universita` degli studi di napoli federico ii facolta` di scienze
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI CORSO DI LAUREA IN FISICA TESI DI LAUREA CARATTERIZZAZIONE DI UN'AREA SISMO-VULCANICA USANDO IL RADON, IL TORON ED I LORO PROGENITORI Relatore Candidato Prof. Vincenzo Roca Ugo Marseglia Matr. 060/001028 Anno Accademico 2011/12 INDICE CAPITOLO 1 – IL RADON E LA CARATTERIZZAZIONE DI SITI DI INTERESSE SISMOVULCANICO 1.1 INTRODUZIONE 1.2 RADON NELLA CROSTA TERRESTRE 1.3 RADON COME PRECURSORE DI EVENTI SISMICI pag. 3 pag. 5 pag. 6 CAPITOLO 2 – PRODUZIONE E TRASPORTO DEL RADON E DEL THORON 2.1 IL RADON pag. 12 2.2 RADIOATTIVITÀ NATURALE pag. 14 2.3 DECADIMENTO RADIOATTIVO ED EQUAZIONI DI BATEMAN pag. 15 2.4 PRODUZIONE E TRASPORTO DEL RADON pag. 19 2.4.1 L'EMANAZIONE pag. 20 2.4.2 FATTORI CHE INFLUENZANO L'EMANAZIONE pag. 22 2.4.3 MECCANISMI DI TRASPORTO DEL RADON ATTRAVERSO I PORI pag. 23 2.4.4 LA DIFFUSIONE DEL RADON pag. 28 2.4.5 L'ESALAZIONE DEL RADON pag. 35 CAPITOLO 3 – STRUMENTI E METODI PER LA CARATTERIZZAZIONE 3.1 LA CARATTERIZZAZIONE DEL SITO pag. 37 3.2 DESCRIZIONE DEL RIVELATORE AL GERMANIO E DEL RIVELATORE RAMONA pag. 40 3.2.1 ANALISI DI UNO SPETTRO ALFA pag. 43 3.3 TARATURA DEGLI STRUMENTI pag. 46 1 pag. 47 3.3.1 EFFICIENZA DI UN 3.3.2 TARATURA DEL MONITOR CONTINUO RAMONA 3.3.3 TARATURA DELLA CAMERA ELETTROSTATICA PER LE MISURE DI pag. 60 RIVELATORE GAMMA pag. 51 EMANAZIONE 3.4 DIPENDENZA DAI PARAMETRI AMBIENTALI pag. 61 3.5 MISURA DEL COEFFICIENTE DI EMANAZIONE pag. 63 3.6 DIPENDENZA DEL COEFFICIENTE DI EMANAZIONE DAI PARAMETRI pag. 68 METEREOLOGICI 3.7 MISURA DEL RN DI ORIGINE REMOTA pag. 71 CAPITOLO 4– RISULTATI 4.1 MISURA DELL'ATTIVITÀ DEL 226RA E DEL 232TH pag. 75 4.2 MISURA DEL COEFFICIENTE DI EMANAZIONE pag. 78 4.3 DIPENDENZA DELL’ESALAZIONE DALL’UMIDITÀ pag. 82 4.4 DETERMINAZIONE DEL 222RN REMOTO pag. 85 4.5 MONITORAGGIO CONTINUO pag. 87 CONCLUSIONI pag. 89 BIBLIOGRAFIA pag. 92 2 Capitolo 1 1.1 – Introduzione Il radon è un gas radioattivo di origine naturale che si genera nel suolo come prodotto intermedio delle tre serie radioattive: 238U, 235U e 232 Th che producono rispettivamente gli isotopi di massa 222, 219 e 220 di questo elemento. Oltre alle misure di concentrazione di attività di radon in aria sono piuttosto diffuse le misure di radon nel suolo per la creazione di mappe che colleghino il gas alla particolare geologia del suolo e che permettano lo sviluppo di criteri più adeguati per la stima del rischio associato alla presenza del radon nel gas che viene dal suolo. Queste misure vengono usate anche per lo studio dei fenomeni che avvengono nella profondità della crosta terrestre; infatti, la minore o maggiore concentrazione di radon rivelato nelle zone superficiali della crosta è connessa ai fenomeni di sforzo e rottura delle rocce nella zona profonda. L’isotopo interessante da questo punto di vista è il 222 Rn (radon per antonomasia), che ha una emivita di 3,84 giorni, ma in questi studi è utile misurare contemporaneamente anche il 220 Rn (toron), che invece ha un tempo di dimezzamento di soli 55 secondi, per ottenere informazioni aggiuntive che servono a discriminare il 222 Rn emesso nelle zone superficiali da quello che viene prodotto nelle zone profonde del suolo, che è più significativo. Il 222 Rn, il più abbondante tra gli isotopi del radon, viene rilasciato da suoli, rocce e materiali da costruzione in quantità dipendenti dalla concentrazione e dalla distribuzione del suo progenitore, il 226 Ra, all'interno della matrice solida e da altri parametri quali il coefficiente di emanazione, la velocità di diffusione, la porosità della matrice solida e i parametri climatici. La concentrazione di 226 Ra è notevolmente elevata nelle rocce sedimentarie ed in litotipi magmatici. Ed inoltre, aree interessate da attività tettoniche, dove i flussi di gas (come CH4, H20, H2S e CO2) hanno la proprietà di trasportare con sé il radon, mostrano aumenti di concentrazione in aria del radon. Lo studio delle concentrazioni e dei flussi di radon può essere eseguito usando differenti metodologie, ma bisogna sempre tenere presente che le concentrazioni possono essere affette da variazioni spaziali e temporali, in maniera più o meno evidente, in base alle variazioni climatiche e dei parametri pedologici. 3 Negli anni passati è stato forte l'interesse per il radon come strumento per la stima delle probabilità legate ai rischi sismici, come terremoti o eventi vulcanici. Sono stati molti gli studiosi, chi tramite strumenti passivi e chi tramite strumenti attivi di rivelamento, che hanno provato a sviluppare modelli e teorie per spiegare l'ampia quantità di dati sperimentali raccolti nel tempo. Però l'evidente e sistematica mancanza dell'individuazione di un nesso causale tra le anomalie registrate dei fenomeni sismici e vulcanici e le anomalie del radon ha portato ad un graduale abbandono nel campo della ricerca del radon come geoindicatore. Oggi, l'interesse per questo gas sta nuovamente crescendo perché i nuovi strumenti a disposizione nel campo della ricerca permettono di giungere a risultati più interessanti. Però, rispetto al passato, l'approccio è alquanto diverso in quanto si è capito che il modo migliore per la rivalutazione del segnale radon da correlare ai fenomeni geodinamici consiste in una buona caratterizzazione del sito in esame che si basi sull'analisi del monitoraggio continuo di radon in concomitanza all'analisi dei parametri geochimici e geofisici e al campionamento simultaneo condotto su più siti all'interno del territorio che si vuole studiare. L'ambito nel quale si sviluppa il lavoro che costituisce l'argomento di questa tesi è quello degli studi finalizzati ad ottenere un “segnale radon” che si possa utilizzare per l’osservazione delle dinamiche profonde della crosta terrestre. Tale obiettivo prevede la caratterizzazione di siti di interesse sismo vulcanico grazie alla quale si può poi determinare quali siano le normali variazioni della concentrazione di radon, cioè le variazioni nella concentrazione che sono indipendenti dai fenomeni parossistici. L'importanza della conoscenza di tali variazioni risiede nel fatto che solo dopo aver corretto i dati da tutto quello che ne condiziona localmente il valore (funzionamento degli strumenti di misura, parametri meteorologici e radiometrici locali, ...) si può indagare sulla relazione tra un’apparente anomalia nella concentrazione di radon osservata e fenomeni interni alla crosta terrestre. Per mettere a punto le necessarie tecniche di caratterizzazione è stato scelto un subset di siti, rappresentativi di alcune delle principali formazioni geologiche presenti nell'aera Flegrea, caratterizzata da un’intensa attività sismo-vulcanica, in alcune delle quali è già iniziato il monitoraggio del radon nonché la serie di misure che serviranno a individuare e descrivere le caratteristiche di ciascun sito e quindi a normalizzare i dati del monitoraggio continuo 4 1.2 – Radon nella crosta terrestre I predecessori del radon sono presenti in tutti i tipi di rocce e di terreno con una quantità che varia in base al materiale geologico e in base al sito specifico. L'uranio è infatti distribuito sul pianeta in maniera abbastanza uniforme, in quantità minime ovunque, e con una concentrazione media nella crosta terrestre di 2.8ppm, nel granito di 4,5ppm e nell'acqua di mare di 3ppb. All'interno della stessa roccia possono variare le concentrazioni di uranio perché quando la matrice solida viene scaldata in presenza di un fluido esso si muove insieme al fluido e si deposita quando cambiano le condizioni che lo hanno mobilitato. Il torio si trova in concentrazioni variabili rispetto a quelle dell'uranio in dipendenza dal tipo di raffreddamento e di solidificazione che ha subito il magma liquefatto [Theodòrsson, 1996] e perché rispetto all'altro radionuclide ha una emivita superiore. Comunque, torio ed uranio sono maggiormente presenti nelle rocce ignee intrusive acide, come i graniti, ed nei feldspati e feldspatoidi, un importante gruppo di minerali che costituiscono circa il 60% della crosta terrestre. La quantità di radon rilasciata nei pori dipende ovviamente dalla concentrazione totale di atomi di radio nella matrice solida, ma soprattutto dipende dalla frazione di atomi che si trovano ad una distanza efficace dalla superficie del grano tale da far si che gli atomi di radon appena formati possano partecipare al processo di emanazione, cioè possono essere trasferiti nella frazione porosa della matrice. Le concentrazioni di radon nel gas del suolo, oltre che dalla composizione chimica della matrice, sono anche influenzate da numerosi altri fattori come la densità, la porosità e la permeabilità del suolo, dall'umidità, dalla temperatura, etc. Particolarmente interessante è la sua solubilità grazie alla quale, tramite fluidi trasportatori come l'acqua, il biossido di carbonio, il metano, etc., può migrare anche per lunghe distanze prima di decadere in polonio. 5 1.3 – Radon come precursore di eventi sismici La tendenza attuale, a livello mondiale, per affrontare e ridurre il rischio sismico, verte essenzialmente su due fronti: la previsione e la prevenzione. L'interesse della popolazione, dovuto anche al grande rilievo che i mezzi di informazione danno rispetto a notizie di "previsione dei terremoti", è enorme ed accompagnato da comprensibili aspettative. Prevedere un terremoto significherebbe poter sapere in anticipo che ad una determinata ora e in una precisa zona si verificherà un terremoto di una certa magnitudine in modo da permettere a tutti di mettersi in salvo, ma ad oggi, con le attuali conoscenze, non è minimamente possibile prevedere un evento sismico. L'unico tipo di previsione è quella di tipo probabilistica, basata sullo studio di una certa area (studio della sismicità storica e recente, studio sismo-tettonico, studio geofisico e geochimico), tramite cui si può stabilire la pericolosità sismica dell'area stessa e quindi capire quali potrebbero essere gli effetti sul territorio; questo significa che tali effetti possono essere modificati o addirittura neutralizzati attraverso una serie di misure di prevenzione. Comunque a misura più semplice che possa essere adottata è quella di non costruire strutture nelle zone molto pericolose o comunque costruirle secondo le norme antisismiche, e di ristrutturare gli edifici più vecchi secondo precise norme antisismiche. Un terremoto è una vibrazione naturale del terreno prodotta dalla rottura di grosse masse di roccia nel sottosuolo, all'interno della litosfera. Per capire come le rocce rispondono alle sollecitazioni sismiche si può fare riferimento al modello elastico [Reid, 1906] in base al quale un corpo roccioso sottoposto ad uno sforzo, o ad uno stress in generale, reagisce in modo elastico deformandosi. Quando termina lo sforzo applicato cessa anche il processo di deformazione e il corpo restituisce pressoché istantaneamente l'energia accumulata (fatta eccezione per una frazione dissipata sotto forma di calore) riprendendo la forma iniziale. Però, quando viene superato il limite massimo di elasticità il corpo roccioso non risponde più elasticamente alle forze applicate, ma si rompe lungo un piano di faglia; i due blocchi ai lati di questo si spostano l'uno rispetto all'altro mentre ciascuno di essi tende a recuperare la forma originaria. E' proprio l'energia accumulata durante la deformazione elastica e restituita 6 sotto forma di rimbalzo elastico a propagarsi in tutte le direzioni per mezzo di onde elastiche, cioè onde sismiche. La teoria del rimbalzo elastico fa ricondurre la maggior parte dei terremoti alle faglie che si formano o si riattivano nella litosfera. Tale meccanismo però non è l'unico possibile anche se il più importante. Una piccola percentuale di terremoti può ad esempio essere ricondotta ad una origine vulcanica. In passato si è tentato di elaborare più di una teoria e più di un modello che permettessero di usare la correlazione dell'anomalia della concentrazione del radon e la geodinamica come strumento di previsione dei terremoti. Notevoli cambiamenti nella concentrazione di radon sono stati osservati in molte zone soggette a terremoti pochi mesi o giorni prima, durante e dopo un grande terremoto. Tale comportamento è stato osservato in miniere profonde, in cantine e pozzi in cui le fluttuazioni indotte sulla concentrazione di radon a causa di altri fattori ambientali possono virtualmente essere escluse. Pertanto, si è sempre stati tentati di prendere in considerazione un’improvvisa irregolarità della concentrazione di radon come un presagio potenziale per un terremoto. Storicamente una delle prime evidenze di possibili correlazioni tra le variazioni delle concentrazioni di radon ed un terremoto avvenuto a poca distanza dal sito di misura fu mostrata dai risultati ottenuti nell'aprile del 1966 nel bacino idrotermale di Tashkent, Uzbekistan, [Ulomove e Mavashev, 1967]. Dall'analisi dei dati raccolti sulle concentrazioni di radon in acqua, nel periodo di tempo dal 1956 al 1969, si evidenziò un incremento consistente della concentrazione dal 1964 fino al terremoto di M = 5.3 avvenuto nel 1966 (figura.1.1). A seguito di questi primi risultati, lo studio delle anomalie del radon, non solo per l’eventuale previsione dei fenomeni sismici e/o vulcanici ma anche per l'identificazione di giacimenti di uranio e di aree geotermiche, ha riscosso sempre più interesse in varie parti del mondo. 7 Figura 1.1 - Variazione della concentrazione di radon a lungo termine registrata prima del terremoto di Tashkent del 1966 (Ulmov e Mavashev, 1971). La prima correlazione tra i terremoti e le anomalie di radon misurate nei suoli, e non più solo nelle acque, fu riportata da Mogro-Campero e Fleisher [Mogro-Campero A., Fleisher R.L. e Likes R.S., 1980], che per primi proposero l'idea che il trasporto anomalo del radon nel suolo potesse essere una conseguenza delle variazioni degli sforzi che avvenivano nelle aree sismiche interessate. Come possibile spiegazione a tale fenomeno ipotizzarono che gli sforzi di compressione non lineari nel sottosuolo potessero indurre delle alterazioni fisiche nei pori favorendo il flusso gassoso all'interno della litosfera. Per avvalorare questa ipotesi i due studiosi analizzarono i contenuti di vari gas nei campioni di suolo di un determinato sito. Alle analisi dei campioni di terreno fatte in laboratorio per la misura del contenuto di radon fecero seguire delle misure direttamente nei suoli e riscontrarono dei valori di concentrazione di radon circa 40 volte maggiori di quelli ottenuti in laboratorio, effetto che non poteva essere spiegato solo attraverso l'esclusivo contributo dell’emanazione del gas dal suolo in oggetto. Con il passare degli anni e con l'aumento delle ricerche effettuate, è risultato sempre più evidente la necessità di implementare uno studio che rendesse maggiormente efficace l'analisi delle anomalie registrate. A tal proposito sono stati interessanti gli studi, svolti da Shi e Xu [Shi Y., Xu Y., 1995], incentrati sulla dipendenza delle variazioni della concentrazione di radon nel suolo al variare di alcuni parametri meteorologici nell’ambiente per un lasso di tempo di un anno che hanno rivelato l'esistenza di variazioni stagionali e giornaliere del radon e della presunta dipendenza 8 da temperatura, pressione barometrica, umidità, pioggia e neve. I ricercatori cinesi, inoltre, hanno effettuato tali studi a diverse profondità nel terreno per quattro siti differenti, trovando che il sito meno influenzato dalle variazioni stagionali è quello a circa 1 m. Tale risultato ha fatto capire che la profondità di 1 m può essere, nella maggior parte dei casi, la profondità giusta per le misure nel suolo in quanto minimizza la perturbazioni sulla concentrazione di radon dovute alle variazioni stagionali e permette di ridurre notevolmente gli effetti dovuti alle perturbazioni meteorologiche lasciando per lo più il contributo dovuto ai fenomeni dinamici della Terra. Un problema a cui fanno riferimento quasi tutti gli scienziati è quello dell'utilizzo di strumenti che permettono di effettuare delle misure integrate solo su lunghi intervalli di tempo e che quindi non danno la possibilità di seguire le variazioni delle concentrazioni per periodi brevi. Tra i segnali precursori, quelli ritenuti più affidabili dal punto di vista scientifico, sono legati allo studio delle variazioni di parametri chimici e fisici, come le onde principali P e la variazione del rapporto delle loro velocità con quello delle onde trasversali S, la resistività elettrica nei suoli, le deformazioni avvenute nel suolo e le concentrazioni di vari gas, tra cui soprattutto il radon. Partendo dal presupposto che tali segnali dipendono dalla variazione degli stati di sforzo nella crosta terrestre in una determinata zona geologica, è stato tentato di spiegare le variazioni dei possibili precursori in relazione ai vari stadi di un sisma tramite la teoria della dilatanza (figura 1.2) [Scholz et al., 1973; Riggio, 2003] (e tramite più recenti studi sperimentali sull’emissione di thoron e radon in funzione della litologia [Tuccimei, 2010]). La suddivisione in 4 stadi dell'effetto che gli sforzi possono avere su un volume roccioso, ottenuta in studi di laboratorio, si basa sull'ipotesi che quando la compressione supera la capacità elastica della roccia, si formano delle microfratture che causano una deformazione aumentando il volume della roccia stessa (dilatanza). Questa deformazione è stata individuata mediante lo studio della modifica di velocità delle onde sismiche: il rapporto v p/vs tra la velocità di propagazione delle onde longitudinali e quella delle onde trasversali diminuisce sino a valori anomalmente bassi e torna normale proprio poco prima del rilascio dell’energia accumulata generando il sisma. La diminuzione di v p/vs è dovuta alla dilatanza delle rocce che divengono sottosature d'acqua riducendo fortemente v p, mentre ha poco effetto su vs. La dilatanza avviene in media, con uno sforzo che 9 corrisponde a circa la metà di quello necessario a generare la frattura conseguente all'evento sismico. L'acqua presente nella vicina falda, proprio a causa della dilatanza, tende a penetrare all'interno della roccia fratturata tendendo a saturare la roccia, tuttavia il tempo necessario all'acqua per saturare la roccia è piuttosto lungo e il processo che genera nuove microfratture è più veloce di quello che ne permette la saturazione. L'interazione continua tra i due processi rende le rocce sottosature. L'acqua riesce infine a saturare la roccia e a questo punto gli sforzi di compressione sono tali che la roccia microfratturata satura, non è più in grado di sostenerli in quanto l'acqua presente all'interno degli interstizi, essendo quasi incompressibile, riduce la capacità elastica della roccia. E' a questo punto che inizia e si propaga la frattura che genera l'evento sismico. La dilatanza quindi tende a ritardare il manifestarsi del terremoto aumentando l'elasticità della roccia, mentre l'acqua nel momento in cui riesce a saturare le rocce, ripristina la trasmissione integrale della compressione, riducendo il tempo necessario al raggiungimento della forza di rottura e quindi dell'evento sismico. Durante il fenomeno della dilatanza, che può durare da alcune ore a diversi giorni, si possono modificare alcuni parametri fisici misurabili, come la resistività elettrica, l'altezza della falda, l'emissione di gas radon o di gas idrogeno, possono verificarsi anche sciami microsismici. Come si vede in figura 1.2, l’incremento della concentrazione del radon avviene durante il II stadio, quando si formano le piccole fratture nelle rocce dell’area coinvolta, e può rimanere stabile nel III stadio o decrescere prima del terremoto. Lo sforzo e/o la frattura della roccia favoriscono la fuoriuscita del radon che quindi si diffonde fino ad arrivare in superficie. In realtà i parametri che influenzano la concentrazione di radon nel gas proveniente dal suolo sono molti: concentrazione di radio, caratteristiche di emanazione dei materiali, condizioni climatiche e permeabilità e porosità del suolo. Di conseguenza per osservare le eventuali anomalie nella sua concentrazione, dipendente occorre conoscere dai parametri suddetti, bene un sito, per riconoscere in esso le anomalie reali dalle oscillazioni fisiologiche. Ciò presuppone lunghi periodi di osservazione e monitoraggio del radon e di molti parametri, altri nonché uno studio multiparametrico di tutti i dati disponibili. 10 Figura 1.2 - Variazioni dei fenomeni precursori durante gli stadi di un terremoto secondo la teoria della dilatanza ( Scholz, 1973). 11 CAPITOLO 2 – Origine e trasporto del radon In questo capitolo viene presentata una panoramica sul radon e sui meccanismi che regolano il suo trasporto nel suolo. Tali meccanismi influiscono sulla quantità di gas che formatosi nel reticolo cristallino del minerale riesce poi a raggiungere la superficie della crosta terrestre attraverso il substrato roccioso e la copertura del suolo. 2.1 – Il radon Il radon, elemento radioattivo naturale, è un gas nobile e per questo incolore, insapore, inodore e chimicamente inerte. Tra i gas nobili è quello più pesante e tra l'atro possiede anche il punto di fusione, il punto di ebollizione, di temperatura e pressione critica più elevati. Nello studio del radon sul suo comportamento nei processi di trasporto nei suoli e nei materiali rocciosi è importante anche tener in conto che questo gas è moderatamente solubile in acqua e che quindi è possibile trovarlo disciolto nelle acque che scorrono nel sottosuolo, in quantità maggiori al diminuire della temperatura. I tre isotopi di origine naturale sono: - 222 Rn: appartenente alla serie radioattiva dell' 238U scoperta da Dorn nel 1901 come prodotto di decadimento del 226Ra, ha una vita media τ=3,82 giorni - 220Rn: detto anche toron, appartiene alla serie radioattiva del 232Th scoperta da Owens e Rutherford nel 1889, viene prodotto dal decadimento del 224 Ra, ed ha una vita media τ=55 secondi - 219 Rn: scoperto da Debierne e Diesel nel 1903 e chiamato actinon, appartenente alla serie del 235U, ha un vita media brevissima τ=4 secondi . Ovviamente le diverse quantità degli isotopi del radon nell'ambiente sono una diretta conseguenza delle concentrazioni (Bq/Kg) dei tre capostipiti 238 U, 232 Th e 235 U nelle rocce e nei suoli. 12 Dei tre isotopi naturali del radon, tutti chimicamente inerti, solo il 222 Rn ha una emivita sufficientemente lunga da permettere al gas di muoversi per diffusione e convezione ed infine fuoriuscire dalle rocce e dai suoli in cui è stato generato. In effetti, il suo tempo di dimezzamento è tale da permettergli il trasporto per pura diffusione solo per brevi distanze, mentre, una volta lasciata la matrice solida e mescolatosi all'aria interstiziale, è sufficiente a fargli percorrere grandi distanze per convezione. Invece, il tempo di dimezzamento dell'isotopo 220 Rn (55 secondi) è abbastanza piccolo da permettergli di percorrere solo piccole distanze prima di decadere e perdere le proprietà di gas nobile. Infine, il 219 Rn con i suoi 4 secondi di emivita, unitamente alla scarsa abbondanza del suo capostipite, può anche non essere tenuto in considerazione. Numero Atomico 86 Stato della materia gas Punto di fusione -71,1 °C Punto di ebollizione -61,8 °C Densità (condizioni normali) 9,96 Kg m-3 Coefficiente di solubilità nell ' H 2 O ad 1 atm 0°C 0,570 20°C 0,250 37°C 0,167 100°C 0,106 Tabella 2.1 – Caratteristiche chimico-fisiche del radon 13 Figura 2.1 - Serie radioattive naturali dell'uranio, del torio e dell'attinio 2.2 – Radioattività naturale Tra gli isotopi del radon, il 222 Rn è quello fino ad oggi più studiato perchè rispetto agli altri ha una emivita maggiore che gli permette di diffondere a distanze maggiori, sia col processo di esalazione dai materiali sia con la diffusione in aria e acqua, ed è quindi l’isotopo presente con maggiore concentrazione e che contribuisce alla maggior parte della dose dovuta al radon. Il 220 Rn, oltre a essere più difficile da studiare a causa della sua breve vita media, meno di un minuto, contribuisce comunque alla dose da radon per l'8% circa. In ambienti particolari, però, come miniere, cantine e ambienti sotterranei, in generale può essere presente in concentrazioni paragonabili a quelle del 222 Rn e quindi essere anch’esso una sorgente di rischio non trascurabile. I prodotti di decadimento del 222 Rn emettono radiazioni α , β e γ in un ampio intervallo 14 di energie e con dei tempi di dimezzamento compresi tra 10-4 s e 21 y come è mostrato in tabella( 2.2). Radionuclide 222 Rn 218 Po t1/2 Decadimenti Eα Eβ Eγ (MeV) (MeV) (keV) 3,82 d α 5,49 - - 3,5 min α 6,00 - 352 214 Pb 214 Bi 214 Po 26,8 min 19,9 min 1,65 10-4 s β-γ β -γ α - - 7,69 0,67 295 0,73 242 3,27 1,54 - 77 609 120 764 - Tabella 2.2 - Principali radiazioni emesse dal 222Rn e dai suoi prodotti di decadimento. 2.3 – Decadimento radioattivo ed equazioni di Bateman Nel decadimento radioattivo, ogni elemento, istante per istante, ha una certa probabilità di subire il processo di decadimento, in modo completamente indipendente da ciò che accade agli altri elementi. Come risultato, i vari elementi finiscono per decadere a tempi tra loro diversi, ma con una distribuzione di probabilità stabilita dalle particolarità dello specifico processo di decadimento. In particolare ogni processo di decadimento è caratterizzato da una costante di decadimento λ, che rappresenta la probabilità con la quale un particolare processo di decadimento avvenga nell’unità di tempo (la costante λ è caratterizzata da dimensioni [T-1]). Nell’ipotesi di grandi valori di N (numero di nuclei radioattivi) è possibile ritenere che il numero di nuclei che decadranno nell’intervallo ∆t (supposto sufficientemente piccolo da non modificare in modo apprezzabile il numero di elementi) sarà pari a λ N ∆t, ossia 15 al prodotto della probabilità di decadere di ogni singolo nucleo moltiplicato per il numero di totale di nuclei. Se si definisce con N(t) il numero di nuclei al tempo t che non hanno ancora subito il decadimento, si può scrivere per la variazione ∆N del numero N nell’intervallo di tempo ∆t che: ∆ N (t )=−λ N (t ) ∆t (2.1) Questa legge porta ad una dipendenza temporale del numero di nuclei che devono ancora decadere di tipo esponenziale decrescente N (t )=N 0 e−λt =N 0 e−t / τ (2.2) con N0 dato dal numero di nuclei al tempo iniziale. Questo significa che, dato il carattere probabilistico del processo di decadimento, solo a tempo infinito tutti i sistemi avranno subito il decadimento, però la riduzione del numero di elementi instabili sarà tanto più rapida quanto più grande è la costante λ. τ è la vita media del radionuclide, cioè il tempo necessario affinché una certa quantità di un radionuclide si riduca ad 1/e del suo valore iniziale. Nella pratica viene spesso utilizzata un’altra grandezza; il tempo di dimezzamento t1/2, cioè il tempo in cui i nuclei radioattivi si riducano ad un mezzo della quantità iniziale. Il tempo di dimezzamento è legato alla costante di decadimento dalla relazione . t 1/ 2= log e (2) λ (2.3) Il tempo di dimezzamento non rappresenta perciò per un singolo nucleo il tempo necessario a decadere, ma rappresenta una misura statistica del tempo dopo il quale, presumibilmente, metà dei sistemi che c'erano al tempo t=0 hanno subito il decadimento. Si definisce attività A di una sorgente radioattiva il numero di decadimenti che la sorgente subisce nell’unità di tempo. Dalle espressioni precedenti si ricava che l’attività 16 è data da A (t )= λ N ( t ) (2.4) Ci sono casi in cui il radionuclide attiva una catena di decadimenti nel senso che il nuclide figlio decade in un altro radionuclide e così via fino ad arrivare ad un nuclide stabile, N 1 → λ → N 2 →λ → ... N i → λ → ... N stabile N 1 2 i che è il caso delle serie di decadimento naturali. I decadimenti in serie sono regolati dalle equazioni di Bateman, che descrivono, a partire da un elemento della catena, l’andamento delle concentrazioni delle progenie nel tempo. Le equazioni di Bateman sono un sistema di equazioni differenziali: dN 1 (t) =−λ 1 N 1 (t ) dt dN 2 (t ) =−λ 2 N 2 (t )+λ 1 N 1 (t ) dt ..... dN i (t) =−λ i N i (t)+λ i−1 N i−1 (t ) dt .... dN N ( t ) =λ N −1 N N −1 (t ) dt (2.5) le cui soluzioni sono: N N (t)= N 1 (0) N αi λ i e−λ t λN ∑ i =1 i (2.6) 17 N αi = λj j=1 j ≠1 (λ j −λi ) ∏ (2.7) E' interessante notare i seguenti casi, con i pedici 1 e 2 che indicano rispettivamente il padre e il figlio: λ 1>λ 2 : l’attività del figlio cresce nel tempo superando quella del padre e quindi il rapporto delle attività aumenta col passare del tempo. λ 1<λ 2 : Equilibrio transiente. L’attività del figlio cresce fino ad arrivare ad un valore di saturazione; cioè dopo un tempo caratteristico, che dipende dal rapporto delle due λ, il rapporto delle attività, tra figlio e padre, si stabilizza fino a raggiungere un valore costante pari a N 2 λ2 λ2 = N 1 λ1 ( λ 2−λ 1) (2.8) λ 1≪ λ2 : Equilibrio secolare. L’attività del figlio cresce fino a raggiungere lo stesso valore dell’attività del padre. Figura 2.2 - Andamento nel tempo del rapporto delle attività di due elementi radioattivi che decadono in serie, il padre è identificato dal pedice 1 e il figlio dal pedice 2. Le tre curve indicano tre diversi rapporti tra le vite medie degli elementi. 18 Figura 2.3 – Caso di equilibrio transiente. Andamento dell'attività dei figli del Rn222 fino al raggiungimento dell'equilibrio 2.4 – Produzione e trasporto del radon Già a partire dagli anni '30 si intensificarono gli studi sulla migrazione dei gas nei suoli e nelle rocce perché forti erano gli interessi per le esplorazioni petrolifere e poi, negli anni ’60, a seguito dell’incremento delle ricerche di giacimenti uraniferi, aumentarono in gran misura gli studi sul comportamento dei gas all’interno della litosfera, specialmente quelli sul radon in quanto era direttamente associato ai giacimenti di uranio. Da allora sono stati sviluppati e migliorati svariati modelli fisici sulla migrazione dei gas, basati su equazioni con differenti gradi di complessità, per le prospezioni geotermiche, l’esplorazione legata alla ricerca dell’uranio e la radioprotezione ambientale [Mogro-Campero A., Fleisher R.L. e Likes R.S., 1980]. Il radon, prodotto dal decadimento α del radio, ha una concentrazione che varia in ogni tipo di roccia e suolo che costituiscono la crosta terrestre. Dopo che viene prodotto può fuoriuscire dalla matrice solida sia per diffusione molecolare che per convezione e 19 infine può raggiungere l'atmosfera lasciando la crosta terrestre, dove comportamento e distribuzione dipendono principalmente dai parametri meteorologici. Le concentrazioni di gas radon all'interno dei suoli sono migliaia di volte superiori a quelle che si possono misurare nell'atmosfera e ciò implica un alto gradiente di concentrazione tra i due mezzi che è mantenuto all'incirca costante grazie alla continua produzione da parte del suo predecessore, il radio. 2.4.1 – L'emanazione Quando il 226 Ra ed il 224 Ra contenuti all'interno di una materiale roccioso decadono, gli atomi di radon prodotti possono spostarsi dai grani della matrice solida verso i pori interstiziali. La frazione di atomi di radon che riesce a fuoriuscire dal grano fin dentro i pori è definito come coefficiente di emanazione e. Però, mentre gli atomi di radio sono strettamente vincolati al reticolo cristallino, quelli di radon, essendo allo stato gassoso, possono migrare al di fuori del solido. Il fenomeno che governa la probabilità che l'atomo fuoriesca dal grano fino a raggiungere gli spazi interstiziali è dovuto essenzialmente a due fattori: la diffusione del gas nei solidi ed il processo di rinculo, ma poiché il coefficiente di diffusione dei gas nei grani solidi è molto basso, si assume che il fenomeno è regolato essenzialmente dal rinculo degli atomi di radon in seguito all'emissione delle particelle α da parte del radio, come rappresentato in figura (2.4). Le energie cinetiche possedute dagli atomi di 222Rn e 220Rn, dopo il decadimento, sono pari a 86 keV e 103 keV rispettivamente. Le distanze medie percorse dai nuclei di radon variano all'interno del range dei 20 - 70 nm (il range medio dell'isotopo 222 all'interno dei più comuni materiali è mostrato in tabella (2.3). Per cui ne consegue che solo gli atomi del gas generati nei granuli ad una distanza dalla superficie esterna inferiore ai 70 nm possono riuscire a fuoriuscire dal grano [Bossus, 1984]. Il caso (c) di figura (2.4) viene chiamato di raccolta diretta perché l’atomo contribuisce direttamente all’emanazione; invece nei casi (b) e (d) l’atomo, trovandosi comunque nella zona superficiale del granulo in cui è appena penetrato, può diffondere nuovamente verso l’esterno e contribuire all’emanazione con un processo chiamato di raccolta indiretta. 20 Figura 2.4 – Possibilità di rinculo di un atomo di 222Rn. (a) Il 226Ra si trova troppo all'interno del grano rispetto alla lunghezza di rinculo e il 222Rn rimane incorporato nel grano ospite. (b) Il 222Rn è abbandona il grano ospite e viene incorporata in un grano adiacente. (c) Il 222Rn entra in un mezzo liquido, la sua energia di rinculo viene assorbita, e rimanere libero a diffondere nel fluido. (d) Il 222Rn viaggia attraverso lo spazio vuoto, riempito da gas, mantenendo la sua energia e viene assorbito in un granello nelle vicinanze. Energia cinetica 86 keV SiO 2 26 nm H2O 100 nm Aria 63 μm Rocce comuni 20 – 70 nm Tabella 2.3 – Range medio del nucleo di rinculo 222Rn in diversi materiali Un'altra possibilità di fuoriuscire dal grano originario è la diffusione attraverso il materiale del grano danneggiato dalla radiazione dovuta ad altri decadimenti. Quindi, come è evidente, sia le dimensioni che le proprietà chimico-fisiche del grano giocano un ruolo fondamentale nel processo di emanazione. 21 2.4.2 – Fattori che influenzano l'emanazione Il coefficiente d’emanazione e dipende da diversi fattori che vanno dalle caratteristiche intrinseche del materiale, come la dimensione e la natura dei grani, la distribuzione del radio al loro interno e la porosità, e alle sue condizioni fisiche, cioè dai parametri ambientali. Proprio a seguito di queste numerose dipendenze deriva il fatto che il coefficiente di emanazione può avere un vasto range di valori per uno stesso materiale e quindi, come si può notare in tabella (2.4), il valore di e, misurato per diversi materiali, è compreso in un intervallo molto ampio per uno stesso materiale [Nazaroff A.V., Nero W, 1988]. Materiale e Cemento armato 0.1-0.4 mattoni 0.02-0.10 gesso 0.03-0.20 cemento 0.02-0.05 Tabella 2.4 - Coefficiente di emanazione del radon in alcuni campioni di materiale (Nazaroff,1988). La temperatura e la pressione sono due fattori che influenzano poco il potere di emanazione, infatti sono stati misurati aumenti significativi di circa il 20%, in campioni di granito con circa il 30% d’umidità, solo in corrispondenza a variazioni della temperatura da –20°C a 265 °C [Iskandar D., et al., 2004]. Invece il potere di emanazione è molto sensibile alle variazioni di umidità, cioè al contenuto di acqua nel materiale, infatti gli atomi di radon rinculati dai grani vengono rallentati molto di più dall'acqua che dall'aria a causa della diversa resistenza viscosa, e quindi il percorso delle particelle all'interno dei pori, almeno parzialmente riempiti di acqua, è nettamente inferiore al percorso medio nell'aria secca. Perciò un atomo di radon che riesce a fuoriuscire da un grano ed arriva in un poro, che sia anche solo parzialmente riempito d'acqua, rilascia buona parte della sua energia cinetica in questo 22 volume nel quale si ferma, e quindi il coefficiente di emanazione sarà tanto più grande quanto maggiore è il contenuto d'acqua. Fino a valori di umidità di circa il 10% il valore del coefficiente di emanazione può diventare anche 4 volte più grande rispetto a quello misurato nei materiali secchi. Dopo il 10% di umidità invece l’umidità elevata, riduce la velocità di esalazione del radon nel mezzo poiché il coefficiente di diffusione risulta notevolmente ridotto in materiali saturi d’acqua. I risultati sperimentali, riportati nel capitolo 4, mostrano che la velocità di esalazione aumenta proporzionalmente al contenuto d’umidità fino ad un valore massimo del 10% per poi diminuire fino a raggiungere un valore minimo in materiali saturi d’acqua [Stranden E., 1984]. Fig. 2.5 - Variazione del coefficiente di emanazione di un mezzo in relazione all’umidità di questo (Strong, Levins, 1981). 2.4.3 – I meccanismi di trasporto del radon attraverso i pori Una volta che il radon ha raggiunto gli spazi interstiziali tra i grani può muoversi grazie a due possibili meccanismi: o tramite la diffusione all'interno del poro, riempito con un liquido o un gas in proporzioni variabili, oppure tramite la convezione quando è il fluido 23 a trasportare il radon. La diffusione dipende principalmente da 3 fattori: Porosità: Oltre ad essere influenzata dalle dimensioni, dalle forme e dalla disposizione degli elementi costituenti la matrice solida è influenzata anche dalla composizione, per esempio un materiale in cui c'è una abbondante presenza di cemento la porosità può diminuire anche fino ad annullarsi. In generale può essere suddivisa in primaria o intergranulare, che trae origine proprio dal sedimento ed è perciò legata al modo in cui si forma il poro, oppure secondaria, se è determinata da fattori che subentrano successivamente, come per esempio la ricristallizzazione, la fratturazione, etc. Si può anche distinguere tra porosità totale e porosità effettiva in base a se ci si riferisce alla totalità dei pori oppure solo ai pori intercomunicanti che sono quelli che poi influenzano il grado di esalazione del radon perché determinano la frazione di volume occupato da pori liberi e attraversabili, e quindi disponibili al trasporto e alla diffusione del gas. In generale la porosità di un mezzo p, i cui valori tipici sono riportati in tabella (2.5), è data dal rapporto tra il volume degli spazi vuoti Vd ed il volume totale, dato dalla somma di Vd e Vs il volume degli spazi pieni: p= Vd V d +V s (2.9) Tabella 2.5 - Valori tipici di porosità nei materiali più comuni 24 Permeabilità: rappresenta la proprietà che ha un suolo o una roccia di farsi attraversare da un fluido. L'unità di misura è il Darcy, che è uguale alla permeabilità di una roccia che si lascia attraversare da un liquido con una velocità v =1 cm s−1 ed una viscosità η=10−3 Pa s sottoposto ad un gradiente di quando il liquido è pressione ∇ P=1 atm cm−1 , per cui 1 darcy=0,987 10−12 m2 . La permeabilità quindi dipende da più fattori: dalla natura del mezzo, dal fluido che l'attraversa e dai parametri ambientali a cui è sottoposto il fluido. La natura del mezzo influisce sulla permeabilità in base alle dimensioni e alla continuità dei pori, cioè più i pori sono allineati ed ampi e più il fluido riesce ad attraversarlo facilmente. La permeabilità intrinseca Ki (mdarcy), che è una misura della facilità di movimento del fluido attraverso i vuoti interconnessi della matrice solida sotto l’influenza di un gradiente di pressione, si ricava dalla legge di Darcy: ∇ P=−η v Ki (2.10) che descrive appunto lo spostamento di un fluido, con velocità media v in un mezzo poroso, proporzionale al gradiente di pressione p applicato all’estremità dell’interstizio ed inversamente proporzionale alla viscosità del mezzo. Ki è legata alla permeabilità totale K (m/s) tramite la relazione: ρg K =K i η (2.11) in cui ρ è la densità del mezzo in kg/m3, g è l’accelerazione di gravità e η è la viscosità (Ns/m2). In tabella (2.6) sono riportati i valori di permeabilità totale per i terreni più comuni dove si vede che K varia in un intervallo di 10-5- 10-8 m2 25 Tipo di terreno K (cm/s) Argilla ≤ 10-6 Limo 5·10-4 10-5 Sabbia limosa 2 ·10-3 10-4 Sabbia fine 5 ·10-2 10-3 Sabbia mista 10-2 -10-3 Sabbia pulita 1 – 10-2 Ghiaia pulita ≥1 Tabella 2.6 - Tipici valori di permeabilità del suolo Nel caso di un sistema a due fasi, liquido più gas, la permeabilità al gas decresce quando aumenta il contenuto d’acqua, proprio perché è ridotto lo spazio a disposizione del gas per infiltrarsi a causa della maggiore “incompressibilità” dell’acqua rispetto a quella del gas. L’importanza della dimensione dei pori o delle fratture risulta più chiara se si fa un'analogia con la legge di Poiseuille, che mette in relazione la portata di un fluido che scorre in un tubo con la perdita di pressione ai suoi capi, e la viscosità del fluido [Damkjaer e Korsbech, 1985], per una fissata geometria del tubo (raggio e lunghezza). Quindi, se si considera il flusso derivante da ogni poro interconnesso come un flusso stazionario di un fluido viscoso attraverso un tubo circolare di raggio r, allora la portata Q (il volume di fluido che attraversa una sezione di tubo per unità di tempo) è data da: π r 4 ( p0 − p 1) Q= 8 ηl (2.12) in cui p0 e p1 sono le pressioni all’inizio ed alla fine della porzione di tubo, l è la lunghezza del tubo ed η la viscosità del fluido, per cui il volume di gas che fluisce nel poro per unità di tempo è proporzionale alla quarta potenza del raggio del poro stesso. Si definisce permeabilità secondaria quella che è determinata dalle possibili presenze di faglie e fratture che costituiscono delle vie preferenziali di trasporto 26 per il fluido e che possono notevolmente facilitare il cammino del radon verso la superficie del mezzo. Se le faglie o le fratture non sono ostruite da altre rocce o da terreno e se queste sono attraversate anche da altri gas o da fluidi idrotermali si ha un aumento della velocità di cammino del radon. Contenuto di acqua: va tenuto in considerazione per via del suo alto potere frenante. In genere i meccanismi che regolano il movimento di un gas dipendono dalla quantità di gas contenuto in un dato volume di roccia, e in parte dalla sua reattività chimica, e quindi lo spostamento di un gas è dovuto principalmente ai gradienti di pressione ed a quelli di concentrazione, e poiché in ambiente geologico questi due processi non agiscono mai separatamente, allora il moto di un gas, formalmente, dovrebbe essere pensato come una loro combinazione. Quando è presente un gradiente di concentrazione, le molecole del gas tendono a muoversi per equilibrare la concentrazione in tutte le parti della roccia in direzione opposta a quella del gradiente di concentrazione; è possibile derivare l'espressione, in determinate condizioni geometriche, del flusso di radon espresso in Bq m2 s−1 . Ipotizzando che le terra sia una massa porosa semi infinita di materiale omogeneo, allora il flusso di radon JD che affiora dalla superficie si può esprimere tramite la legge di Fick [Sabbarese, 1995] √ J D =C Ra λ Rn e Rn ρ ( De ) λ Rn p (2.13) dove CRa (Bq/Kg) è la concentrazione di 226Ra nel suolo, λRn è la costante di decadimento del radon, eRn è il coefficiente di emanazione del terreno o della roccia, ρ (kg/m3) è la densità del materiale, De (m2/s) è il coefficiente di diffusione effettivo del materiale e p è la porosità. Anche la convezione è dovuta alla concomitanza di più processi: parametri meteorologici fuori dal terreno che inducono variazioni di pressioni 27 sul flusso stress generato dall'insorgenza di contrazioni che possono precedere eruzioni vulcaniche e terremoti convezione fluida che alimenta un flusso di radon quando la permeabilità delle matrici solide è sufficientemente elevato vulcani o regioni calde in generale che inducono emissioni di gas La convezione, il cui comportamento è descritto dalla legge di Darcy, dipende dal gradiente di pressione e dalla permeabilità ed è espressa dalla relazione: −1 K =η dV dP ( ) S dt dz (2.14) dove η è la viscosità, dV/S dt è la quantità di volume mosso per unità di massa nell'unità di tempo, S è la sezione del poro e dP/dz è il gradiente di pressione. 2.4.4 – La diffusione del radon Nei pori della matrice solida il mezzo in cui avviene generalmente la diffusione è acqua o aria, quindi, è conveniente distinguere tra Dair, coefficiente di diffusione in aria, e Dw, coefficiente di diffusione in acqua. Inoltre bisogna anche tener presente che esistono tre differenti coefficienti Di, tabella (2.7), per ognuno dei possibili processi di diffusione [Martinelli, 1993]: - diffusione molecolare del gas in un fluido; - diffusione interstiziale del gas in un mezzo; - diffusione globale di un gas in un mezzo. 28 Gas D w ( 25 ° C ) D m (25 ° C) De D Rn 1.37 x 10-5 0.12 0.03 – 0.05 0.007 He 2.12 x 10-5 0.70 CO2 1.95 x 10-5 0.15 0.02 – 0.03 0.007 Tabella 2.7 - Valori dei diversi coefficienti di diffusione (cm2/s) per tre tipi di gas. Il coefficiente di diffusione molecolare ( D m) prende in considerazione solo l’interazione tra il gas ed il fluido che viene attraversato. La diffusione interstiziale è definita dal coefficiente di diffusione effettivo ( De ) , che descrive la diffusione considerando il moto delle molecole del gas attraverso una struttura porosa: De =n · Dm (2.15) dove n è la porosità del mezzo. La diffusione globale infine è definita dal coefficiente di diffusione apparente ( D ) , che tiene conto sia degli effetti di porosità che di quelli di tortuosità del mezzo. Per i suoli D è definito come: n 2 D=n D e =n D m= τ D m (2.16) dove τ, tortuosità del mezzo, è data dalla percentuale di tratti rettilinei rispetto a quelli curvilinei. Per cui ne consegue che Dm > De > D. Bisogna fare attenzione a non cadere in errore pensando che l'unico modo in cui il radon viene trasportato è la diffusione, infatti se il radon si muovesse solo in modo diffusivo, 29 in un determinato lasso di tempo t, potrebbe percorrere solo una distanza pari a 1/ 2 Z d =( Dt ) , che corrisponderebbe, considerando la diffusione del radon in acqua, a circa 1 cm in 1 giorno, 6 cm in 1 mese e circa 21 cm in 1 anno [Chauhan e Chakarvart, 2004]. A supporto di quanto appena detto, se a partire dalla prima legge di Fick, applicata al caso in cui la concentrazione di radon è stazionaria ̄C J̄d =−D ∇ (2.17) si calcola il gradiente di concentrazione della diffusione del radon in un mezzo isotropo si ottiene come soluzione C x =C 0 e – x L (2.18) dove Co è la concentrazione del gas all’origine, C x la concentrazione di x dall’origine, L è la lunghezza di diffusione del 222 Rn a distanza 222 Rn in cm. Il valore di L è definito dalla relazione L=( D 12 ) λ L’equazione (2.18) mostra perciò che soltanto il 3% del (2.19) 222 Rn riesce a percorrere una distanza superiore a 3L dall’origine, e ciò dimostra che il contributo del termine diffusivo al moto del radon può essere trascurato quando il gas migra su lunghe distanze [Andrews, 1972]. Quando si studia la diffusione bisogna tener conto anche del contributo al flusso dovuto ai gradienti di pressione che per un gas radioattivo, con una concentrazione C (Bq/m3) ed una velocità v (m/s), è espresso dalla formula: J̄a= ̄ vC (2.20) 30 dove la velocità v (che secondo la legge di Darcy dipende dal coefficiente di permeabilità del mezzo Ki, dal gradiente di pressione e dalla viscosità del gas η) è: v= −K i ∇ P η (2.21) In effetti però, la relazione (2.21) è applicabile solo per flussi laminari, cioè quando il numero di Reynolds R è uguale a d v ρ/ η ≤ 4 , in cui d è la dimensione trasversale dell’oggetto, v è la velocità media del fluido nel mezzo poroso, ρ densità del mezzo ed η la viscosità del fluido [Scholz,1990]. Allora unendo i due contributi descritti dalle relazioni (2.17) e (2.18) si ottiene che il flusso totale del gas è descritto dall'equazione: ̄ C +̄ ̄ J =−D ∇ vC (2.22) I modelli [Gauthier, 1999] più usati per descrivere il processo di diffusione sono quelli che prendono in considerazione una lastra piana sottile che viene attraversata in una sola direzione e che descrivono il processo utilizzando l'equazione (2.22) unitamente all'equazione di continuità: δC ̄ ̄ ∇ J= δt (2.23) dalle quali si ottiene la seguente relazione: δC δ2 C = D 2 δt δz (2.24) detta anche seconda legge di Fick, dove C è la concentrazione del gas e D è il coefficiente di diffusione. Quando però si considera il radon bisogna tener in considerazione anche il fatto che si tratta di un gas radioattivo e che quindi la relazione 31 (2.24) va opportunamente modificata aggiungendo un termine che tiene conto del decadimento del radon stesso e un termine che tiene conto della produzione del radon per via del decadimento del radio 2 δC Rn δ C Rn =D +λ Ra C Ra−λ Rn C Rn 2 δt δz (2.25) dove CRa, λRa, CRn e λRn sono rispettivamente le concentrazioni e le costanti di decadimento del radio e del radon. Ora, supponendo che la sorgente di radon si trovi a grande profondità e che tale sorgente sia completamente occlusa da uno strato di terreno, a profondità z', che non produca per decadimento nemmeno un atomo di radon, allora si può utilizzare il modello descritto dalla relazione (2.25) assumendo però che nell'area studiata la produzione e l'emanazione di radon, dovute alla presenza del sovraccarico di terreno, siano nulle. L'equazione del trasporto nel caso stazionario, nello spessore di suolo che sovrasta la sorgente, verrà riscritta così: 2 δ C v δC + −λ Rn C Rn=0 2 D δz δz (2.26) dove C ora è la concentrazione di radon alla profondità z, v è la velocità del flusso di gas, D e λ sono il coefficiente di diffusione e la costante di decadimento del radon [Chen, 1993]. Infine la soluzione per l'equazione di trasporto del radon è: C (z )=C o e v (z '− z) 2D √ √ v 2 λ sinh ( )+ 2D Dz v 2 sinh ( )+ λ 2D Dz' (2.27) con Co concentrazione di radon alla sorgente. La relazione (2.27), considerando una diffusione costante ed un terreno omogeneamente radioattivo, viene così semplificata: 32 √ −z λ D C (z )=C o (1−e ) (2.28) Però, poiché alterazioni delle condizioni al contorno possono influire sulla sorgente C0 e/o sulla velocità v, che a loro volta vanno a modificare la concentrazione C(z) misurata, allora bisogna sempre tener in considerazione che quando queste variazioni hanno luogo vanno ad influenzare maggiormente la concentrazione a profondità minori. Infatti, come si vede anche in figura (2.6), la variazione della velocità, definita come √ λ D , per un caso in cui h = 20 m e D = 0.036 cm2/s, influenza maggiormente la concentrazione alla profondità di 50 cm piuttosto che quella a 100cm. Figura 2.6 - Variazione delle concentrazioni relative di radon in relazione alla velocità del gas nell’aria del suolo (Wattananikorn,1998). Infine, per uno stesso terreno bisogna anche tener conto della variabilità della concentrazione del gas in funzione della profondità per diverse condizioni di umidità: asciutto, bagnato e saturo. Come mostrato in figura (2.6), in condizioni di saturazione la concentrazione di radon raggiunge il valore massimo ad una profondità di circa 10cm, mentre quando il terreno è asciutto quasi tutto il radon viene disperso già per distanze 33 inferiori ai 10 cm. Quindi è chiaro che il coefficiente di diffusione del radon dipende molto dalla percentuale di umidità del suolo. Sperimentalmente Rogers [Rogers et al, 1984], ha ricavato sia il coefficiente di diffusione in funzione della porosità p e del grado di saturazione dei pori m, cioè della frazione dell'acqua nel suolo comparata con quella in condizioni di saturazione, trovando la seguente relazione: 2 5 D=0.07 e−4(m−mp +m ) (2.29) e sia il coefficiente di diffusione effettivo Deff come relazione tra il coefficiente di emanazione sperimentale del suolo e ed il contenuto d'umidità nel suolo θ: 14 e Deff =D0 e exp−6 θ−6( θ ) e (2.30) dove D0 vale 1.1 10−5 m2 s−1 e dove Deff assume i valori compresi nel range −6 −8 2 −1 3.0 10 −5.6 10 m s quando il coefficiente e si trova nel range di valori 0.08−0.28 . Figura 2.7 - Andamento della concentrazione di radon in funzione della profondità per diverse condizioni di umidità del terreno 34 2.4.5 – L'esalazione del radon Con il termine esalazione si indica il processo attraverso il quale il radon che è stato emanato nel suolo riesce a fuoriuscire dalla matrice solida fino arrivando nell'atmosfera. I meccanismi che concorrono a far fuoriuscire il gas dal suolo sono la diffusione e il trasporto convettivo: il primo, descritto dalle leggi di Fick, dà luogo ad un flusso perpendicolare alla superficie terrestre proporzionale al coefficiente di diffusione D e al gradiente di concentrazione, mentre il secondo, essendo dipendente dalle condizioni meteorologiche, non ha una descrizione qualitativa esatta. I fattori che influenzano l'esalazione sono molteplici, come per esempio variazioni di temperatura o di velocità del vento, abbondanza di precipitazioni di pioggia o di neve, cambi nella pressione atmosferica, ma nel caso in cui la dipendenza dalla convezione è trascurabile rispetto ai fattori legati alla diffusione allora si può esprime il rateo di esalazione tramite la formula [Guo et al., 2004]: E Rn222=√ λ Rn222 De ρb e Rn222 C Ra (2.31) riferita al caso dell'isotopo del 222Rn, in cui λRn222 è la costante di decadimento (s-1), Deff è il coefficiente di diffusione effettiva (m2 s-1) calcolato tramite la relazione (2.30), ρb è la densità apparente a secco (kg m-3), eRn222 è il coefficiente di emanazione del radon e CRa è la concentrazione del 226Ra (Bq m-3). Similmente per l'esalazione del toron si ha che: E Rn220= √ λ Rn220 De ρb e Rn220 C Th dove questa volta CTh è la concentrazione del Se si ipotizza che le concentrazioni di 226 (2.32) 232 Th. Ra e di 232Th nel suolo sono uguali è possibile stimare il rapporto tra i rate di esalazione ERn222 e ERn220 tramite la relazione: E Rn220 λ Rn220 L Rn220 = E Rn222 λ Rn222 L Rn222 (2.33) 35 dove Lrn222 e Lrn222 sono le lunghezze di diffusione dei due isotopi calcolate mediante la relazione tra il coefficiente di diffusione effettivo Deff e la costante di decadimento λ L= √ D eff λi i (2.34) allora, con un valore Deff =3.0 10−6 m2 s−1 e p=0.3 per un terreno secco, si ha che il rate di esalazione del 220Rn è 76 volte più grande di quello del 222Rn. 36 Capitolo 3 – Strumenti e metodi per la caratterizzazione 3.1 – La caratterizzazione del sito L'obiettivo principale di questa tesi è quello di ottenere un “segnale radon” che si possa usare come segnale per ottenere informazioni sulle dinamiche interne alla crosta terrestre. Per rendere significativa tale misura bisogna studiare le normali variazioni dei valori della concentrazione di radon in un determinato sito di interesse sismo-vulcanico con una metodologia che permetta di quantificare, e perciò anche di minimizzare, le influenze di tutti i parametri che possono alterare le concentrazioni misurate di radon. Utile per raggiungere questo risultato è sia la possibilità di effettuare la misura spettrometrica del radon, in maniera da poterne distinguere i vari isotopi, e sia la misura in parallelo della concentrazione di attività e dei parametri meteorologici. Lo strumento utilizzato che permette di realizzare questi obiettivi è il sistema di monitoraggio continuo RaMonA (Radon Monitoring and Acquisitions) [Roca, 2004]. Infatti, esso, oltre a permettere la separazione spettroscopica dei vari isotopi mediante la raccolta elettrostatica dei prodotti di decadimento del 222 Rn e del 220 Rn sul rivelatore al silicio, è anche in grado di registrare in tempo reale l’andamento dei parametri di temperatura, di umidità e di pressione sia nella cella di raccolta e sia nel terreno in cui avviene la misura. Il campionamento del radon avviene mediante aspirazione forzata del campione di aria da esaminare e fornisce il risultato on-line grazie al sistema di rivelazione integrato che restituisce la risposta della misura in tempo reale. La misura in continuo di radon permette di osservare le fluttuazioni di concentrazione su tempi dell'ordine dell'ora e perciò dà anche informazioni sulla correlazione con i parametri che danno luogo a tali variazioni. L’apparato con il quale sono state effettuate le misure di radon nel suolo è illustrato in figura (3.1): sulla superficie laterale della camera di raccolta sono presenti due valvole, di ingresso e di uscita, a cui si collegano tubazioni in PVC per veicolare l’aria dal suolo verso l’interno della camera. Un software che gestisce l’interfaccia Ethernet permette l’acquisizione dei dati (come i conteggi e i parametri ambientali in camera e nel suolo) sia in locale che da postazioni remote, di temperatura. 37 Figura 3.1 - Schema della stazione per misure Radon basata sul rivelatore RaMonA La pulizia del segnale ottenuta con la metodologia proposta, che fa si che la concentrazione finale sia indipendente da tutti i fattori locali che la influenzano, consente di ottenere un segnale radon utilizzabile. Gli elementi di questo processo sono: 1) il monitoraggio continuo delle emissioni di radon in un periodo sufficientemente lungo da permettere la conoscenza delle variazioni stazionarie del radon nel sito e l'osservazione nell'area di interesse dei livelli di radon in più punti. 2) l'acquisizione di un set di parametri fisici del sito in esame (come la concentrazione dei progenitori del 222 Rn e del 220 Rn, etc.); di tutti i parametri climatici (temperatura, pressione, umidità,) che influenzano il comportamento del radon. 3) misura del coefficiente di emanazione dei due isotopi dei materiali costituenti i suoli tipici dell'area sotto esame e della loro dipendenza dalle condizioni climatiche. 4) La valutazione della quantità del radon emesso localmente, che quindi non risente del fenomeno remoto ma che dipende principalmente dalla pressione, dall’umidità e dalla temperatura nel sito di misura. 38 La conoscenza delle normali oscillazioni delle variazioni delle emissioni di radon nel sito in esame non si può acquisire senza che il monitoraggio sia avviato, in quanto esso stesso può considerarsi elemento di caratterizzazione. E' importante anche la profondità a cui avviene il prelievo dell'aria che si convoglia verso il rivelatore, che è fissata ad 1 m, profondità che può minimizzare l'influenza delle condizioni meteorologiche esterne. Per conoscere i valori della concentrazione dei predecessori dei due isotopi del radon, e di come varia il loro andamento in funzione della profondità nel terreno, bisogna innanzitutto prelevare, tramite carotaggio fino ad un metro di profondità, dei campioni di terreno nel punto in cui viene installato il sistema di monitoraggio in continuo e poi bisogna effettuare su di essi misure di spettroscopia gamma. Sugli stessi campioni si determina anche il coefficiente di emanazione e, di cui occorre conoscere la dipendenza dai parametri ambientali, soprattutto dell’umidità. Queste misure sul coefficiente di emanazione si effettuano tramite una particolare camera a raccolta elettrostatica in cui si possono inserire i campioni di terreno da analizzare. Inoltre, è importante anche la valutazione quantitativa del radon di origine locale perché attraverso questo procedimento si possono rendere le misure indipendenti dalla frazione di radon emanato nelle immediate vicinanze del luogo di prelievo, distinguendolo così da quello di origine remota a cui si è interessati per la correlazione con i fenomeni che l’hanno generato. Per fare ciò si utilizza la misura della concentrazione di 220 Rn, di cui soltanto la frazione prodotta localmente, a causa della sua breve vita media, può raggiungere il rivelatore, dei coefficienti di emanazione di radon e toron e la parametrizzazione della loro dipendenza dai parametri ambientali. Quindi, il metodo prevede l'acquisizione in continuo della concentrazione di gas radon e dei parametri climatici, in più siti della stessa area di studio, per ottenere un’informazione riferibile all’intera area, piuttosto che al singolo punto di prelievo. Per raggiungere questo scopo sono stati individuati all'interno della caldera dei Campi Flegrei (che è la nostra area di studio), sette siti in cui sono già presenti le attrezzature per il monitoraggio, dei quali, allo stato attuale, tre ( Monte Sant'Angelo-MSA, Monte Olibano-OLB e il Vulcano Solfatara-SFT) sono stati attrezzati per il monitoraggio continuo del radon. Le ultime due stazioni sono gestite in collaborazione con l'Osservatorio Vesuviano. L’uso dell'unità montata nella Solfatara è complicato dalla necessità di superare alcune difficoltà legate alle condizioni del gas che viene dal suolo (molto caldo, umido e corrosivo) che si accumula in maniera eccessiva all'interno della 39 camera di RaMonA e ne altera le misure. Poiché l’efficienza del monitor a raccolta elettrostatica dipende fortemente da P, T ed U, per riportare i valori misurati a condizioni standard, occorre aver caratterizzato accuratamente la risposta del rivelatore in funzione di questi parametri. 3.2 - Descrizione del rivelatore al germanio e del rivelatore RaMonA Per misurare la concentrazione di attività dei radionuclidi contenuti all'interno dei campioni di suolo prelevati è stato utilizzato un rivelatore al germanio caratterizzato da una risoluzione di circa 2 keV a 1,33 MeV e da una efficienza relativa del 48%. Tale rivelatore, del tipo Gamma-X, è dotato di una finestra di berillio che lo rende sensibile a radiazioni di energia fino a 20 keV. Il germanio, poiché è dotato di un buona risoluzione energetica e di una discreta efficienza, risulta essere molto utile per l' analisi radioelementale. § Figura 3.2 - Tipico spettro gamma di un campione contenente radionuclidi naturali La forma delle righe, che si presenta come una distribuzione gaussiana centrata attorno al valore corrispondente all’energia del fotone, è dovuta alla natura statistica dei 40 processi che intervengono nella formazione del fotopicco. Infatti, in un processo di decadimento gamma le radiazioni emesse sono monocromatiche e possono cedere al rivelatore tutta la loro energia sia per mezzo di un singolo processo fotoelettrico che attraverso interazioni multiple. Come già accennato, le misure di concentrazione di radon nel gas del suolo sono effettuate tramite il rivelatore RaMonA , che è costituito da un cilindro metallico del volume di circa 1,3 litri, tenuto ad un dato potenziale positivo ad eccezione del centro della base superiore dove è alloggiato il rivelatore al silicio, (10 micron, 50mm 2). Il rivelatore è montato su di una scheda elettronica, anch'essa interna al volume della camera, che oltre al rivelatore integra il preamplificatore e i sensori di temperatura, pressione e umidità. .La camera è pilotata da un secondo modulo esterno in cui è integrata la parte restante della catena costituita da: • un amplificatore lineare; • uno stretcher lineare; • un multiplexer; • un convertitore analogico digitale (ADC) a 12 bit, che converte sia il segnale del rivelatore sia • un microprocesssore dotato di interfaccia ethernet, che permette di gestire il sistema da remoto • quello dei sensori ambientali; un con protocollo TCP/IP; alimentatore che produce sia l’alta tensione (0 - 4 kV) , per la cella elettrostatica e siu l’alimentazione per il rivelatore al silicio (0 – 24 V). Per la spettrometria α il silicio è il semiconduttore più utilizzato essendo un materiale ampiamente reperibile e con il vantaggio di poter lavorare a temperatura ambiente (ΔESi=1,12eV a 25C°). Generalmente le misure di spettrometria α vanno effettuate in condizioni di vuoto; infatti le particelle α hanno una bassa capacità di penetrazione in aria e riescono a percorrere al più pochi centimetri. Però, per il fine di questo lavoro , la misura nel vuoto non avrebbe alcun senso, infatti in queste condizioni non ci sarebbe neanche il radon. Per ovviare a questo problema si utilizza una camera a raccolta elettrostatica combinata ad un rivelatore di particelle al silicio. Utilizzando la 41 spettroscopia α si misura l’attività del radon attraverso il decadimento dei suoi figli: il 218 Po, il 214 232 Th. Infatti non è possibile osservare la particella alfa emessa dal nucleo di radon Po, il 210 Po per la serie dell'228U e il 216 Po, il 212 Po e il 212 Bi per la serie del poiché, essendo questo un elemento gassoso, si espande in tutto il volume disponibile e quindi le poche particelle alfa che raggiungono il rivelatore appaiono degradate in energia e irriconoscibili.. Si sceglie di osservare le particelle alfa emesse dal e seguenti, perché questi atomi all’80% sono ionizzati 218 Po, 216Po e quindi grazie al campo elettrico applicato all’interno della camera vengono trasportati e concentrati direttamente sulla superficie del rivelatore dove decadono e producono uno spettro alfa con buona risoluzione energetica più che sufficiente a distinguere i vari gruppi di particelle che, non perdendo energia in aria, si mostrano con la loro energia reale. Applicando una tensione di 3500 V, scelto come valore per la tensione di lavoro, nella camera si crea un campo elettrostatico necessario a raccogliere gli ioni 218 Po, generati dal decadimento del radon, in un tempo dell'ordine dei millisecondi. Per valutare gli ordini di grandezza basta ipotizzare che ogni ione di 218Po venga generato sulla sommità della camera e che risenta di un forza elettrostatica costante. In questo caso la velocità media con cui gli ioni polonio attraversano l’intera camera di 10 cm è dell’ordine di 10 4 cm/s, allora il tempo medio di attraversamento della camera ha un limite superiore di circa Tm = 7· 10-3 s, del tutto trascurabile rispetto al tempo di dimezzamento del 218 Po che è di 180 s : la maggior parte degli ioni, quindi, decade successivamente al momento di arrivo sul silicio. Quindi, l'apparato di misura, pur funzionando con aria alla pressione atmosferica, fornisce spettri ad alta risoluzione energetica (figura 3.3) in quanto il 218 Po decade quando già si trova sul rivelatore e le alfa rivelate non subiscono perdite di energia da parte dell'aria. Poi, sulla superficie del rivelatore la catena di decadimento continua fino al 210Po . I risultati vengono registrati con cadenza prefissata fornendo l’area delle righe alfa del 218 Po, del 214 Po e del 210 Po, avendo precedentemente fissato i limiti d’integrazione. 42 Figura 3.3 – Tipico spettro ottenuto con la sorgente di 222Rn. E' mostrato anche il picco di background del 210Po. 3.2.1 - Analisi di uno spettro alfa Un tipico spettro alpfa ottenuto tramite una camera a raccolta elettrostatica da misure in cui sono presenti entrambe gli isotopi del radon è mostrato in figura 3.4. 1400 218Po 214Po 1200 counts 1000 800 212Bi 600 212Po 216Po 400 200 0 5000 6000 7000 8000 9000 10000 Energy (keV) Figura 3.4 - Spettro alfa dei prodotti di decadimento del 222Rn e del 220Rn presenti nell’aria campionata. Come già detto precedentemente, la buona risoluzione dello spettro misurato con il rivelatore al silicio è dovuta al fatto che le particelle alfa sono emesse da sorgenti che 43 giacciono sulla superficie del rivelatore e, quindi, non subiscono un degrado in energia prima di essere rivelate. Questo non è più vero quando le particelle vengono generate, dal decadimento degli ioni polonio raccolti sulla superficie laterale del bordo interno del rivelatore (figura (3.5)) e quando gli atomi di polonio, depositati sulla superficie del rivelatore dopo la raccolta elettrostatica, emettono le loro particelle alpha attraverso lo "strato morto" con un certo angolo prima di entrare nella zona attiva del rivelatore. Tale fenomeno contribuisce alla coda esponenziale, osservata nello spettro dei discendenti del radon. Infatti, come ben si vede bene in figura (3.6) i picchi alfa dei due isotopi del polonio hanno una forma gaussiana in corrispondenza dei valori più alti di energia e presentano una coda di tipo esponenziale sul loro lato sinistro. Figura 3.5 – Schema di emissione dalla superficie del rivelatore e dal bordo laterale del rivelatore Tutti gli spettri sono "discriminati" bene tranne due, il 218Po e il 212Bi (che fa parte della serie del 220Rn). L'importanza del riuscir a risolvere bene questi due picchi sta nel fatto che quando si vogliono seguire le variazioni della concentrazione di 222Rn su brevi intervalli di tempo bisogna utilizzare la riga del 218Po perchè non solo è il suo primo p.p.d., ma anche perchè ha una vita media di 3,1 minuti che gli permette di raggiungere l'equilibrio del padre in meno di trenta minuti.Un metodo che può essere usato per la separazione dei due contributi consiste nel calcolare il valore dei conteggi del 212Bi a partire dai conteggi del 212Po e quindi sottrarli al picco del 218Po. Tale metodo si basa sullo studio preliminare del rapporto tra i cps del Po212 e del 212Bi in un'atmosfera in camera di raccolta contenente esclusivamente i prodotti di decadimento del thoron. Una volta verificato che all'equilibrio il rapporto tra i due radionuclidi è costante (figura 3.7), anche in presenza di variazioni di 220Rn, si può calcolare il valore dei cps che vanno sottratti al picco somma. Come riportato anche in figura (3.8), il 44 212Bi può decadere o tramite l'emissione di una particella α con energia di 6,208 MeV e con un branching ratio del 35,95%, oppure può decadere tramite una emissione β - con un branching ratio del 64.05% in 212Po, che a sua volta emette una α di energia 8,8Mev in 3*10-7 secondi. Questo allora significa che il valore che va sottratto al picco somma dato da 218Po+212Bi è uguale a 0,5 quello del 212Po. 1400 218Po conteggi medi/6h 1200 1000 800 212Bi 600 400 200 0 5700 5800 5900 6000 6100 6200 Energia (keV) Figura 3.6 - Spettro relativo al multipletto dovuto al 218Po ed al 212Bi. 2,5 cps Po212 / cps Bi212 2 1,5 1 0,5 0 0 1 2 3 4 5 6 7 time (h) Figura 3.7 – Andamento del rapporto dei cps del 212Po e del 212B in funzione del tempo Questo problema di interferenza tra le due righe può essere trascurato quando non è necessario utilizzare la riga del 218Po e quindi si può ricavare la concentrazione del 45 radon a partire dal 214Po la cui riga non intereferisce con nessun p.p.d. della serie del 220Rn. Figura 3.8 - Schema del decadimento della serie del 232Th a partire dal 216Po. Tali processi di decadimento avvengono direttamente sul rivelatore. 3.3 – Taratura degli strumenti L'importanza della conoscenza dell'efficienza di uno strumento risiede nel fatto che senza questo parametro non si può mettere in relazione la risposta dell’apparato di misura con la quantità di radiazioni emessa dal campione che viene studiato. L'efficienza si definisce come: ϵtot = eventi registrati eventiemessi dalla sorgente ed è funzione della geometria del rivelatore e della sezione d’urto delle interazioni. L’efficienza totale può essere espressa come il prodotto tra quella geometrica, o accettanza, e quella intrinseca, seconda la: ϵ tot =ϵgeom · ϵintr L’efficienza intrinseca è perciò la frazione di radiazione che colpisce il rivelatore che 46 produce un evento osservabile ϵ intr= eventi rivelati eventi che colpiscono il rivelatore e quindi dipende solo dal tipo di radiazione, dalla sua energia e dal materiale del rivelatore. Al contrario, l'efficienza geometrica, che è la frazione della radiazione emessa intercettata dal rivelatore, dipende dalla sua configurazione geometrica e dalla distribuzione angolare della radiazione. ϵ geom = eventiintercettati eventi emessi dalla sorgente Per comprendere il funzionamento e la risposta di ogni tipo di rivelatore è necessario essere a conoscenza dei meccanismi tramite i quali la radiazione interagisce con la materia. Le particelle α, che sono particelle cariche, essendo soggette alla forza di Coulomb, interagiscono continuamente con gli elettroni presenti nel materiale attraversato; per questo riescono a percorrere solo brevi distanze prima di cedere tutta la loro energia. Viceversa i raggi γ non posseggono carica elettrica interagiscono in maniera di tipo probabilistico. A seguito vedremo in dettaglio quali sono i meccanismi di interazione dei raggi γ e delle particelle α, sulla cui rivelazione si basa la strumentazione utilizzata nel corso di questo lavoro. Quindi, mentre l'efficienza per le alfa è solo di tipo geometrico, per i fotoni c'è da tener in conto anche quella intrinseca. 3.3.1 - Efficienza di un rivelatore gamma Due operazioni fondamentali da affrontare prima di iniziare qualunque tipo di misura sono quella della taratura in energia, per trovare la corrispondenza tra la posizione delle righe nello spettro (cioè ampiezza dell’impulso digitalizzata) e l’energia dei gamma corrispondenti e quella della taratura in efficienza, che dipende dalla probabilità di interazione e dall'energia della radiazione gamma. La taratura viene fatta per confronto usando delle sorgenti contenenti quantità note di radionuclidi che emettono fotoni di 47 energie che coprono il range d’interesse. L'efficienza è il parametro che quantifica la frazione della radiazione emessa dalla sorgente che, interagendo all’interno del rivelatore, viene registrata come evento utile. Sono tre i principali modi di interazione dei raggi gamma con la materia per energie dell’ordine del MeV, range tipico della spettrometria gamma,: effetto fotoelettrico, scattering Compton, produzione di coppie. Ognuno di tali processi porta al parziale o totale trasferimento di energia dal fotone all’elettrone, risultando in cambiamenti repentini della traiettoria della radiazione. Con l'effetto fotoelettrico tutta l’energia hν del fotone incidente viene trasferita ad un elettrone atomico del mezzo attraversato. Se tale elettrone ha energia di legame Eb viene quindi espulso dall’atomo con un’energia cinetica pari a: E e =h ν − E b − La lacuna creata nell’atomo ionizzato può causare la cattura di un elettrone libero e il conseguente riassestamento degli elettroni sulle shell più esterne dando origine a raggiX caratteristici. Tutti questi processi verranno rivelati in coincidenza dando luogo al picco detto full energy peak nello spettro differenziale centrato intorno al valore di energia hν. L’effetto fotoelettrico è il fenomeno predominante nell’interazione dei raggi gamma di energia dell'ordine dei centinaia di keV, ed ha maggior incidenza nei materiali ad elevato Z. Una buona approssimazione per il valore della sezione d’urto si può ricavare dalla formula seguente: σ ph ∝ Z / E γ n 3.5 dove n varia tra 4 e 5. A causa della dipendenza da Z della sezione d’urto fotoelettrica vengono scelti materiali ad elevato numero atomico sia per la schermatura sia per i rivelatori usati nella spettrometria gamma. Poiché il fotone può percorrere una grande distanza entro il materiale rivelatore prima di interagire, oppure non interagire affatto e quindi attraversarne il volume senza essere rivelato, si definisce efficienza (assoluta) di un rivelatore il rapporto tra il numero di impulsi registrati e il numero di fotoni emessi dal campione misurato. Essa 48 dipende da una serie di fattori : - Assorbimento: la radiazione è soggetta all’attenuazione da parte di materiali interposti tra sorgente e volume attivo del rivelatore. Autoassorbimento: nel caso di sorgente estesa la radiazione viene attenuata dal campione stesso. Configurazione geometrica: può essere misurata solo la radiazione che viene emessa nella direzione del rivelatore e che non viene bloccata nel cammino verso la sorgente. Di uno spettro gamma, la parte interessante, sia dal un punto di vista dell’analisi qualitativa che quantitativa è costituita dai picchi di energia piena. Quindi la curva di efficienza che interessa misurare è ricavata da un fit di valori per i vari fotoni di energia Ei, definiti come il rapporto tra il rateo di conteggio degli impulsi registrati R riv e l’intensità dei fotoni corrispondenti emessi da una sorgente contenente isotopi di attività nota Rem: ϵ fot ( E i )= R riv R em (3.1) dove Rem è dato dal prodotto dell'attività dell'i-esimo nuclide Ai per la sua probabilità di emissione (branching) brγ ( Rem =Ai br γ) , e Rriv ( Rriv =N / t) è dato dal rapporto del numero di conteggi sottesi dal fotopicco N per il tempo di conteggio , per cui risulta che: ϵ fot ( E i)= N (Ei) t Ai br γ (3.2) Nel lavoro descritto in questa tesi, tutte le geometrie di misura sono state riportate a forme e dimensioni standard sia per i campioni che per le sorgenti, col vantaggio di rendere le misure indipendenti dall’efficienza geometrica.). Di solito le stesse sorgenti utilizzate per la misura dell’efficienza sono utilizzate anche per la taratura in energia dello spettro. 49 In figura (3.9) sono mostrati un classico contenitore di Marinelli, progettato per massimizzare l’efficienza e minimizzare l’autoassorbimento (figura (3.9.a)) e il bulbo di vetro utilizzato solitamente per il trasferimento e la misura di sorgenti gassose di radon (figura 3.9.b) Figura 3.9a–Beaker Marinelli Figura 3.9b – Ampolla di vetro Determinazione della concentrazione di attività Una volta che è nota l'efficienza alle varie energie, la determinazione della attività di un isotopo presente in un campione avviene mediante la seguente relazione a partire dall’analisi del suo spettro: Ai = Ni t ϵ fot ( E i ) br γ (3.3) dove N è il numero di conteggi relativi all'i-esimo radionuclide, cioè l'area netta sottesa dal picco ad energia Ei, t è il tempo di acquisizione, εfot(Ei) è l'efficienza del fotopicco per l'energia Ei, brγ è la probabilità di emissione γ dell'i-esimo nuclide. Dividendo l'attività per la massa del campione si ottiene la concentrazione in Bq/Kg dell'i-esimo nuclide ad energia Ei: C i= Ni m t ϵ fot ( Ei ) br γ (3.4) (cps = Ni / t), dei gamma rivelati, dati dal rapporto tra l’area del picco fotoelettrico ed il 50 tempo effettivo (tmis) d’acquisizione, si calcola l'attività del radon contenuto nell'ampolla da ciascun fotopicco di energia Ei tramite la relazione: Ai = Ni cps i = t mis ϵ fot ( Ei ) br γ ϵ fot ( E i ) br γ (3.5) 3.3.2 – Taratura del monitor continuo RaMonA In generale, per la taratura degli strumenti di misura del radon, si utilizzano due diversi metodi: uno prevede il trasferimento del gas direttamente nel rivelatore, mentre l'altro prevede l’esposizione del rivelatore stesso ad un’atmosfera con una concentrazione nota di radon. Nel primo caso il radon viene trasferito per diffusione collegando direttamente la sorgente contenente il gas alla cella, quindi con un’atmosfera campione realizzata all’interno della stessa cella di misura dello strumento in taratura. Taratura per 222Rn Il radon che viene immesso nella cella a raccolta elettrostatica per la misura dei decadimenti α viene prodotto a partire da una sorgente di 226 Ra, Pylon con attività nominale di 106.3 kBq nel nostro caso (figura (3.10)). Tale sorgente è costituita da sali di radio racchiusa tra filtri di plastica e supporti in vetro ed è alloggiata in un contenitore schermato. Il radon prodotto per decadimento del radio in quantità massima corrispondente alla condizione di equilibrio tra padre e figlio, che si verifica quando la sorgente rimane chiusa per almeno 20 giorni, viene poi trasferito per diffusione attraverso un circuito ad un bulbo di vetro, o ampolla del volume di 33 cm 3 (figura (3.9.b)). Dopo che l'ampolla è rimasta collegata al circuito per il tempo necessario ad accumulare in essa una certa attività di radon, viene chiusa, staccata dalla sorgente e lasciata a riposo per almeno 3h affinché si realizzi la condizione di equilibrio tra il radon e i suoi prodotti di decadimento a vita media breve. 51 Figura 3.10- Ampolla collegata alla sorgente di Ra226 Pylon La misura dell’attività del radon viene effettuata a partire dai fotopicchi più intensi dei figli del 222Rn, cioè i raggi gamma emessi dal 214Pb (alle energie di 242,0 keV, 295,2 keV e 351,9 keV) e dal 214 Bi (alle energie di 609 keV, 1120,3 keV e 1764,5 keV). In figura (3.11) è mostrato uno spettro acquisito usando il germanio iperpuro: Figura 3.11 – Curva di efficienza del rivelatore γ per l'ampolla 52 Figura 3.12 - Spettro gamma del 222Rn utilizzato per la misura dell’attività del radon A partire dall'equazione (3.3) e dai tassi di conteggio dei gamma rivelati, dati dal rapporto tra l’area del picco fotoelettrico ed il tempo effettivo (tmis) d’acquisizione, si calcola l'attività del radon contenuto nell'ampolla da ciascun fotopicco di energia E i tramite la relazione: Ai = Ni cps i = t mis ϵ fot ( Ei ) br γ ϵ fot ( E i ) br γ (3.6) L'attività misurata, però, deve essere corretta per i decadimenti che si verificano durante il tempo di misura, e, per poter effettuare dei confronti diretti con misure fatte sulla stessa sorgente in tempi diversi (come quando l’ampolla viene utilizzata per misure di efficienza), deve essere riportata ad uno stesso istante to definito opportunamente. Ciò viene fatto mediante la relazione: Ai ( t 0 )= Ai ( t ) e λ(t−t 0 ) λ t mis 1−e −λ t mis (3.7) 53 dove cps(t0) sono i conteggi riportati al tempo di riferimento, cps(t) sono i conteggi ottenuti alla fine della misura conclusa nell’istante t, e λ(t – t ) corregge per il decadimento 0 durante tutto il tempo trascorso e λ tr 1 − e − λ tr corregge per il decadimento avvenuto nel corso della singola misura di durata tmis. Di seguito, in tabella (3.1), sono riportati i dati ottenuti da un'analisi dello spettro γ della sorgente di radon contenuta nell'ampolla: Nuclide Ei (keV) Area netta σ cps σ A (Bq) σ A corretta (Bq) σ 214 242,0 45820 214 6,55 0,03 1868 26 1930 29 214 295,2 99006 315 14,34 0,05 1965 28 2029 30 214 351,9 160906 401 23,00 0,06 1936 27 2000 30 214 609,3 118782 345 16,98 0,05 1910 27 1973 30 214 1120,3 24025 155 3,43 0,02 1920 27 1983 30 214 1764,5 19277 139 2,76 0,02 1845 26 1905 29 Pb Pb Pb Bi Bi Bi Tabella 3.1 - Attività (Bq) relativa ai fotopicchi dello spettro γ della sorgente di radon contenuta nell'ampolla Infine, l'attività del radon contenuta nell'ampolla si determina tramite la media pesata delle attività di tutti i prodotti di decadimento: A=1966 30 Bq La procedura di taratura prevede che l'ampolla contenente il campione di attività nota, venga collegata tramite un rubinetto alla camera precedentemente ripulita e al cui interno la pressione è stata portata a 400 mbar. Aperto il rubinetto, il gradiente di pressione trasporta il gas nella camera, dopo di che, dal secondo ramo dell’ampolla si immette aria per portare la pressione al valore di interesse, quindi si richiudono i rubinetti e si avvia la misura.. I risultati vengono registrati con cadenza prefissata fornendo l’area delle righe alfa del 218 Po e del 214 Po. In figura (3.13) si vede come il processo di decadimento evolve nel 54 tempo fino al raggiungimento dell'equilibrio, dove i cps sono corretti per i decadimenti che si verificano durante il tempo di misura t mis e riportati all'istante to, cioè al momento iniziale quando il gas è stato inserito nella camera. Ciò viene fatto mediante la relazione cps(t 0)=cps (t )e λ(t −t ) 0 λ t mis 1−e−λt mis (3.8) Figura 3.13 – Andamento dei cps del Po218 e del Po214 in funzione del tempo; (le barre d'errore sull'asse y sono piccole e quindi sono coperte dai punti a cui sono associate) Durante tutta la fase di caratterizzazione sono stati effettuati più cicli di misura. Per ogni spettro l’efficienza è stata valutata come: ϵ=cps(t 0 )/ A0 / V tot (3.9) dove cps(t0) è il tasso di conteggio corretto per il nuclide considerato, A0 è l’attività della sorgente riferita all’istante t0 e Vtot è il volume totale della camera. Per valutare l'efficienza si è mantenuta la tensione fissa a 3500V e sono state eseguite 55 diverse misure al variare dell'attività introdotta nella camera. In figura (3.14) è riportato l'andamento dell'efficienza in funzione dell'attività. L’efficienza può essere calcolata utilizzando ciascuna delle 2 righe del polonio, e per ognuno viene ottenuta dal valor medio dei conteggi all'equilibrio: ϵ Po218 ( Rn222)=cps / Bq / L ϵ Po214 ( Rn222 )=0,1050,005 cps / Bq / L Figura 3.14.a - Andamento dell'efficienza in funzione della concentrazione per il radon misurato sulla riga del Po218 Figura 3.14.b – Andamento dell'efficienza in funzione della concentrazione per il radon misurato sulla riga del Po214 56 L’efficienza mostra un lieve andamento crescente con la concentrazione di attività; questo può essere spiegato dal fatto che a concentrazioni maggiori, il fenomeno della ricombinazione dei p.d.d. del radron con gli ioni positivi presenti in aria ha, in percentuale, una incidenza minore sull’efficienza di raccolta. – Taratura per il 220Rn Ovviamente serve una sorgente di toron, di attività nota, per poter misurare del rivelatore per il 220 R;, però, a causa del breve tempo di dimezzamento di questo isotopo, non è possibile produrre un campione che duri il tempo necessario al suo utilizzo. Quindi è stata messa a punto una nuova modalità per creare concentrazioni stabili di gas che si basa sull’uso di una sorgente di torio, predecessore del 220 Rn [Buompane, AIRP, 2011]. Innanzitutto il rivelatore al germanio è stato tarato per la nuova geometria (capsula Petri di 60mm di diametro, da noi denominata MTh4A) usata come standard per la sorgente di toron di attività nota. In seguito, una determinata attività di sabbia è stata inserita nel contenitore scelto per le sorgenti di torio (reticelle per lampade a gas contenenti 232 Th) ed è stata ricavata l'efficienza per la nuova geometria: Figura 3.15 - Curva di efficienza misurata per la geometria della sorgente MTh4A (Buompane, AIRP,2011) 57 Una volta nota l'efficienza in questa geometria si può procedere alla misura dell’attività delle sorgenti con un metodo che sfrutta il disequilibrio tra la prima e la seconda parte della serie radioattiva (metodo applicabile solo se per la serie è verificato l'equilibrio secolare, circa 30 anni). Per la prima parte della serie si usa come riferimento l' 228Ac che emette raggi γ in un grande range energetico, mentre per la seconda parte si usa il 212 Pb che è il primo discendente del toron ad emettere raggi γ. Però, prima di procedere con le misure della seconda parte, bisogna tenere aperta la sorgente per circa 4 giorni in modo da far si che il 212 Pb prodotto dal 220 Rn, emanato quando la sorgente è sigillata nel suo contenitore, decada ed anche per far si che all'interno della sorgente rimanga solo il 212 Pb che è in equilibrio con il 220 Rn non emanato. Fatto ciò il campione è pronto per le misure γ e quindi viene posizionato sul rivelatore insieme ad un sistema di aspirazione che allontana il 220 Rn emanato in modo da non farlo decadere nelle vicinanze della sorgente. Grazie a questo metodo si riesce a misurare solo il 212 Pb in equilibrio con la concentrazione del toron non emesso e per differenza si può calcolare la quantità di toron emanato dalla sorgente. Nella tabella 3.4 sono mostrati i risultati: Nuclide E (keV) br (%) A (Bq) σ (A (Bq) PB -212 AC -228 238,6 43,30 2240 90 300,1 3,28 1917 77 209,3 3,89 2274 91 911,2 25,80 2370 95 969,0 15,80 2426 97 338,3 11,27 2418 97 463,0 4,40 2072 83 772,3 1,49 2056 82 755,3 1,00 2262 90 794,9 4,25 2070 83 1588,2 3,22 2920 117 964,8 4,99 2339 94 328,0 2,95 2247 90 1630,6 1,51 2785 111 Nuclide A media (Bq) σ (Amedia (Bq) PB -212 AC -228 2079 83 2353 94 Tabella 3.2 - Attività (Bq) relativa ai fotopicchi dello spettro γ della mantellina contenente torio 58 L'attività del toron emanato è: 220 . Rn=27525 Bq A questo punto si passa alla caratterizzazione della camera inserendo la sorgente di attività nota all'interno di un sistema di flussaggio a cui è collegata la camera stessa, e quindi in questo caso l’efficienza viene calcolata come combinazione dell’efficienza propria del rivelatore e dell’efficienza del meccanismo di trasporto, che riproduce l’uso del rivelatore RaMonA per misure di radon nel suolo. Anche qui sono state eseguite diverse misure variando l’attività e lasciando costante la lunghezza del tubo di trasferimento. In figura (3.16) è mostrato l’andamento dell’efficienza in funzione della concentrazione, per la lunghezza del tubo pari a 110cm [Buompane, AIRP, 2011]. Figura 3.16 - Efficienza del sistema di rivelazione RaMonA al variare della concentrazione in camera . Le misure sono state eseguite con la lunghezza del tubo di trasferimento del toron fissa a 110 cm. Calcolando il valor medio per i valori delle efficienze ottenute per i due isotopi si ha: ϵ Po216 ( Rn222 )=0,00630,0005 cps/Bq/L Come si vede in figura (3.17), gli spettri ottenuti con il rivelatore, nel caso di una sorgente di 220Rn, sono costituiti da tre picchi dovuti al 212 Bi, al 216 Po e al 212Po, le cui energie sono E = 6.1MeV , E = 6.8 MeV e E = 8.8 MeV, rispettivamente. 59 Figura 3.17 - Tipico spettro del Rn220. La distribuzione dei conteggi a destra della riga del Po212 è dovuta alle coincidenze casuali tra le particelle alfa di E=8.8MeV e le particelle beta emesse dal Tl208 3.3.3– Taratura della camera elettrostatica per le misure di emanazione Questa camera, realizzata sugli stessi principi di funzionamento del sistema RaMonA, ma con la differenza che in questa configurazione si possono introdurre campioni di suolo da analizzare, è costituita da due cilindri metallici cavi, ciascuno di volume interno pari a 0,83L. La configurazione scelta per le nostre misure di emanazione è quella in cui tra i due cilindri è inserita una griglia metallica così da separare il volume che contiene il campione (quello inferiore) dal volume di raccolta. Per la misura d'efficienza di raccolta dei p.p.d. del radon si sono seguite la stesse procedure descritte nel paragrafo 3.3.3 ottenendo i seguenti risultati: ϵ Po218 ( Rn222)=0,250,02 ϵ Po214 ( Rn222)=0,260,02 ϵ Po216 ( Rn220)=0,00540,0005 60 Poiché in questo lavoro sono state eseguite una serie di misure per lo studio della dipendenza del coefficiente di emanazione dall'umidità del campione analizzato è stato necessario valutare anche la variazione dell'efficienza in funzione della tensione applicata alla camera perché oltre una percentuale dell'85% di umidità si generano scariche elettrostatiche, per tensioni superiori ai 2000V, che ne destabilizzano il valore. Si è potuto quindi ricavare l'efficienza corrispondente ad una tensione di sicurezza di efficienza media normalizzata (%) 1500V. 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 Tensione (V) Figura 3.18 - Dipendenza dell'efficienza normalizzata in funzione della tensione applicata alla camera di raccolta elettrostatica 3.4 – Dipendenza dai parametri ambientali Come detto precedentemente, nella camera sono installati i sensori di umidità, temperatura e pressione che permettono di misurare ed acquisire in tempo reale le variazioni di questi parametri. I parametri ambientali vengono misurati in quanto l'efficienza di raccolta della camera è sensibile alle loro variazioni che possono influenzare il trasporto degli ioni polonio dal punto del decadimento del radon fino al rivelatore. La maggiore influenza è prodotta dall'umidità, che, in base alla concentrazione di ioni idrossido OH-, prodotti dall’idrolisi dell’acqua, provoca la neutralizzazione degli ioni Po+. 61 Lo studio di caratterizzazione [Roca, 2004] finalizzato alla conoscenza della dipendenza dell’efficienza da questi parametri ha permesso di parametrizzare la loro influenza e quindi di normalizzare la risposta del rivelatore a condizioni standard. In base a questa si osserva una diminuzione dell’efficienza fino ad una umidità del 50%, ed una sostanziale ininfluenza per valori superiori (figura (3.19)). Per umidità inferiore al 50%, l'andamento è del tipo: ε =a+b· U (3.10) con: a = 0.278 ±0.002, b = (2,92 ± 0,05)· 10-3 cov (a,b) = - 2,71 La dipendenza dalla temperatura è stata studiata per U=50% e P=1000 mbar. La legge che ne è conseguita è: ε =c+d · T (3.11) con: c = 0,237 ± 0,002, d = (- 2,079 ± 0,110)·10-3 e cov (a,b) = - 2,16 . 1,42 1,22 ε /ε 0 1,02 0,82 0,62 0,42 0,22 30 35 40 45 50 55 60 65 70 U (%) Figura 3.19 - Dipendenza dell'efficienza di raccolta dalla percentuale contenuta in camera 62 1,15 ε /ε 0 1,05 0,95 0,85 5 10 15 temperatura (°C) 20 Figura 3.20 - Variazione dell’efficienza di raccolta con la temperatura (U=50% e P=1000 mbar) (Roca, 2004) Infine, tramite le relazioni (3.10) e (3.11), ottenute considerando i parametri T ed U indipendenti, si può riportare l’efficienza a condizioni standard (T0 = 25°C, U0 = 50% e P0 = 1000 mbar) applicando la relazione: ϵ 0=ϵ – b ·(U −U 0 ) – d ·(T −T 0 ) (3.12) 3.5 – Misura del coefficiente di emanazione Ponendo il campione da analizzare in una camera a raccolta elettrostatica chiusa ermeticamente e con dimensioni inferiori alla distanza di diffusione L del radon nel mezzo, si ottiene che tutto il radon emanato negli spazi interstiziali dei pori sarà esalato nella camera stessa [Moraskwa 1989],(in generale, il valore del coefficiente di diffusione , misurato all'interno di suoli secchi, vale circa 1 metro per il centimetro per il 222 Rn e circa 1 220 Rn [Nazaroff, Nero 1988]). La variazione temporale della concentrazione del radon fino al raggiungimento dell'equilibrio in camera si esprime tramite la seguente equazione: 63 dC (t ) E Rn = −λ C (t ) dt Vu (3.13) Figura 3.21 - Schema della camera a raccolta elettrostatica dove si assume che la concentrazione iniziale C(0) di radon sia nulla, cioè quella relativa a quando il campione ancora non è stato inserito nella camera, dove E Rn è la velocità di esalazione del radon (Bq s-1), ossia la quantità di radon che riesce ad uscire dal campione liberandosi nella camera, e dove Vu = Vtot-Vc è il volume utile della camera, cioè il volume intero della camera meno il volume occupato dal campione di suolo Vc, e λ è la costante di decadimento del 222Rn . La soluzione dell'equazione (3.13) è: C (t )= dove E Rn / λ V u E Rn −λ t (1−e ) λVu (3.14) è proprio il valore della concentrazione massima, misurata in Bq/m3,all'equilibrio nella camera che si può calcolare con un fit dei dati sperimentali con la funzione (3.14) nel caso di un sistema perfettamente isolato. Nella formula (3.14), che descrive l'evoluzione dell'attività in funzione del tempo, bisogna tener in 64 considerazione due fattori [De Martino et al., 1998] che possono influire sul valore di equilibrio raggiunto. Un fattore è dovuto alla possibilità di scambi di radon con l'esterno a causa di perdite della camera, mentre il secondo fattore, conosciuto anche come fenomeno di back-diffusion, tiene conto del fatto che una percentuale del radon che viene emanato, per via del volume finito di esalazione, possa essere riassorbito dal campione stesso. Questo fenomeno è ovviamente trascurabile nelle prime fasi dell'esalazione quando il volume a disposizione dell'espansione del gas è massimo. Inoltre, tale probabilità di retro diffusione è stimata essere inversamente proporzionale al volume della camera elettrostatica, ma è anche stato valutato [Morawska, 1980] che allorché sussiste il rapporto allora può anche essere trascurata. Quindi, tenendo in considerazione quanto sopra detto, la crescita della concentrazione di radon nella camera può esser descritta dalla seguente equazione: C (t )= E Rn (1−e−λ λVu efficace t ) (3.15) dove λ efficace=λ+λ∗ è la somma della probabilità di decadimento e della probabilità che avvengano perdite di gas verso l'esterno. Lo studio dell'intera crescita della curva, come quella mostrata in figura (3.22), consentendo la verifica del valore di λ, assicura che non ci siano fenomeni di disturbo o, in caso contrario, avverte della loro presenza e perciò offre la possibilità di ripetere le misure. Ovviamente, essendo differenti i valori delle costanti di decadimento per il −6 −1 radon e per il toron, rispettivamente λ 222 =2,10 10 s e λ 220 =0 ,13 s −1 , i tempi necessari per raggiungere il valore di saturazione in camera dei due isotopi sono diversi, infatti, come si vede anche in figura (3.22), al radon necessitano all'incirca 20 giorni, mentre al toron bastano poche ore. 65 Figura 3.22 - Andamento dei cps del Po218 e del Po216 all'interno della camera durante la misura di emanazione Morawska fornisce per λeff la valutazione empirica λ eff = E Rn VuC p in cui Cp è la concentrazione massima di radon che c'è all'interno dello spazio poroso del materiale. Prendendo in considerazione il caso del Radon e sviluppando l'esponenziale in serie di Taylor per λeff t << 1 [Due S.K. Et al. 1983] si ottiene la seguente relazione lineare della concentrazione nel tempo: C (t)= E Rn t Vu (3.16) che offre due importanti vantaggi: si elimina la dipendenza sia dalla costante di decadimento λ che da λ * cosicché per l’espressione della concentrazione massima si evita il problema dovuto ai fattori di correzione 66 si riducono notevolmente i tempi necessari per le misure di emanazione passando dai 20 giorni, necessari al raggiungimento dell'equilibrio in camera, a sole circa 12 ore, cioè al tempo che occorre allo sperimentatore per ricavare dal primo tratto della curva di crescita della concentrazione il coefficiente angolare b. Usando il metodo di Due S. K. si giunge quindi ai medesimi risultati che si ottengono con l'uso della equazione (3.15), ma in tempi notevolmente più brevi perché si sfrutta la linearità del tratto della curva corrispondente alle prime 12 ore di crescita della concentrazione del Radon. Poiché dagli spettri acquisiti con la spettroscopia α si ottengono le misure dei tassi di conteggio al variare del tempo, cioè i cps, se è valida la relazione (3.16) allora si può ritenere valida anche la seguente corrispondenza C (t)= E Rn222 cps (t ) t= Vu ε218 V att (3.17) in cui Vu e Vatt sono rispettivamente il volume utile e il volume attivo della camera di raccolta e ε218 è l'efficienza della camera per le alfa del 218 Po, da cui segue che isolando i cps si ottiene che: cps (t)= ε218 V att E Rn222 t=b t Vu (3.18) Allora il valore del coefficiente di emanazione eRn per il 222Rn dalla relazione: e Rn= E Rn b = λ V u C Ra λ ϵ 218 V att C Ra (3.19) Nella valutazione del coefficiente di emanazione relativo al 220Rn si utilizza direttamente il valore della concentrazione all'equilibrio dell'equazione (3.14). Ciò può esser fatto per via della breve vita media del toron che comporta un valore di λt >> 1 e quindi il 67 raggiungimento del valore massimo di esalazione nella camera in meno di 3h. Così come per il Radon vale la relazione (3.17), anche per il toron ne sussiste una simile: C (t)= E Rn220 cps (t) = λ 220 V u ε216 V att (3.20) in cui E220 e λ220 sono rispettivamente il coefficiente di esalazione e la costante di decadimento relativi al toron,Vu e Vatt sono il volume utile e il volume attivo della camera di raccolta, ed ε216 è l'efficienza della camera per le alfa del 216Po. Naturalmente bisogna tener in considerazione il fatto che usando il metodo del coefficiente angolare si ottiene una accuratezza inferiore rispetto a quello dell'attesa dei 20 giorni, in cui tutti i p.p.d. raggiungono l'equilibrio con il 222 Rn in camera perché nel in questo modo il maggior numero di punti sperimentali riduce l'errore relativo che si ha nella determinazione del coefficiente di emanazione. 3.6 – Dipendenza del coefficiente di emanazione dai parametri meteorologici Come detto in precedenza, è molto importante la conoscenza della variazione dei coefficienti di emanazione nel suolo dei due isotopi al variare della pressione, dell'umidità e della temperatura perché solo in questo modo è possibile valutare le conseguenze che queste variazioni apportano alla frazione di radon emanata. In effetti, però, i gradienti di temperatura e, in maggior misura, quelli di pressione nel suolo hanno una influenza sostanziale sull'emanazione del radon solo per intervalli di variazioni molto ampi. Infatti Iskandar [Iskandar D., Yamazawa H. e Iida T. 2004] ha misurato un aumento del 20% del coefficiente di emanazione in campioni di granito, mantenuti ad umidità costante del 30%, solo in corrispondenza di variazioni della temperatura da – 20°C a 45 °C, e descritto dalla formula: 68 e ° Rn =e ' Rn+0,21(T c −T ) (3.21) dove e'Rn è l'emanazione misurata (%), T è la temperatura del suolo a cui viene eseguita la misura, e°Rn è il coefficiente di emanazione calcolato (%) ad una certa temperatura Tc. Ciò che Iskandar ha notato è che per esempio se il coefficiente di emanazione misurato e'Rn alla temperatura di prova di 4 C° ha un valore del 27%, utilizzando questo valore nell'equazione (3.21) si ottiene alla Tc di 25 C° un valore del 31,1% che ha una deviazione dello -0,11% sul coefficiente e'Rn misurato alla stessa temperatura. Poiché le misure in continuo, effettuate nel corso di questo lavoro, avvengono alla profondità di 1 metro, profondità alla quale i gradienti di temperatura e pressione sono relativamente piccoli (come mostrato nelle figure (3.23) e (3.24) e poiché, come visto sopra, solo grandi variazioni di temperatura e pressione influiscono sui coefficienti di emanazione, allora le variazioni di T e P sul coefficiente di emanazione di radon saranno per lo più ininfluenti. 29,9 29,8 29,7 29,6 T (C°) 0,7% -0,3% 0,3% -0,3% 0,3% -0,3% 0,3% -0,3% 0,3% 0,0% -0,3% 0,3% 0,0% -0,3% 0,3% 0,7% -0,7% 0,0% 0,7% -0,7% 0,3% -0,3% 0,3% -0,7% 0,7% -0,7% 0,3% 0,0% 0,7% -0,7% 0,3% -0,3% 0,7% -0,7% -0,7% -0,7% 0,3% -0,3% 0,0% -0,3% 0,3% -0,3% 0,3% 0,0% 0,3% 0,7% 30,0 29,5 29,4 24 23 22 21 19 18 17 16 15 14 13 12 11 9 10 8 7 6 5 4 3 2 1 0 29,3 Tem po (h) Figura 3.23 - Andamento della variazione percentuale della temperatura in un intervallo di 24h con una variazione % media = 0,01% 69 1022 1020 1018 1016 Pressione (mbar) 0,2% -0,2% 0,1% -0,1% 0,1% -0,2% 0,2% -0,2% 0,0% 0,2% -0,2% 0,1% -0,1% 0,2% -0,2% 0,2% -0,2% 0,2% -0,2% 0,1% -0,1% 0,2% -0,2% 0,2% -0,1% 0,2% -0,2% 0,2% -0,1% 0,0% 0,2% -0,1% 0,1% -0,1% 0,1% -0,1% 0,1% -0,1% 0,2% 0,0% -0,1% 0,1% 0,1% -0,2% 0,2% -0,2% 1024 1014 24 23 22 21 19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 1012 Tem po (h) Figura 3.24 - Andamento della variazione percentuale della pressione in un intervallo di 24h con una variazione % media = 0,01% Come visto nel paragrafo 2.4.3 il coefficiente di emanazione raggiunge il valore di saturazione intorno al 10% di acqua nel suolo e quindi le misure di concentrazione del radon sono state effettuate su uno stesso campione di suolo in condizioni di umidità differenti. Partendo da una misura in cui il campione di terreno era stato essiccato tenendolo per 24h in un forno a 110 C°, cioè un terreno con una percentuale di acqua del 2% (valore assunto per i terreni secchi), si è proceduto con cicli di misura su campioni a cui è stata aggiunta acqua in maniera ben definita nel seguente modo: M w =Contenuto H 2 O= M x −M 0 100 M0 (3.22) in cui Mx è il peso del campione inumidito ed M0 è quello del campione secco. Per determinare i valori dell'emanazione ad ogni valore di percentuale di acqua è stata effettuata una serie di misure, 12 spettri di un'ora, a partire dal momento in cui viene inserito il campione nella cella. Applicando il metodo di Morawska si ricava il coefficiente di emanazione eRn222 . Invece, per la valutazione di eRn220 si utilizza direttamente il valore di saturazione dei conteggi del 216 Po in camera, valore che viene raggiunto in poche ore. In figura (3.25) è mostrato un tipico andamento dei cps, per entrambe i radionuclidi, ad un determinato valore della percentuale di acqua contenuta nel campione: 70 Po218 Po216 0,06 0,05 cps 0,04 0,03 0,02 0,01 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 Tempo (h) Figura 3.25 - Andamento dei cps del Po218 e del Po216 in camera per un valore di Mw = 14% Fino ad un valore di acqua contenuta nel terreno del 10% (corrispondente ad una umidità percentuale nella camera di misura del 55%, a P=1000mbar e T=25C°, secondo l'equazione 0,24Ln(Mw%)+ 1,11) e il tasso di emanazione, per entrambe i radionuclidi, ha la tendenza ad aumentare, mentre poi, quando la percentuale supera questo valore il tasso di emanazione raggiunge il valore di saturazione. 3.7 - Misura del radon di origine remota Lo scopo di questo procedimento è quello di rendere le misure di concentrazione indipendenti dalla frazione di radon emanato a brevi distanze dal punto di prelievo, cioè di renderle indipendenti dal contributo di radon locale generato dai radionuclidi precursori presenti in situ, e quindi di valutare la frazione di radon remota collegata ai fenomeni dinamici all'interno della crosta terrestre. In tale procedimento bisogna innanzitutto correggere i conteggi misurati del 218 Po e del 216 Po per le condizioni dei parametri ambientali in camera. Fatto ciò si deve stimare la quantità di radon locale moltiplicando i conteggi del 216 Po per il rapporto dei coefficienti di emanazione ad un dato valore. Infine si può sottrarre il contributo del radon locale al 218 Po totale ottenendo 71 così la frazione di radon remota cercata. Come appena detto, per stimare la frazione spuria di tasso di conteggio del 218 Po dello spettro normalizzato al 216 Po stimato si sfrutta il valore del rapporto dei coefficienti di emanazione f(T,U) dei due radionuclidi in funzione della temperatura e dell'umidità. Dai dati sperimentali si ricava il rapporto medio fexp tra l'attività del radon e quella del toron nel suolo e la sua variazione nel tempo: f exp= ( ARn222 )locale +(A Rn222) remoto A Rn220 (3.23) dove (ARn222)locale e (Arn222)remoto sono l'attività media del radon di origine locale e di origine remota, mentre (ARn220) è l'attività media del toron, che ricordiamo essere necessariamente di origine locale data la sua breve vita media. Inoltre, la frazione di 222 Rn locale va messa in relazione con il rapporto f(T,U) tenendo presente che sia la quantità di radon che quella di toron emanate nelle immediate vicinanze del punto di prelievo, ed aspirate tramite pompaggio fino alla camera a raccolta elettrostatica, dipendono dalle rispettive lunghezze di diffusione L= √ Di λi (3.24) in cui Di e λi sono il coefficiente di diffusione e la costante di decadimento dell'isotopo considerato, e che quindi sia una certa quantità di radon che di toron decadono all'interno del tubo d'aspirazione prima ancora di raggiungere la camera di misura. Allora la frazione di 222Rn locale sarà descritta dalla relazione: (A Rn222 )locale (T , U )=A Rn220 B1 B 2 f (T , U ) (3.25) Il coefficiente B1= √ λ Rn220 /λ Rn222 , con λRn222 e λRn220 costanti di decadimento, è il coefficiente B2 =exp(−λ Rn222+λ Rn220 ) t tubo che serve a stimare numericamente le 72 quantità di radon e toron che vengono emanate nel sito di misura nell'intorno del punto di prelievo. Questo coefficiente è uguale al rapporto delle lunghezze di diffusione nel caso in cui vengano considerati simili i due coefficienti di diffusione D i. Invece il coefficiente , tiene in considerazione il fatto che una certa percentuale di radon e di toron possono decadere all'interno del tubo di aspirazione, cioè lungo il percorso fino alla camera di misura. In tale relazione t tubo=V tubo /Φ è dato dal rapporto tra il volume del tubo e la portata Φ del flusso di aspirazione. 73 CAPITOLO 4 - Risultati Dei sette siti scelti per l'installazione della rete di monitoraggio del gas radon nell'area flegrea, in due di essi (Monte Olibano, Monte Sant'Angelo) sono attive dal mese di dicembre 2011 le misure in continuo con il sistema RaMonA; mentre in alcuni degli altri sono stati raccolti i campioni per le misure in laboratorio. Nel sito interno alla solfatara, SFT, le condizioni del gas estratto dal suolo, per temperatura, umidità e composizione, sono risultate proibitive per un corretto funzionamento di Ramona. Il complesso delle misure effettuate si può riassumere come segue: Sito Misure 1. MSA Monte S.Angelo Monitoraggio Continuo -Spettrometria γ - Coefficiente di emanazione 2. OLB Galleria Olibano Monitoraggio Continuo -Spettrometria γ - Coefficiente di emanazione 3. PIS Contrada Pisciarelli Spettrometria γ 4. SFT Solfatara Monitoraggio Continuo -Spettrometria γ - Coefficiente di emanazione Tabella 4.1 – Consuntivo del tipo di misura effettuato in ciascun sito Figura 4.1 – Mappa dei Campi Flegrei e dei siti in cui è attivo il monitoraggio continuo e/o dove sono stati raccolti campioni per le analisi di laboratorio 74 4.1 – Misura dell'attività del 226Ra e del 230TH La misura delle concentrazioni dei progenitori del dal 232 222 Rn e del 220 Rn, e cioè dal 226 Ra e Th, sui campioni di suolo carotati nei diversi siti è stata ottenuta in laboratorio grazie all'analisi spettroscopica γ, particolarmente adatta per l’analisi radioelementale dei campioni. I campioni sono stati essiccati alla temperatura di 150°C per 24 h e in seguito setacciati con una maglia metallica con mesh di 200μm. Dopo il trattamento, ogni campione è stato introdotto in un beaker Marinelli (fig 4.1) e ivi chiuso per almeno 20 giorni prima dell'inizio della sua misura, ossia per il tempo necessario affinché si raggiungesse l'equilibrio secolare tra capostipiti e i relativi p.d.d. della serie dell' 238U; per la serie del 232Th l'equilibrio si raggiunge invece in circa tre giorni. Figura 4.2 - Beaker marinelli usati per i campioni di suolo Essendo numerose le righe di emissione per alcuni radioisotopi si sceglie di usare le emissioni γ con il maggior branching-ratio così da aumentare la statistica di conteggio e ridurre di conseguenza l’incertezza relativa legata al calcolo dell’area netta del picco. Le righe scelte per le due serie sono : 226 Ra: 295 keV (B.R. 18.7%) e 352 keV (B.R. 35.8%) del 214 Pb e 609 keV (B.R. 45%), 1120 keV (B.R. 14.9%), 1765 keV (B.R. 16.1%) e 2204 keV (B.R. 4.9%) del più è stata presa in considerazione anche la riga a 186 keV (B.R. 3.6%) del 214 Bi; in 226 Ra stesso in quanto la risoluzione del fotopicco è accettabile grazie alla buona calibrazione del rivelatore al germanio; 228 Th: 338keV (B.R.12.3%), 911keV (B.R. 27.8%), 969keV (B.R. 17.5%) dell' 228Ac; 583KeV (B.R. 30%) e 2614keV (B.R. 36%) del 208Tl; e 727keV (B.R. 7%) del 212Pb; 75 Dall’analisi dei risultati è emerso che, probabilmente per problemi legati alla cattiva tenuta dei contenitori, l’equilibrio non è stato raggiunto, per cui per la determinazione della concentrazione di 222 Rn è stata utilizzata quella del 226 Ra valutata dalla sua riga a 186 keV, che costituisce il valore limite che i suoi discendenti possono raggiungere in condizioni ottimali. Il costo di questa modalità di calcolo è una minore accuratezza nei risultati, dovuta al fatto che si utilizza una sola riga piuttosto che la media di 6 determinazioni ricavate dalle righe gamma su elencate. Per il toron questo problema non esiste, in quanto la breve vita media dell’isotopo ne riduce la probabilità di fuga dal contenitore. In questo caso, quindi, la sua attività è stata ricavata dalle righe più intense dell' 228Ac, 212Pb e 208Tl. SITO MSA OLB PIS SOL Campione C (Ra226) σ C (Th232) σ Profondità (Bq/Kg) (Bq/Kg) (Bq/Kg) (Bq/Kg) (cm) msa_1 254 26 96 14 20 msa_2 245 25 90 13 40 msa_3 301 30 92 14 60 msa_4 241 24 110 17 80 olb_1 246 17 82 10 15 olb_2 257 10 78 9 30 olb_3 273 14 120 14 45 olb_4 249 5 125 15 60 olb_5 251 12 113 14 75 olb_6 253 10 107 13 90 olb_7 250 10 115 14 110 Pis_1 245 6 74 5 20 Pis_2 248 7 57 4 40 Pis_3 242 12 59 4 60 Pis_4 268 4 101 7 80 Pis_5 306 12 126 9 100 sol_a 389 10 68 5 20 sol_b 388 8 61 5 40 sol_c 373 12 70 6 60 sol_d 366 7 56 4 80 sol_e 364 11 46 4 100 Tabella 4.2 – Concentrazione di radio226 e torio232 nei campioni di suolo dei vari siti e a varie profondità 76 MSA PIS Concentrazione Ra226 (Bq/Kg) 450 OLB SFT 400 350 300 250 200 0 20 40 60 80 100 Profondità (cm) Figura 4.3.a - Concentrazione del 226Ra in funzione della profondità nel suolo MSA PIS Concentrazione Th232 (Bq/Kg) 140 OLB SFT 120 100 80 60 40 0 20 40 60 80 100 Profondità (cm) Figura 4.3.b - Concentrazione del 232Th in funzione della profondità nel suolo 77 4.2 – Misura del coefficiente di emanazione Dai carotaggi usati per le misure di spettroscopia gamma sono stati prelevati anche i campioni su cui misurare i coefficienti di emanazione. Per le misure relative al 222 Rn si è usato il metodo che sfrutta la linearità del tratto della curva corrispondente alle prime 12 ore di crescita della concentrazione del Radon, secondo lo schema illustrato nel cap. 3. e Rn= E Rn b = λ V u C Ra λ ϵ 218 V att C Ra (4.1) Il coefficiente di emanazione del toron si ricava direttamente dalla relazione (4.2) perché per questo isotopo, a causa della sua breve vita media, raggiungimento del valore massimo di esalazione nella camera in meno di 3h. e 220 = cps(t ) ϵ216 V att C Th (4.2) Nella figura (4.4) è mostrata la crescita della concentrazione di radon nella camera di misura descritta dall’andamento dei suoi discendenti nel caso di un campione secco, cioè con una percentuale di acqua nel terreno ≈ 2%, prelevato nel sito OLB. 0,06 0,05 cps Po218 0,04 0,03 0,02 0,01 0,00 0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 tempo (s) Figura 4.4.a – Tipico andamento del tasso di conteggio del Po218 per le prime12 h di emanazione dalla chiusura della camera di raccolta 78 0,05 cps Po214 0,04 0,03 0,02 0,01 0,00 0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 tempo (s) Figura 4.4.b – Tipico andamento del tasso di conteggio del Po214 per le prime12 h di emanazione dalla chiusura della camera di raccolta Nella tabella (4.3) sono riportati alcuni dati utilizzati per la misura del coefficiente di emanazione su tre campioni prelevati rispettivamente nei siti di MSA, OLB e SFT. Oltre ai dati radiometrici sui materiali, è riportato il coefficiente angolare della retta che descrive la crescita del radon in condizioni di espansione libera, proporzionale al rate di esalazione del gas dal campione. σ C (Th232) σ bPo218 (Rn222) (Bq/Kg) (Bq/K) (Bq/Kg) (Bq/Kg) (Bq/s) 245 25 90 13 1,5E-07 5,0E-08 1,6E-07 5,5E-08 257 10 78 9 6,2E-07 5,3E-08 6,0E-07 6,5E-08 248 7 57 4 1,3E-07 5,8E-08 Sito C (Ra226) MSA OLB SFT σ bPo214 (Rn222) σ (Bq/s) Tabella 4.3 – Dati utilizzati per la misura del coefficiente di emanazione su tre campioni prelevati rispettivamente nei siti di MSA, OLB e SFT Per ridefinire il coefficiente di emanazione in modo da renderlo adimensionale bisogna tener conto che per l'attività A esal del 222 Rn esalato all'interno della camera vale la 79 relazione Aes =e ' Rn C Ra mcamp =C eq V u 222 dove e' è il rapporto tra l'attività del (4.3) Rn esalato e l'attività del 222 Rn generatasi all'interno del materiale campione e dove Ceq = C(t→∞) = E rn / λ Vu. Dalla relazione (4.3) segue che e ' Rn= Sito MSA OLB SFT C eq V u V =e u C Ra mcamp mcamp (4.4) ePo218 (Rn222) σ ePo214 (Rn222) σ ePo216 (Rn220) σ 0,023 0,001 0,023 0,001 0,137 0,063 0,083 0,005 0,082 0,002 0,347 0,181 0,014 0,001 Tabella 4.4 - Coefficiente di emanazione per i campioni secchi dei siti di MSA, OLB e SFT Come discusso nei capitoli precedenti, il parametro meteorologico che più influisce sul coefficiente di emanazione è l'umidità. Per valutare le sue variazioni al variare della percentuale di acqua nel terreno sono state effettuate misure a partire da un valore di Mw=2% fino a valori di Mw corrispondenti alla saturazione di acqua nei pori. In figura (4.5) sono mostrati gli andamenti dei coefficienti di emanazione del radon (4.5 a) e del toron (4.5 b) in campioni di OLB e MSA. La crescita è ben descritta da una funzione logaritmica, come mostra la figura (4.5): 80 OLB MSA Serie3 Serie4 emanazione e_Rn222 0,15 0,12 0,09 0,06 0,03 0 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% Mw (%) Figura 4.5.a - Andamento dei coefficienti di emanazione di radon in funzione del contenuto d'acqua nei campioni. OLB MSA Serie3 Serie4 emanazione e_Rn220 0,8 0,6 0,4 0,2 0 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% Mw (%) Figura 4.5.b - Andamento dei coefficienti di emanazione di toron in funzione del contenuto d'acqua nei campioni. Il coefficiente di emanazione, per entrambe i radioisotopi, aumenta fino ad una frazione in massa dell’acqua di circa il 10% (corrispondente ad una umidità relativa del 55%, a 1000 mbar e a 25 °C) nel caso del campione di OLB, e fino ad una frazione in massa dell’acqua di circa l'8% (corrispondente ad una umidità relativa del 50%) per il campione di MSA, per poi raggiungere un valore limite, come già spiegato nel capitolo 2. Il rateo di esalazione, d’altra parte, dipendente oltre che dal materiale anche dalle 81 caratteristiche geometriche del campione, a questo tasso di umidità inverte la sua tendenza. E’ interessante notare che, analizzando il rapporto dei due coefficienti di emanazione in funzione dell'umidità: f (U )= e Rn (U ) e Tn (4.5) si osserva che all'aumentare dell'umidità il rapporto dei due coefficienti diminuisce. OLB MSA e_Rn222 / e_Rn220 0,50 0,40 0,30 0,20 0,10 0,00 0% 2% 4% 6% 8% 10% Mw (%) Figura 4.6 - Andamento del rapporto dei coefficienti di emanazione del radon e toron in funzione della frazione d’acqua nel campione 4.3 – Dipendenza dell’esalazione dall’umidità I risultati ottenuti, congruenti con quelli ottenuti da A. B. Tanner, 1980, da J. Koarashi et al. 2000, da K. Megumi 1987 e da M. Hosoda et al. 2006, mostrano l'importante effetto che ha la presenza di acqua all'interno del terreno sull'esalazione, effetto che si traduce in un aumento della concentrazione esalata di radon e di toron fino ad un certo livello dell'umidità (dovuto all'alta solubilità del gas nel liquido proprio perché l'acqua ha la proprietà di ritenerli più dell'aria), dopo il quale l'esalazione inizia a diminuire e ciò è giustificato dalla bassa mobilità del gas in acqua rispetto all'aria [Megumi e Mamuro, 82 1974, Hosoda et al., 2006]. Quindi una eccessiva umidità fa si che il gas radon rimanga intrappolato per più tempo all'interno dei pori, effetto maggiormente evidente nel caso del toron a causa della sua breve vita media. OLB esalazione_Rn222 (Bq/s) 0,15 MSA Poli. (OLB) Poli. (MSA) 0,12 0,09 0,06 0,03 0 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45% 50% Mw (%) Figura 4.7.a - Andamento dei coefficienti di esalazione per il 222Rn in funzione del contenuto d'acqua in campioni provenienti da MSA e OLB. OLB esalazione_Rn220 (Bq/s) 0,9 MSA Poli. (OLB) Poli. (MSA) 0,6 0,3 0 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45% 50% Mw (%) Figura 4.7.b - Andamento dei coefficienti di esalazione per il 220Rn in funzione del contenuto d'acqua in campioni provenienti da MSA e OLB. 83 4.4 – Determinazione del 222Rn remoto Tutte le misure di caratterizzazione fin qui mostrate convergono nell’obiettivo finale di produrre un “segnale” radon quanto più possibile pulito e non alterato da fenomeni locali. Il metodo da seguire per ottenere questo risultato può essere sintetizzato dai seguenti punti: 1. misura in laboratorio del rapporto tra le concentrazioni di attività dei progenitori del radon e del toron, tipico di ciascun punto di misura, nell'ipotesi di omogeneità geomorfologica del sito 2. misura del coefficiente di emanazione di radon e toron, normalizzato a condizioni standard. 3. misura della concentrazione di 222Rn locale dalla relazione (3.25) 4. calcolo della concentrazione di 222 Rn remota sottraendo dalla concentrazione totale di 222Rn quella locale 84 Figura 4.8 - Andamento in funzione del tempo, nel sito OLB, delle concentrazioni del radon totale, del radon locale e del radon remoto ottenuti col metodo di separazione del radon remoto Figura 4.9 – Andamento in funzione del tempo, nel sito OLB, delle concentrazioni del radon totale, del radon locale e del radon remoto ottenuti col metodo di separazione del radon remoto La differenza che si nota nelle figure (4.8) e (4.9) è dovuta al fatto che la concentrazione di radon locale nel sito di MSA è dello stesso ordine di grandezza di quella totale, mentre nel sito di OLB la concentrazione di radon locale è 10 volte inferiore rispetto a quella totale, e quindi la correzione per la misura del radon remoto risulta più evidente 85 nel caso di MSA. Tale differenza è chiara anche se si confrontano tra di loro due spettri alfa ottenuti con il sistema RaMonA, figure (4.10) e (4.11), da cui si evince che nel caso di MSA l'area sottesa al picco relativo al 216 Po è confrontabile con l'area sottesa ai p.d.d. del 222Rn, invece nello spettro di OLB la differenza delle aree relative ai discendenti del radon sono notevolmente più grandi di quelle relative ai discendenti del toron. 40 MSA 35 30 conteggi 25 20 15 10 5 0 4000 5000 6000 7000 8000 9000 Energia keV Figura 4.10 - Spettro alfa dei discendenti del 222Rn e del 220Rn prodotto nel monitoraggio del sito di MSA 500 OLB 450 400 conteggi 350 300 250 200 150 100 50 0 4000 5000 6000 7000 8000 9000 Energia keV Figura 4.11 - Spettro alfa dei discendenti del 222Rn e del 220Rn prodotto nel monitoraggio del sito di OLB Quando la diffusione è il principale processo di trasporto attraverso rocce e suoli, la relativa breve vita media del 222 Rn, e soprattutto quella del 220Rn, implica che solo il gas prodotto nelle immediate vicinanze del sito di misura viene rivelato. I segnali di origine remota possono essere osservati solo se si verificano i fenomeni di avvezione e di 86 convezione, cioè se il radon di origine sub-superficiale viene trasportato mediante flussi di gas e/o se risale attraverso le falde acquifere. Le variazioni nelle concentrazioni di flusso di radon sono causate solo da fattori fisici, essendo il radon una specie non reattiva chimicamente e, quindi, può dare informazioni importanti sulle dinamiche dei processi di trasporto [Ball et al., 1991; Baubon et al. 1991; Etiope e Martinelli, 2002]. Nelle aree sismo-vulcanico, come la caldera dei Campi Flegrei, le variazioni di 222 Rn (come si vede in figura (4.8) e (4.9)) possono essere causate da diversi fattori come cambiamenti nella temperatura e/o nei sistemi idrotermali profondi [Gasparini et al., 1984; Connor et al, 1996; Hauksson 1981], da intrusioni di magma [Del Pezzo, 1981; Flerov et al., 1981], da effetti di stress sulle rocce [Thomas et, 1986], da variazioni nella permeabilità delle rocce dovute all'apertura o al ripristino di cracks e fessure [Heiligmann et al.,1997] e da altri effetti. Quindi è chiaro che sia misure puntuali, e sia monitoraggi continui poco estesi nel tempo, non sono in grado di produrre correlazioni osservabili tra la concentrazione di radon ed altri parametri geofisici e geochimici. Esaminando nelle figure (4.8) e (4.9) le notevoli differenze osservate in siti insistenti sulla stessa area ma poco reciprocamente distanti, si comprende come anche il numero dei punti di osservazione debba essere significativamente elevato per ottenere informazioni che riguardino l’intera area. Un campionamento del radon che persegua questo scopo, pertanto, deve essere esteso nel tempo ed effettuato in più punti della stessa zona. 4.5 – Monitoraggio continuo La variazione della concentrazione di radon, corretta per i parametri meteorologici e fisici dei relativi siti di misura e ripulita dal contributo locale di radon, è mostrata nelle figure (4.12) e (4.13). La differenza sostanziale tra i due siti è che in quello di Monte Olibano la stazione è stata installata all'interno di una galleria di una linea ferroviaria dismessa, mentre quella di Monte Sant'Angelo si trova all'aperto nelle vicinanze del dipartimento di fisica dell'Università Federico II. Il monitoraggio del gas all'interno del tunnel presenta il vantaggio di avere delle condizioni meteorologiche pressapoco stabili durante tutto il 87 corso dell'anno, o comunque con dei gradienti esigui, come mostrato in tabella (4.5): Periodo di tempo Parametro Media Deviazione % Coefficiente Standard di Variazione 22 3,1 14,3% 29 3,7 12,6% 65 3,5 5,4% 62 3,5 5,7% 1047 6,7 0,6% 1041 6,0 0,6% MSA 05/11/2011 - 03/04/2012 T (C°) 04/04/2012 - 21/06/2012 05/11/2011 - 03/04/2012 U (%) 04/04/2012 - 21/06/2012 05/11/2011 - 03/04/2012 P (mbar) 04/04/2012 - 21/06/2012 Tabella 4.5.a – Valori medi stagionali dei parametri meteorologici relativi al sito di MSA Periodo di tempo Parametro Media Deviazione % Coefficiente Standard di Variazione 29 0,8 2,7% 30 0,6 1,9% 81 1,8 2,2% 81 0,4 0,5% 30/12/2011 - 03/04/2012 P (mbar) 1021 5,4 0,5% 04/04/2012 - 21/06/2012 1015 4,8 0,5% OLB 30/12/2011 - 03/04/2012 T (C°) 04/04/2012 - 21/06/2012 30/12/2011 - 03/04/2012 U (%) 04/04/2012 - 21/06/2012 Tabella 4.5.b – Valori medi stagionali dei parametri meteorologici relativi al sito di OLB Per identificare una possibile soglia per i valori di concentrazioni anomale di radon sono state usati e proposti, da diversi autori, vari metodi statistici. Il metodo più accreditato ed usato è quello di considerare il “valore medio del fondo più “n” deviazioni standard” come il valore di soglia al di sopra del quale un segnale può essere considerato anomalo [Fu et al.,2005; Singh et al,. 2006; Walia et al., 2008]. Nel nostro contesto si è scelto come valore statistico per la soglia delle anomalie quello del valore medio più due deviazioni standard (2σ), sia per i valori inferiori che per quelli superiori. 88 Figura 4.12 -Andamento stagionale della concentrazione di radon nel sito di Monte Sant'Angelo da dicembre 2011 a giugno 2012. (---------media stagionale, ―—―media stagionale ± 2dev.std.) Figura 4.13 – Andamento stagionale della concentrazione di radon nel sito di Monte Olibano da gennaio2012 a giugno 2012. (---------media stagionale, ―—―media stagionale ± 2dev.std.) L'importanza di avviare il monitoraggio parallelo in più siti risiede nel fatto che tutte le anomalie che non vengono registrate simultaneamente dalle varie strumentazioni possono essere associate a fenomeni locali e che quindi non interessano tutta la zona monitorata. A prova di ciò si può facilmente osservare che mentre in figura 4.10, nel periodo dal 21 maggio 2012 al 15 giugno 2012, c'è un evidente aumento della concentrazione di radon, in figura (4.11) non si osserva nulla del genere. 89 Conclusioni Questo lavoro ha riguardato la messa a punto di strumenti e di metodi validi per effettuare misure continue di radon nel gas proveniente dal suolo allo scopo di utilizzare tale elemento quale indicatore di fenomeni geodinamici interni. La pura osservazione della concentrazione di radon prelevato in un dato punto, infatti, non è di per se sufficiente per raggiungere questo scopo a causa della dipendenza di essa da molti parametri stagionali e locali che inducono variazioni che nulla hanno a che fare con i fenomeni remoti di interesse. Quindi, prima di poter usare in maniera corretta il segnale radon è necessario affiancare al monitoraggio continuo una buona caratterizzazione dell’area in esame, consistente in misure continue e puntuali di altri parametri fisici, che vanno dalla concentrazione di attività dei predecessori del radon, ad altre grandezze che condizionano la produzione ed il trasporto del gas, quali coefficienti di emanazione, velocità di diffusione, porosità dei materiali attraversati. Il monitoraggio continuo, inoltre, deve esser effettuato per lunghi periodi, per eliminare le variazioni periodiche e stagionali, e possibilmente in una molteplicità di punti di misura in una stessa area. Occorre, in sostanza, determinare il normale“ fondo“ del segnale, perché solo rispetto a questo è possibile definire possibili anomalie nella concentrazione di radon e associarle e interpretarle in funzione di fenomeni che si verificano all‘interno della crosta terrestre. Per verificare la consistenza e l’applicabilità di questo schema, sono state installate stazioni di monitoraggio continuo del radon, in tre siti che l’INGV-OV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Vesuviano) gestisce nell’area dei Campi Flegrei ed in cui altri parametri sono correntemente misurati. A regime i siti attrezzati saranno 7. Il monitoraggio continuo del radon è stato realizzato utilizzando il sistema di RaMonA che, mediante la raccolta in una cella elettrostatica dei prodotti di decadimento del radon su di un rivelatore al silicio, consente la separazione spettroscopica degli isotopi del radon. Questo strumento permette anche di misurare in parallelo temperatura, pressione e umidità relativa sia nella cella che nel punto di prelievo dell’aria per normalizzare le concentrazioni misurate a condizioni standard. 90 Le misure di caratterizzazione di tipo radiometrico effettuate sono consistite nella misura della concentrazione dei predecessori del radon (con spettrometria gamma) e del coefficiente di emanazione (mediante l’uso di una versione da laboratorio di Ramona). La misura contestuale a quella di radon della concentrazione di toron insieme alla determinazione dei coefficienti di emanazione, ha offerto la possibilità di separare nel radon misurato la frazione di origine locale non collegabile direttamente a fenomeni remoti. Il relativo processo è stato possibile grazie alla parametrizzazione della dipendenza del coefficiente di emanazione dal contenuto d’acqua dei materiali verificata in laboratorio. Nello studio dei parametri che influenzano il processo di emanazione del radon è stato approfondito, per il momento, quello dell’umidità che risulta maggiormente significativo rispetto a temperatura e pressione, in considerazione del fatto che il prelievo dell’aria campionata avviene ad una profondità di circa un metro dove l’intervallo di variabilità di questi ultimi due parametri è limitato e quindi ininfluente sulla variazione del coefficiente di emanazione. Nell’elaborato sono descritti i metodi radiometrici di misura e analisi utilizzati e sono riportati alcuni risultati. Essi mostrano ampiamente la grande variabilità sia temporale che spaziale della concentrazione di radon nei gas provenienti dal suolo e confermano la necessità di ripulire il segnale da tutte quelle influenze di carattere locale non correlabili a fenomeni remoti. Una verifica più significativa della metodologia descritta sarà possibile quando tutte le stazioni previste saranno installate, tutti i siti saranno caratterizzati e soltanto dopo un lungo periodo di monitoraggio. 91 Bibliografia Andrews J.N., Wood D.F., “ Mechanism of radon relase in rock matrices and entry in groundwater”, Trans. Inst.. Min. Met., Vol. 81, pp. 197-209,1972 Batchelor G.K., “An introduction to fluid dynamics”, Cambridge University,1967 Bossus D.A.W., “Emanating power and specific surface area”, Radiation Protection Dosimetry, Vol. 7, pp. 73- 76, 1984 Buompane R., “Sviluppo e caratterizzazione di una sorgente di 220Rn (Thoron) e realizzazione di una camera di taratura”. AIRP, convegno nazionale di radioprotezione: radiazioni naturali e artificiali nell’ambiente, 12-14 ottobre 2011 Chauhan R.P. e Chakarvarti S.K.,”Radon diffusion through soil and fly ash: effect of compaction”, Radiation Measurements, Vol. 35, pp. 143-146, 2002 Damkjaer A. e Korsbech U. 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