il radon nella pianificazione territoriale
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il radon nella pianificazione territoriale
M. Moroni BACK TO INDEX IL RADON NELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE M. Moroni Geoex s.a.s. Via Alto Adige Colli del Vivaro snc – 00040 Rocca di Papa Roma, tel. 06.94436470 – www.radon.it - [email protected] Sommario La Pianificazione Territoriale, attraverso la conoscenza degli elementi di rischio di un territorio, consente la predisposizione di strumenti urbanistici adeguati. Se ciò vale per il rischio idrogeologico, sismico, vulcanico, industriale ecc. deve valere anche per il Radon ed i suoi prodotti di decadimento a causa dell’elevato impatto sulla salute pubblica. Poiché la geologia del territorio controlla la distribuzione e la migrazione del Radon, ne risulta che una prima selezione delle zone ricche di questo gas si può effettuare in base a considerazioni sulla natura geologica delle aree. In più, tale rilievo non rappresenta un maggior onere per la Comunità in quanto la Geologia è, di norma, a corredo di ogni buon impianto pianificatorio. Piuttosto esso andrebbe posto come elemento di conoscenza da parte dei progettisti.In questo senso le Amministrazioni che sovrintendono la salute pubblica dovrebbero approfondire le loro conoscenze sul rischio Radon - mappa delle aree a rischio - ed emanare regolamenti edilizi che prevedano l'adozione di strumenti idonei alla mitigazione degli effetti sulla popolazione derivanti dall'inalazione del Radon e dei suoi prodotti di decadimento e, strumenti che saranno differenziati a seconda dell'area e, quindi, del livello di rischio oggettivo. Sia la BRE (Building Research Establishment Ltd - UK) che lo SRPI (Swedish Radiation Protection Institute), con le Raccomandazioni sui livelli di protezione di tipo Basic e Full rispondono proprio a questa esigenza. La presente memoria affronta queste tematiche attraverso l'analisi della situazione italiana, anche in relazione alle esperienze di altre nazione europee. Parole chiave: radon, pianificazione territoriale, radioprotezione, radioattività ambientale, inquinamento indoor 1. Il gas Radon Il Radon è un gas radioattivo incolore estremamente volatile prodotto dal decadimento di tre nuclidi capostipiti che danno luogo a tre diverse famiglie radioattive; essi sono l'Uranio 238 il Thorio 232 e l'Uranio 235. Nella tabella seguente è riportata la sequenza del decadimento del nuclide più abbondante in natura e cioè l'Uranio 238 responsabile della produzione dell'isotopo Radon 222. Il thorio 232 e l'Uranio 235 producono invece rispettivamente il Rn 220 e Rn 219. INPUT 2001 Informatica e Pianificazione Urbana e Territoriale, Democrazie e Tecnologie Schema di Produzione del Radon 222 - Famiglia dell'Uranio Isotopo Radiazione Emivita Uranio 238 Torio 234 Protoattinio 234 Uranio 234 Torio 230 Radio 226 Radon 222 Polonio 218 Piombo 214 Bismuto 214 Polonio 214 Piombo 210 Bismuto 210 alfa Beta Beta alfa alfa alfa alfa alfa beta alfa e beta alfa beta beta 4.5x109 anni 24.1 giorni 1.2 minuti 2.5x105 anni 7.5x104 anni 1600 anni 3.8 giorni 3 minuti 27 minuti 20 minuti 1.5x10-4 secondi 25 anni 5 giorni Polonio 210 alfa 136 giorni Piombo 206 Stabile In termini di classificazione chimica, il radon è uno dei gas rari, come neon, kripton e xeno; esso non reagisce con altri elementi chimici ed è il più pesante dei gas conosciuti (densità 9.72 g/l a 0°C, 8 volte più denso dell’aria). Il Radon diffonde nell’aria dal suolo e, a volte, dall’acqua (nella quale può disciogliersi). In spazi aperti, è diluito dalle correnti d’aria e raggiunge solo basse concentrazioni. Al contrario, in un ambiente chiuso, come può essere quello di un’abitazione, il radon può accumularsi e raggiungere alte concentrazioni. Il Radon viene generato continuamente da alcune rocce della crosta terrestre ed in modo particolare da lave, tufi, pozzolane, alcuni graniti ecc. Sebbene sia lecito immaginare che le concentrazioni di Radon siano maggiori nei materiali di origine vulcanica spesso si riscontrano elevati tenori di radionuclidi anche nelle rocce sedimentarie come calcari, marne, flysh, ecc. Come gas disciolto è veicolato anche a grandi distanze dal luogo di formazione e può essere presente nelle falde acquifere. Infine è nota la sua presenza in alcuni materiali da costruzione. La via che generalmente percorre per giungere all'interno delle abitazioni è rappresentata da fessure e piccoli fori presenti nelle cantine e nei piani seminterrati. La Geologia locale, l'interazione tra edificio e sito, l'uso di particolari materiali da costruzione, le tipologie edilizie sono, pertanto, gli elementi più rilevanti ai fini della valutazione dell'influenza del Radon sulla qualità dell'aria interna alle abitazioni ed agli edifici in genere. Alcuni studi nell’ultimo decennio hanno dimostrato che l’inalazione di radon ad alte concentrazioni aumenta di molto il rischio di tumore polmonare. I risultati di tali studi mostrano che il Radon è la seconda causa di cancro ai polmoni dopo il fumo. Allo stato attuale si hanno i mezzi, sia tecnici che pratici per contrastare il rischio Radon. Le autorità locali possono e devono ricoprire un ruolo essenziale. In questa sede possiamo indicare tre approcci fondamentali: 1) Approfondire la comprensione della situazione locale riguardo i rischi legati alla presenza di radon attraverso la redazione di mappe di rischio; 2) Informare la popolazione sui rischi per la salute posti dal Radon e sulle tecniche per diminuire l'incidenza del rischio stesso; 3) Sostenere economicamente le soluzioni al problema del radon non appena esso sia stato identificato attraverso contributi per la realizzazione delle opere di mitigazione. 1.1 Breve storia del radon Gli elementi radioattivi naturali sono presenti sulla terra dalla sua origine. Gli elementi a vita più breve sono gradualmente scomparsi. Gli elementi radioattivi a vita lunga che sono presenti nel nostro ambiente includono l’Uranio, che dà origine al radon. La radioattività non fu scoperta che nel 1898, quando Marie Curie portò avanti le ricerche sul radon . Nel 1900, il fisico F. Dorn scoprì che i sali di radio producevano un gas radioattivo, il radon. In precedenza, nel sedicesimo secolo, Paracelso aveva notato l’alta mortalità dovuta a malattie polmonari tra i lavoratori delle miniere d’argento nella regione di Schneeberg in Sassonia (Germania). L’incidenza di questa malattia, in seguito conosciuta come “malattia di Schneeberg”, aumentò nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, quando l’attività nelle miniere di argento, rame e cobalto si intensificò. Questa malattia fu riconosciuta come cancro ai polmoni nel 1879. Misure effettuate nel 1901 nelle miniere di Schneeberg rilevarono un’alta concentrazione di radon. Come risultato, fu presto lanciata l’ipotesi di un rapporto causa-effetto tra alti livelli di radon e cancro ai polmoni. Questa ipotesi fu rafforzata da più accurate misure del radon compiute nel 1902 nella miniere di Schneeberg e in altre, in particolare quelle di Jachymov in Boemia, da dove provenivano i minerali usati da Marie Curie. L’attività nelle miniere di Uranio fu intensificata dal 1940, ma i livelli di radon non furono misurati regolarmente che dal 1950. Esperimenti su animali compiuti dal 1951 dimostrarono la potenziale carcinogenità del radon per i polmoni delle specie testate. Rilevamenti epidemiologici tra i minatori di Uranio, dalla metà degli anni sessanta in poi, hanno infine confermato questo potenziale sull’uomo. Nel 1967 il Congresso Federale per la Ricerca degli Stati Uniti ha proposto delle raccomandazioni per controllare i rischi correlati alle radiazioni in miniera. Nonostante non ci fossero più dubbi sulla realtà del pericolo ( l’Organizzazione Mondiale per la Sanità confermò ciò nel 1988), fu ancora necessario quantificare il rischio in termini di intensità di esposizione, per definire appropriati livelli di protezione. A tal fine, numerosi rilevamenti epidemiologici sono stati effettuati negli anni ’80 in varie nazioni, non solo tra lavoratori di miniere di Uranio, ma anche di stagno e di ferro. Tali rilevamenti portarono a conclusioni convergenti. Nonostante il premio Nobel per la fisica Ernest Rutheford avesse fatto notare, sin dal 1907, che ogni persona, quotidianamente, inala del radon, prima del 1956 non furono mai eseguite, in Svezia, misurazioni dei livelli di incidenza del Radon. L’alto livello di radon rilevato in alcune case riscosse poco interesse in campo internazionale, perché il problema fu considerato esclusivamente locale. Soltanto 20 anni dopo si iniziarono studi sistematici su larga scala in numerose nazioni, che mostrarono come l’esposizione fosse generale e come, anche nelle abitazioni, si potessero raggiungere livelli molto alti, paragonabili a quelli delle miniere. La Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (ICRP) sottolineò la vastità del problema per la salute pubblica e formulò specifiche raccomandazioni sulla pubblicazione numero 65 del 1993. Sebbene quindi l’ipotesi di un legame tra alte concentrazioni di radon e cancro ai polmoni fu messa in primo piano nei primi anni del ventesimo secolo, la dimostrazione scientifica di questo legame è molto recente, ma definitiva. 1.2. L’esposizione al Radon Poiché la popolazione in Europa trascorre, in media, la maggior parte del proprio tempo in ambienti confinati quali abitazioni ed uffici, i rischi di esposizione al Radon sono assai elevati. Non sono a rischio, invece, le aree aperte in quanto qui la concentrazione del gas è assai limitata in ragione di una sua maggiore e migliore dispersione in atmosfera. Parecchi suoli contengono naturalmente quantità variabili di Uranio, che regola la quantità di radon rilasciata. Il radon diffonde attraverso i pori e le spaccature del suolo, trasportato dall’aria o dall’acqua (nella quale è solubile). Dato un certo contenuto di radon nel suolo, la quantità di gas rilasciata varia in dipendenza della permeabilità del suolo (densità, porosità, micro fratturazioni), del suo stato (secco, impregnato d’acqua, gelato o coperto di neve) e dalle condizioni meteorologiche (temperature del suolo e dell’aria, pressione barometrica, velocità e direzione del vento). In più, la concentrazione di radon decresce rapidamente con l’altitudine. L’acqua sotterranea, i gas naturali, il carbone e gli oceani sono altre fonti minori di radiazioni. È quindi chiaro che il radon è universalmente presente, ma la velocità di emissione varia significativamente nel tempo, anche per uno stesso luogo. A livello regionale o locale, indipendentemente dalle condizioni prevalenti in un dato periodo, il fattore che più influenza il rilascio di radon è la natura geologica del territorio. La maggior parte del radon presente in una casa proviene infatti dal suolo sul quale essa è costruita; il radon penetra attraverso le micro lesioni, che possono essere presenti nelle murature e nei solai, lungo le tubazioni o attraverso i giunti murari. Il radon può anche provenire - in misura minore - dai materiali utilizzati nella edificazione, (tufi vulcanici, per esempio) o dai rubinetti, se l’acqua contiene del radon disciolto. Il radon emesso all’interno di una casa tende a sostarvi in quanto la pressione all’interno è leggermente più bassa rispetto all’esterno. Questo fatto induce l’aria interna a stagnare piuttosto che a rinnovarsi. Per un dato terreno e per condizioni geologiche circostanti, indipendentemente dal tempo, la concentrazione finale di radon in una casa è quindi dipendente dalla tipologia della costruzione. Dipende anche, in larga misura, dalle abitudini dei residenti, dalla ventilazione, sia essa passiva (cattivo isolamento) che attiva (ad esempio, apertura delle finestre a intervalli lunghi o brevi), dal riscaldamento, condizionamento ecc. Il ruolo ricoperto dalle condizioni meteorologiche (vento, pressione barometrica, umidità) spiega non solo le variazioni stagionali della concentrazione di radon in una data abitazione, ma anche le differenze osservate tra i livelli diurni e notturni. 1.3. La geologia del Radon: la chimica dell'Uranio e del Thorio L' Uranio e il Torio sono i capostipiti di tutto il radon che si trova sulla terra. È utile perciò conoscere la loro distribuzione nelle rocce, nei minerali, nel suolo e nell'acqua, per comprendere la sua distribuzione sulla terra. L'Uranio è un oligoelemento presente in modo quasi omogeneo nella crosta terrestre. È presente nelle rocce e nei minerali come ione con carica tetravalente (4+) e viene indicato con U4+. Tuttavia, se questo Uranio entra in contatto con acqua contenente ossigeno sciolto (ambiente fortemente ossidante) , si ossida in un altro ione di Uranio, ma, questa volta, con carica esavalente (6+), e diventa perciò U6+. La differenza tra i due ioni è fondamentale per la comprensione della distribuzione dell'Uranio nelle rocce, nel suolo e nell'acqua della crosta terrestre. Lo ione tetravalente (4+) è infatti fortemente insolubile che può combinarsi con l'acqua, in forma di idrossido di Uranio, U(OH)4, che si fissa immediatamente. Al contrario lo ione esavalente U6+ è estremamente solubile e forma svariati ioni complessi con l'ossigeno O2- e il carbonato CaCO3 CO2+ Poiché il carbonato è presente nella maggior parte dell'acqua di superficie, il complesso carbonato di Uranio diventa il più comune veicolo di trasporto dell'Uranio in natura. Il diverso comportamento degli ioni di Uranio è molto importante ai fini della distribuzione del radon. Se l'Uranio si fissa nei minerali nella forma insolubile U4+, la fonte di radon viene a fissarsi, per necessità, nello stesso punto. Diversamente, se l'Uranio è nella forma U6+, esso viene prelevato dalle rocce d'origine e si accumula nell'acqua o si fissa nel suolo, lontano dalla sua fonte Il Thorio, come l'insolubile U4+, è presente in natura in forma di ione 4+ nelle rocce e nei minerali. Ma, diversamente dall'Uranio, contiene solo una carica 4+ in qualsiasi condizione di ossidazione. Se si esaminano campioni di rocce che contengono elevate concentrazioni di Thorio rispetto alla quantità di Uranio, cioè con 20 e fino a 80 volte superiori, è assai probabile che queste rocce abbiano perso molto del loro Uranio. Per comprendere questo fenomeno immaginiamo una roccia che abbia perso il proprio Uranio, ma che abbia trattenuto il contenuto di Thorio. L'Uranio solubile viene trasportato dalle falde acquifere e, qualora dovesse incontrare condizioni di pH riducente, lascerebbe precipitare l'Uranio in punti anche molto distanti da quello di ossidazione. Le rocce formatesi saranno evidentemente ricche di Uranio ma molto povere di Thorio, poiché sarà soltanto il primo ad essere sottratto dal luogo di origine. 1.4. Misure delle concentrazioni di Radon in Europa e prevenzione. Il rischio correlato alla presenza di radon ha causato un aumento del lavoro dei ricercatori, degli esperti e dei responsabili della salute pubblica. Per valutare l’entità del problema, negli ultimi 10 anni. sono state effettuate misure di livelli di radon nelle case in quasi tutti i Paesi europei. È stato rilevato che un basso livello medio nazionale non esclude l’esistenza di aree limitate ad alta concentrazione di radon. In molti casi, la Commissione Europea ha favorito la realizzazione di queste campagne. La Comunità Europea infatti, con la raccomandazione del 21 febbraio 1990 ha stabilito criteri per la protezione delle popolazioni contro l'esposizione indoor al Radon. La direttiva CEE 106/89 si può inoltre considerare una norma quadro per la regolamentazione dell'impiego dei materiali edilizi permanentemente incorporati in opere di costruzione. In ambito Nazionale l'ENEA ha svolto una serie di ricerche che evidenziano una presenza di Radon molto variabile tra i 100 e 400 Bq/mc (Bequerel al metro cubo) con punte di 1000 Bq/mc e più contro una media nazionale di circa 75 Bq/mc. Considerato che una dose di 50 Bq/mc corrisponde ad una dose di radiazioni circa tre volte maggiore a quella che mediamente si riceve nel corso della propria vita per lo svolgimento di indagini mediche, si può ben comprendere come tale prodotto di decadimento costituisca un vero pericolo per la salute pubblica. Prima di costruire un edificio, è opportuno prendere in considerazione il rischio legato al radon. I regolamenti edilizi sia nazionali che regionali o locali dovrebbero essere redatti tenendo conto di questa realtà. Cosa essenziale, se non di primaria importanza è, poi, la non trascuratezza nel farli rispettare. Per vecchie case in ristrutturazione, si può prendere un insieme di misure correttive di varia semplicità e costo, in dipendenza della locale concentrazione di radon, mentre per le nuove costruzioni, le tecniche di prevenzione non comportano di norma alcun aggravio di spesa rendendo quindi la mancata adozione un atto incomprensibile giustificato solo dalla mancanza di conoscenza. Una buona parte di responsabilità di questa mancanza di informazione è da attribuire alle Amministrazioni Locali che pur investite di tale ruolo dalla Raccomandazione Euratom 143 del 1990 ben poco hanno fatto per favorire la conoscenza del rischio.. Le stesse regolamentazioni possono essere applicate ad edifici non abitati permanentemente (posti di lavoro e scuole): In questo caso, comunque, la valutazione verrà fatta in termini di tempo massimo di occupazione. Si stima che la cittadinanza europea trascorra in media 19.2 ore al giorno (l’80% del suo tempo) in ambienti confinati! È dunque legittimo interrogarsi circa l’opportunità di applicare le stesse regole agli ambienti nei quali le persone trascorrono soltanto alcune ore ogni giorno. In pratica, la Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica consiglia di applicare identici livelli di azione alle case e agli edifici pubblici dove il cittadino trascorre un tempo apprezzabile (scuole, ospedali, centri residenziali). Contrariamente, quando il tempo da trascorrere in un luogo è limitato, come in uffici, librerie e teatri, potrebbe non essere necessario ricorrere a particolari provvedimenti. Il monitoraggio in ambienti confinati o esterni del RADON si effettua con l'ausilio di un dispositivo specifico per il rilevamento di questo gas (vedi § 3.3). Tale dispositivo portatile può essere facilmente installato negli ambienti da monitorare e registra il valore istantaneo o nel tempo della concentrazione. Chiunque abiti in una zona presumibilmente a rischio, dovrebbe effettuare una verifica della concentrazione di Radon nell'ambiente domestico. Negli Stati Uniti le abitazioni con un tenore di Radon superiore a 4 PCi/l = 148 Bq/mc sono praticamente invendibili. Le Agenzie Immobiliari inoltre, prima di accettare l'incarico di vendere un immobile, eseguono o fanno eseguire una indagine accurata certificando successivamente in sede di rogito, la salubrità del sito. La conoscenza della distribuzione di Radon nei gas del suolo consente la predisposizione di vere e proprie mappe di rischio. Tali mappe sono state elaborate per esempio in Svezia e di fatto sono state inserite nel contesto della pianificazione Urbanistica del Territorio. In particolare le aree più a rischio sono prevalentemente quelle di origine Vulcanica e o Sedimentarie con profonde faglie tettoniche e con presenza di falde acquifere a servizio di uno o più Comuni e quindi di grande rilevanza per la salute pubblica in caso di contaminazione. 2. La pianificazione territoriale La Pianificazione Territoriale, con la conoscenza degli elementi di rischio di un territorio, consente la predisposizione di strumenti urbanistici adeguati. Se ciò vale per il Rischio Idrogeologico, sismico, vulcanico, industriale ecc. deve valere anche per i prodotti di decadimento del Radon come peraltro richiamato dal recente Dlgs n. 241/2000. In più un tale rilievo non rappresenta un maggior onere per la Comunità in quanto la Geologia è di norma a corredo di ogni corretta pianificazione territoriale; piuttosto esso andrebbe posto come elemento di conoscenza da parte dei progettisti. In questo senso le Amministrazioni che sovraintendono la salute pubblica dovrebbero approfondire le loro conoscenze sul rischio Radon ed emanare regolamenti edilizi che rispondano ai seguenti requisiti: 1) Minimizzare gli effetti sulla popolazione derivanti dall'inalazione del Radon e dei suoi prodotti di decadimento; 2) Redigere regolamenti differenziati a seconda dell'area e quindi del livello di rischio oggettivo. Sia la BRE (Building Research Establishment Ltd - UK) che lo SRPI (Swedish Radiation Protection Institute), con le Raccomandazioni sui livelli di protezione di tipo Basic e Full rispondono proprio a questa esigenza. 2.1. Metodi di mappatura del rischio Sinora, il problema dell’inquinamento indoor da Radon nel nostro paese, è stato in prevalenza gestito da due figure professionali: i medici per l’aspetto sanitario ed i fisici per l’aspetto tecnico legato alle operazioni di misura. Questa circostanza, particolarmente limitativa,essendo come si è visto la radioattività ambientale legate essenzialmente alla geologia dei luoghi, ha portato ad azioni che, a parere dello scrivente, sono da considerarsi se non errate comunque poco rappresentative delle reali condizioni di rischio riferite ad un’area. Infatti tutte le azioni di screening effettuate in Italia sono state eseguite negli ambienti indoor ponendo cioè nelle abitazioni di privati i dosimetri per il rilevamento. Va sottolineato che tale metodologia, sebbene ampiamente e correttamente utilizzata per indagini epidemiologiche, non tiene conto dei fattori legati alle abitudini di vita dei residenti, alle tipologia costruttive degli edifici sia nelle strutture in elevazione che in fondazione, alla tenuta degli infissi, alla presenza di condizionatori, al periodo di esposizione (estate/inverno), all’orientamento dei vani, al clima locale ecc. Tali considerazioni sono portate alla attenzione dei tecnici operanti nel settore della radioattività ambientale come esperienza acquisita dallo scrivente in anni di misure, in cui tali circostanze hanno mostrato essere determinanti ai fini della concentrazione indoor. Si può pertanto affermare che data un’area a rischio radon nota, due abitazioni costruite con materiali e tecniche diverse, abitate da famiglie a stili di vita diverse, presentano valori di inquinamento indoor fortemente differenziati. Da tale considerazione discende che uno screening fatto sulla base della valutazione indoor senza gli accorgimenti di pesatura degli elementi sopra richiamati deve ritenersi di larga massima e non utile alla definizione di area di rischio. Per una corretta impostazione del problema di rischiosità di un’area, risulta quindi necessario procedere alla redazione di mappe, basate su valutazioni che implichino considerazioni sulla geologia locale ed in particolare: Il dominio geologico condizionante la litologia; La permeabilità dei suoli; La presenza di faglie e fratture locali o regionali che può convogliare grandi quantità di gas da profondità notevoli; La presenza di cavità sotterranee; Lo spessore e natura della coltre di copertura. Ad ulteriore sostegno di questa posizione si richiama l’attenzione sul fatto che in tutti i paesi esteri dove viene prestata attenzione al problema Radon, le mappe di rischio sono redatte dai competenti Servizi Geologici. Neanche l’analisi di radioattività di campioni di rocce e suoli prelevati in in situ consente una corretta indicazione, per la assenza di eventuali contributi alla radioattività complessiva fornita dal gas esalante. Può, comunque, essere un buon aiuto. In tale ottica si inseriscono allora le indicazioni dello SRPI - Swedish Radiation Protection Institute che prescrive regolamenti edilizi differenziati a seconda della attività presente nell’aria del suolo. In particolare per quanto soprarichiamato questa indicazione è da ritenersi preferibile per la predisposizione di mappe di rischio. Area di sedime Aree ad Alta Concentrazione Aree a Normale Concentrazione Aree a Bassa Concentrazione Concentrazione Bq/mc Tipo di Protezione >50.000 Protezione Full 10.000 – 49.999 Protezione Basic < 9.999 Nessuna Protezione Tabella 1: le indicazioni dello SRPI - Swedish Radiation Protection Institute in relazione alla concentrazione di Radon nell’aria del suolo Come evidenziato nella Tabella 1, le aree vengono suddivise in tre livelli di rischio ad Alta, Normale e Bassa concentrazione per le quali sono disponibili appropriate soluzioni progettuali in grado di ottenere livelli di inquinamento indoor compatibili con le prescrizioni di salubrità emanate dagli Organismi Sanitari Internazionali come ad esempio l’OMS. La profondita’ dei perfori dovra’ rispondere a due esigenze: 1) non sara’ eccessivamente elevata per non intercettare quantita’ di gas che in condizioni normali sarebbero confinate dagli strati di terreno superiori 2) non sara’ troppo superficiale per evitare che situazioni stratigrafiche particolari possano portare ad errate valutazioni. E’ infatti il caso di sottolineare che in una situazione stratigrafica come quella di Fig. 1 una profondita’ inferiore a quella di imposta della fondazione potrebbe portare ad errate valutazioni. Figura 1: influenza della stratigrafia sulla corretta valutazione del gas esalante 3. Esempio di rilievo Sulla base delle considerazioni sin qui esposte, ed al fine di verificare le possibilità concrete ed a basso costo, di valutare il livello di rischio in una determinata area sulla base della concentrazione di Radon nell’aria del suolo, è stata attuata una procedura di misura che prevede l’impiego di un dosimetro passivo a pellicola Kodak LR115 inserito in un perforo appositamente condizionato e come meglio descritto nei paragrafi successivi. 3.1. Inquadramento geologico dell’area del rilievo Il rilievo è stato eseguito in agro di Rocca di Papa Rm ai piedi della cinta craterica del monte Artemisio in località Pratoni del Vivaro ad una altitudine di circa 670 m slmm. Tale località è inserita nel contesto vulcanico dei Colli Albani. Il vulcano poligenico dei Colli Albani fa parte della "provincia magmatica romana" che si estende dalla Toscana meridionale fino al Golfo di Napoli e che comprende alcuni celebri distretti ancora attivi come i Carnpi Flegrei o famosissimi edifici centrali come il SommaVesuvio. Il Vulcano laziale o Vulcano Albano, è ubicato nella zona di intersezione tra il sistema di faglie dirette NO-SE attraversanti i Monti Tiburtini e Prenestini fino ad Artena e Cori, con le faglie trasversali che tagliano la regione tra Anagni, Colleferro e Valmontone. Poggia su un basamento calcareo segmentato in blocchi, tra i quali è asceso il magma in condizioni favorevoli alla assimilazione delle rocce carbonatiche cenozoiche e mesozoiche. Il paesaggio attuale dei Castelli Romani è il prodotto della lunga attività del grande apparato di oltre 60 Km di diametro che con la sua attività ha profondamente segnato la morfologia dell'area. l Colli Albani sono caratterizzati dal più imponente edificio e, tra i vulcani centrali, è quello che ha il maggiore volume di lave o di piroclastiti prodotto (circa 290 Kmc): i magmi hanno affinità alcalino potassica come gran parte di quelli della fascia tirrenica e sono caratterizzati, unici tra tutti quelli della "provincia", da una successione particolarmente omogenea di lave ad alto contenuto in potassio dall'inizio alla fine dell'attività. L'imponente edificio vulcanico si estende per circa 1500 Kmq appena a meridione della bassa valle del Tevere, là dove si è sviluppata nel tempo l'area metropolitana di Roma. La forma del Vulcano Albano è quella di un tronco di cono alto circa 1 Km, più acclive nella parte centrale, comprendente una depressione calderica del diametro di circa 10 Km, ancora quasi integra, che si sviluppa tra i Monti Tuscolani a Nord e il Monte Artemisio a Sud che, imponente, sovrasta Velletri, la cittadina più meridionale dei Castelli Romani. All'interno della caldera si erge l'edificio delle Faete con il cratere dei Campi d'Annibale e ad occidente, verso il Tirreno, la caldera appare interrotta da una successione di altri crateri che ospitano i laghi di Albano e di Nemi, il bacino lacustre ormai prosciugato di Ariccia e i laghetti fossili di Giuturna, Valle Marciana e, verso Nord, di Pantano Secco, Prata Porci, Castiglione . Il carattere omogeneo dei magmi prodotti è una delle peculiarità specifiche dei Colli Albani e può essere ricondotto agli specifici motivi geologico-strutturali dell'area la quale, non solo giace in corrispondenza di un importante incrocio tettonico regionale, ma si trova ad essere attraversata da un fascio di faglie e di fratture proveniente dall'area umbro-sabina ed esteso fino al mar Tirreno. Dal punto di vista geocronologico i Colli Albani sono simili agli altri distretti alcalino-potassici laziali: la storia eruttiva ha inizio poco dopo l'ultima grande inversione del campo magnetico terrestre, 730.000 anni fa (passaggio tra il periodo magnetico Matuyama a polarità inversa rispetto a quella attuale, e periodo Brunhes con poli magnetici corrispondenti circa alla posizione attuale): i dati radiometrici permettono di conoscere l'età (530.000 anni) della prima grande unità esplosiva della fase iniziale e principale, detta tuscolano-artemisia, che si può ritenere iniziata circa 600.000 anni fa. Più del 97% dei prodotti (circa 280 Kmc) viene messo in posto in questa prima fase eruttiva che si chiude 360.000 anni orsono. I prodotti sono in prevalenza di tipo esplosivo, deposti con meccanismi eruttivi molto energetici, in grado di generare per ogni singola eruzione milioni di tonnellate di materiale molto ricco di gas, con tenori di fluidi variabili, quasi sempre con temperature superiori ai 300°C; la presenza delle pozzolane e dei tufi litoidi, oggetto di estrazione ormai da millenni, nell'intera area romana ha condizionato e permesso lo sviluppo delle strutture e delle infrastrutture antropiche almeno dagli Etruschi ad oggi. La testimonianza di tale attività è diffusa ed ha ormai trasformato profondamente la morfologia superficiale di vaste parti dell'area, fino a Roma. La struttura generata dalle attività di questa prima fase è la caldera Tuscolano-Artemisia, la cui forma verrà progressivamente modificata dalle successive fasi, con particolare riguardo alla parte occidentale. L'aspetto pianeggiante della Campagna Romana e il tipico reticolo di corsi d'acqua che si sviluppa in maniera molto incassata in vallecole profondamente incise, anche suggestive, soprattutto sui versanti settentrionali dell'edificio vulcanico sono dovuti, principalmente, alle coltri tufacee messe in posto nella prima fase eruttiva; tali prodotti vengono in genere deposti, come già detto, in volumi notevolissimi, dell'ordine dei Kmc per ogni singola eruzione, quindi sottoposti a intensissima erosione appena dopo la loro messa in posto. L'edificio vulcanico postcalderico (seconda fase) comprende un cono che si erge nella parte centrale dei Colli Albani. Si tratta dell'edificio delle Faete con il cratere dei Campi d'Annibale. dove si è sviluppata una notevole attività esplosiva a condotto aperto, con meccanismi eruttivi di tipo stromboliano, alternata localmente alla messa in posto di sporadiche colate laviche nel secondo periodo, compreso tra 260.000 e 150.000 anni orsono; tale attività è individuata nella seconda fase eruttiva. Il ciclo eruttivo si conclude, tra 100.000 e poco meno di 30.000 anni orsono, con un'attività prevalentemente freatomagmatica (terza fase), cioè un'attività esplosiva con massiccia partecipazione di falde idriche alla risalita del magma; in tale evento si creano le condizioni per l'evaporazione dell'acqua a contatto con il magma ed il vapore generato aumenta il potenziale distruttivo della miscela esplosiva, concentrata, come detto, nella parte occidentale del distretto albano. Tale attività corrisponde ai caratteristici edifici conici con pendici appena acclivi, spesso riempiti da piccoli e celebri bacini lacustri attivi, come il Lago di Albano ed il Lago di Nemi. L'aspetto è molto caratteristico: piroclastiti di colore grigio, diverso stato di cementazione, presenza di xenoliti della successione sedimentaria, strutture deposizionali tipiche dei processi esplosivi freatomagmatici (surges). 3.2. Metodica utilizzata Nel sito prescelto sono state eseguite 3 perforazioni con trivella motorizzata a mano del diametro di 150 mm e profondità 85 cm (foto 1). Tale profondita’ sebbene non adatta alla conduzione di screening di scala e’ stata adottata stante l’impossibilita’ di realizzazione di perfori piu’ profondi perche’ troppo onerosi. La profondita’ ideale e’ infatti come detto di circa 1 metro oltre il piano di fondazione degli edifici. Da cio’ supponendo che la maggior parte degli edifici dispone di un piano interrato la profondita’ migliore sarebbe circa 4 metri dal piano di campagna. Tale accorgimento eviterebbe peraltro casi di errate valutazioni come quello descritto al paragrafo 2.1. All’interno del perforo è stata alloggiata una tubazione in PVC del diametro di 125 mm, in cui erano stati preventivamente praticati alcuni tagli al fine di consentire la circolazione d’aria all’interno del tubo (foto 2). All'interno del perforo, tra il terreno naturale e la tubazione, è stato posto un filtro di ghiaietto calibrato di granulometria pari a 3-5 mm, destinato a contenere il riversamento del terreno nella tubazione e a drenare eventuali sopravvenienze di acqua in caso di pioggia (foto 3). La tubazione che emerge dal terreno per 20 cm porta in sommità un tappo di chiusura al quale è stato fissato il dosimetro Radon Kodalpha una cui descrizione è resa al paragrafo 3.3 (foto 4 e 5). Il dosimetro sospeso a 10 cm dal fondo foro ad una profondità, quindi, di 70 cm dal piano di campagna, è stato lasciato in posto per un periodo di 30 gg . al termine del quale è stato inviato in laboratorio per l’analisi (vedi Schema 1). Infine la parte sporgente della tubazione è stata sigillata con scotch da imballaggio per prevenire atti vandalici e per isolare il volume d’aria interno da apporti d’aria fresca esterni (foto 6). Complessivamente sono stati posti in opera tre dosimetri in altrettanti perfori situati a circa 10 m di distanza al fine di valutare l’attendibilità del metodo attraverso lo scarto delle letture in un contesto geologico e stagionale identico. 3.3. Il dosimetro Kodalpha Il dosimetro Radon Kodalpha è un misuratore di tracce alfa che registra il contenuto di radioattività alfa presente in locali, stanze, ambienti e costruzioni di ogni genere. Il rilevatore è contenuto in una piccola scatola nera di plastica sul cui coperchio è alloggiato un film KODAK LR 115. La pellicola LR 115, ha un coating di speciale nitrocellulosa da 12 micron su una base di poliestere da 100 micron. Il rilevatore Kodalpha è di quelli definiti passivi, in quanto non ha bisogno di essere alimentato elettricamente. Il dosimetro al termine del periodo di esposizione viene restituito al laboratiorio Dosirad di Lognes per lo sviluppo e l’analisi. Il film LR 115 è il solo materiale industriale che non è sensibile alla radioattività delle particelle deposte sulla sua superficie; pertanto non bisogna preoccuparsi circa la polverosità dell'ambiente durante il periodo di esposizione; è inoltre praticamente insensibile all'umidità, caratteristica che lo rende particolarmente indicato nelle misure in ambienti umidi Dopo 30 giorni di esposizione la sensibilità è di 7 Bequerel/mc di gas Radon sebbene l'esposizione può variare da dieci giorni ad un anno in funzione delle specifiche richieste dal rilievo. 3.4. Risultati Al termine del periodo di esposizione i tre dosimetri sono stati inviati al Laboratorio Dosirad di Lognes per l’analisi che viene eseguita mediante un bagno di enhancement in una soluzione di idrossido di sodio e successiva scansione ottica computerizzata delle tracce. Le analisi hanno fornito i seguenti valori: Perforo n.giorni kBq*h/mc Bq/mc 1 2 3 60 58 61 93.888 90.640 95.486 65.200 65.115 65.223 Al fine di determinare lo scarto dei valori rilevati si è fatto ricorso al calcolo dello scarto quadratico medio dato dalla relazione: Dove le X rappresentano gli scarti di ciascuno dei valori rilevati dalla media . Per definizione infatti S è la radice quadrata della media dei quadrati degli scarti dalla media aritmetica, da cui: S = 46.4 Per la proprietà dello SQM, in una distribuzione normale, il 95.45% dei casi sarà compreso tra: 65179+- 2S cioè tra 65086 Bq/mc e 65271 Bq/mc da cui si deduce che l’area è da ascrivere senza indugio a “Aree ad Alta Concentrazione” (Tab. 1 § 2.1) per la quale e’ da prevedere una soluzione di protezione di tipo Full. 4. Conclusioni Le campagne di misura effettuate negli ambienti indoor non possono essere ritenute rappresentative delle condizioni di rischio locali poiché fortemente condizionate dalle tipologie edilizie degli edifici, dagli stili di vita degli abitanti e da altri numerosi fattori come descritto ai paragrafi precedenti. Risulta pertanto necessario, per la redazione di mappe di rischio, procedere a valutazioni che siano prive di tali fuorvianti contributi. La misurazione della quantità di Radon nell’aria del suolo è considerata una tecnica che fornisce ottime indicazioni sul livello di rischio locale. La memoria descrive una tecnica per la misura a basso costo di tale concentrazione fornendo indicazioni pratiche per l’esecuzione. Alla luce di quanto sin qui esposto, sarebbe auspicabile procedere con la valutazione comparata della quantità di Radon nell’aria del suolo eseguita in diversi perfori da correlare alle tipologie edilizie esistenti. Ringraziamenti: Si ringrazia la Sig.ra Maria Teresa Rossetti per la pazienza dimostrata nelle operazioni di campagna ed il Dr. Geologo Gian Mario Patrizi per il contributo determinante nella rilettura e correzione del testo. Riferimenti bibliografici Radon - World Health Organization -Regional Office for Europe-DK-2100 Copenhagen – 1993 ICRP 65 del 1993 "Protection Against Radon-222 at Home and at Work” BRE Guidance on protective measure for new dwelling Pubblicazioni Swedish Radiation Protection Institute STOCKHOLM Epa Manuals Schema 1 Schema di realizzazione del pozzetto per la misura della concentrazione di Gas Radon nell’aria del suolo. FOTO 1 - La realizzazione del perforo Ø 150 mm con trivella motorizzata a mano Komatsu FOTO 3 - Posa in opera di ghiaietto calibrato 3-5 mm quale filtro tra il terreno ed il tubo FOTO 2 - Installazione tubo in PVC Ø 125 mm con le finestrature realizzate nel corpo del tubo FOTO 4 - Il tappo di chiusura del tubo predisposto con il dosimetro Radon Kodalpha basato su pellicola Kodak LR115 FOTO 5 - Il pozzetto condizionato a sistemazione ultimata prima della sigillatura Foto 6 – Il pozzetto sigillato con scotch da imballaggio per l’isolamento con l’esterno e contro aperture accidentali