breve guida a basilea2

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breve guida a basilea2
BREVE GUIDA A BASILEA2
BREVE GUIDA A “BASILEA 2”
L’accordo prende il nome di Basilea perché proprio in questa cittadina
svizzera ha sede la Banca dei regolamenti internazionali, Bri, all’interno della
quale opera il Comitato di Basilea del quale fanno parte i rappresentanti di
Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi
Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Obiettivo della Bri
è garantire la stabilità monetaria e finanziaria da raggiungere attraverso la
collaborazione fra le banche centrali ed altri enti. Come spesso succede con
gli organismi internazionali, il comitato non ha alcuna autorità nei confronti dei
Paesi membri che non sono vincolati ad accettare le sue decisioni. Proprio
per questo le decisioni sono frutto di lunghe mediazioni e nel momento in cui
sono rese note è facile immaginare che tutti i partecipanti vi aderiranno.
Dietro però ci sono durissime trattative fra Paesi che hanno strutture
industriali differenti e che potrebbero venire colpiti in modo diverso dalle
misure adottate. Le piccole e medie imprese degli Stati Uniti, per esempio,
non sono minimamente paragonabili per dimensioni a quelle europee e in
particolare italiane. La prima versione dell’accordo è del 1988 e prevedeva
l'obbligo per le banche di accantonare l'8% del capitale erogato per garantire
la solidità dell’attività degli istituti di credito. Negli anni furono introdotti alcuni
correttivi fino ad arrivare al 2001 quando venne pubblicato “The New Basel
Capital Accord” un documento che dava il via alle trattative per la nuova
formulazione dell’intesa.
La nuova stesura supera l’originaria formulazione dell’8% per prendere in
considerazione anche l’esistenza di rischi come per esempio le truffe e i rischi
di mercato, ma soprattutto introduce l’utilizzo del rating nei confronti delle
imprese. In questo modo viene stabilita una differenziazione dei requisiti in
base alla probabilità d’insolvenza con più possibilità da parte degli istituti di
credito di maggiori dimensioni che potranno utilizzare strumenti di analisi più
sofisticati. Entrando più nel dettaglio la nuova versione dell’accordo è fondata
su tre aspetti. Il primo riguarda i requisiti patrimoniali minimi e determina i
criteri per quantificare i rischi della banche nelle sue varie attività tenendo
conto anche di una serie di elementi aggiuntivi come il rischio di mercato, il
rischio di credito e quello operativo. Il secondo prevede un controllo
discrezionale da parte della banca stessa e dell’istituto di vigilanza. Infine, gli
istituti di credito devono fornire un livello minimo di informazioni da offrire al
mercato. In pratica rimane la quota di accantonamento sui prestiti erogati, ma
vengono ampliate le categorie di rischio alle quali bisogna vincolare il
patrimonio.
Proprio per valutare il rischio è stato introdotto il rating che permette di
classificare le aziende in una classe di rischio. In questo modo, più basso è il
rating ottenuto dall’azienda più alto è l’accantonamento da parte dell’istituto di
credito che proprio per fronteggiare l’innalzamento del rischio potrebbe
chiedere tassi di interesse più alti. Il rating viene assegnato in base a una
valutazione relativa alla storia creditizia dell’impresa e ad altri parametri come
la liquidità o redditività. Ogni azienda italiana potrebbe diventare quindi,
almeno sotto questo punto di vista, come la Fiat, che il suo rating ce l’ha da
tempo assegnato da agenzie come Moody’s o Standard and Poor’s.
La nuova versione del trattato di Basilea è andata però incontro a molte
critiche. Le principali riguardano il vantaggio che gli istituti di credito di
maggiori dimensioni avrebbero nei confronti dei piccoli, la prociclicità del
trattato e il sistema del rating. Per quanto riguarda le banche, le più importanti
avrebbero maggiori possibilità rispetto alle piccole di dotarsi di strumenti di
analisi sofisticati acquisendo un ulteriore vantaggio competitivo. Per
prociclicità finanziaria si intende il pericolo che nei periodi di difficoltà
dell’economia potrebbe portare le banche a ridurre gli impieghi a causa del
crescere del rischio, alimentando quindi la fase recessiva. Infine, le Pmi e il
sistema del rating: Alle piccole e medie imprese, da sempre alle prese con le
difficoltà di ottenere finanziamenti da parte delle banche, il rating non piace
proprio perché potrebbe costituire una ulteriore barriera di accesso al credito.
Il Nuovo Accordo ha, peraltro, un orientamento fortemente meritocratico,
ovvero premia chi viene considerato meritevole e penalizza chi non lo è.
Tende a sviluppare un processo a catena (il cui motore è la competitività)
che, intervenendo in primo luogo sulle banche, si ribalta innanzitutto sui suoi
clienti (imprese, privati, enti, ecc.) e impatta successivamente sul “sistemapaese” nel suo insieme.
Tutto questo avviene poiché:
anziché imporre regole uniformi per la vigilanza delle banche sono stati
privilegiati e incentivati sistemi di valutazione che tendono ad avvicinare
alle regole, e a valorizzare i sistemi gestionali interni delle banche. Sistemi
che possono essere notevolmente diversi tra una banca e l'altra e, a
seconda delle strategie, innovarsi continuamente;
le banche che sviluppano sistemi di gestione del rischio più sofisticati
possono scegliere approcci regolamentari più avanzati e offrire condizioni
sui prestiti più competitive ai clienti che ne hanno il merito. Quindi una
maggiore correlazione possibile tra rischiosità e costo delle operazioni;
i soggetti finanziati dalle banche, ed in particolare le imprese, che riescono
a realizzare la miglior gestione aziendale (e riescono anche a farlo
sapere), privilegiano le banche capaci di poter valorizzare, in termini di
costo, queste qualità;
sono premiati tutti i soggetti che sono capaci di aiutare le imprese a
migliorare la propria gestione aziendale e a “farlo sapere” alle banche nel
modo più congeniale alle loro necessità;
sono infine avvantaggiati quei “sistema-paese” dove sarà più efficiente
l'apparato giudiziario che consenta un più rapido e completo recupero dei
crediti e dove è più efficiente tutto l'apparato amministrativo. E’, ad
esempio, avvantaggiata l'impresa finanziata in un Paese dove la maggiore
capacità di recupero di un credito consente alla banca di dover detenere
minor capitale essendo esposta ad un minor rischio
Non vi è dubbio, quindi, che Basilea 2 sia una normativa che fuoriesce dal
ristretto ambito della regolamentazione dell'attività della banca, poiché
modifica le opportunità competitive di banche, imprese, sistemi-paese e,
come tale, richiede una profonda comprensione per cogliere le opportunità
minimizzando gli svantaggi che ne possono derivare.
Ai fini della presente trattazione può risultare utile evidenziare alcuni
comportamenti che ancora oggi caratterizzano l'attività finanziaria delle
imprese e il rapporto tra banche e imprese in Italia.
Uno dei fenomeni emerso appena si è cominciato a parlare delle nuove
regole è la pratica, soprattutto italiana, di forti sconfinamenti nei tempi di
pagamento tra imprese e banche e tra le stesse imprese.
Con la nuova definizione di insolvenza proposta tale pratica, nel tempo, non è
più possibile e diviene quindi indispensabile che il fenomeno venga ridotto a
livelli fisiologici in tutto il sistema economico.
Contrariamente a quanto avviene in molti Paesi europei in Italia è molto
diffuso il multiaffidamento. Le nuove regole tendono invece ad imporre alle
aziende di sviluppare un rapporto di monoaffidamento o almeno più duraturo
e selettivo.
Gli imprenditori, soprattutto italiani, sono normalmente attenti e preparati in
campo tecnico, commerciale e gestionale. Generalmente conoscono bene i
loro prodotti e cosa possono fare per incrementare le vendite, la produttività, i
margini, ecc.
Non si preoccupano, non dedicano tempo e spesso non conoscono
adeguatamente gli aspetti finanziari delle proprie imprese. Lo fanno solo
quando ci sono costretti da esigenze vincolanti. Ecco allora che si utilizza
molto di più, rispetto ad altri Paesi europei, l'affidamento a breve rispetto al
finanziamento a medio e lungo termine. Facilmente, con l'utilizzo del
finanziamento a breve, si sconfina e si incorre nelle penalizzazioni
contrattuali. La motivazione di tutto questo spesso è solamente scarsa
attenzione e scarsa cura della gestione finanziaria della propria impresa.
In cosa si traduce quindi l'applicazione dei vari metodi per la “piccola
impresa”?
Per poter dare una risposta esauriente a questa domanda, oltre a quanto già
esaminato, occorre capire che cosa si intende per “piccola impresa” e in che
modo e con quali elementi può essere valutato il suo rischio di credito e in
relazione alla specifica operazione. Parliamo soprattutto di rischio di credito in
quanto è quello sul quale maggiormente l'impresa può incidere con i suoi
elementi qualitativi quantitativi e andamentali. Limitatissime o nulle sono
invece le possibilità di incidere sul rischio di mercato e sui rischi operativi che
contribuiscono (in misura più limitata) a determinare il capitale di vigilanza
che la banca deve obbligatoriamente accantonare.
Il segmento imprese viene suddiviso in:
grandi imprese (con fatturato pari o superiore a 50 milioni di euro);
piccole e medie imprese (con fatturato pari o superiore ai 5 e inferiore ai
50 milioni di euro);
micro-imprese (con un fatturato inferiore ai cinque milioni di euro)
Ai fini della presente trattazione quando parliamo di “piccola impresa”
facciamo riferimento quasi esclusivamente alla “micro-impresa” e ad una
percentuale molto bassa di “piccole e medie imprese”, come sopra definite.
Quando parliamo di “piccola impresa” dobbiamo anche considerare che
parliamo di imprese che mediamente presentano le seguenti caratteristiche:
a) dimensioni micro;
b) struttura organizzativa che nella maggior parte dei casi si identifica con il
proprietario;
c) interferenza dal punto di vista finanziario tra impresa e vita privata;
d) sottocapitalizzazione dell'impresa a favore di investimenti privati;
e) dati di bilancio incompleti e non sempre adeguatamente rappresentativi
della situazione reddituale, patrimoniale e finanziaria;
f) cattivo utilizzo dei conti correnti bancari e degli affidamenti: sconfinamenti
anche solo per disattenzione e poco tempo dedicato a questi aspetti;
g) scarso utilizzo dei finanziamenti consolidati a favore degli affidamenti a
breve termine;
h) pochissima propensione alla pianificazione e, quando esiste, poca
propensione a tradurla in documentazione scritta;
i) scarsissima informazione scritta fornita alla banca. Le relazioni con le
banche sono di norma personali e basate su elementi soggettivi;
j) tendenza ad operare con diverse banche e a non avere un interlocutore
principale;
k) bassa “cultura” finanziaria
Di fronte a queste caratteristiche le banche, nella determinazione del rating
tendono:
a dare maggior peso alle informazioni di tipo andamentale rilevabili
direttamente, rispetto a quelle di tipo quantitativo rilevabili dai bilanci;
tendono ad utilizzare rilevazioni automatiche basate su dati dell'aggregato
retail e a non impiegare troppe risorse per procurarsi informazioni che,
qualora disponibili a costi accettabili, potrebbero consentire in certi casi
valutazioni migliori per l’ impresa.
Concludendo, abbiamo visto come le PMI siano coinvolte direttamente nelle
modifiche del sistema bancario, in quanto rappresentano una fetta importante
della clientela degli Istituti di Credito.
Con Basilea 2 si rafforza il rapporto tra costo del credito (pricing) e la
valutazione di solvibilità (rating); sono, quindi, avvantaggiate quelle aziende
che riescono a comunicare alla propria banca le prospettive di reddito, la
stabilità economico/patrimoniale, le potenzialità di crescita.
Le Piccole e Medie Imprese devono aiutare le banche a comprendere la
realtà del loro mercato di riferimento, le proprie prospettive di crescita
all'interno dello stesso, l'andamento settoriale, il vantaggio competitivo
rispetto alla concorrenza, la stabilità del proprio sistema finanziario,
economico e patrimoniale. Per far ciò, è indispensabile creare una
comunicazione efficace con gli istituti di credito, che si basi sulla fiducia e
sulla trasparenza,
senza
ricorrere,
ad
esempio, a
politiche
di
bilancio orientate ai soli fini fiscali.
L'impostazione di una “campagna promozionale” verso la propria banca deve
necessariamente basarsi sulla conoscenza della banca stessa, per poter
rispondere pienamente alle esigenze espresse. La “finanza” all'interno delle
aziende di minori dimensioni è, di solito, delegata a professionisti esterni e
considerata ai soli fini degli adempimenti fiscali. Si tratta, in realtà, di una
funzione strategica per gestire in maniera ottimale il rapporto tra fonti e
impieghi, riducendo i costi e migliorando la redditività aziendale. Le piccole e
medie imprese devono prendere in considerazione, da ora in poi il ruolo della
finanza da sempre sottovalutato. Migliorare il proprio rating è l’obiettivo
principale che deve essere raggiunto attraverso una fase di autovalutazione
che serva a definire le aree di intervento focalizzandosi poi sul bilancio,
anche con l’uso di professionalità specifiche come il “risk manager”, che
probabilmente possono contribuire a cambiare l’ organizzazione e la struttura
delle imprese stesse.
La dinamica finanziaria diventa, quindi, indispensabile nella definizione di un
assetto societario volto a minimizzare i rischi di insolvenza, per ottenere
migliori rating e, di conseguenza, pricing più vantaggiosi. Ricordiamo inoltre
che l'accordo di Basilea 2 non è vincolante per le singole banche, ma fissa
solo le linee guida entro cui le stesse devono muoversi. In pratica, quindi,
ogni banca potrebbe far ricorso a differenti strumenti di calcolo di rating, che
attribuiscono pesi e importanze diversi ai vari elementi analizzati.
Riepilogando sinteticamente, la valutazione interna dell'azienda, in relazione
al rapporto con gli Istituti di credito. deve basarsi:
sugli indici di bilancio (dati quantitativi);
sulla struttura interna (dati qualitativi);
sul rapporto e la comunicazione verso la propria banca;
sul rapporto con la centrale dei rischi
sulla situazione settoriale ed economica in genere.