Il tessuto adiposo: un nemico da combattere

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Il tessuto adiposo: un nemico da combattere
RICERCA DI BASE
Obesità e tumori
Il tessuto adiposo:
un nemico
da combattere
È ormai assodato che una franca
obesità aumenta il rischio di contrarre
malattie cardiovascolari ma anche
di sviluppare tumori
a cura di
AGNESE CODIGNOLA
no tsunami:
un’onda neppure tanto anomala – perché prevista e seguita
nella sua crescita esponenziale ormai da anni – ma
dalle conseguenze nefaste.
Così è stata definita l’obesità
– che sta prendendo piede
anche nei Paesi meno sviluppati e che in quelli più
ricchi è da anni in cima ai
pensieri di chi si occupa di
prevenzione – in un editoriale che la rivista Lancet ha
pubblicato a commento di
un’indagine molto dettagliata sull’andamento del peso
in tutto il mondo negli ultimi vent’anni. Sconfortante il
quadro emerso perché, sia
pure con qualche eccezione
come l’Italia dove il dato è
sostanzialmente stabile, l’obesità è quasi raddoppiata a
livello planetario, e perché
U
essa fa schizzare in alto
molti indici di rischio tra i
quali quelli di diabete, infarto, ictus e cancro.
Secondo l’American Cancer Society, per esempio, una
percentuale compresa tra il
14 e il 20 per cento dei decessi per tumore negli Stati
Uniti è riconducibile all’obesità. Stando ai dati elaborati
da un team angloamericano
sulla base di decine di studi
nazionali, per un totale di
oltre nove milioni di persone
seguite in quasi 200 paesi, il
peso (o per meglio dire l’indice di massa corporeo o BMI)
è aumentato quasi ovunque
con la sola eccezione di Italia
e Singapore per quanto riguarda le donne; se nel 1980
era obeso – cioè aveva un
BMI superiore a 30 – il 4,8
per cento degli uomini e il
7,9 per cento delle donne, nel
2008 la percentuale era in entrambi i sessi attorno al 13,8
per cento. In Italia, invece, la
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percentuale di obesi sembra
stabile attorno all’8-9 per
cento in entrambi i sessi,
anche se comunque ci sono
milioni di persone in sovrappeso (cioè con un peso medio
che supera
quello consigliato
pur non
raggiungendo il
criterio per
la definizione di obesità) che
devono fare i conti ogni giorno con un fisico molto diverso da quello di un paio di generazioni fa e con il conseguente aumento di rischio di
sviluppare un tumore.
L’obesità è associata a un
aumento del rischio di tumori
della mammella, dell’ovaio e
dell’utero (corpo e cervice),
cioè di quelle neoplasie che
risentono in modo specifico
della concentrazione di ormoni circolanti. Secondo molti studi, i
chili di
troppo agiscono in almeno due
modi: facendo saltare gli equilibri ormonali e
causando quindi un aumento
degli ormoni che possono andare ad alimentare la proliferazione tumorale; e costituendo, attraverso il grasso,
una sorta di deposito molto
pericoloso. Gli ormoni sessuali sono infatti sostanze
La relazione
con il cancro
del seno è stata
già dimostrata
L’ARTICOLO IN BREVE...
besità e cancro vanno a braccetto: il rischio di
ammalarsi è infatti aumentato in tutti coloro che
hanno un elevato indice di massa corporea. Due
le ragioni principali: una è legata al metabolismo ormonale, poiché gli estrogeni, che espongono a un aumentato rischio di alcuni tumori, si accumulano proprio
nel tessuto adiposo. Il secondo dà invece ragione dell’incremento dei tumori non dipendenti dagli ormoni ed
O
In questo articolo:
obesità
sovrappeso
restrizione calorica
che si sciolgono nel grasso, e
quindi tendono ad accumularsi nei tessuti adiposi. Per
questo chi è più grasso tende
ad avere nel proprio organismo maggiori quantità per
esempio di estrogeni e, con
ciò, è più in pericolo.
NON SOLO ORMONI
Secondo le indagini epidemiologiche condotte negli
ultimi anni, l’obesità è
tuttavia associata anche a un
aumento significativo del
rischio di tumori non
dipendenti dagli ormoni quali
quelli del pancreas, del colon
retto, della cistifellea, dei reni,
dell’esofago, del fegato, dello
stomaco, i linfomi non
Hodgkin e i mielomi multipli.
Fondamentale ha chiesto a uno
dei ricercatori più impegnati
su questo fronte, Massimo
Locati, responsabile del
Laboratorio di biologia dei
leucociti dell’Istituto Clinico
Humanitas di Rozzano
(Milano) e docente del
Dipartimento di medicina
traslazionale della Facoltà di
medicina dell’Università degli
Studi di Milano, di spiegare
che cosa accade quando
l’organismo ha a che fare con
il grasso in eccesso: "Da
qualche anno si è capito che
l’obesità è associata a una
forma di infiammazione non
acuta, che non dà sintomi,
ma che predispone allo
sviluppo dei tumori. Noi
e altri abbiamo cercato
di capire in che modo questo
si verifica, e abbiamo
individuato dei protagonisti
molto importanti di tutto il
fenomeno, i macrofagi, cioè
quegli elementi del sistema di
difesa dell’organismo che
reagiscono contro nemici
quali batteri e altri agenti
esterni. In generale i
macrofagi, nell’organismo
sano, passata la fase acuta
dell’infezione, non attaccano
più le cellule estranee,
cambiano comportamento e
iniziano a darsi da fare per
riparare i tessuti danneggiati,
favorendo la formazione di
nuovi vasi sanguigni e la
proliferazione delle cellule
nuove. Ebbene: in qualche
modo, le cellule tumorali
sanno che, se attirano i
macrofagi e trasmettono loro
certi
stimoli,
questi
inizieranno a lavorare proprio
così, di fatto favorendo la
crescita del tumore".
Un trucco biologico sem-
è legato a fenomeni infiammatori mantenuti attivi dall’eccesso di peso. La restrizione calorica molto drastica
sembra, viceversa, avere effetti positivi sul rischio tumorale, ma non è perseguibile nella pratica, perché
creerebbe altri squilibri. Per questo gli scienziati stanno lavorando per scoprire i meccanismi molecolari alla
base del fenomeno, al fine di “imitarli” senza ridurre
gli individui alla fame.
LE DONNE IN CARNE SI PROTEGGONO MENO PUR
AVENDONE PIÙ BISOGNO
OBESITÀ E MAMMOGRAFIA
è anche un modo subdolo con il quale l’obesità
minaccia chi ne è vittima, se donna: inducendo
un minor scrupolo nel seguire i controlli consigliati
a tutte dopo i 50 anni. Gli oncologi del Kaiser
Permanente Center for Health Research sono infatti
andati a verificare i motivi per i quali oltre 4.700
donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni non si
erano sottoposte ai controlli mammografici. Hanno
così delineato – e descritto sul Journal of Women’s
Health – il ritratto della donna che sfugge,
scoprendo che molte di costoro non avevano
risposto ai richiami fatti via telefono o via posta
perché non potevano disporre di una copertura
assicurativa; perché avevano meno di 60 anni e si
ritenevano perciò erroneamente al sicuro; perché
erano obese; perché l’esame era doloroso; o perché
avevano vergogna di tecnici e medici. Andando poi a
verificare i diversi sottogruppi, gli autori si sono
accorti che, tra le obese, la percentuale di coloro
che attribuiva a dolore o vergogna la responsabilità
del proprio comportamento era pari al 31 per cento,
cioè molto più alta di quella registrata tra le
normopeso, pari al 19 per cento.
Per quale motivo la mammografia provochi più
dolore se una donna è obesa non è affatto chiaro,
ma secondo gli autori è urgente capirlo e trovare
rimedi efficaci così come per l’imbarazzo, perché
tra le donne obese il rischio di tumore del seno è
aumentato e sono quindi proprio loro a doversi
sottoporre con maggiore attenzione a tutti i
controlli previsti.
C’
RICERCA DI BASE
po di Locati, nella speranza di
trovare presto un modo efficace per spezzare il filo che lega
appunto obesità e tumori.
bra dunque essere alla
base di un fenomeno che
fino a oggi non era chiaro.
"Si può pensare di intervenire uccidendo i numerosi
macrofagi che si ritrovano
dentro le masse tumorali oppure modificando l’ambiente
che li circonda affinché essi
si comportino come fanno
durante un’infezione acuta,
cioè non solo evitando di favorire la crescita del tumore, ma anzi uccidendo le cellule malate". Su questi due
filoni sta lavorando il grupIL METODO PIÙ DIFFUSO PER MISURARE IL PROPRIO
SOVRAPPESO
UN NUMERO DA TENERE
D’OCCHIO
l BMI o indice di massa corporeo si calcola
dividendo il peso in chilogrammi per l’altezza
espressa in metri ed elevata al quadrato; secondo
l’Organizzazione mondiale della sanità, il valore
ideale di BMI è compreso tra 18,5 e 24,9; si è in
sovrappeso se il proprio BMI è compreso tra 25 e
29,9 e obesi se supera i 30; sono considerati grandi
obesi coloro il cui BMI supera 35.
Secondo un’analisi di 19 studi a lungo termine
che hanno coinvolto più di 1,5 milioni di persone
(pubblicata sul New England Journal of Medicine),
ogni cinque punti di BMI in più il rischio di morte
per malattia aumenta del 31 per cento, tanto negli
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uomini
quanto nelle donne.
I
LA RESTRIZIONE CALORICA
Che cosa accade quando le
calorie, invece che in eccesso,
sono in difetto? Da anni gli
esperti si interrogano sull’argomento, e proprio in questi
giorni uno studio pubblicato
su Science Translational Medicine sembra fornire una risposta
convincente. Il lavoro è stato
condotto dall’italiano Valter
Longo, che dirige il laboratorio di gerontologia dell’Università di Los Angeles, in collaborazione con Jaime Guevara-Aguirre, un medico che da
anni studia
una popolazione dei
monti dell’Ecuador colpita da una
rara malattia
genetica, la sindrome di
Laron, che causa un grave nanismo ma che sembra proteggere del tutto chi ne è colpito
da cancro e diabete, e allungarne molto la vita. Ebbene: la
malattia comporta un difetto
nel funzionamento dell’ormone della crescita o GH, che
causa a sua volta la quasi
scomparsa di un altro ormone, chiamato Insulin-like
Growth Factor 1 o IGF-1, già
associato ai tumori in altri
studi. Ma lo stesso effetto di
abbassamento di IGF-1 è osservabile quando si sottopone
una persona a un drastico taglio delle calorie introdotte.
Se dunque l’IGF-1 è basso nei
malati con sindrome di Laron,
che non sviluppano cancro, e
in chi si sottopone a una restrizione calorica, si può pensare che quest’ultima sia asso-
ciata a una diminuzione dei
tumori, come in effetti si vede
negli animali, proprio perché
comporta un calo nell’IGF-1.
Longo stesso ha seguito diverse persone che avevano partecipato a esperimenti di drastica restrizione calorica, concludendo che non è una via
praticabile, perché se le calorie sono insufficienti l’organismo ne risente da altri punti
di vista, ma al tempo stesso
convincendosi che sia possibile riprodurre gli effetti della
restrizione calorica. In questo
ambito lavora da molti anni,
anche grazie a fondi AIRC,
Pier Giuseppe Pelicci, direttore del Dipartimento di oncologia sperimentale dell’IEO
di Milano:
“La scoperta
dello stretto
legame tra
alimentazione, metabolismo e malattie ha fatto, negli ultimi anni,
importanti passi avanti grazie allo sviluppo della nutrigenomica, ovvero della conoscenza dei meccanismi fini
che legano il metabolismo
stesso ai nostri geni. In particolare noi abbiamo lavorato
su p66, un gene responsabile
di processi di regolazione dell’invecchiamento cellulare e,
al contempo, di alcune forme
di sovrappeso, attraverso secrezione dell’ormone insulina” spiega Pelicci. “Gli animali privi di questo gene sviluppano meno tumori e non ingrassano. Vi è quindi un collegamento, a livello genetico,
tra ciò che mangiamo, il nostro DNA e il metabolismo.
Approfondire questi legami
ci consentirà di mettere a
punto consigli alimentari
personalizzati”.
La riduzione
del cibo
equivale
a lunga vita