LA VITA SEGRETA DELLE PAROLE

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LA VITA SEGRETA DELLE PAROLE
LA VITA SEGRETA DELLE PAROLE
Sito: http://www.lavidasecretadelaspalabras.com/
Anno: 2005
Titolo originale: LA VIDA SECRETA DE LAS PALABRAS
Altri titoli: THE SECRET LIFE OF WORDS
Durata: 112
Origine: SPAGNA
Genere: DRAMMATICO
Produzione: ESTHER GARCIA PER EL DESEO S.A., MEDIAPRODUCCION S.L.
Distribuzione: BIM (2006)
Regia: ISABEL COIXET
Attori:
SARAH POLLEY
HANNA
TIM ROBBINS
JOSEF
JAVIER CAMARA SIMON
EDDIE MARSAN VICTOR
STEVEN MACKINTOSH DR. SULLITZER
JULIE CHRISTIE
INGE
DANNY CUNNINGHAM
SCOTT
DANIEL MAYS
MARTIN
EMMANUEL IDOWU ABDUL
SVERRE ANKER OUSDAL DIMITRI
DEAN LENNOX KELLY
LIAM
REG WILSON DAN BROWN
LEONOR WATLING
MOGLIE DELL'AMICO DI JOSEF
Soggetto: ISABEL COIXET
Sceneggiatura: ISABEL COIXET
Fotografia: JEAN-CLAUDE LARRIEU
Montaggio: IRENE BLECUA
Scenografia: PIERRE-FRANCOIS LIMBOSCH
Costumi: TATIANA HERNANDEZ
Critica:
"La catalana Isabel Coixet è davvero un''autrice' e molto interessante. Per 'La vita segreta delle
parole' ha inventato una storia, un ambiente, situazioni e personaggi tutti originali, che non ci sembra
di aver già visto, letto, conosciuto. (...) Su quella piattaforma galleggiante ogni mediazioni, ogni
schermo, ogni convenzione, ogni elusione cede il passo all'essenziale. Al segreto delle poche parole
necessarie, quelle che consentono a due esseri umani che hanno conosciuto il dolore, l'ingiustizia e la
disperazione di riconoscersi e di amarsi." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 17 marzo 2006)
Protagonista trionfale della serata dei Goya, Isabel Coixet ha conquistato con La vita segreta delle
parole ben quattro prestigiosi riconoscimenti del cinema spagnolo, cinematografia quanto mai in
crescita. Ma questa non è una delle solite pazze commedie sociali, sovversive e scombinate che
arrivano anche sui nostri schermi. Si tratta di una elaborazione controllatissima sulla violenza contro
le donne nelle recenti guerre, immagini che non si vorrebbero vedere e che non si possono ricreare al
cinema. Ma Coixet (laureata in storia e anche pubblicitaria) di queste violenze ha sentito parlare a
lungo nei documentari che ha girato nei Balcani, ore e ore di registrazione e la sua mente si è
riempita di parole, oltre che di immagini. Le parole e il silenzio a volte sono deflagranti come
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avvenimenti, questo ha imparato da quegli incontri e con questi due elementi principali ha costruito
un film magistrale per composizione e recitazione, sia per quanto riguarda i protagonista Sarah
Polley (già interprete del suo precedente film La mia vita senza me) e Tim Robbins (che non manca
mai nei progetti impegnati) che per l'abilità con cui procede in progressivo avvicinamento verso
l'acme narrativo. L'isolamento della piattaforma petrolifera dove è ambientata la maggior parte del
film dà l'idea precisa dell'isolamento più totale in cui si trovano a vivere personaggi che convivono
con situazioni sepolte nel profondo. Lei, di cui non si sa nulla, arrivata lì a fare da infermiera a un
uomo che si è ustionato e non vede più. Di parole è fatta la nostra realtà, di libri, di canzoni, lettere e
segreterie telefoniche, ma non sempre si ha voglia di far corrispondere quelle pronunciate alle
sensazioni del vissuto. Con sottile maestria e secondo i canoni delle storie d'amore, i due riusciranno
ad avvicinarsi anche se potrebbe sembrare impossibile. A piccoli passi, superando le diffidenze o
meglio il baratro delle esperienze diverse del vissuto. Un incontro tra due solitudini, fatto di
intuizione e di umorismo per quanto è possibile nella situazione estrema, ma anche con altri
personaggi che danno grazia al racconto pur nell'oscurità tratteggiata delle loro personalità, come un
cuoco (Javier Camara), un soldato, un ingegnere. Tra gli altri, emerge il personaggio di Inge
Genefke, la neurologa che ha fondato in Danimarca l'istituto per il recupero delle vittime della
violenza (ed ora è in azione con il suo staff a Guantanamo), interpretato da Julie Christie in maniera
aderente. Film prodotto dalla società di Pedro Almodovar (El Deseo), girato in inglese, con
particolare cura all'accento balcanico della ragazza, tutto azzerato al doppiaggio (ma ci sono sempre
alcune sale in cui è programmato in lingua originale). (Silvana Silvestri, Il Manifesto - 20/03/2006)
Hanna (Sarah Polley), solitaria, misteriosa, impegnata a dimenticare un oscuro passato, viene portata
in mezzo al mare, su una piattaforma petrolifera, per curare un uomo vittima di un incidente.
Ricoperto di ustioni, Joseph (Tim Robbins) ha temporaneamente perso la vista e attraverso l’ironia
delle sue battute lotta per non perdersi nella follia. Hanna invece usa la propria sordità per difendersi
dal mondo (qualche burlone aveva ribattezzato il film, presentato al Festival di Venezia nella sezione
Orizzonti, Non guardarmi, non ti sento). Complice un cuoco spagnolo che si cimenta in pasti “a
tema”, tra i due si sviluppa una strana complicità, un’intimità fatta di segreti, silenzi, menzogne,
verità, dolore e umorismo. Produce EL Deseo di Pedro Almodòvar e dirige Isabel Coixet (La mia
vita senza me), che viaggia con tenerezza e ferocia nell’anima dei due protagonisti per fotografare
quella vita perduta che si rinnova negli affetti a dispetto delle ferite più nascoste. Ma qualche vezzo
autoriale di troppo toglie il giusto equilibrio al carico di emozioni. (Alessandra De Luca, Ciak 15/03/2006)
«Il cibo, il piacere di cucinare e di mangiare bene (quando si ha questa fortuna) è uno dei temi
principali del film. Un altro è lo scherzo - fare una battuta - perché in quel momento non è possibile
fare nient’altro. Queste due cose ci ricordano che, nonostante tutto, la vita può essere considerata un
dono». Fa bene la regista e scrittrice barcellonese Isabelle Coixet a chiarire con quest’affermazione il
senso del suo ultimo film. Perché è sempre doveroso fare molta attenzione alle parole.
E La vita segreta delle parole è un viaggio difficile, accidentato, nel territorio della sofferenza fisica e
psicologica. Ma altrettanto consapevole nel delinearne gli sviluppi e le implicazioni, attento a non
spettacolarizzare il dolore né a banalizzare quello che nella realtà è sempre e comunque più ricco di
ciò a cui anche il migliore dei film può solo approssimarsi per difetto. Si tratta di una sorta di
proseguimento di La mia vita senza me, la cui protagonista è sempre l’intensa Sarah PoIley, emersa
in Il dolce domani di Atom Egoyan, e scelta dalla Coixet per la sua «straordinaria capacità di
trasformarsi». Mentre in quel film la Polley era una malata terminale di cancro, una malattia che
inevitabilmente faceva saltare ogni rapporto attorno a lei, qui è Harina, una ragazza sorda,
ossessivamente ripiegata su una routine di pasti sempre uguali e di lavoro che altro non è che
l’antidoto per placarne l’ansia divorante. Al punto tale che è il suo stesso datore di lavoro a forzarla a
prendersi una vacanza. Si ritrova su una piattaforma petrolifera (lo spunto del film è un’analoga
esperienza della regista, nel Sud del Cile, di oltre dieci anni fa), sulla quale macchine rumorosissime
riempiono il silenzio e un oceanografo cerca di stabilire la frequenza delle onde. E Simon, un cuoco
spagnolo (Javier Camara, lo straordinario Benigno di Parla con lei) s’ingegna per trovare nuovi
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sapori che diano gioia, un’oca che è come un’epifania naif in un contesto iperartificiale. E
soprattutto, dove Josef (un torreggiante Tim Robbins) rimane gravemente ustionato e
temporaneamente cieco, in un incidente, come Stellan Skarsgard in Le onde del destino. Ma il
rapporto che si stabilisce tra i due è all’opposto di quello sadomasochistico e sacrificale che
s’innescava come una bomba a orologeria nel film di Von Trier. Hanna si presta a diventare non solo
l’infermiera che si prende cura di lui ma anche il suo tramite per il mondo. Insomma, la feroce ironia
che Josef deve esercitare per dare un (nuovo) senso alla sua vita, trova nel silenzio di Hanna un
inatteso, accogliente interlocutore. La sceneggiatura fa emergere la storia che Hanna vuol
dimenticare - legata alla guerra nella ex Jugoslavia - solo alla fine, in un segmento che vede una
folgorantes apparizione di Julie Christie. Per dirla con lo scrittore e Storico dell’arte John Berger,
nume tutelare del film, che ricollega al Neorealismo italiano, La vita segreta delle parole «è stato
concepito su un terreno che si estende a un orizzonte che va al di là della nozione di martirio, non c’è
nemmeno un culto del dolore. Semplicemente una visione di come la sofferenza conduca a una
salvezza comune». Prodotto dalla casa di Augustin Almodòvar con la partecipazione di MediaPro, El
Deseo, girato tra l’Irlanda e la Spagna e presentato nella sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia, la
pellicola ha già vinto quattro premi Goya per miglior film, regia, sceneggiatura originale e direttore
di produzione. Giusti riconoscimenti ad un esempio singolare di cinema che sfida l’indicibile, ama
lasciare sospesi e indagare gli equilibri che si stabiliscono in condizioni estreme e la difficoltà di
esprimere le parole che, se riuscissimo a dirle, ci renderebbero più liberi. (Raffaella Giancristofaro,
Film Tv - 15/03/2006)
"Paghi una sofferenza e ne prendi due, solo alla fine saprai perché. Non solo segreti e bugie, ma
anche memorie e rimorsi, sospetti, nevrosi e cause civili fanno di questo melò frenato e non retorico
un film sensibile, bello, pur con qualche vezzo, in cui ciascuno può mettere del suo, basta non sia
felice. Le parole, per l' autrice, si perdono nel tragitto dalla testa alla gola: perciò il film è parco, vive
di espressioni, di distese d'acqua e del silenzio con cui ci si difende dal mondo, come insegnava
Fellini nella 'Voce della luna'." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 17 marzo 2006)
Ci sono cose che il cinema sembra incapace di mostrare, perché si corre il rischio di renderle
irrimediabilmente generiche (se non addirittura di «abbellirle»). Il dolore, la morte e, peggio, i
massacri della guerra possono rientrare in questa categoria. Ma ci sono anche cose che il cinema non
può fingere di dimenticare. E la violenza dell'uomo sull'uomo è una di queste. Il problema è come
raccontare certe cose senza rischiare la banalizzazione. O la spettacolarizzazione.
È allora che possono venire in aiuto le parole. Come ha scelto di fare la regista catalana Isabel
Coixet, sottolineandolo fin dal titolo: La vita segreta delle parole. Le parole sono quelle che non
vuole dire la malinconica Hanna (interpretata da Sarah Polley), finita su una piattaforma petrolifera a
curare un operaio ustionato in un incendio e momentaneamente cieco, Joseph (è Tim Robbins). Lui
cerca di comunicare almeno con la parola, lei solo con i freddi gesti professionali dell'infermiera,
inventandosi anche uno nome falso, Cora, che sembra un omaggio a Cortazar.
Fino a quando l'atmosfera che si costruisce attorno a loro (e a cui non sono estranei anche gli altri
abitanti della piattaforma, da un oceanologo idealista a un cuoco decisamente originale) finisce per
infrangere la barriera che teneva nascosto il passato della ragazza, e lasciare che le parole raccontino
la sua drammatica esperienza. Così quello che sembrava fino ad allora un film su un mondo di
solitudini private diventa un film su una storia pubblica di sofferenze e di crudeltà, dove le persone
portano sulla pelle i segni della brutalità umana.
Con una delicatezza che non diventa mai compassione ma nemmeno censura (quando Hanna ricorda
che i soldati, mentre la stupravano, le sussurravano scusa all'orecchio, si riesce a intuire che cosa
dev'essere stata davvero la ferocia messa in campo nella ex Jugoslavia), Isabel Coixet ci aiuta a non
dimenticare una guerra che tutti più o meno cercano di cancellare. A cominciare da chi ne ha pagato
le conseguenze e che si porta dentro un dolore tanto grande da non riuscire nemmeno a parlarne.
Persino spaventato dal fatto di potere, un giorno, “piangere talmente tanto che le lacrime diventino
un mare in cui tutti finirebbero per annegare”. Così, come fa Joseph, che per ritrovare Hanna finisce
per scoprire il suo passato ma che si rifiuta (per pudore) di guardare una videocassetta sulla sua
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odissea, anche lo spettatore alla fine non ha “visto” nessun orrore (se non le cicatrici sul petto della
ragazza), ma attraverso le parole e i silenzi di Hanna ha smesso – almeno per un momento – di
cancellare dalla propria memoria uno dei misfatti più atroci del nostro cosiddetto mondo civilizzato.
(Paolo Mereghetti , Corriere della sera)
"L'incontro fra i due, e l'inevitabile contatto fisico che si instaura fra infermiera e paziente, sono al
centro di 'La vita segreta delle parole' di Isabel Coixet, prodotto da Almodòvar. Quali ustioni
bruciano di più? Quelle di Josef? Le lacerazioni interne di Hanna? O sono, in realtà, la stessa cosa?
Coixet ha girato con la camera volutamente sporca e indecisa. E l'idea funziona. Ma la regista non si
fida dello spettatore e risponde didascalicamente a tutte le domande, finendo con il portare per mano
il pubblico in un film buono, ma inutilmente privo di colpi di scena." (Roberta Bottari, 'Il
Messaggero', 17 marzo 2006)
Di pochi giorni fa la notizia che Slobodan Milosevic è morto nella sua cella de l'Aja. Che un
carnefice dei Balcani sia salito a miglior vita (quella che attende gli altri latitanti suoi complici) non
si capisce se sia soltanto una buona notizia. Il processo del Tribunale internazionale per i crimini di
guerra proseguirà. Ma senza un uomo chiave si rischia un ulteriore rallentamento. Magra
consolazione comunque, qualora i carnefici serbi finiranno tutti alla sbarra, per le persone che torti
indicibili li hanno già subiti. Violenza, uccisioni, stupri etnici. Intanto, e lo consiglia Amnesty
International,
un film si interroga su quanto certe esperienze abbiano segnato l'esistenza di tante donne in quei
luoghi. In punta di piedi la regista spagnola Isabel Coixet (La mia vita senza te) ha provato a portare
sullo schermo la storia di una di loro, che di quelle vicende si porta dentro una ferita che stenta a
rimarginarsi. E ha pensato di ambientare
La vita segreta delle parole in un non-luogo, un punto in mezzo al mare come può essere una
piattaforma petrolifera. Sopra ci lavorano soltanto uomini: un cuoco spagnolo (Javier Cámara),
alcuni operai, un giovane studioso solitario e idealista.
Un giorno arriverà una donna (Sarah Polley) che si offre di curare un operaio (Tim Robbins)
temporaneamente paralizzato e senza vista. Si era gettato tra le fiamme per salvare un amico che, a
sua insaputa, aveva deciso di uccidersi. Tra Hanna e Josef nascerà un rapporto speciale di timidia
intimità. Quando la vediamo per la prima volta, Hanna lavora in fabbrica, è schiva, vive da sola,
conduce un'esistenza asettica in una cittadina della provincia inglese. Del suo passato non sappiamo
nulla. E' taciturna come può esserlo chi soffre di sordità. Nemmeno di Josef sappiamo qualcosa ma lo
vediamo subito sornione, divertente nonostante la condizione di infermo, deciso a valicare il muro di
pudore che la sua infermiera si è costruita davanti. Vince la sua sfida. Con Hanna stabilisce
un'empatia che si fa varco in mezzo alle loro esistenze. Ci sono segreti dolorosi che aspettano di
essere raccontati alla persona giusta, un dolore da espiare, pagine della propria esistenza da voltare
per sempre. Intanto nel microcosmo della piattaforma il tempo trascorre in uno splendido,
drammatico isolamento. Venticinque milioni di onde ne lambiscono la struttura.
Isabel Coixet, regista volitiva e dalle idee molto chiare, ha scritto il film ripensando ai racconti
crudeli, inconcepibili, che alcune donne le avevano fatto quando è stata in ex Jugoslavia. Non solo.
Per il personaggio che interpreta con delicata intensità Sara Polley ha ascoltato le testimonianze di
altre vittime di quegli orrori, donne che oggi sono ospiti di un centro olandese dove stanno stanno
tentando di elaborare queste esperienze. E il ruolo di Inge (portata sullo schermo da Julie Christie), la
direttrice delle struttura, è un omaggio al lavoro di questa equipe. Nonostante la sensazione di
impotenza davanti ad un personaggio così problematico, e poi quella di sconfitta per l'uomo, quando
pensi che un tuo simile possa aver concepito gesti così terribili,
La vita segreta delle parole si conclude con una doppia rinascita. Sembra banale ma alla fine risulta
la vita vera è davvero così incredibile. Pesante e leggerissima, ci abitua spesso a miracoli di opposta
fattura. Girata con estrema naturalezza, in un ambiente operaio e informale, la pellicola anche
esteticamente si apprezza molto. Specie quando la cinepresa si avvicina poeticamente, sorvola, spia
la vita della piattaforma e la sua inquitante bellezza, come un grosso uccello tecnologico in piedi in
mezzo al mare. (Pasquale Colizzi - L'Unità 17/03/2006)
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Hanna è una giovane operaia di origini slave, può ascoltare solo grazie a un apparecchio acustico,
che stacca volentieri. Indefessa sul lavoro, per il resto si lascia vivere. Quando il direttore la costringe
a prendersi una vacanza, dopo la noia iniziale nella plumbea costa britannica accetta un impiego
temporaneo: fare da infermiera a un tecnico rimasto ustionato, e temporaneamente cieco, dopo un
incidente sulla piattaforma petrolifera dove lavora. C’è scappato il morto, e l’estrazione del greggio è
sospesa. Considerato l’ambiente, l’uomo si mostra rude e invadente, anche se nasconde una
delicatezza che verrà fuori parallelamente all’uscita della donna dal guscio. Lei occupa la sua stanza,
entra in contatto con le foto, i libri, la vita dell’altro, mentre intorno a loro si incrociano le diverse
solitudini (il cuoco filosofo, l’oceanografo che conta le onde, i macchinisti inseparabili) ed emergono
segreti e misteri, tra pudori e reticenze amplificate da una voce fuori campo da bambina impaurita
(“ammazza il tempo prima che il tempo ammazzi te”). L’intricata personalità a riccio di Hanna
nasconde evidentemente sofferenze e turbamenti troppo grandi per consentirle di lasciarsi andare, di
cedere all’impulso sensuale di vivere, di innamorarsi.
Il cinema della Coixet affronta temi tragici con una leggerezza che non è mai superficiale, bensì
scaturisce dall’empatia, dalla naturalezza con cui affronta introspettivamente difficoltà, traumi,
situazioni senza uscita. Con una felicissima mano di regista e sceneggiatrice mette in relazione i suoi
personaggi; i dialoghi e i monologhi interiori palesano una grazia e una spontaneità che arricchiscono
la visione con tanti dettagli piccoli ma veritieri, di grande umanità. La mia vita senza me mostrava
una 23enne dalla vita difficilissima che scopriva di avere due mesi di vita, nel corso dei quali
riusciva a dare un senso alla propria esistenza, a fornire conforto per i familiari che le
sopravviveranno e godere di una breve libertà, fonte di energia e appagamento. Con la stessa
intensità e la stessa straordinaria interprete, la piccola grande Sarah Polley, si è lanciata in una prova
altrettanto ardua, la storia di una ragazza sopravvissuta a se stessa che ha scelto il silenzio. Aiutato
dalla neurologa danese che ha fondato un centro di assistenza per le vittime di torture (personaggio
reale cui dà volto la ritrovata Julie Christie), l’uomo che Hanna ha curato nel fisico come nello
spirito verrà a capo dell’atroce verità, che dai mari del Nord ci riporta agli orrori della guerra dei
Balcani. Dopo gli squarci di romanticismo nell’ambiente irreale della piattaforma petrolifera (ma
senza gli intellettualismi del von Trier de Le onde del destino), il finale diventa la scommessa di un
uomo riconoscente, rinato per amore, di restituire il bene ricevuto a un’anima persa.
E l’autrice vince la sua, di scommessa, con un film intenso e spiazzante ma impeccabile, che rischia
di inciampare sul finale nella trappola del compitino didascalico ma che, sorretto da grandi attori e da
una cifra stilistica che privilegia le emozioni, colpisce ancora una volta il cuore del pubblico. Pur
meno compatto dell’opera precedente, La vita segreta delle parole riesce a istillare speranza,
addirittura leggerezza, pur nella cupezza di fondo. La Coixet pervade il suo mondo di ironia, di
comprensione, di parole necessarie che sgorgano in un mondo di silenzio. (www.fice.it)
Una piattaforma sul mare. Una fragile isola costruita dall'uomo. Con venticinque milioni di onde che
vi sbattono contro. Un luogo dello spirito dove suturare le ferite del passato. O almeno provarci. Con
l'amore. Con quella forza misteriosa che può sottrarre due persone all'autoreclusione. Sullo schermo
si palesa così La vita segreta delle parole, secondo l'interpretazione della regista e sceneggiatrice
catalana Isabel Coixet. Ad occupare le inquadrature una donna solitaria (Sarah Polley) e un uomo
gravemente ustionato (Tim Robbins). Lei curante, lui paziente. E viceversa. Medesime sono le
scarificazioni sulla pelle, tracce indelebili di un vulnus inesorabile. Lei è sorda, lui ha perso
temporaneamente la vista. E temporaneamente anche la donna sceglie di non sentire, di estraniarsi da
una realtà - quella della guerra dimenticata dei Balcani - che l'ha brutalizzata. Il campo
cinematografico accoglie la mutua assistenza della coppia, fatta di segreti, astensioni, bugie
insondabili e verità recondite, bagliori di luce e buio dolore. A dipanarsi sul filo di una colonna
sonora calibrata è una sintassi sentimentale. Una sintassi paratattica, ovvero di grado zero. L'unica
possibile dopo la violenza inferta ai corpi, ai cuori e alle parole. Assassinate dal genocidio balcanico
o infuocate da un livre de chevet intromesso nella relazione amorosa tra il proprio miglior amico e
sua moglie. Parole negate, rifiutate e infine resuscitate. Con estrema pazienza, movimenti
impercettibili, pause prolungate ed empatia. L'unico rimedio per scoprire quale sia la vita segreta
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delle parole e delle persone. Che niente - almeno nella finzione cinematografica - può cancellare. Per
la Coixet un film che rivela un percorso artistico e personale in pieno sviluppo, lontano dai
tentennamenti poetici del precedente La mia vita senza me. Co-produce Pedro Almodovar, nel cast
Julie Christie. I riferimenti a Le onde del destino, Parla con lei e Mare dentro non sono fortunatamente - invasivi. (www.cinematografo.it)
Note:
- PRESENTATO FUORI CONCORSO ALLA 62MA MOSTRA INTERNAZIONALE
D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2005) NELLA SEZIONE "ORIZZONTI".
-CINEMA WRITERS CIRCLE AWARDS, SPAIN - 2006
WON BEST ACTRESS (MEJOR ACTRIZ): SARAH POLLEY
WON BEST CINEMATOGRAPHY (MEJOR FOTOGRAFÍA): JEAN-CLAUDE LARRIEU
WON BEST DIRECTOR (MEJOR DIRECTOR): ISABEL COIXET
WON BEST FILM (MEJOR PELÍCULA)
WON BEST SCREENPLAY, ORIGINAL (MEJOR GUIÓN ORIGINAL): ISABEL COIXET
-NOMINATED CEC AWARD BEST ACTOR (MEJOR ACTOR): TIM ROBBINS
NOMINATED BEST EDITING (MEJOR MONTAJE): IRENE BLECUA
NOMINATED BEST SUPPORTING ACTOR (MEJOR ACTOR SECUNDARIO): JAVIER
CÁMARA
-GOYA AWARDS - 2006
WON BEST DIRECTOR (MEJOR DIRECTOR): ISABEL COIXET
WON BEST FILM (MEJOR PELÍCULA)
WON BEST PRODUCTION SUPERVISION (MEJOR DIRECCIÓN DE PRODUCCIÓN):
ESTHER GARCÍA
WON BEST SCREENPLAY - ORIGINAL (MEJOR GUIÓN ORIGINAL): ISABEL COIXET
NOMINATED GOYA BEST SUPPORTING ACTOR (MEJOR ACTOR DE REPARTO):
JAVIER CÁMARA
-VENICE FILM FESTIVAL
2005 WON LINA MANGIACAPRE AWARD: ISABEL COIXET
Trailer:
http://www.mymovies.it/trailer/?id=36168
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