Milano Finanza “Dossier Brexit 8”

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Milano Finanza “Dossier Brexit 8”
MILANO FINANZA
20
17 Dicembre 2016
A gennaio il Comitato di Basilea varerà le proposte finali per
gli istituti. Si va verso un allentamento delle richieste su approccio
standard, modelli interni e output floor. Ecco le stime degli analisti
BANCHE
Arriva la botta Basilea 4
IL POSSIBILE AUMENTO DEI REQUISITI DI CAPITALE PER BASILEA 4
60
40
20
La crescita degli asset ponderati per il rischio (denominatore degli indici patrimoniali delle banche) secondo le stime di Morgan Stanley
Nota: l’output floor è la limitazione che scatta se i
requisiti di capitale che scaturiscono dal modello interno
calcolato dalla banca comportano una riduzione troppo
marcata rispetto all’approccio standard
Fonte: Eba 2016
Output floor del 55%
Output floor del 75%
Svezia
Danimarca
Svizzera
Olanda
Australia
Belgio
Germania
Francia
Banche
escl. Usa
TOT. UE
Giappone
R. Unito
Italia
Finlandia
Norvegia
Hong Kong
0
Spagna
S
i sta per concludere la
revisione delle regole bancarie nota come
Basilea 4. Dopo la riunione del 28 e 29 novembre,
che non ha portato a un accordo,
l’intesa finale è prevista per l’incontro del Comitato di Basilea
dell’8 gennaio. I supervisori internazionali sono alla ricerca di
un compromesso tra la posizione americana e quella europea,
sostenuta anche da Canada e
Giappone. La divergenza è legata
al differente impiego dei modelli interni (usati maggiormente in
Europa) e al peso delle banche nel
finanziamento dell’economia (di
gran lunga superiore nell’Ue).
Le prime regole del Comitato
di Basilea hanno fatto tremare l’Europa. Secondo l’European
Banking Federation, le proposte
iniziali avrebbero fatto salire i requisiti delle banche dell’Eurozona
del 55% (si passerebbe da 1.574
a 2.433 miliardi di Cet1). Anche
il Parlamento e la Commissione
Ue, così come le autorità nazionali di tutti i maggiori Paesi, si sono
dette contrarie a un inasprimento eccessivo dei requisiti (perciò si
parla di Basilea 4, anche se in realtà le regole si propongono come
semplice affinamento della disciplina di Basilea 3).
Rispetto alle proposte iniziali si
sta comunque procedendo verso una soluzione con impatto
più morbido sulle banche e sul
credito. Tutto ruota attorno al
mandato del G20, secondo cui
le nuove regole non devono aumentare i requisiti di capitale
«in modo significativo». Queste
parole lasciano incertezza su cosa voglia dire «significativo» e se
l’incremento debba essere medio
o in alcune aree geografiche.
Austria
di Francesco Ninfole
GRAFICA MF-MILANO FINANZA
Le principali questioni su cui sta
lavorando il Comitato riguardano la revisione dell’approccio
standardizzato, la modifica dei
modelli interni, la definizione
di output floor e la ricalibrazione dei metodi per la misura del
rischio operativo. Per quanto
riguarda il primo punto, i problemi sembrano superati. Dalle
ultime analisi è emerso che l’aumento dei requisiti è ovunque
basso e quindi la normativa è
in dirittura d’arrivo.
Per quanto riguarda invece il
pacchetto sui modelli interni, ci
sono ancora alcune questioni da
sistemare. La proposta pubblicata dal Comitato di Basilea a
marzo avrebbe innescato un impatto molto forte per gli istituti.
Perciò sono state apportate alcune correzioni. In particolare,
le banche potranno continuare a utilizzare i modelli interni
per alcune esposizioni a basso
rischio di default (low default
portfolio). Anche con queste mo-
difiche, tuttavia, i requisiti di
capitale sarebbero più elevati
rispetto al passato e perciò le discussioni sono ancora in corso.
Lo stesso sta accadendo per gli
output floor, ovvero le limitazioni
che scatterebbero se i requisiti di capitale che scaturiscono
dal modello interno calcolato
dalla banca comportano una riduzione troppo marcata rispetto
all’approccio standard. Le prime
ipotesi erano di output floor al 60
e 90%. Ora si sta pensando a un
livello del 55% nel 2020, con incremento del 5% all’anno fino ad
arrivare al 75% nel 2025.
Morgan Stanley ha calcolato che
un output floor al 55% comporterebbe una crescita degli asset
ponderati del rischio (Rwa), ovvero del denominatore degli
indici di capitale, pari al 12%
medio in Europa (8% in Italia),
mentre con un livello al 75% gli
Rwa salirebbero del 21% (17% in
Italia). Secondo Credit Suisse,
invece, nel complesso le norme
di Basilea 4 dovrebbero far salire gli asset ponderati del 9%
(11% in Italia), in discesa rispetto al +19% delle prime proposte.
L’impatto sarebbe comunque significativo per la riduzione della
capacità di credito delle banche
Ue. Ma per gli analisti di Credit
Suisse la riunione di gennaio del
Comitato di Basilea «potrebbe
segnare la fine del ciclo della riregolamentazione durato 8 anni»
e le proposte potrebbero essere il
«picco regolamentare» post-crisi,
che apre la strada a una nuova
fase meno focalizzata sulle normative bancarie.
Resta prima da verificare come si concluderanno le ultime
negoziazioni di Basilea, che poi
dovranno essere recepite nella
legislazione europea (difficile che ciò accada prima di fine
2017). I regolatori internazionali starebbero studiando anche
sconti sui mutui a basso rischio
e sulle multe per comportamenti illeciti. Inoltre saranno
aggiunti requisiti di leverage
ratio specifici per le 30 banche
sistemiche globali, in aggiunta
al 3% minimo previsto per tutti
gli istituti. Il confronto tecnico
è acceso anche in materia di rischio operativo. Su quest’ultimo
fronte ci sarebbe un aumento
dei requisiti basso in media, ma
con alta eterogeneità dell’impatto tra diversi Paesi.
Le nuove regole di Basilea avevano all’inizio l’obiettivo di ridurre
l’eccessiva variabilità dei requisiti di capitale. Molte banche hanno
utilizzato i modelli interni per ottenere sconti patrimoniali non
sempre giustificati: un problema
tuttora presente, considerando
le rilevanti differenze negli Rwa
degli istituti in proporzione agli
asset totali. Sulla materia la Bce
ha lanciato una consultazione sul
rischio di controparte e ha avviato un’analisi dei modelli interni
delle banche con ispezioni in loco
a partire dal primo semestre del
2017. (riproduzione riservata)
DOSSIER BREXIT
Ospitando l’Ema, Milano può diventare una calamita
L
e sinergie cominciano a essere evidenti. Di conseguenza, gli sviluppi
possono essere significativi. Le misure entrate in legge di bilancio, e quanto
risolto dalla Commissione Finanze della
Camera in tema di potenziamento dell’infrastruttura di mercato a Milano, creano
un ecosistema di eccellenza, capace di trasformare Milano nella piazza finanziaria
dell’Eurozona. Adesso, il tutto va messo a
regime. Il primo effetto è la naturale tendenza a incentivare gli agenti economici a
fare sistema e mettere in moto il circuito
della ripresa economica. Esiste già un caso applicativo. La campagna per trasferire
a Milano la sede dell’Ema (l’Agenzia europea del farmaco), per la quale governo,
regione, comune e Confindustria hanno
stabilito una cabina di regia, il tavolo per
Milano, diventa ora altamente complementare all’iniziativa intesa a trasferire
a Milano il mercato dell’Euroclearing in
uscita da Londra. Questo perché il progetto di distretto d’affari delinea un ambiente
incentivante per le relazioni d’affari i cui
principi, se estesi all’ambito farmaceutico e biomedicale, mostrano in che misura
il cluster finanziario possa fare da acceleratore ai processi di sviluppo. I tre punti
chiave del programma Distretto Affari,
sono di grande vantaggio all’Ema, se trasferita a Milano, e possono costituire un
enorme incentivo per la ridomiciliazione
dell’agenzia a Milano. Innanzitutto, i benefici della legge per l’attrazione dei cervelli
si attagliano bene alle esigenze della ricerca farmaceutica. La defiscalizzazione dei
redditi per i ricercatori, scienziati e manager internazionali che ruotano attorno
all’attività dell’Agenzia è perfettamente
compatibile con le norme aggiornate sul
controesodo, aperte a talenti di tutte le
nazionalità purché trasferiti in Italia. Di
uguale importanza sarebbe la possibilità per le industrie farmaceutiche di poter
contare sull’arbitrato amministrato dalla
Corte Europea di Arbitrato quale metodo
di risoluzione delle controversie in regime
di common law. Inoltre, essendo la ricerca
farmaceutica un’industria capital intensive, il sostegno di un mercato finanziario
sgraverebbe l’industria della necessità
di fare ricorso alla rete bancaria, che al
momento tra ricapitalizzazioni e volume
degli npl non può garantire il risk appetite necessario a finanziare le attività di
sperimentazione clinica. Idem per l’innovazione e le start up, che in mancanza di
un mercato capace di fornire capitale di rischio, si espongono a un tasso di mortalità
incompatibile con le ambizioni di Milano e
dello human technopole. La convergenza
tra le due iniziative, invece, crea valore. Il
concetto è che, nell’esperienza commerciale, i distretti affari sono zone più o meno
franche, che consentono ai mercati di operare con la velocità richiesta dalla loro
propria natura, e ai Paesi ospiti di godere di benefici economici.
Il modello «un Paese, due sistemi», fu
dapprima concepito da Deng Xiaoping,
per gestire il processo di trasferimento
alla Repubblica Popolare Cinese di Hong
Kong nel 1997. Fu utilizzata una formula
innovativa, che consentisse di mantenere inalterate le caratteristiche necessarie
al successo di un centro finanziario internazionale e circoscriverle a una porzione
del territorio. Da allora, Hong Kong, quale
enclave democratica governata dal diritto
inglese, convive con il sistema comunista.
Più di recente, nel 2004, lo schema è stato
replicato per sviluppare a Dubai l’International Financial Centre. Dubai si è da
allora affermato come financial hub regionale, coprendo una vasta area d’affari
che si estende dal Medio Oriente all’Africa. Il Difc, come la Ras di Hong Kong,
viene governato dalla common law inglese, attribuisce ai partecipanti un set di
incentivi fiscali e demanda la risoluzione delle controversie legale alla Camera
Arbitrale di Londra, convivendo con il
diritto egiziano che governa Dubai e addirittura con sacche di Sharia. Mentre il
modello Hong Kong è territoriale, cioè lo
status di distretto e i relativi benefici si
applicano su base territoriale all’interno
dei confini fisici dell’ex colonia, il modello
Dubai è consortile, cioè lo status di distretto e i relativi benefici vengono attribuiti
ai partecipanti al Difc in virtù della loro
sottoscrizione del contratto di adesione.
Il Distretto Affari di Milano può svilupparsi a partire dal medesimo concetto. Il
cluster è una calamita e l’Ema può essere la prima ad essere attratta.
Bepi Pezzulli