L`obesità come causa di insufficienza renale Osservatorio

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L`obesità come causa di insufficienza renale Osservatorio
Osservatorio
Recenti Prog Med 2010; 101: -60
L’obesità come causa di insufficienza renale
Giovanna Parlongo, Carmine Zoccali
Riassunto. Nell’ultimo secolo, l’aspettativa di vita nei paesi economicamente sviluppati è notevolmente aumentata.
Parallelamente è ascesa la prevalenza dell’obesità e dell’insufficienza renale cronica. L’obesità addominale è un trigger di danno renale e costituisce un importante fattore di rischio cardiovascolare sia nei pazienti con malattie renali
croniche in terapia conservativa, sia per quelli in trattamento dialitico.
Summary. Obesity and chronic kidney disease.
In the last century, life expectancy in the economically developed countries has significantly increased. In parallel
there has been an increase in the prevalence of obesity and
of chronic kidney disease. Abdominal obesity is a relevant
risk factor for death and cardiovascular complications in
chronic kidney disease and in dialysis patients as well.
Parole chiave. Dialisi, Indice di massa corporea, insufficienza renale cronica, obesità, sindrome metabolica, uremia, Waist Hip Ratio.
Key words. Body Mass Index, chronic kidney disease, metabolic syndrome, obesity, renal failure, uremia, Waist Hip Ratio.
Introduzione
In maniera analoga a quanto avviene nella nefropatia diabetica, queste alterazioni gradualmente
evolvono verso una franca proteinuria e una perdita più o meno rapida della funzione renale. Il problema del rischio renale di eccesso ponderale ha le
sue radici nell’infanzia e nell’adolescenza. Il sovrappeso durante l’adolescenza predice infatti la
comparsa di insufficienza renale cronica in età adulta5. Un aspetto rilevante per spiegare l’associazione
tra peso corporeo in giovane età e insufficienza renale cronica (IRC) è rappresentato dalle alterazioni
dello sviluppo fetale intrauterino secondario a malnutrizione della madre durante la gravidanza e/o ad
alterazioni placentari. Secondo la teoria di Barker6,
i meccanismi di compenso alla scarsa disponibilità
di nutrienti durante la vita fetale rimangono attivi
anche dopo la nascita, quando la disponibilità degli
stessi non è più carente. L’assetto funzionale del feto volto a massimizzare il risparmio energetico si
traduce così in un’eccessiva tendenza all’accumulo
di grasso dopo la nascita quando l’accesso ai nutrienti non è più limitato. Le alterazioni dello sviluppo intrauterino si associano anche ad una ridotta massa nefronica alla nascita7 e ad anomalie di
sviluppo dell’apparato vascolare, che in età adulta
predispongono all’ipertensione, al diabete, all’obesità ed alla sindrome metabolica, aumentando il rischio di malattie cardiovascolari e renali6.
L’obesità può non solo innescare insufficienza
renale, ma anche aggravare una malattia renale
pre-esistente.
Nell’ultimo secolo l’aspettativa di vita nei paesi economicamente sviluppati è notevolmente aumentata. Il controllo delle malattie infettive e l’accesso illimitato al cibo in tutti gli strati della popolazione ha determinato un rapido aumento dell’obesità. L’obesità ha ora raggiunto dimensioni
epidemiche. Parallelamente all’aumento dell’obesità, si è assistito anche ad un progressivo incremento dell’incidenza delle malattie renali croniche.
In termini epidemiologici, l’impatto dell’obesità
nell’ascesa dell’insufficienza renale a problema
maggiore di salute pubblica è ormai ben definito.
Rispetto ai soggetti normopeso, i soggetti in sovrappeso hanno un rischio doppio di sviluppare insufficienza renale e i soggetti con obesità severa un
rischio 7 volte più alto1.
Obesità e malattie renali:
teoria di Barker e fattori di rischio
Il sovrappeso2 e l’obesità3 si associano a iperfiltrazione, ipertensione glomerulare e glomerulosclerosi focale e segmentale (GSFS)4. Dal punto di vista clinico, queste alterazioni anatomofunzionali hanno un preciso corrispettivo nell’alto filtrato glomerulare associato a microalbuminuria che si riscontra negli obesi giovani e di media età.
Unità Operativa di Nefrologia, Dialisi e Trapianto di Rene, Ospedali Riuniti, Reggio Calabria.
Pervenuto il 10 dicembre 2009.
Recenti Progressi in Medicina, 101 (2), febbraio 2010
Nei pazienti con nefropatia a depositi di IgA con
BMI (Body Mass Index) >25, il rischio di progressione verso l’insufficienza renale terminale cresce
linearmente del 10% a ogni aumento di 1 unità di
BMI8. Come si è accennato, l’obesità si associa alla
comparsa di proteinuria. I soggetti in sovrappeso o
obesi presentano infatti un rischio rispettivamente
dal 43% al 56% più elevato di risultare positivi per
proteinuria al dipstick9, rispetto ai soggetti con valori di BMI inferiori a 25. Questa associazione è di
tipo causale. Infatti la riduzione del peso corporeo
riduce la proteinuria indipendentemente dalle variazioni concomitanti del filtrato glomerulare o della pressione arteriosa10. Teoria di Barker a parte, i
meccanismi patogenetici alla base dell’associazione tra obesità e malattie renali croniche sono ancora poco definiti. Tra i principali fattori coinvolti, oltre all’ipertensione e al diabete che spesso sono associati all’obesità, sono da considerare l’iperfiltrazione glomerulare, l’infiammazione, l’insulino-resistenza e l’iperattività simpatica.
Per quanto attiene l’iperfiltrazione, è stato dimostrato che nei soggetti obesi, l’eccessivo intake
di sale determina un aumento del filtrato glomerulare probabilmente secondario all’espansione del
volume extracellulare o alla produzione di steroidi
cardiotonici come l’oubaina endogena11. D’altra
parte, studi sperimentali hanno dimostrato che
l’aumentato riassorbimento di sodio lungo l’ansa
di Henle determina una vasodilatazione preglomerulare a sua volta responsabile di glomerulomegalia ed aumento della pressione glomerulare.
Elsayed ha recentemente analizzato i dati di
due grandi studi di popolazione, lo studio ARIC
(Atherosclerosis Risk in Communities) e il CHS
(Cardiovascular Health Study) per valutare il rischio renale di un alto BMI e di una larga circonferenza della vita normalizzata per la circonferenza dei fianchi (Waist Hip Ratio, WHR). È emerso
che ad ogni aumento di 1 deviazione standard del
WHR corrisponde un incremento del rischio di malattia renale cronica pari al 22%, mentre un aumento della stessa entità del BMI non ha alcun valore predittivo12. La superiorità prognostica di questo indice rispetto al BMI probabilmente dipende
dal fatto che esso riflette in misura superiore al
BMI l’obesità viscerale.
Nello studio PREVEND (Prevention of Renal
and Vascular and Endstage Disease) è stato dimostrato che valori progressivamente più alti di WHR
si associano ad una più alta prevalenza di microalbuminuria e a riduzione del filtrato glomerulare
anche nei soggetti normopeso (con BMI inferiore a
25). È importante rilevare che in questo studio il
BMI e il WHR correlavano in direzione opposta con
il filtrato glomerulare. Un alto BMI si associava infatti ad iperfiltrazione mentre un elevato WHR si
associava ad ipofiltrazione, cioè a un basso filtrato
glomerulare. Il diabete e l’ipertensione che sono
spesso associati all’obesità spiegano solo in parte
il danno renale. Infatti il rischio di insufficienza renale sotteso da un alto WHR si osserva anche nei
soggetti obesi non diabetici e normotesi12.
Sulla base di studi meccanicistici e su osservazioni epidemiologiche è stato ipotizzato che la resistenza insulinica – un fenomeno in parte dovuto
ad alti livelli di leptina e bassi livelli di adiponectina (due citochine prodotte dal tessuto adiposo) –
ed un’alta attività simpatica abbiano un ruolo prominente nell’innescare il danno renale13. Questi
fattori saranno descritti in maggiore dettaglio nella parte finale dell’articolo.
Obesità addominale ed epidemiologia inversa
nei pazienti in dialisi
Il problema dell’obesità nella popolazione dialitica è altrettanto preoccupante che nella popolazione generale. La prevalenza di questa malattia nello United States Renal Data System (il registro dei pazienti americani in dialisi ) già nel
2002 era superiore al 25%. L’indice di massa corporea (BMI) è la misura antropometrica più ampiamente utilizzata negli studi epidemiologici e il
suo monitoraggio è formalmente raccomandato
per la valutazione dello stato nutrizionale nei pazienti in dialisi. Numerosi studi osservazionali in
varie popolazioni dialitiche hanno coerentemente
dimostrato che il BMI è inversamente associato
con la mortalità. Questo fenomeno non è specifico
per l’insufficienza renale perché è stato registrato anche in altre malattie croniche come l’insufficienza cardiaca e la malattia coronarica. Tuttavia
questi dati non devono essere interpretati come
indicativi del fatto che un alto indice di massa corporea sia un fattore protettivo. Nella popolazione
generale, la circonferenza della vita e il WHR
(due indicatori di obesità centrale) appaiono direttamente, piuttosto che inversamente, associati con la mortalità generale e cardiovascolare.
Nello studio INTERHEART, il WHR è emerso come un predittore di eventi coronarici molto più
forte del BMI14. Questo studio è oggi considerato
come la più solida evidenza su scala mondiale che
il grasso viscerale è implicato nel rischio di infarto miocardico nella popolazione generale. Recenti analisi condotte su soggetti con malattia renale cronica di grado lieve-moderato hanno dimostrato che il WHR ha un potere predittivo sia per
gli eventi cardiovascolari e sia per la progressione dell’insufficienza renale12.
I disordini nutrizionali sono molto comuni nei
pazienti in dialisi, ma il ruolo dell’obesità addominale nell’alta mortalità di questa popolazione ha
finora ricevuto scarsa attenzione. Recentemente è
stato effettuato uno studio osservazionale per testare il potere predittivo della circonferenza della
vita e del WHR sulla mortalità totale e cardiovascolare in una coorte di 537 pazienti in trattamento emodialitico15. Per la prima volta è emerso che
nella popolazione dialitica l’obesità addominale si
associa a un alto rischio di morte. È da sottolineare che nei pazienti di questo studio, così come in
quelli di studi precedenti, il BMI è risultato un consistente predittore inverso di mortalità.
G. Parlongo, C. Zoccali: L’obesità come causa di insufficienza renale
Il rischio di morte è stato, infatti, massimo nei
pazienti con bassa massa corporea e minimo in
quelli con alto BMI. Viceversa, la circonferenza
della vita si è associata in maniera lineare e diretta al rischio di morte ed un aumento di 10 cm della circonferenza della vita sottendeva un aumento
del 23% del rischio di mortalità totale e del 37%
del rischio di malattie cardiovascolari. Tali risultati sono importanti per una corretta interpretazione del dibattuto problema della “epidemiologia
inversa” della popolazione dialitica. In altri termini, da un lato dimostrano che l’accumulo di grasso
addominale predice un progressivo aumento del rischio di morte e di eventi cardiovascolari e, dall’altro, mettono in evidenza che la misura del BMI
ha un importante potere prognostico complementare a quello della circonferenza della vita. Infatti, la mortalità era massima quando una alta circonferenza della vita si associava a un basso BMI,
e viceversa era minima quando una bassa circonferenza della vita si accompagnava ad un alto BMI
(figura 1).
Numero di decessi
100 persone-anno
40
30
20
(cm)
>94
10
0
<94
<24.8
≥24.8
(Kg/m2)
Indice di massa corporea
Numero di decessi per eventi cardiovascolari
100 persone-anno
20
15
10
(cm)
>94
5
<94
0
<24.8
≥24.8 (Kg/m2)
Indice di massa corporea
Figura 1. Tasso d’incidenza della mortalità totale e cardiovascolare
nella popolazione dello studio di Postorino et al. (v. ref. 1) stratificata per indice di massa corporea e circonferenza vita (al di sopra /
al di sotto del corrispondente valore mediano). [Ridisegnata]
La massa corporea
e la circonferenza della vita
nella popolazione dialitica
Come è stato sottolineato, il BMI è una misura
che viene applicata per la definizione dell’intera
gamma di alterazioni dello stato nutrizionale, dalla malnutrizione all’obesità severa. Si è già detto
che nei pazienti in dialisi esiste un’associazione inversa tra indice di massa corporea e rischio di morte. Anche se ci sono ragioni biologiche per cui un elevato BMI può essere un fattore protettivo nei pazienti in dialisi, valutare in dettaglio l’impatto prognostico di questo indicatore nella popolazione dialitica è importante. Nei pazienti in dialisi in sovrappeso, un’escrezione urinaria relativamente più
elevata della creatinina, che denota una più alta
massa muscolare, si associa ad un più basso rischio
di morte16. Peraltro, nei pazienti in dialisi in sovrappeso un bilancio azotato negativo denota un
aumentato rischio di morte rispetto a quelli con lo
stesso BMI in bilancio proteico neutro17. Sebbene la
gran parte delle conoscenze epidemiologiche circa
gli effetti negativi dell’eccesso di grasso sulla salute siano basate sul BMI18, sta progressivamente
emergendo la convinzione che il BMI è un imperfetto metodo di stima del grasso corporeo19. L’accumulo di grasso tra i visceri addominali è cruciale
dal punto di vista biologico per spiegare gli effetti
negativi dell’obesità sulla salute. La circonferenza
della vita e il WHR sembrano essere indicatori più
accurati dell’accumulo addominale di grasso rispetto al BMI. Un gruppo internazionale di esperti
dell’Organizzazione mondiale della sanità ha formalmente raccomandato la misurazione sistematica della circonferenza vita e il WHR negli studi finalizzati a definire l’epidemiologia dell’obesità.
Stesse considerazioni possono estendersi alla popolazione con insufficienza renale cronica, perché è
ben documentato che in questi pazienti la circonferenza della vita è fortemente associata al grasso viscerale20. L’associazione tra circonferenza vita,
WHR ed esiti clinici nei pazienti in dialisi (che abbiamo precedentemente discusso), fornisce una rilevante chiave di soluzione per il dibattuto problema degli effetti del sovrappeso e dell’obesità nei pazienti con insufficienza renale. Il grasso viscerale
produce vari fattori che possono influenzare l’eritropoiesi, la risposta immunitaria alla trasmissione
di agenti infettivi, il sistema cardiovascolare e il sistema nervoso21. È stata descritta un’associazione
tra massa del tessuto adiposo ed infiammazione nei
pazienti in dialisi22. L’adiponectina, fattore cardiovasculo-protettore con effetti pleiotropici, è bassa
negli obesi e – anche se la questione rimane ancora
controversa – i livelli di adiponectina sono inversamente correlati con gli eventi cardiovascolari nei
pazienti in dialisi23. La leptina, un peptide implicato nella resistenza all’insulina, nell’iperattività simpatica, nell’ipertensione e nell’obesità, è aumentata
nella popolazione dialitica ed alti livelli di leptina
predicono un più alto rischio cardiovascolare nei
dialitici in sovrappeso ed in quelli obesi in dialisi24.
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Recenti Progressi in Medicina, 101 (2), febbraio 2010
Il grasso viscerale è ora considerato come un organo con connessioni multiple, dirette e indirette,
con il sistema endocrino, nervoso e cardiovascolare,
che svolge un ruolo rilevante nella generazione e
modulazione dell’infiammazione sistemica21. Può
avere un ruolo pro-infiammatorio nell’insufficienza
renale cronica e nei pazienti in dialisi. A questo proposito, è importante sottolineare che nello studio di
Postorino et al.15 il potere predittivo della circonferenza della vita e del WHR era largamente indipendente dall’infiammazione, definita in base ai livelli circolanti della proteina C reattiva (PCR) ad
alta sensibilità. La PCR è una pentraxina prodotta
a livello epatico, la cui sintesi è stimolata da alcune
citochine sintetizzate nel tessuto adiposo come l’interleuchina-1- beta, l’interleuchina-6, e il TNF alfa.
Questa osservazione indica che fattori diversi dalla
PCR e dalle citochine che ne stimolano la produzione, sono implicati nell’alto rischio dell’obesità addominale. Alti livelli di leptina e bassi livelli di adiponectina e probabilmente altri fattori ancora poco
studiati come la visfatina, possono mediare gli effetti avversi dell’obesità nei pazienti in dialisi. Dal
punto di vista prognostico, il fatto che la circonferenza della vita predice la morte indipendentemente dai livelli di PCR indica che tale misura ha un valore complementare rispetto a questo biomarcatore
nella stratificazione del rischio dei pazienti in dialisi. Ridefinire la valutazione dello stato nutrizionale, combinando le misure di obesità addominale e il
BMI, può essere di ausilio nella definizione della
prognosi nella popolazione con nefropatia a stadio
terminale.
L’identificazione dei mediatori biochimici del tessuto adiposo viscerale responsabili dell’alto rischio di
morte nei pazienti in dialisi è un’importante area di
ricerca. I risultati degli studi in corso avranno implicazioni anche al di là di questa popolazione ad altissimo rischio di morte, in quanto potranno generare ipotesi interpretative utili per altre condizioni cliniche.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Carmine Zoccali
Ospedali Riuniti
Via Vallone Petrara
124 Reggio Calabria
E-mail: [email protected]