qui - Strategie Evolutive

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qui - Strategie Evolutive
La Notte della Nutria
Un B-Movie
Director's Cut
Scritto, Prodotto e Diretto da
Davide Mana
Questo ebook è dedicato ai compagni di strada di Tutto il
Nero del Piemonte (2007)
E a tutti i sopravvissuti del Survival Blog.
Siete inimitabili.
La Notte della Nutria
Un B-Movie
[Anna]
Cominciò come una rapina, un giovedì notte di un’estate
troppo precoce, all’ora di cenerentola.
Le nubi mulinavano lente su Asti, annunciando con lampi
bluastri il nubifragio imminente, e nell’atmosfera bassa
l’aria calda del fastfood in Piazza Alfieri era un brodo
caramelloso che sapeva di fritto, e si appiccicava ai vestiti,
ai capelli, alla pelle.
A tratti, il tuono brontolava sordo in lontananza.
Nella luce da obitorio, avventori dall’aria affranta - un
vecchio autista d’autobus, massiccio e dal viso grezzo,
leggeva La Nuova Provincia, tenendola piegata in otto,
come si vede che fanno gli americani nei film; un
supplente di liceo piluccava patatine sfogliando il National
Geographic; sulla porta, una tipa un po’ punk, mini e
giacca di cuoio nonostante la stagione, capelli neri, beveva
una coca e scrutava nervosa le ombre che incorniciavano
il monumento ad Alfieri.
Tentava con furia crescente di chiamare col cellulare.
Niente campo, stasera, sorella.
Io badavo alla cassa, e Filippo spazzava il pavimento
aspettando di chiudere, fischiettando un motivetto scemo.
Teo era in ufficio, lo stronzo, a pianificare le sue future
conquiste.
Da fuori veniva un suono debole, ticchettante, non proprio
come la pioggia che tardava ad arrivare, più come perline
versate sul marmo dei portici.
Entrò un tipo dall’aria nervosa, giacca militare e anfibi,
pallido come un morto, i capelli biondi tagliati a ciuffi come
un cartone giapponese. Si fermò, gli occhi sul tabellone del
menù che continuavano a scivolare verso la tipa alla porta,
che pareva fare di tutto per ignorarlo.
Provai un lungo brivido.
Un’anziana signora in tuta Adidas e capelli viola per le
troppe fiale si fermò all’ingresso, e agganciò il guinzaglio
del suo ridicolo barboncino alla sagoma immobile di quel
fesso di Ronald.
Il cane uggiolò, rivogendo uno sguardo dubbioso al clown
di plastica.
“Tu aspettami qui,” disse, come ad un bambino molto
stupido, e venne dentro.
Il biondo stava mettendo una mano sotto alla giacca
quando un ululato acuto e straziante squarciò la notte
rimbombando sotto alla volta dei portici.
Fuori, gli antifurto di tutte le auto parcheggiate in piazza
Alfieri cominciarono a strillare, in una cacofonia di barriti
elefantini, i fari lampeggianti, mentre un vento invisibile
pareva scrollare le aiuole nella luce intermittente.
[Ghita]
Fra i flash luminosi, un tappeto nero, viscoso, si solleva e
si infrange sotto ai portici, spezzandosi in centinaia di
rivoli, ciascuno una bestia affusolata, che fischia furiosa e
corre su zampette esili.
Verso di me.
Topi.
Giganteschi.
A milioni.
E’ istintivo - io e lo sfigato coi brufoli stiamo tirando i
battenti delle porte a vetri per chiudere fuori l’orrore,
insieme, come una persona sola.
Uno si insinua, passa, qualcuno strilla, sedie rovesciate.
Uno sparo.
Brufolo Bill infila lo scopettone fra le maniglie delle porte e
la massa di topacci vi si accalca incontro, spingendo con
gli artigli, snudando i denti aguzzi, gli uni sugli altri, nel
tentativo di entrare, di salire, di raggiungerci. Più indietro,
alcune delle bestie stanno strappando lembi di carne dalla
carcassa del barboncino.
Il pupazzo giallo che regge il guinzaglio traballa ad ogni
nuovo strattone, e poi finalmente si schianta a terra.
Mi volto come in un sogno. Max è a terra, con una di quelle
cose attacata ad un braccio, viva. Lui sanguina attraverso
la manica. Il tipo con la giacca da aviatore e il quattr’occhi
gli si avvicinano. La vecchia coi capelli blu si è
accartocciata su una sedia, trema, e Brufolo cerca di
consolarla.
“Cosa diavolo è quella bestia?” esclama la ragazza al
bancone.
E’ pallida, e non riesce a staccare gli occhi dallo spettacolo
là fuori.
Max, strafatto e senza palle per la roba che ha in vena,
piange come un vitello, mentre la cosa orrenda si dibatte,
lacera più a fondo il muscolo, scalciando furiosa come per
sventrarlo con gli artigli delle zampe posteriori.
“Intende lasciargli quell’affare come bracciale?” chiede
l'aviatore.
Il nerd inarca le sopraciglia. “Le mascelle di una bestia
come questa sviluppano una pressione di quasi cento chili
per centimetro quadrato...”
Che diavolo.
Sparo al topo maledetto.
Max grida, spruzzato di sangue fino ai capelli, la testa del
mostro ancora attaccata all’avambraccio. Il nerd si sfila gli
occhiali e si tira in piedi, con una smorfia.
Guardandomi, prende un fazoletto dalla tasca.
Il vecchio mi si stampa di fronte.
Non fa domande.
Ci guardiamo negli occhi.
Rimetto il ferro in tasca.
Fuori la pioggia prende a cadere a scrosci.
Che solo si provi a dirmi qualcosa.
[Biagio]
Teneva stretta la borsa a tracolla, uno sguardo di sfida
negli occhi grigi.
La borsa, la pistola.
Il giornale parlava di una rapina.
Alla Cassa di Risparmio, a Nizza.
Due persone, mascherate, Topolino e Minnie.
Trecentomila euro.
Una sagoma nera si scagliò contro le porte.
Come un proiettile.
Il corpo bruno si schiantò sul cristallo col rintocco di un
gong.
Addentò con furia la grande maniglia gialla, pattinando
selvaggiamente sul vetro spesso, lasciandovi strie
fangose.
Poi la bestia rimase appesa a corpo morto, emettendo una
sorta di rantolo frustrato.
E finalmente lasciò la presa, cadde giù e tornò a
contendere alle compagne i resti del cane.
Inutile perdere tempo in chiacchiere.
La cassierina bionda aveva raggiunto il prof.
Gli altri due inservienti discutevano animatamente.
“Studio medicina,” disse lei.
Il prof le lasciò il posto.
“Sono nutrie, vero?”, gli chiesi.
Lui annuì. “Esattamente. Myocastor coypus.”
“Dei grossi bastardi schifosi,” disse Minnie.
Doveva per forza essere Minnie.
“Fino a dieci chili, in letteratura. Ma quello che lei ha,” una
smorfia, “diciamo abbattuto, era leggermente più grosso.
Immagino che l’assenza di predatori in un ecosistema
indebolito dai pesticidi favorisca la crescita di esemplari
eccezionali. Von Hagen descrive nutrie di quindici chili,
allevate nei templi del Mayapan fin dall'epoca
precolombiana. Erano considerate le creature che
guardavano la strada per lo Xibalba, l’inferno dei Maya.”
Minnie lo fissava, coi suoi pantaloni cachi e la camicia
bianca appena spruzzata di rosso.
Parlava un sacco, il prof.
A certe donne piacciono, quelli così.
“E’ grave?” chiesi alla biondina, raggiungendola.
Aveva bendato il braccio di Topolino col fiocco
dell’uniforme.
Lui rabbrividiva.
Lo disarmai.
“E’ messo male,” mi disse, seria.
“Lo era già prima,” dissi io. Lei mi fece un sorriso storto.
“Sa se queste bestie siano velenose?” domandai al prof,
voltandomi.
Fece spallucce. “Rabbia, mixomatosi, peste: infettivi, più
che velenosi. ..”
Mi misi dritto. “Cambia poco.”
Inclinai la testa da una parte, facendo scrocchiare le
vertebre del collo.
Era ora di prendere delle decisioni.
“Vediamo di fare il punto, e poi portiamo il culo fuori di
qui.”
Il mio pulman era a tre isolati.
Quello che pareva il capò mi si parò davanti.
[Teo]
Il vecchio coglione si crede il capo.
“Qui non si fa niente senza la mia approvazione,” dico.
Il locale è sotto la mia responsabilità ed ho lavorato duro
per instillare un po’ di disciplina nei perdenti ai miei ordini,
e non intendo permettere a quattro sbandati e ad una
manciata di topi di abbassare la mia media.
Pennabianca mi guarda storto ma non apre bocca.
La troia con la gonna attillata scarta, ma il quattr’occhi la
trattiene.
Si tiene molto stretta la borsa.
Ripenso a ciò che ha detto la radio.
“Anna. Lascia perdere il barbone. E’ già grave che tu abbia
abbandonato la cassa senza chiuderla. Andrà sul tuo
profilo. E l’uniforme danneggiata ti sarà detratta in busta.”
Quel fesso di Filippo impreca.
Mi volto per dirgli che pretendo venga mantenuto un certo
livello, nel mio locale, ma mi trovo a fissare negli occhi una
di quelle bestie schifose, appollaiata sulla Cassa Numero
Uno.
Altre sagome zampettano sul bancone, una si rotola
impazzita nella vaschetta delle salse monodose,
spruzzando mayonese e ketchup in tutte le direzioni,
masticano senza convinzione i nuovi pupazzetti della
collezione Happy meal.
“Sono dentro!” strilla Anna.
Il vecchio mi colpsce al mento, come un maglio.
Buio.
[Andrea]
Dissi alla bruna di sparare alla fontana dei frullati, e poi
raggiunsi la porta dello sgabuzzino ed afferrai la maniglia.
Si aprì. “Qui dentro!”
“Giusto!” grugnì l’aviatore, afferrando il tipo appena steso
comn un gancio, e trascinandolo dentro per la cintura.
I primi due colpi centrarono la struttura cromata.
La bionda aiutò il ferito ad alzarsi, e l’altro inserviente le
tenne dietro accompagnando la signora, ancora scossa
dalla perdita del suo cucciolo.
Altri due colpi.
La fontana del frullato esplose in un geiser di vaniglia,
fragola e cioccolato, inondando di schiuma dolciastra il
banco giallo, le colonne di bicchieri bianchi e rossi, i vassoi
impilati, i cespi di cannucce.
Come previsto, le nutrie si avventarono sulla spuma dolce,
come assatanate, rotolandosi nell’impasto schifoso mentre
quelle oltre la porta a vetri, raggiunte dall’aroma, venivano
travolte da una frenesia incontenibile, colpendo il cristallo
spesso con testate ostinate, insistenti, ininterrotte.
Solo una bestia, un maschio maturo di circa dodici chili,
ignorando la palude zuccherina che si andava
accumulando presso il banco, si gettò verso la donna dalla
giacca di pelle, rimasta indietro.
Lanciai un grido d’avvertimento, troppo tardi.
Vidi la bestia scattare.
Due, tre proiettili esplosero e mi sibilarono accanto,
perduti.
Con un grugnito, l’aviatore si tuffò in avanti, scivolando sul
pavimento, ed insaccò la nutria famelica in un grosso
secchio di zinco. Io afferrai la donna per un braccio e la
tirai dentro, mentre lui scalciava lontano il secchio e lo
crivellava di colpi.
Dentro.
In fretta!
Il ragazzo chiuse la porta alle sue spalle, e il vecchio
scivolò giù, appoggiato al battente, con un sospiro.
“Sono troppo vecchio per queste cose.”
Un neon tremolante illuminava il nostro rifugio, angusto
come un’ascensore, meno piacevole all’olfatto. Scope.
Scaffali. Un lucernario grande quanto una cartolina.
“Mi sta facendo male.”
Mormorando una scusa, le lasciai andare il braccio.
Lei annuì. “Buona idea, quella del frullato.”
“Le nutrie gradiscono alquanto le sostanze zuccherine,”
spiegai. “Il che ne fa una vera piaga per le colture di
barbabietole.”
“Ecco perché ci attaccano.” Il ferito aveva gli occhi
febbricitanti ed una strana smorfia sul viso pallido e
madido. “Dicono che non esista carne più dolce di quella
umana.”
Morboso.
“L’ho sentito anch’io,” risposi.
Estremamente morboso.
Lei guardò prima uno e poi l’altro, e scosse la testa.
In quella, l’aviatore lanciò un grido e rotolò via tenendosi
la mano.
Diede due calci alla porta.
Avevano sfondato la finestrella di aereazione alla base del
battente, frantumandola in piccoli fiocchi di alluminio con
gli incisivi affilati.
[Anna]
Strappandomi l’orlo della casacca per fasciare la mano a
Biagio, ancora stentavo a credere al suo numero col
secchio, in scivolata contro il topaccio affamato.
E dire che da diec’anni prendeva lo stesso caffé lungo da
noi quando aveva il turno di notte - chi avrebbe
immaginato...?
Mi domandai quanti anni avesse davvero.
Teo sedeva in fondo, imbronciato, braccia conserte.
Il ferito e la madama del barboncino erano abbandonati al
suo fianco.
Filippo e il professore stavano accatastando scatoloni
contro la porta, ma sapevamo bene che presto le
bestiacce avrebbero rosicchiato il truciolato, e sarebbero
venute a prenderci.
Sentivamo le loro mascelle ed i loro squittii famelici, come
il sordo macinare di decine di tritacarne.
Era solo questione di tempo.
“Mi auguro che l’odore di detersivo funga da deterrente,”
spiegò il professore, spolverandosi le mani sui calzoni.
“Niente trucchetti da meggaiver, professore?” fece Teo.
Che stronzo.
Lui fece un sorriso storto. “Tipo fabbricare una bomba col
mastrolindo?”
Sollevò una delle bottiglie e la scrollò. “Temo di no. Forse
la signorina conosce più chimica di me...”
Io scrollai la testa. “Sono un medico, non un artificiere.”
“Come immaginavo,” rise Teo.
Che stronzo.
“Potremmo elettrificare il telaio della porta.”
Ci voltammo tutti a guardare Filippo.
“Ha il telaio di metallo,” spiegò lui, dandogli un colpetto
con la nocca dell'indice. “Ci attachiamo il cavo della
lucidapavimenti con un pezzo di nastro... a scuola lo
facevamo sempre.” Tirò su col naso. “Io ho fatto il tecnico
per geometri.”
Il prof e Biagio si scambiarono un’occhiata. “Si potrebbe
fare...” cominciò Biagio, estraendo di tasca un coltellino
svizzero.
Teo rise. “Ma fatemi il favore...”
Uno scatto metallico.
“Se hai di meglio da proporre, testa di cazzo, fallo,”
sussurrò roco il giovane spiritato, una mano sulla coscia di
Teo. Stringeva un coltello a scatto. “Altrimenti taci, o giuro
su Dio che te le taglio.”
Calò un silenzio nervoso.
La madama sospirò. “Perché non arriva nessuno a
salvarci?”
[Biagio]
“Ascoltate...” disse Minnie.
Silenzio. Pioggia.
Il prof annuì. “Piove a dirotto, è giovedì, è notte: a parte
noi, e qualche guardia notturna, chi ci sarà in giro? Asti è
una città fantasma; tutti a casa a guardare la TV dietro
porte blindate e doppi vetri. Troppo presto per i locali
notturni, e chi ci và, in certi posti, al giovedì sera? È molto
probabile che nessuno si sia ancora accorto di nulla. Non
credo quindi che qualcuno arriverà a salvarci, purtroppo.”
“No,” fece lei. “Ascoltate! La porta.”
Posai una mano sul truciolato malandato. Nessuna
vibrazione.
Il raspare e gli strilli delle bestie erano cessati, mentre noi
discutevamo.
“Se ne sono andati,” disse il capò.
Io, Minnie e il prof parlammo all’unisono. “No.”
“E allora...?”
Paura.
Ci stavamo istintivamente stringendo in un gruppo
compatto, sotto al neon incerto.
Io volevo un’antitetanica, e alla svelta.
“Sono animali terribilmente astuti. Possono isolare un
manzo ed ucciderlo, agendo in gruppi coordinati. Una
bestia lo distrae, due gruppi lo attaccano ai fianchi,
mirando alla gola. Fortemente gregari. Intelligenti. Non
potremmo neanche escludere una embrionale struttura ad
alveare, come si riscontra negli eterocefali glabri.”
“Alveare? Quei topi hanno una regina?” mormorò Minnie,
ma io capii cosa intendeva il prof.
Stavano cercando un altro passaggio.
Qualcuno sibilò: “Shhh!”
Silenzio.
Pioggia.
Il ticchettio di centinaia di spilli.
Come una pioggia di chicchi di riso.
Piccole zampette artigliate.
Alzammo lo sguardo.
“Sono nel controsoffitto! Fuori, fuori!”
[Ghita]
Corriamo alle cucine.
Alcuni dei mostri stanno distesi a pelle di leone, strafatti di
zucchero e grassi.
Uno, contendendosi coi compagni le patatine fritte, è
cascato nella friggitrice, ed ora galleggia annerito a pancia
in sù nell'olio fumante.
C’è un odore orrendo di cane bruciato, di frittura, di grasso
surriscaldato.
Sul pavimento, frullato, resti di panini, patate surgelate
spezzate, ketchup, senape, giocattoli rotti, bicchieri di
carta sventrati.
Una palude.
Il pilota, il nerd e Brufolo sono armati di manici di scopa.
L’idea è raggiungere la porta sul retro e saltare sull’auto
più vicina.
Max può farla partire in tre minuti netti.
Anche se è fatto.
Lo conosco troppo bene.
Le bestie che si parano davanti a noi sono grosse ma
lente, colme di cibo, animate dall'ingordigia e non più dalla
fame.
Le finiamo a bastonate, poi fuori, fuori, fuori...
La porta dello stanzino esplode sotto alla pressione di una
massa nera di mostri tutti zanne bavose e occhi infuocati
che si riversa dietro di noi, in una nube acre di detersivo in
polvere , e la porta è ancora troppo, troppo lontana.
Siamo ai fornelli, una mano mi afferra.
Labbra gelide mi sfiorano la guancia.
“Io mi fermo qui, baby.” sussurra, e mi spinge via.
“Correte, idioti!”
[Max]
Bastardi fottuti.
Mi azzannano i polpacci, mi saltano addosso, tirano alla
faccia, graffiano.
Ecchissenefrega.
Sono cattivi, ma io di più.
Lei non la prenderete, figli di puttana.
Non ve lo permetterò.
Perché ho qui un tubo del gas.
E una zippo.
Ingoiate questo, bastardi!
[Biagio]
L’esplosione colorò la notte di blu.
Poi di rosso.
Lingue di fiamma riflesse dalle nubi basse, dalle facciate
dei palazzi.
La Taunus color galassia partì con uno spasmo.
Accelerò, imballò il motore, grattò, strappò in avanti.
Sbandò, raschiò contro un muro, travolse i bidoni
dell’immondizia.
Tirai su la testa da sotto al cruscotto.
Girammo stretti su piazza Alfieri e ci portammo via una
panchina, un paletto e tre metri d’aiuola.
Il ragazzo era con le gambe che sventolavano dal
finestrino.
Anna cercava di tirarlo dentro.
Dietro, Minnie piangeva come una bambina.
La vecchia del cane l’accarezzava, cercando di consolarla.
Il capò aveva una faccia da patibolo.
Attraversammo l'edicola in una esplosione di rotocalchi
colorati.
“Temo di aver sempre solo guidato auto con l’automatico,”
spiegò il prof.
Pareva fatto di legno, con la visione notturna di una talpa
miope. Accesi i fari.
Il cambio emise un ruggito malsano, l'automobile ebbe un
sobbalzo.
Bestie che fuggivano in ogni direzione.
I resti di un ciclista.
Luci accese nel Palazzo della Provincia deserto.
“Al piazzale!”
“Da dove vengono?” sussurrò Anna.
[Carlotta]
E’ colpa mia. Mia e di Orazio. Cominciammo sulle ultime
pagine di riviste come L’Intrepido e Skorpio. Zagor e Tex
vennero dopo. E Guida TV. Vendevamo ciarpame. Sogni,
diceva Orazio: la pomata muscolare di Mr Universo, gli
occhiali a raggi X, le biro strip-tease. Ordini postali.
Ritagliavano il coupon e ce lo spedivano, e noi o un nostro
contatto gli mandavamo il ciarpame: orologi da polso con
radio a transistor incorporata fatti ad Hong Kong, plantari
di sughero per aumentare la statura, girandole ipnotiche,
manuali per smettere di fumare, brillantina fatta con gli oli
esausti di qualche industria in Yugoslavia, reggiseni
imbottiti. Più tardi vennero le scimmie di mare, e ancora
dopo, i fragoloni rampicanti. I castorini vennero subito
dopo i porcellini d’india, che costavano meno ma
rendevano anche di meno. Li vendevamo come animali da
pelliccia, un modo buono per fare soldi senza fatica,
allevando animali da pelliccia in casa. Pareva una cosa
sicura, ma naturalmente non c’era mercato, per le pellicce
di topo. Non che noi lo dicessimo, a quelli che ci inviavano
il coupon e il versamento sul conto corrente. Ne
vendemmo a migliaia. Noi giravamo l’ordine a un tizio di
nome Raoul, un messicano che stava a La Igueglia, e lui li
spediva a casa ai clienti, a coppie, gabbietta e tutto,
imballati in carta da pacchi marrone. A migliaia ne
vendemmo. Dopo un po’ la gente si stancava, certo, ma
andammo avanti un paio d’anni, prima di passare ai
cincillà. Chi si immaginava che si sarebbero mangiati il
povero Ugo...
[Teo]
E’ facile: mentre doppiamo la Torre Littoria, apro la
portiera e spingo giù la puttana, poi salto. Rotoliamo sul
selciato mentre la carretta sbanda e imbocca la scalinata
che porta a Piazza del Palio, in un frastuono di lamiere
contorte.
Ho le mani sbucciate, i pantaloni strappati, ma la troia non
si alza.
La raggiungo e la disarmo.
Non farà più tanto la dura, ora che ho la pistola.
Poi recupero la borsa col grano.
Banconote avvolte in un sacchetto di Gulliver.
Piove a dirotto, e le bestiacce stanno arrivando.
Lei prova a darmi del figlio di puttana.
Un calcio nelle costole la zittisce.
“Credevi davvero che non avessi capito?”
Trecento bigliettoni.
Un buon inizio.
Le porte della vecchia stazione della Croce Rossa sono
chiuse.
Lei finalmente si alza e si allontana, zoppicando.
Faccio saltare il lucchetto con una pistolettata.
Se trovassi una bici...
“Hey, stronzo!”
Mi volto.
Lei solleva una mano, si punta due dita alla tempia e mima
un colpo alla testa.
Le porte della rimessa si aprono.
Occhi rossi nel buio.
Mio Dio, sono migliaia!
[Biagio]
“Ogni cucciolata è da dieci,” stava spiegando il prof,
sistemandosi gli occhiali, la lente sinistra spaccata.
Sembrava impossibile farlo tacere. “Due volte l’anno. In
tre anni, cinque coppie di nutrie originano diecimila
individui. In cinque anni, un milione.”
Orribile.
Ma c’era abbastanza benzina attorno al cadavere della
Taunus per tenere a bada queste.
Per un po’, almeno.
Accesi e buttai l’intero pacchetto di cerini.
Un passo indietro, una vampa di calore.
“Diamoci una mossa.”
Minnie scendeva zoppicando la scala, ignorando le fiamme
e il fumo acre.
Niente borsa, livida, calze a rete strappate, ginocchia
sbucciate.
Il prof la raggiunse e la sostenne.
Intanto, gli altri si avviavano di corsa verso i pullman al
centro del piazzale.
Sù, dove c'era la rimessa della Croce Rossa, il capò smise
di urlare.
Era ora di correre.
[Filippo]
“Mi sta facendo male.”
Il professore le lascia il braccio, scusandosi.
“Sta diventando un vizio,” dice lei, sorridendo.
Le cola il mascara, e sembra un panda.
Lui le offre un fazzoletto.
Certa gente rimorchia nei posti più incredibili.
Biagio prende posto, da due colpi di claxon, ed avvia il
bus.
“Ci vorranno i lanciafiamme per eliminare tutti quei
mostri,” dice Anna.
Il professore sospira. “Se saranno ancora in città al sorgere
del sole. Myocastor coypus ha abitudini notturne, e per
l’alba saranno probabilmente spariti.”
“Lasciandosi alle spalle il centro devastato e qualche
cadavere.”
“Vuol dire che nessuno crederà alla nostra storia?” chiede
Biagio.
Per un po’, nessuno sembra volergli rispondere.
Ma va bene anche così.
Contenuti Speciali
Perché la Nutria è il Male
Sono passati 5 anni.
Fu nel 2007 che l'editrice Noubs pubblicò Tutto il Nero del
Piemonte, una bella antologia - oggi difficile da reperire nella quale una impavida rappresentanza di autori
piemontesi esplorava gli angoli oscuri della regione.
Il primo di una serie di volumi, si ipotizzava, che avrebbero
tracciato una mappa noir dell'intera penisola.
Bella idea, colata tristemente a picco.
L'antologia, quando vide la luce, allineava lavori di Danilo
Arona, Giorgio Bona, Angelo Marenzana, Mariangela
Ciceri, Desire’e Coata, Sergio Pent, Davide Cavagnero,
Paola Caretti, Claudio Braggio, Matteo Severgnini,
Raffaella Testa, Alessandro Defilippi, Edoardo Angelino,
Iginio Ugo Tarchetti, Massimo Soumare’, Fulvio Gatti,
Elvezio Sciallis, Gian Maria Panizza, Massimo Citi, Silvia
Treves, Davide Mana e Selene Pascarella.
Ci fecero anche una bella presentazione, su Thriller
Magazine:
Una regione italiana. I suoi misteri, i suoi
scheletri nell'armadio, le nebbie, le ombre,
esplosioni di violenza insensata e momenti di
struggente e malinconica tenerezza. Ventidue
scrittori, varianti di un lungo e piacevole
brivido che ci confermano, ognuna nella
propria, straordinaria e reciproca diversità,
come il Piemonte sia, forse, la regione più noir
e più sconcertante dello stivale. Spesso bello
da starci male, ma graffiante e chiuso come un
bozzolo impenetrabile come certe nebbie
scaturenti dalle acque tra Vercelli e
Alessandria. Storie "ai confini della realtà",
eppure marchiate dal più incontestabile
realismo. Thriller, racconti di formazione,
crime novels, horror, docu-drama o quel che
altro volete, ma i tentativi di definizione
proprio non si prestano a ingabbiare le diverse
"stanze" di quest'antologia: ventidue Maschere
di Vita e di Morte con autori di straordinaria
importanza (tra i quali è obbligo almeno
menzionare Sergio Pent, Davide Cavagnero,
Alessandro Defilippi. Angelo Marenzana,
Edoardo Angelino e l'eccelso padre "fondatore"
Iginio Ugo Tarchetti). Ma, senza ricorrere a
sciocche classifiche di merito, tutti e 22 in
grado di condurci per mano in un
"perturbante" labirinto attraverso le valli, la
provincia, l'alienazione metropolitana, le
montagne, il passato e il presente di una
regione enigmatica e "Ombrosa"... che
qualcuno ha definita la Transilvania d'Italia.
Ma uscita l'antologia, i meccanismi si incepparono.
I production values si rivelarono inferiori alle aspettative,
gli autori attesero tempi biblici per le proprie copie,
pubblicità e distribuzione furono inferiori alle aspettative.
Tutto il Nero del Piemonte venne trattato molto male
all'atto della distribuzione, cosa che infastidì (a dir poco)
gli autori coinvolti - che oltretutto si erano indaffarati per
dare visibilità al progetto.
Ed alla fine il volume scomparve nel nulla, nessuno vide
una lira - probabilmente neanche l'editore - e tutto finì in
quel limbo in cui sono relegate le iniziative dal basso.
[anche se scopro ora che alcune librerie online lo hanno
ancora in catalogo, alla cifra di 13 euro croccanti (ma lo si
trova anche a meno)]
La mia storia, per quell'antologia, è quella che avete
appena letto.
La Notte della Nutria, nella sua versione originale, era una
storia di 3000 parole - quello era il limite imposto
dall'editore.
La struttura del racconto è in parte dovuta alla necessità di
far stare una storia lunga in uno spazio tanto angusto - La
Notte della Nutria è una storia di 3000 parole in cui si
alternano otto voci ed otto punti di vista diversi.
Ed è narrata in prima persona.
E immagino che, per coloro che di solito giudicano le mie
storie noiose, con troppi personaggi e nelle quali "il POV
traballa", La Notte della Nutria riassumi e concentri tutti i
miei peccati.
Se fossi un buon autore, in effetti, invece di giocare con la
struttura per far diventare corta una storia lunga, avrei
scritto una storia corta e morta lì.
Il sottotitolo - Un B Movie - riassume lo spirito della
narrazione.
Mi piaceva l'idea di fare L'Alba dei Morti Viventi ad Asti, ma
fra le linee guida dell'editore c'era chiara la condizione di
toccare, nelle nostre storie, i problemi contingenti della
nostra regione.
Sapevo che alcuni dei miei compagni d'avventura si
sarebbero concentrati su malcostume, ipocrisia, corruzione
e decadimento morale.
Mi restava perciò l'ambiente, una buona cosa,
considerando la mia preparazione professionale.
Di cosa parlare, dunque?
Di disastro ecologico?
Di discariche nella campagna e voli di gabbiani a 300
chilometri dal mare?
Ecco - le specie esotiche...
Per lo meno agli occhi della popolazione indigena, la nutria
è un animale odioso, che sta spazzando come una vera
piaga biblica le campagne del Piemonte.
Non è simpatico, non è pacioso come il wombato col quale
spesso gli animalisti lo confondono, non è una povera
creaturicola incompresa e batuffolosa.
Non è una specie endemica, e sta in effetti sterminando
decine di specie endemiche - oltre a danneggiare
seriamente le colture.
Ed è qui per colpa nostra - è una conseguenza dell'avidità
umana.
Di una prolificità inquietante, divorata da una fame
insaziabile, mi bastò fare un minimo di ricerca per
scoprire, in quella notte estiva del 2007, che esisteva un
potenziale surrogato naturale ai morti viventi che avrebbe
perfettamente soddisfatto le condizioni imposte
dall'editore, e garantito un brivido crudele.
E quattro risate.
Perché ammettiamolo, la vita è già abbastanza orribile, in
certi momenti, senza che ci si metta anche la letteratura.
E l'orrore, contrappuntato al ridicolo, rende di più.
Misi quindi giù la mia storia come un B Movie (una cosa
Orion Pictures, una produzione Golan-Globus anni '80, un
bel filmello della Amicus), o come la sceneggiatura di un
fumetto indie (magari un po' alla Mignola, un po' alla
Zombie World): un gruppo malassortito di personaggi
improbabili, rinchiusi in un simbolo rampante del
consumismo postmoderno, circondati da orde fameliche e
inarrestabili.
E sui personaggi, mi piacque l'idea di vedere della gente
assolutamente qualunque trasformarsi, sotto pressione, in
cliché cinematografici classici: il medico, il pilota, lo
scienziato, la donna fatale, il cattivo che si redime, il bieco
doppiogiochista...
Proprio come nei B movies.
Successivamente avrei sfruttato un'idea simile - che le
persone ordinarie in situazioni straordinarie assumano
ruoli cinematografici quasi di default - per il mio contributo
al Survival Blog.
Ritengo sia un'idea interessante, con delle buone
potenzialità narrative, e non è detto che non la sfrutti
ancora, in futuro.
C'è poi il dato documentario.
Già - 3000 parole, otto narratori, e c'è pure l'infodump.
Nessuna vergogna.
E tuttavia...
Tutte le informazioni contenute nel racconto - sulla
biologia delle nutrie o sul mercato dei gadget - sono
corrette, con la sola eccezione della citazione di Von
Hagen, che è la cosa più fasulla che io abbia mai scritto.
Certo, c'è qualche licenza poetica: lo stile di attacco delle
nutrie è in effetti quello tipico dei velociraptor - ma non
Formalizziamoci.
Allo stesso modo, è corretta la geografia di Asti così come
viene descritta.
Oggi il MacDonald in Piazza Alfieri non c'è più - come
scoprimmo con estremo disappunto mio fratello ed io una
solitaria sera d'estate dopo un concerto dei Jethro Tull -
ma finché c'era era esattamente come descritto, inclusa la
statua di Ronald MacDonald all'ingresso, e l'odore di fritto
che si diffondeva sulla piazza.
Per ciò che riguarda il Director's Cut, ho ripulito il file, ed
ho cercato di ripristinare quelle parti che, per stare nel
word-count, avevo dovuto tagliare all'origine.
Non avendo più il file originale pre-tagli, le nuove parti
sono state riscritte ex novo.
La storia in se non cambia di una virgola, ma ora è un po'
meno affrettata.
Appena appena.
Resta comunque un B Movie di 90 minuti risicati,
interpretato da facce che abbiamo visto in un sacco di
altre pellicole, ma non ne ricordiamo i titoli.
Buono per una serata estiva, non certo per un festival del
cinema.
Nei cinque anni trascorsi dalla prima pubblicazione si è
spesso parlato di un adattamento a fumetto, che come ho
già detto sarebbe secondo me il formato ideale per la
storia. Finora non c'è stato seguito a queste ipotesi.
Ma la Nutria, fino a questo punto, si è dimostrata dura a
morire. Chissà che una di queste notti...
Davide Mana
Colline dell'Astigianistan
Estate 2012
La Notte della Nutria - Director's Cut by Davide Mana is licensed under a Creative
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