le grandi sfide politiche dell`unione europea

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le grandi sfide politiche dell`unione europea
27/5/2016
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Domenica 22 Maggio, 2016 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
le grandi sfide politiche dell’unione
europea
di Alberto Martinelli
L a Ue si trova a un passaggio decisivo della sua storia, dovendo affrontare tre sfide che, se non
risolte, minacciano la sua stessa sopravvivenza: la stagnazione economica, il terrorismo
fondamentalista e i profughi. Sfide distinte ma intrecciate che suscitano incertezza, risentimento,
paura, disaffezione tra i cittadini europei perché mettono in discussione la capacità dei governi di
soddisfare esigenze fondamentali di benessere socio­economico e di sicurezza individuale e collettiva,
che sono anche condizioni necessarie per la conservazione della libertà e della coesione sociale. Sono
sfide di tale entità che farebbe fatica ad affrontarle con successo uno Stato sovrano ben consolidato,
figurarsi una unione sovranazionale largamente incompleta.
La prima sfida (la lunga crisi finanziaria­economica del debito sovrano­sociale), è stata
sostanzialmente vinta dall’Ue con strategie efficaci, nonostante la lentezza e farraginosità dei suoi
processi decisionali e il deficit di rappresentanza democratica delle sue istituzioni; ma le strategie
adottate, pur efficaci nell’impedire il collasso del sistema monetario e il fallimento degli Stati più
indebitati, ha comportato conseguenze negative, perché hanno accentuato le diseguaglianze
territoriali tra i Paesi membri e hanno alimentato divisioni in merito alle politiche da attuare. Si è
approfondita, in particolare, la frattura tra stati del Nord economicamente più forti che considerano
prioritario il rigore fiscale e rifiutano ogni forma di mutualizzazione del debito sovrano dei Paesi più
indebitati e gli Stati del Sud che sono, per contro, preoccupati soprattutto della stagnazione
economica e della elevata disoccupazione e rifiutano di tagliare la spesa pubblica. Una frattura
questa che si affianca e si intreccia con quella, più antica, tra Paesi continentali e Regno Unito e
quella, più recente, tra vecchi Stati membri dell’Ovest e nuovi Stati membri dell’Est. Le politiche
comuni da attuare per riprendere la strada dello sviluppo e governare il debito sovrano sono evidenti,
ma assai impopolari, sia pure per ragioni diverse, e quindi si procede con lentezze, ritardi e in modo
non coordinato, affidandosi al ruolo svolto dalla Bce che ha precisi limiti. Dalla crisi stiamo
comunque uscendo, sia pur lentamente, ma con costi sociali e politici elevati che alimentano i partiti
nazional­populisti antieuropei.
La seconda sfida è quella del terrorismo fondamentalista e riguarda la sicurezza. Il terrorismo non è
solo una minaccia esterna, ma ha radici anche nel cuore dell’Europa e mostra come i diversi modelli
di integrazione degli immigrati, da quello assimilazionista francese a quello multiculturalista
britannico, hanno parzialmente fallito, almeno per quella minoranza che rifiuta i valori, la cultura, le
istituzioni, il modo di vivere che definiscono l’identità europea. È una sfida che si può vincere,
riaffermando le ragioni della nostra pacifica convivenza e del nostro comune destino che sono
condivisi dalla maggioranza dei nuovi cittadini europei immigrati e attuando efficaci politiche
comuni di contrasto del terrorismo (politica di sicurezza e difesa comune) e di integrazione degli
immigrati. Se ciò non avverrà, ancora maggiore sarà la protesta anti europea del nazional­populismo.
La terza sfida, dei profughi in fuga da guerre, violenze e miseria, è per certi aspetti la più difficile da
affrontare e la più pericolosa, perché minaccia il fondamento stesso del progetto europeo:
l’abbattimento delle frontiere nazionali e il superamento dei conflitti e degli egoismi nazionalistici.
Una sfida che fa riemergere e riacutizza le contraddizioni che hanno segnato il percorso della
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integrazione europea: la costruzione di una unione sovranazionale usando gli Stati nazionali come
elementi costitutivi con l’illusione di esorcizzare i connessi nazionalismi (il che ha funzionato finché le
cose sono andate bene); il trasferimento di quote crescenti di sovranità dal livello nazionale al livello
sovranazionale senza un corrispondente trasferimento di lealtà e impegno alle istituzioni europee da
parte dei cittadini degli Stati membri; il deficit di rappresentanza democratica che consegue dalle
prime due e dal fatto che il progetto europeo è stato iniziato e perseguito da elite lungimiranti, ma
solo parzialmente è riuscito a trasformarsi in progetto dell’intero popolo europeo.
Come si esce da questa pericolosa situazione? Con la costruzione di una autentica unione politica che
sviluppi istituzioni democratiche rappresentative, affianchi alle politiche già comuni come quella
monetaria altre politiche necessarie, come quella fiscale, migratoria, della sicurezza e della difesa e
che sappia presidiare efficacemente la frontiera dell’unione (è stato infatti un errore abolire i confini
interni tra gli Stati membri senza delimitare presidiare i confini esterni). Un’autentica unione politica
va realizzata con chi ci sta, mediante le cooperazioni rafforzate tra gli Stati dell’eurozona che già
condividono la politica monetaria e la Bce.
La permanenza del Regno Unito nell’Ue, che mi auguro verrà confermata dal referendum inglese del
mese prossimo (Brexit), non dovrà costituire un freno e un ostacolo permanente sulla strada di una
«ever greater union». L’Ue sarà a due velocità con un nucleo forte, deciso ad approfondire
l’integrazione politica e un cerchio esterno di Paesi con i quali continuare a condividere il grande
spazio economico comune.
Se non si procederà speditamente verso una più profonda integrazione politica, l’unica alternativa
sarà la rinazionalizzazione delle politiche e la frammentazione dell’Unione in Stati sovrani di nuovo
chiusi entro i propri confini nazionali, perché se la sicurezza non è assicurata da un’unione
sovranazionale finalmente compiuta, si cerca di ottenerla chiudendo le frontiere.
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