CIRCONDARIO EMPOLESE VALDELSA

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CIRCONDARIO EMPOLESE VALDELSA
CIRCONDARIO EMPOLESE VALDELSA
Resoconto dalla registrazione su nastro
della seduta tenuta nell'aula consiliare della sede comunale
di Empoli il 13 novembre 2003, alle ore 21
Presiede
Gianfranco
Bartolini
,
presidente
dell’Assemblea,
assistito dal Segretario dott. Fedeli Simonetta.
Appello Consiglieri
Proceduto all'appello da parte del Segretario risultano presenti n. 21
componenti e assenti n. 15, come segue.
Presenti:
1) Bartolini Gianfranco, 2) Campitoti Veronica,
Fanciullacci Luca, 6) Malquori Paolo,
3) Faenzi Giancarlo, 5)
7) Talini Florio, 8) Bartalucci
Emanuele, 9) Ferrara Giuseppe, 10) Pucci Piero, 11) Mainolfi Giuseppe, 12)
Parri Andrea, 13) Acciaioli Chiara, 14) Lichi Rossella, 15) Bicchielli Claudio,
16) Cafaggi Luigi, 17) Baldi Roberto, 18) Gaccione Paolo, 19) Perasole
Vincenzo, 20) Fruet Roberto, 21) Marchetti Leonardo.
Assenti:
1) Alderighi Alessandro, 2) Bugli Vittorio, 3) Cantini Laura, 4) Marconcini
Mauro, 5) Montagni Marco, 6) Spini Rosalba, 7) Cappelli Mario, 8) Ciampolini
Filippo,
9) Nardone Francesca, 10) Pucci Carlo, 11) Borgioli Luca, 12)
Niccolai Emiliano, 13) Petri Andrea, 14) Peccanti Raffaele, 15) De Micheli
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Giuseppe.
Constatato il numero legale degli intervenuti il Presidente dichiara la
validità della seduta.
(Presenti n. 21)
Commemorazione strage italiani in Iraq
Il Presidente comunica che la convocazione urgente e straordinaria
di questa Assemblea, come tutti sanno, è motivata dalle tragiche notizie
che sono giunte dall’Iraq.
Questa riunione vuole essere – prosegue - essenzialmente una
commemorazione. Un rendere omaggio ai nostri Carabinieri, ai nostri
concittadini, in divisa e anche civili. Vuole essere una espressione di
pietà e di cordoglio alle vittime del terrorismo più spietato.
19 sono i morti, italiani, più 9 cittadini iracheni.
Il tragico attentato di Nassiriya ci amareggia l’animo e ci lascia
sgomenti.
Questi sono giorni tristi e cupi per tutti gli italiani e per tutti gli
uomini di buona volontà. Unanimi sono stati il cordoglio e la condanna
dell’attentato e del terrorismo che l’ha provocato.
Questo è il momento della pietà e del dolore. E’ il momento di
piangere i nostri morti che hanno speso la loro vita nell’adempimento di
un dovere, non occasionale, ma ormai collaudato e sperimentato.
Questi soldati sono abituati a portare aiuto, a sostenere, a
promuovere, ad organizzare i servizi essenziali, a togliere la fame e la
sete; ad accogliere le persone in ogni parte del mondo, correndo, come
abbiamo più volte visto, dei grossi rischi.
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Le istituzioni hanno l’obbligo di ascoltare e di cogliere le
aspirazioni e i sentimenti più profondi espressi dai cittadini.
Quindi anche la nostra Assemblea, pur cosciente delle limitate
possibilità, cerca tuttavia di far sentire la sua voce, per ribadire un NO
deciso alla guerra e al terrorismo internazionale. Per continuare a
sperare e chiedere di evitare l’orrore di nuovi attentati. Chiedere che il
dialogo e la concordia facciano progredire la convivenza fra i popoli, le
nazioni, le religioni, i gruppi.
Dovrà valere l’assioma “Se vuoi la pace opera per la pace,
costruisci la pace; fatti operatore di pace” che dovrà avere come
fondamento e come coronamento la giustizia e i diritti della persona.
Perché la pace si crea giorno per giorno, nelle nostre famiglie, nelle
nostre scuole, nei nostri quartieri, nei nostri posti di lavoro.
La pace si crea giorno per giorno anche con l’opera paziente e
puntuale, presente, dei nostri soldati impegnati in operazioni umanitarie.
Ogni giorno, con il nostro modo di vivere, siamo pro o contro la pace.
E’ auspicabile che dalla tragicità di questi eventi nasca un nuovo
modo di gestire le controversie internazionali, in modo da non dover
sottostare alla legge del più forte o del più settario fondamentalista.
Dobbiamo tutti operare perché sia riaffermata con forza la
solidarietà europea e rafforzate le strutture dell’Europa unita con
l’adozione di una adeguata costituzione, in modo che l’Europa sia una
voce unica nei mercati mondiali, nella politica estera e nella difesa
comune.
Dobbiamo riaffermare la centralità dell’Onu come fondamento del
diritto internazionale, visto che molte scelte sbagliate o risoluzioni non
attuate dipendono proprio dalla debolezza dell’attuale struttura dell’Onu.
Dobbiamo operare per ricucire al più presto tutti gli strappi che si
sono verificati nel tessuto dei rapporti internazionali.
Dobbiamo adottare una nuova strategia per il conseguimento di
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una pace stabile e condivisa.
Rivolgiamo il nostro pensiero ai familiari delle vittime e porgiamo
loro tutta la nostra solidarietà. Formulando l’augurio che il pensiero che i
loro cari sono morti per uno scopo di solidarietà renda meno dolorosa la
loro perdita.
Ricordiamo le persone che sono rimaste vittime, con un minuto di
raccoglimento e di riflessione, ciascuno secondo la propria sensibilità.
Con
il
tacito
assenso
l’Assemblea
osserva
un
minuto
di
raccoglimento in memoria delle vittime.
Alla ripresa dei lavori il Presidente informa l’Assemblea che il
sindaco Laura Cantini di Castelfiorentino comunica di non potere essere
presente ma comunque di aver mandato un telegramma di condoglianze
e di cordoglio ai Carabinieri di Castelfiorentino.
Nello stesso tempo vi informo che stamani dal Circondario
abbiamo fatto un telegramma al comandante dell’Arma dei Carabinieri di
Empoli. Era stato anche invitato a questa Assemblea. Purtroppo non è
venuto, non ne conosco il motivo.
Il documento che vi ho letto è già stato consegnato ai capigruppo.
Cedo la parola a un membro della Giunta.
Florio Talini
Anche la Giunta condivide le impostazioni esposte nel documento
del Presidente, e il tono con cui stasera ci siamo riuniti in seduta
straordinaria. Si riuniranno anche i Consigli comunali del nostro
Circondario in questi giorni.
Certamente questo è il momento del dolore. Il dolore di una
nazione intera, nostra, che d’improvviso si trova a contare i morti di una
guerra, senza avere la consapevolezza di essere in guerra.
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Nessuno ha trasmesso agli italiani l’esatta percezione del nostro
ruolo nello scenario iracheno. Per questo oggi contiamo i morti, giovani
soldati e carabinieri uccisi dal terrorismo, senza che nella coscienza
politica collettiva ci sia una spiegazione dell’accaduto.
Oggi contiamo i morti, raccogliamo le loro storie di uomini e
ragazzi, cresciuti in tempo di pace e uccisi dal terrorismo iracheno, senza
aver
compiutamente
elaborato
nella
coscienza
collettiva
la
consapevolezza di essere in guerra.
Siamo vicini, come ha detto il Presidente del Circondario, all’Arma
dei Carabinieri, all’Esercito e soprattutto alle famiglie dei Caduti e dei
feriti, così come siamo vicini alle famiglie delle vittime civili italiane e
irachene.
Un sentimento profondo di solidarietà e di cordoglio ci unisce in un
momento
all’orgoglio
per
questi
ragazzi,
per
la
loro
capacità
professionale, il loro spirito umanitario e l’attenzione alle popolazioni
civili che sempre hanno caratterizzato l’impegno dei nostri militari e li
hanno fatti apprezzare in ogni angolo del mondo.
Nessuna strumentalizzazione, dunque, perché non si possono fare
calcoli di parte davanti a una tragedia. Verrà il momento di discutere.
Oggi, vi è un appello alla solidarietà e alla coesione.
Nessuno di noi può pregiudizialmente sottrarsi al valore di questo
appello. Ma allo stesso tempo nessuna sospensione della politica. Non
sarebbe giusto, verso le vittime far tacere le ragioni della politica, le
ragioni
di
un
esame
della
realtà,
perché
oggi
più
che
mai
è
indispensabile cambiare strada, in modo tale da far uscire la comunità
internazionale da una situazione disastrosa.
C’è una logica perversa in ciò che accade in Iraq. I terribili eventi
di questo giorno sono il frutto di una sequela di errori, a partire da una
guerra unilaterale, non condivisa dalla Comunità internazionale, che ha
diffuso sentimenti anti occidentali in gran parte del mondo islamico, per
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finire a una valutazione sbagliata della situazione da parte di chi credeva
che le truppe liberatrici sarebbero state accolte da folle festanti.
Dunque è evidente che si deve cambiare strada. E’ evidente che
questa strategia di lotta al terrorismo, non solo non ha ridotto, ma ha
aumentato la minaccia e il mondo rischia di precipitare verso quel
conflitto di civiltà che è esattamente ciò che i terroristi vogliono.
Le democrazie hanno il diritto e il dovere di difendere i loro cittadini
dal terrorismo, ma hanno anche l’obbligo di difendersi restando
democrazia. Quindi, rispettando il diritto internazionale, i sistemi di
regolazione dei conflitti e gli organismi di garanzia come le Nazioni Unite.
Quella dell’Onu è oggi l’unica strada percorribile.
Quando il governo italiano decise di mandare 2.500 soldati
nell’Iraq meridionale le Nazioni Unite, a cui il presidente del Consiglio
diceva rifarsi, non aveva ancora inviato il mandato alla coalizione guidata
dagli americani.
Queste scelte hanno diviso il Continente, fra vecchia e nuova
Europa. E anche l’Europa più vecchia si è spaccata in due. Il governo
italiano, tra il tentativo di ricomporre una identità europea e l’alleanza
militare con gli Usa, ha scelto questa seconda strada.
Oggi, dopo che l’America ha chiesto aiuto all’ONU, per tentare di
ritrovare un controllo per un dopoguerra impazzito, l’Italia deve lavorare
per riportare la politica al suo posto, aiutando le Nazioni Unite a giocare
un ruolo concreto; gli iracheni a costruire un vero governo autonomo;
l’Occidente a contare sui valori dell’Europa accanto a quelli dell’America,
cambiando strada attraverso la politica, facendo prevalere il sentimento
di pace e di cooperazione internazionale, che così vivo è ed è presente
in tutto il mondo.
Ci sono ormai cose chiare a tutti: la lotta al terrorismo si deve fare
con
la
ripresa
e
il
rafforzamento
del
multilateralismo
e
della
cooperazione. Ogni impegno militare, politico e umanitario va ricondotto
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sotto il comando del governo dell’ONU.
Si vede come l’uniteralismo abbia condotto tutti in un vicolo cieco.
Serve una inversione di rotta, dando urgentemente seguito alla
risoluzione dell’ONU n.1511.
L’Italia oggi è a capo dell’Unione Europea. Deve fare la sua parte.
In molti avevano denunciato con
forza i gravissimi rischi della
guerra preventiva con l’Iraq.
Dalla nostra città, dai nostri comuni, dalle nostre Regioni, ma
anche dalle più alte autorità religiose e spirituali, si era levato un appello
alla pace perché si affrontasse con rinnovato coraggio la questione
palestinese.
Oggi dobbiamo insistere perché il sacrificio dei nostri militari non
sia vano e dobbiamo sapere onorarlo.
Serve una grande iniziativa politica di pace che ci deve vedere tutti
protagonisti.
Nella
nostra
zona,
viviamo
ore
di
straordinaria
mobilitazione. Tanti Consigli comunali, provinciali, si stanno riunendo per
esprimere solidarietà e abbracciare le famiglie dei Caduti; CGIL, CISL e
UIL, con un posizione unitaria di grande valore, con i concetti della quale
voglio concludere questo intervento, hanno aperto la strada a una
iniziativa di tutte le forze sociali: CGIL, CISL e UIL della Toscana dicono
nel loro documento di ribadire le loro convinzioni che il terrorismo e la
guerra siano “nemici dei popoli e vanno combattuti - così scrivono - con
armi non convenzionali, come la libertà, la giustizia, i diritti, la tolleranza,
garantendo
e
consolidando
l’autorevole
ruolo
delle
istituzioni
internazionali. I regimi autoritari non si sconfiggono con la devastazione
delle armi ma con una cooperazione internazionale e il dialogo politico
per far crescere la democrazia e una opinione pubblica libera”.
Roberto Fruet
Questa assemblea vuole, appunto, oggi esprimere il proprio
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cordoglio, la propria rabbia per quanto è successo in Iraq e non andare
alla ricerca di situazioni sul perché o sul come, se si doveva o non si
doveva. Ecco perché noi dell’UDC abbiamo un piccolo scritto di cui do
lettura:
“Le famiglie dei soldati italiani assassinati a Nassiriya piangono i
loro cari. Il Paese, che proprio dalle tragedie deve mostrarsi forte, li
ricorda con il cuore gonfio di angoscia e di rabbia. Di angoscia per il
lutto. Di rabbia per l’insensatezza stragista di un terrorismo feroce e dei
suoi deliranti kamikaze.
Questo è un momento di unità e non di polemiche, come è stato
detto anche da uomini responsabili, sia di maggioranza che di minoranza.
E’ un momento di unità e non di polemiche. I Caduti italiani non sono
andati laggiù per combattere una guerra. Sono andati laggiù per portare
pace, sicurezza, ed ogni soccorso materiale alla popolazione di un Iraq
stremato e dilaniato anche dalle faide interne.
I militari italiani erano lì per aiutare, non per occupare, e ancor
meno per reprimere. - Hanno infatti portato, lì a Nassiriya dove erano,
per esempio la luce, con i collegamenti elettronici che hanno donato alla
città di Nassiriya, per cui hanno la luce 24 ore su 24 che prima, sotto
Saddam avevano per 6 ore al giorno. Così come tante altre cose. Sono
state riaperte le scuole, sono stati assunti 1500 impiegati civili per
spazzare, per portar via nettezza, per ripristinare svariati servizi. Quindi
sono andati là come sempre hanno fatto i nostri italiani all’estero, cioè,
ripristinare quello che è possibile e dare a quelle popolazioni, che la
guerra ha toccato così duramente, una certa parvenza per cercare di
portarli alla normalità. - I militari italiani erano lì per aiutarli, non per
occupare e ancor meno per reprimere.
Con questo atteggiamento si erano, e si sono, guadagnati la
riconoscenza di molti iracheni. (Evidentemente non di tutti, o forse non
certo dei terroristi che probabilmente vengono dal di fuori).
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L’Italia fa la sua parte nell’ambito e con
i limiti decisi dal
Parlamento, che rappresenta la volontà del paese, per restituire agli
iracheni l’amministrazione della loro patria.
Un paese, il nostro, che si china commosso sulle bare dei suoi
ultimi Caduti, per
promettere che non li dimenticheremo e che non si
tradirà il loro sacrificio.
Giuseppe Mainolfi
Voglio esprimere a nome del gruppo di Forza Italia il cordoglio ai
familiari delle vittime e solidarietà all’Arma dei Carabinieri per l’attentato
di ieri a Nassiriya.
Oggi è giorno di lutto per tutto il popolo italiano, per il vile attentato
terroristico, che è costato la vita a 19 persone, tra i quali 13 carabinieri, 4
soldati e due civili. Quindi cerchiamo di non infangare il dolore delle
famiglie dei militari uccisi, dell’Arma dei Carabinieri, dell’esercito,
scendendo sul terreno della sterile contrapposizione politica e della
strumentalizzazione ideologica.
La giornata del 12 novembre, ieri, rappresenta il nostro 11
settembre, perché per la prima volta il terrorismo internazionale ha
colpito un obiettivo italiano, sia pure in terra straniera.
I nostri militari si sono sempre distinti nel mondo per la loro
impeccabile professionalità e per lo spiccato senso di umanità, che
contraddistingue il nostro popolo, fraternizzando in Libano come in
Bosnia, in Kossovo come in Iraq, con le popolazioni locali e diventando
essenziale punto di riferimento per la rinascita dei paesi, martirizzati
dalle guerre, dalla fame e dalle distruzioni.
Anche nel sud dell’Iraq i carabinieri e i soldati hanno lavorato fino a
ieri con pazienza e tenacia, per assicurare una transazione morbida dalla
dittatura di Saddam alla democrazia, dopo la guerra lampo.
Quella italiana è stata una spedizione di pace, dispiegata
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unicamente su decisione del Parlamento italiano e con la copertura di
una risoluzione ONU per garantire la sicurezza degli abitanti di Nassiriya
e delle città vicine e per assicurare loro l’arrivo degli indispensabili aiuti
umanitari.
L’attacco di ieri è un autentico atto di guerra, e dunque frutto solo
della scelta logica del terrorismo fondamentalista che utilizza i kamikaze
per spargere odio e morte.
Vorrei ricordare le parole del Presidente della Repubblica Ciampi,
ieri, appena appreso la notizia dell’attentato. Diceva che deve essere una
priorità per tutti i popoli la lotta al terrorismo; gli stati liberi devono essere
uniti e determinati contro questa minaccia.
Devo dire che noi, queste affermazioni del Presidente della
Repubblica, le condividiamo in pieno perché siamo fermamente convinti
che solo così si potrà debellare il terrorismo e restituire a tutti i popoli
quella sicurezza che dopo l’11 settembre è stata smarrita.
Paolo Gaccione
Noi siamo stati, fin dall’inizio, contrari a questo tipo di reazione, sia
quando è stato lanciato l’attacco da parte degli Stati Uniti, sia quando il
nostro governo, prima, oltre ad essere convinto di questa azione, l’ha
anche in qualche maniera favorita. Ricordiamo tutti i passaggi, le basi, le
partenze dai nostri aeroporti, l’uso delle strutture civili. Abbiamo
contrastato in tutti i modi questo tipo di operazioni. In tutte le sedi
istituzionali e continueremo a farlo. Però questo non ci può impedire,
quando si verifica un fatto come quello che è accaduto ieri in Iraq, di
partecipare convintamene e a pieno titolo al dolore delle famiglie e di tutti
coloro, amici, parenti, che sono stati colpiti in maniera così tremenda.
Questo noi lo facciamo convintamene e su questo non ci deve
essere discussione oppure una supposta accusa di ipocrisia o di cinismo
quando noi, pur condividendo e partecipando pienamente al dolore,
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continuiamo ad affermare le nostre idee, i nostri principi.
Questa sera io mi sento di ringraziare il presidente e per come si
sta svolgendo il dibattito, se pure ci potevano essere degli spunti da
discutere in questa Assemblea, perché mi sembra che ci si stia
dimostrando responsabili e consapevoli di quello che è accaduto.
Ritengo sia un segno di maturità per la nostra area, il dibattito che
si sta svolgendo questa sera, e voglio nuovamente ringraziare il
presidente per come ha impostato questa seduta e anche per le sue
parole, che mi sembra possano rappresentare tutta l’Assemblea.
Chiaramente poi ci sarà il momento in cui entreremo nel merito. Il
giorno 26 dovremo discutere e ci confronteremo su quelle che sono le
politiche del nostro paese. Ma oggi io sono convinto che questa sia
l’unica cosa da fare e che abbiamo fatto bene a fare questa scelta.
Rossella Lichi
Oggi, come mai, Alleanza Nazionale e tutti i suoi rappresentanti,
uniti nel lutto, nel dolore e nel cordoglio, esprimono piena solidarietà a
tutti i soldati, ai carabinieri, ai Caduti, alle loro famiglie, a tutti coloro che,
come questi italiani, sono stati vittime del terrorismo.
Le famiglie di questi uomini, accompagnati dal lutto dell’intera
nazione, si trovano a piangere i propri figli, i propri fratelli, i propri mariti.
Analogamente però vorremmo che il nostro sentimento di dolore
giungesse anche alle famiglie dei civili assassinati.
La perdita di vite umane è sempre una tragedia. Un dolore grande
per una nazione che dal dopoguerra non aveva mai avuto, in una sola
volta, perdite così gravi. Purtroppo c’è da dire che ancora, a quanto si
sente dalle ultime notizie, bilanci definitivi non ci sono perché ci sono dei
feriti gravi, i civili morti, dall’ultimo telegiornale che ho sentito, sono 13 e
19 italiani.
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E’ un dolore profondo per le vite stroncate dal terrorismo durante
una spedizione umanitaria e di libertà, in soccorso al popolo iracheno, in
difesa della stabilità e della sicurezza nel Medio Oriente.
I nostri uomini non sono solo impegnati nel sostenere il cammino
dell’Iraq verso la democrazia, ma cercano di rendere la situazione più
sopportabile ai bambini, alle donne, ai deboli, che vivono in una regione
martoriata per trentaquattro anni da un regime ed ora anche dal
terrorismo.
I nostri soldati hanno lavorato e stanno lavorando per la rinascita
dell’Iraq, per il varo di un governo che possa rappresentare tutte le etnie
e tutte le religioni.
Abbiamo circa 12 mila uomini in tutto il mondo in missione di pace.
L’umanità e il loro coraggio fanno sì che siano fra i più apprezzati al
mondo come forze di pace.
L’azione contro gli italiani, secondo noi, non è una guerra o una
resistenza, ma è terrorismo. E’ un terrorismo che ammanta di eroismo
ciò che è soltanto viltà.
E’ terrorismo quello che ha colpito l’ONU, la Croce Rossa e anche
Riad, per intimidire l’Islam moderato, che cerca di sottrarsi al ricatto
dell’islamismo terrorista.
Ieri hanno colpito noi.
Come è già stato detto, anche noi abbiamo avuto il nostro 11
settembre. Io sono stanca. A New York ho assistito proprio al momento
in cui ancora stavano scavando per estrarre le vittime.
E’ una cosa impressionante, terrificante, essere lì e vedere quello
spettacolo: non si possono descrivere i sentimenti che si provano. Cosa
che hanno provato i nostri italiani laggiù; credo che sia stato uguale.
Pensare di trovarsi lì, dove in pochi minuti sono scomparse tremila
persone civili.
Purtroppo i caduti di ieri si aggiungono al già alto numero di italiani
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che nella nostra storia hanno perduto la vita per garantire sicurezza a
tutti noi e per difendere libertà e democrazia dal vortice assassino del
terrorismo.
Noi purtroppo l’abbiamo vissuto già in precedenza, in Italia, il
terrorismo. Negli anni settanta. E come nazione abbiamo reagito bene,
siamo stati tutti compatti e abbiamo portato avanti una grande lotta.
Ribadisco che secondo me è importante ora continuare la lotta anche
contro il terrorismo internazionale. Non si tratta più del terrorismo di casa
nostra. E’ un terrorismo che investe tutta l’umanità e che può colpire
indifferentemente tutte le parti.
Vi è un momento per il dolore, un momento per le recriminazioni.
Certo oggi non è neppure il momento dei dubbi. Sono contenta che
nell’Assemblea del Circondario si sia trovato la strada di un sentimento
unitario, così come la seppe ritrovare l’opposizione degli Stati Uniti
quando, in un solo terribile colpo, quel paese perse tremila vite umane.
Sono convinta che la lotta contro il terrorismo non deve avere
tregua, perché se vince il terrorismo siamo tutti vittime potenziali di un
terrorismo cieco, bieco, insensato e crudele.
Piero Pucci
Il gravissimo attentato alla base italiana di Nassiriya ci coglie di
sorpresa.
In momenti come questi poche sono le cose da dire. Ci sentiamo di
esprimere la solidarietà e la vicinanza alle famiglie dei caduti, ai feriti,
all’esercito italiano e all’Arma dei Carabinieri, che ancora una volta
pagano il prezzo più alto. Il nostro pensiero va alle famiglie degli uccisi,
civili e militari, italiani ed iracheni, per un ignobile atto di terrorismo.
Siamo loro vicini nel dolore. Tutta la nostra area si stringe attorno a loro
per sostenerli in questo momento e in questa dura prova.
Fino ad oggi avevamo creduto che i nostri militari fossero visti
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con occhi diversi in Iraq, che fossero i benvenuti, perché italiani e
perché capaci, più di altri, di stabilire dei rapporti di amicizia con le
popolazioni, come era del resto già successo in altre situazioni, in
altre parti del mondo. Pensavamo di essere in qualche maniera diversi
dagli americani e dagli inglesi, che pure hanno dovuto pagare un
prezzo di sangue troppo alto.
Da oggi sappiamo che non è così, che anche gli italiani sono sotto
tiro e che agli occhi dei terroristi veniamo accomunati a tutti i militari
presenti nell’area mediorientale.
L’attentato che ci ha colpito e quelli che l’hanno preceduto hanno
confermato
tutte
le
più
gravi
preoccupazioni,
quelle
stesse
che
nell’empolese valdelsa avevano motivato la ripulsa di tutta una comunità
verso una guerra illegittima e sbagliata.
I regimi autoritari non si sconfiggono con le devastazioni delle
armi, ma con la cooperazione internazionale ed il dialogo politico, che fa
crescere la democrazia ed un’opinione pubblica libera.
Ribadiamo la convinzione che terrorismo e guerra siano nemici dei
popoli e che vanno combattuti con altri mezzi: la libertà, la giustizia, i
diritti, la tolleranza, garantendo e consolidando il ruolo delle istituzioni
internazionali.
Ci sono cose ormai chiare a tutti: la lotta al terrorismo si deve fare
con
la
ripresa
e
il
rafforzamento
del
multilateralismo
e
della
cooperazione. Ogni impegno militare, politico e umanitario, va ricondotto
sotto il comando e il governo dell’Onu.
Oggi, purtroppo, si vede meglio anche come l’unilateralismo abbia
condotto tutti in un vicolo cieco. Bisogna procedere rapidamente sulla
risoluzione 1511, con l’accelerazione della transizione, per affidare il
potere agli iracheni, con il coinvolgimento sul campo di forze militari di
paesi che non hanno fatto la guerra e non l’hanno condivisa. Su questo il
governo deve immediatamente attivarsi. Questo non è il momento di
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dividere il paese e le istituzioni, ma è importante un impegno da subito
da parte del nostro governo, affinché l’Europa giochi un ruolo attivo per
l’entrata in gioco delle Nazioni Unite.
Dunque è evidente che si deve cambiare strada. E’ evidente che
questa strategia di lotta al terrorismo non solo non ha ridotto, ma anzi ha
accresciuto il pericolo, rischiando di determinare un allargamento del
conflitto e di precipitare il mondo verso quel conflitto di civiltà che è
esattamente ciò che i terroristi volevano.
Claudio Bicchielli
Come ha ricordato anche il presidente, oggi ci siamo accorti di
essere in guerra. E quando siamo in guerra anche la politica fa un passo
indietro. Bisogna unirsi tutti, in maniera più o meno convinta, perché le
cose non nascono sotto un cavolo o scendono dal cielo.
Ma quello che mi ha preoccupato, dagli interventi e anche da ciò
che viene scritto sui giornali, a parte gli osservatori più attenti – cito per
tutti Sergio Romano, non un vetero comunista o un bolscevico – è il
pensare che tutto si risolva con la lotta al terrorismo e ritenere quell’atto
lì solo un atto di terrorismo.
Non è così. Sbaglieremmo un’altra volta.
Noi qui siamo truppe di occupazione. Ormai è questo il dato.
Questo è il dato politico su cui riflettere, se non vogliamo domani arrivare
a fare un’altra rievocazione.
Io vorrei dire che ci sono stati quindicimila morti tra gli iracheni,
con questo esercito di invasione. Due terzi civili. Diecimila persone.
Carne e sangue di un popolo. E voi pensate che questo non conti nulla?
Pensate che basti portare generatori e caramelle? Io credo che sia
diverso. Credo che dobbiamo forse riflettere di più. Qui si parla di
guerriglia, non di attentati. Di guerriglia che usa l’attentato, ma è una
guerriglia organizzata. Leggiamoli i giornali, leggiamo il Sole 24ore,
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leggiamo l’analisi che fa Stefano Silvestri: è un problema più serio del
terrorismo.
Allora affrontiamo questo problema, se non vogliamo davvero, tra
quindici giorni, ritornare in maniera ecumenica a parlare di morti. Ce ne
saranno, purtroppo. Ce ne saranno americani, inglesi, iracheni, italiani.
Proprio perché è sbagliato l’approccio. E’ un popolo che, a suo modo,
lotta per la libertà, per la sua libertà.
Paradossalmente, da quando questa forza anglo americana è
andata in Iraq, l’Iraq ha dato più problemi a tutte queste forze di quando
c’era Saddam. Sono andati lì e hanno pensato di risolvere il problema
con la guerra lampo e poi si sono accorti che invece i problemi sono
arrivati dopo. Allora, cerchiamo di essere lungimiranti anche in questa
fase, considerando le cose con spirito libero, senza tentare di dar loro
un’interpretazione di parte. Cerchiamo di capire anche gli altri, un popolo.
Anche noi abbiamo vissuto un esercito d’occupazione e abbiamo fatto
tanti atti per liberarci da questo esercito. Per loro è un esercito di
occupazione, non c’è nessuna differenza. Questo è il problema grosso
che si deve porre anzitutto la politica.
Se non capiamo questo credo che saremo a piangere, fra quindici
giorni, fra un mese, ancora i nostri morti.
Allora è giusto portare la solidarietà, anzitutto alle famiglie. Le
famiglie dei carabinieri, dei civili, di tutti gli iracheni, di tutti i morti.
Dovremmo fare la giornata di lutto ogni volta che si scatena una guerra
nel mondo. Dovrebbe essere una rivolta morale. Perché per me, per mia
cultura, che siano morti italiani o che siano morti iracheni, o americani,
sono morti di guerra: non fa nessuna differenza. Non voglio sentire una
retorica patriottarda e nazionalista, non mi piace, non è nella mia cultura.
Non pesano meno gli altri morti.
Questa è una mia impostazione personale, certamente. Io non
sono un cattolico, però il valore della vita ce l’ho tutto. Ed è per questo
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che noi diciamo in questo momento che il rimanere lì, in Iraq, come
truppe di occupazione – perché così viene vissuto – è un dato negativo,
un dato sbagliato. E quindi le forze – qualcuno l’ha detto- che non hanno
fatto la guerra, devono dare una lettura diversa ai fatti che accadono. Ci
vuole poco a dire che siamo tutti colpiti e poi, magari, se un discorso non
ci torna, alzarsi e andare via. Si può fare, fortunatamente siamo in un
regime di libertà, però non serve. Non basta tapparsi le orecchie e gli
occhi per non sentire cose che non rispondono a quello che si
vorrebbe sentire.
Cerchiamo di fare un salto in avanti. Ormai questa guerra c’è stata,
i danni li ha provocati, cerchiamo di non aggiungerne altri e di far
giungere al governo, all’Europa, al presidente Prodi, un’azione concreta,
diretta, forte, oggi più che mai, di un intervento attivo dell’Europa in
questa disgraziatissima guerra.
Non essendoci altri interventi, il Presidente ringrazia tutti per la
presenza,
che
ha
permesso
di
poter
tenere
questa
assemblea
manifestando, prima di tutto, il cordoglio e la solidarietà verso le famiglie
e verso i Caduti.
Ricordando che ci sarà modo di entrare ancora più nel merito, in
occasione della prossima Assemblea, ritiene di non dover aggiungere
altro e rinnova il suo ringraziamento per la responsabilità istituzionale
dimostrata.
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