La bella storia di un cane
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La bella storia di un cane
La bella storia di un cane La storia e gli avvenimenti che vado a raccontare sono realmente accaduti agli inizi degli anni Quaranta. In una gelida mattinata d'inverno, la mia attenzione fu catturata da un lamento flebile appartenente ad un animale che proveniva dalla stanza di fianco a quella dove io dormivo, dove mia madre accendeva il camino di buon'ora verso cui, appena alzati, io e le mie sorelle ci precipitavamo per riscaldarci. Aprii gli occhi e cercai di capire di quale animale potesse essere quel guaìto. Subito dopo balzai in piedi e mi diressi verso il “fuoco” dove rimasi esterrefatto da una visione irreale che si presentò davanti ai miei occhi: nelle vicinanze dei tizzoni, avvolto in un panno, giaceva un cagnolino. Un piccolo esserino lungo pochi centimetri, con una testolina sproporzionata rispetto al resto del corpo e due occhietti vispi. Avevo sei anni e la mia gioia fu talmente tanta che non riuscivo a proferire parola e allora mia madre disse: “Tuo padre l'ha trovato tremante stamattina presto, all'angolo di casa. Bisognerebbe tenerlo al caldo e dargli un po' di latte, con la speranza che ce la faccia a sopravvivere”. Il latte di capra, che si trovava nella stalla a fianco, arrivò subito in un piccolo contenitore e, con una tettarella ricavata da un pezzo di stoffa morbida, fu portato alla bocca dell'esserino che dopo averlo annusato, per la gioia di tutti, cominciò ad aprire la bocca e a succhiare. Le prime notti, invece, furono da incubo perchè il cucciolo usciva dalla “sporta”, una cesta di rami d'ulivo intrecciati che fungeva da culla improvvisata, e trascinandosi per la stanza, guaiva continuamente. Il disagio dei padroni di casa era evidente ed una notte sentii mio padre esclamare: “Ora mi alzo e lo vado a mettere nella stalla!”...ovviamente non lo fece! Passarono i giorni e quel piccolo cagnolino divenne un meraviglioso batuffolo che salterellava fra le gambe di tutti i componenti della famiglia. Un giorno, tornando da scuola, sentii mia madre che lo chiamava “Fiora”, ne chiesi il motivo e mi rispose che voleva chiamarlo fiore, ma poiché era femmina aveva deciso Fiora e Fiora fu! Il tempo passava e con esso cambiò la gestione del trovatello a cui fu messo il collare con una catenella e venne cambiato anche il “domicilio”: dalla nostra casa alla stalla assieme alle galline, al cavallo, alla capra e ai conigli. Al mattino, di buon'ora, partiva con mio padre per la campagna, sul carro agricolo. In campagna gli fu subito affidato il compito di custode, mansione che svolgeva benissimo sorvegliando il carro e quanto vi era depositato, mentre mio padre e gli altri contadini si dedicavano ai lavori nei campi. A mezzogiorno quando tutti tornavano presso il carro per una frugale colazione, la festa che Fiora faceva a tutti era indescrivibile e in cambio riceveva qualche pezzo di pane. Un giorno però le capitò una brutta avventura presso un luogo detto “La Michelangelo”. Mio padre era solo e dopo una giornata di lavoro, verso il tramonto, si era recato come sempre al posto in cui era sistemato il carro agricolo con il cane. Dopo aver messo “la sacchetta” (piccolo sacco contenete biada e paglia per rifocillare il cavallo) al collo del cavallo e aver dato un'occhiata a Fiora si allontanò per raccogliere delle albicocche da portare a casa. Ad un tratto il latrare rabbioso del cane lo fece sobbalzare e tornare di corsa verso il carro e, tra le fronde degli ulivi, vide due loschi individui che si davano alla fuga. Capii subito che avevano cercato di rubare il cavallo e che avevano desistito grazie all'intervento del cane che, però, ebbe la peggio dal momento che fu picchiato più volte sia alla testa che all'addome. Le cure premurose della famiglia, nei giorni che seguirono, furono tutte rivolte a lei; senza guinzaglio e collare ritornò a vivere a casa e dopo un lungo periodo di convalescenza e delle ore di ansia, riprese ad accompagnare mio padre in campagna. La clessidra, intanto, lasciava cadere la sabbia del tempo e i miei sei anni erano diventati quattordici. Fiora era diventata vecchia, ansimava e a volte non si reggeva in piedi tanto che incominciammo a fare pensieri dolorosi su come cercare di alleviare le sue sofferenze, ma l'amore nei suoi confronti ci impediva di giungere ad una conclusione. Un giorno però Fiora non tornò più dalla campagna e mio padre ci diede questa spiegazione: “Come sapete oggi sono stato nel campo di Grumo e il cane era sotto il carro. Quando sono tornato non dava più segni di vita e allora ho scavato una buca sotto l'albero di prugna e lì l'ho sepolto”. Come erano andati invece i fatti? Mio padre era andato nel campo e, alla fine di una frugale colazione, era rimasto accanto a Fiora che lo guardava con occhi stanchi e rifiutava di mangiare. A poche decine di metri dal confine del fondo si snodava la linea delle Ferrovie dello Stato ed alcuni convogli del treno merci erano fermi a causa della chiusura luminosa del via libera. A mio padre balenò subito l'idea di mettere Fiora in un vagone per destinazione ignota e così fece e rimase nascosto dietro un ulivo fino a quando il treno scomparve all'orizzonte. Dopo otto giorni mio padre tornò nello stesso posto per la concimazione e ritrovò Fiora! Scodinzolò appena e rivolse un ultimo sguardo come Argo, il fedele cane di Ulisse. Canta infatti Omero: “Ed Argo, il fido can, poscia che visto ebbe dopo dieci e dieci anni Ulisse, gli occhi nel sonno della morte chiuse”. Mauro Panza