sangue, che sgorgava dalle ferite
degli agricoltori ghanesi che non guadagnavano più nulla per riempire la pancia
brontolante dei propri figli.
La maggior parte della popolazione in poco tempo cominciò a prediligere, a quelli
freschi, i pomodori inscatolati perché oltre a costare di meno potevano essere
conservati più a lungo. Di conseguenza i pomodori del posto non vennero più acquistati
facendo cadere in una miseria nera i poveri contadini che vedevano marcire nei mercati
i pomodori da loro coltivati.
Uno dei tanti coltivatori che si vide crollare il mondo addosso fu François Le Blance.
Aveva un piccolo terreno coltivato a pomodori: la produzione e la vendita serviva a
sfamare lui e la sua numerosa famiglia.
I pomodori in scatola: un mostro più forte di loro, li aveva ridotti in miseria.
Una mattina molto presto François sentì bussare alla porta della sua piccola dimora.
Era Guillaume Mon, il suo migliore amico, che nonostante l’affanno, riuscì a sussurrare:
“François oggi ne è arrivato un altro, un altro di quei carichi, ancora scatolame! Non c’è
più tempo dobbiamo andare, scappare, trovare un lavoro altrove o rischiamo veramente
di morire … noi e … i nostri figli!”.
François preso alla sprovvista cercò di elaborare ciò che l’amico cercava di
comunicargli. Dopo qualche secondo di riflessione amaramente disse: “Ok! Dammi
cinque minuti per svegliare Mia e i bambini”. Frank in modo autoritario replicò: “Mi
dispiace, ma non c’è tempo dobbiamo andare!”.
François non discusse troppo perché capì subito che se avesse svegliato la moglie non
lo avrebbe lasciato andar via e poi … avrebbe resistito a vedere le lacrime dei figli?
Lasciò l’amico sulla porta e si addentrò nella baracca. Dopo pochi secondi si ripresentò
con un fagotto sulle spalle, le lacrime agli occhi e con il suo tono deciso esclamò:
“Fammi almeno scrivere qualcosa qui fuori”. E si mise a scrivere con il dito nella terra
davanti all’uscio della propria casa: “Cara Mia, cari figli, sono dovuto partire… per il
nostro … per il vostro bene ... Lo so che in questo momento mi starete odiando per la
vigliaccheria che ho dimostarato non parlandovi di persona, ma non ce l’ho fatta...
Parto, e non so se e quando potrò rivedervi, riabbracciarvi, ma so solo che rimanendo
qui condannerei tutti noi. E’ la speranza per un futuro migliore che mi spinge… per me
… per voi… Vi voglio bene... François”.
Dopo un’ora di cammino si addentrarono nel porto. A quell’ora c’erano solo due
imbarcazioni pronte a salpare. Guillaume mimando le parole per non farsi sentire fece
capire a François che si sarebbero dovuti dividere. L’amico si diresse verso una grande
nave da crociera e François lo vide scomparire inghiottito dal portellone che si chiudeva
dopo i suoi passi.
François invece, si nascose nella stiva di un piccolo motoscafo nella quale trovò un
gruppo di ex coltivatori come lui che insieme alla propria famiglia cercavano fortuna in
altri paesi. Il viaggio fu difficoltoso e terrorizzante peggio dell’Inferno di Dante.
Trasportati da Caronte come anime perse attraversarono un mare infuriato. Al buio e
nel calore dovuto alla vicinanza al motore sentì più volte la voce dei suoi bambini che gli
chiedevano di resistere per loro. La puzza di gas e di vomito gli stringevano la gola
quasi a soffocarlo … fino a quando non svenne.
Quando François si svegliò si ritrovò nell’ imbarcazione abbandonata sulla spiaggia, da
solo, tutti i suoi compagni di viaggio erano spariti e lui vedeva la luce che entrava dagli
spiragli tra le travi di legno sopra di lui. Dopo aver controllato di essere solo a bordo
scese e appena mise piede sul terreno bagnato del porto si sentì più sicuro.
Era in Puglia. Fu subito colpito dalla scena che si ritrovò davanti: un fiorente mercato
del pesce dove ogni pescatore appena tornato da una battuta di pesca cercava di
vendere al migliore offerente il fresco derivato del proprio duro lavoro.
Aspettò per minuti, ore il suo amico, ma di Guillaume neanche l’ombra. Fece qualche
giro per il mercato che con il passare delle ore diventava sempre più colmo di persone.
Camminando vide la prima pagina di un giornale in mano ad un anziano signore e sotto
il titolo “COSTA CONCORDIA AFFONDA, CENTINAIA DI MORTI”. Così comprese …
gli saltò agli occhi l’immagine della grande nave, sulla quale era salito il suo amico,
totalmente rovesciata. François crollò sulle ginocchia rese fragili dal lungo digiuno e
iniziò ad urlare rabbioso piangendo Guillaume con il quale doveva costruirsi un nuovo
futuro. Molti passanti incuranti della sua sofferenza guardarono solo, con disprezzo, la
sua pelle color ebano e i suoi vestiti usurati. Trovò la forza di alzarsi, ma dopo pochi
passi crollò stremato su una panchina e perse i sensi.
Al suo risveglio si ritrovò alla Capitanata, un azienda agricola, circondato da suoi
connazionali che vedendo i suoi occhi riaprirsi tirarono un sospiro di sollievo e lo
circondarono di commenti e bisbigli. Dopo qualche secondo un ragazzo uscì dalla folla
e si presentò: “Io sono Ahmed. Sei nella nostra piccola dimora. Siamo dei coltivatori ...
la paga non è buona, ma sicuramente è molto superiore a quella che avremmo avuto
rimanendo nei nostri paesi. Ai nostri padroni non importa molto della nostra vita o della
nostra storia, ma se sei abbastanza forte puoi lavorare con noi”.
Quelle parole fecero riflettere François sulla sua situazione: era senza un soldo, solo,
senza opportunità di tornare a casa, ma sopratutto senza altre speranze, non doveva,
non poteva arrendersi, per la sua famiglia, per Guillaume e per se stesso.
Nei mesi successivi si ritrovò a coltivare pomodori, pomodori e ancora pomodori che in
Italia venivano poi inscatolati e inviati a Navrongo. François e i suoi colleghi erano
sfruttati dai capolari, gente del posto, che li trattavano come bestie da soma,
lanciandogli sigarette e panini smangiucchiati per il gusto di vederli azzuffare come topi
furiosi…
Ma cosa stava facendo? … Stava contribuendo alla rovina del suo paese….
Che ne è stato della sua famiglia? Che ne è stato di lui?
Non è una fiaba, non c’è un lieto fine…