PENSARE LA PACE

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PENSARE LA PACE
PENSARE LA PACE
SI VIS PACEM PARA TE IPSUM
(Se vuoi la pace prepara te stesso)
Premessa
Il percorso che segue è frutto di una ricerca ed elaborazione personale che, senza pretesa di “verità”, si
pone come strumento per stimolare la riflessione sul senso della parola “pace”, fornendo alcune tracce da
cui prendere spunto per ulteriori approfondimenti individuali.
“Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l'umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie
esperienze quotidiane”. Etty Hillesum
QUALE PACE?
Pace è una di quelle parole che crediamo possedere un significato universale; di fatto, attraverso i secoli,
questo termine ha assunto, all’interno delle varie culture, significati differenti che hanno portato a concezioni
diverse di “pace”.
Possiamo definire il termine “pace” una “parola simbolo” perché, come ogni simbolo, ha la prerogativa di
contenere in sé una molteplicità di significati.
Se ci addentriamo con atteggiamento critico ad analizzare le diverse concezioni di pace, constatiamo quante
interpretazioni, a volte perfino contrastanti, può assumere questo termine.
Il “costruttore di pace” deve essere consapevole che è necessario interrogarsi sul significato della parola
“pace”, questo per evitare di porsi nell’atteggiamento superficiale di chi pensa che attorno a tale termine vi
sia un’interpretazione condivisa da tutti, oppure, all’opposto, di cadere nel relativismo di chi nega a priori a
questa parola una “verità di senso” universale.
L’atteggiamento dell’uomo e della donna di pace deve essere quello di chi è in costante ricerca, dentro e
attraverso la propria vita, della “verità della pace”.
Gandhi, a questo proposito, affermava che: “Non vi è una Strada alla Pace, la Pace è la Strada” per
significare che solo “vivendo la Pace” è possibile camminare sulla sua Strada, nella sua verità.
Nonostante le sue molteplici declinazioni ed interpretazioni, questa parola, così evocativa e densa di
significato, è strettamente legata ad uno dei desideri più profondi dell’essere umano: il desiderio di eliminare,
o limitare il più possibile, il male della violenza.
E’ in questa tensione, che nasce dal nostro profondo e che ci spinge a cercare il “bene per il nostro essere”
(ben-essere) che possiamo trovare la ragione per pensare alla pace, o meglio, “pensare la pace”, in modo
sempre più consapevole e vicino al Vero.
ETIMOLOGIA
Ogni parola è viva, si trasforma nel tempo, segue il cammino dell’Uomo; spesso muore, altre volte si
trasforma.
E’ interessante sapere qual è la prima “traccia di significato” che ritroviamo nella parola ”pace”.
L’etimologia della parola PACE deriva dalla radice sanscrita paç/pak/pag – legare, saldare, unire – che
trovasi nel sanscrito pâç-a yâmi = lego; paç-as = calappio, corda; pag-ras = sodo, fitto o anche nel latino
pac-iscor = concordo, pattuisco.
Col tempo tale vocabolo è venuto soprattutto a significare l’accordo che viene concluso tra due parti nemiche
contendenti.
SENSO COMUNE DI PACE
Oggi, pur assumendo varie accezioni, il significato più comune attribuito al termine pace è quello di
“situazione contraria allo stato di guerra”.
Mentre la definizione di guerra è ricca di connotati caratterizzanti, la pace è definita soprattutto
“negativamente” come ASSENZA di guerra. PACE = non GUERRA
In questo caso il termine più forte, guerra, è quello che indica lo stato di fatto più rilevante, è quello che mette
in ombra l’altro termine e ne condiziona il significato.
L’esperienza collettiva della violenza, rappresentata dalla guerra, è presente come una tragica costante nella
storia dell’umanità.
Questo fenomeno ha profondamente segnato la riflessione umana più che la riflessione sul senso della
pace.
Se analizziamo la storia della filosofia occidentale ci accorgiamo che esiste una “filosofia della guerra”, ma
non esiste una vera “filosofia della pace”.
Nella storia della filosofia dell’età moderna gran parte della filosofia politica è una continua meditazione sul
problema della guerra.
Nonostante questa predominanza, possiamo affermare che lungo il corso della storia dell’umanità il concetto
di “pace” ha assunto due declinazioni:
1) pace individuale, intesa come stato di “benessere” interiore, spirituale e psicologico, raggiunto dalla
persona;
2) pace sociale/collettiva, politica, intesa come “assenza di conflitto” nella società e tra gli stati.
ANALISI DEL PENSIERO DI ALCUNI FILOSOFI DELLA STORIA DELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE
CHE SI SONO INTERROGATI SUL PROBLEMA DELLA PACE E DELLA GUERRA
ERACLITO (550 c.a. - 480 a.C.)
Uno dei primi filosofi che accenna al problema della guerra è Eraclito.
Egli, chiuso nel proprio atteggiamento aristocratico, provava profondo disprezzo per la massa d’uomini
dormienti, incapaci di comprendere il LOGOS, la verità alla base d’ogni evento.
Per Eraclito il LOGOS, o ragione, è il fondamento della realtà ed è dominato da una legge che è quella della
complementarietà dei contrari.
Il divenire, secondo Eraclito, è caratterizzato da un continuo passare da un contrario all’altro, passaggio che
si esprime in una lotta perenne ( le cose fredde si riscaldano, le calde si raffreddano; le umide si seccano, le
secche s’inumidiscono; il vivo muore ma da ciò che è morto rinasce altra vita e così via).
Fra questi contrari che si avvicendano incessantemente vi sono la guerra e la pace.
Per Eraclito esiste pace perché prima si era verificata una guerra e il fatto che questi due elementi si
alternino incessantemente crea stabilità, armonia.
Per questa ragione non può esistere una pace totale, assoluta ed eterna.
Il LOGOS, la verità che sottende ad ogni evento, è “armonia segreta” dei contrari.
L’armonia, data dalla complementarietà dei contrari, si realizza attraverso una continua successione degli
opposti in tensione tra loro e questo divenire è una lotta, una guerra, perpetua.
Eraclito attribuisce alla guerra un ruolo particolare: essa è simbolo di tutto ciò che avviene nell’Universo. “La
guerra è la madre di tutte le cose e di tutte le cose è regina”.
PLATONE ( 427 - 347 a.C.)
Platone si occupa abbastanza dettagliatamente del problema della guerra collegandolo alla riflessione da lui
svolta sulla politica.
La guerra non è considerata da Platone come qualcosa di negativo e condannabile, ma come elemento che
è parte integrante della politica e che partecipa all’attività di governo, consentendo di mantenere l’ordine, la
stabilità e la pace all’interno della polis.
Egli riconosce la naturalità e quindi la non eliminabilità definitiva della guerra dall’esperienza umana.
IL CONCETTO DI PACE NEL CRISTIANESIMO
Nel Cristianesimo la pace scaturisce dall’Uomo riconciliato con Dio; questo presuppone l’annullamento della
frattura (peccato) dell’Uomo con Dio e la sua conversione, il suo aprirsi a nuova vita.
Gesù è la Buona Novella di pace e di salvezza; Dio è definito il Dio della pace.
L’idea della pace è connessa con quella della vita e della gioia.
Gesù, nel discorso della montagna, chiama “beati gli operatori di pace”, per indicare che la pace è sì un
dono della grazia divina, dello Spirito Santo, ma abbisogna dell’apporto decisivo dell’Uomo che sceglie di
operare con la propria vita a favore della pace.
Gesù risorto, apparendo agli Apostoli, si rivolge loro con l’augurio: ”Pace a voi”, come a voler sottolineare
che la salvezza è un approdo gioioso alla vera pace, nella pienezza dell’Amore di Dio.
Il discepolo di Gesù è chiamato ad essere “uomo di pace”, ha rinnegare la violenza per abbracciare la logica
dell’amore e del perdono (per-dono) verso il fratello, figlio dello stesso Padre dei cieli.
IL RIFIUTO DEL MILITARISMO ROMANO
All’origine del Cristianesimo pace e non-violenza sono stati valori fondamentali della nuova religione di
Cristo.
Molti dei primi cristiani rifiutarono di servire in armi l’imperatore fondando questa loro scelta sulle beatitudini
evangeliche, sul messaggio dirompente d’amore universale di Cristo.
Si afferma la figura del MILES DEI, il “soldato di Dio” che non vuole servire in guerra l’imperatore accettando
la tortura e la morte pur di difendere la propria libertà di fede e di scelta non-violenta.
La figura del MILES DEI, il “milite di Dio” disarmato, si oppone all’eroe militare romano, celebrato per il
proprio valore sui campi di battaglia.
Il Teologo Tertulliano (160 - 240) nel De Corona denuncia l’immoralità della guerra, rifiutandosi di
distinguere tra guerra giusta e ingiusta.
MACHIAVELLI (1469 – 1527) “Il fine giustifica i mezzi”.
Per Machiavelli la guerra è un mezzo che permette al principe di mantenere il proprio potere; per tale
ragione il principe deve esercitarsi nell’arte militare anche in tempo di pace.
La guerra è strumento sia di difesa, sia di conquista e su di essa si fonda l’esistenza stessa del potere.
IL GIUSNATURALISMO
Il giusnaturalismo è quella dottrina filosofico-giuridica che sostiene l’esistenza di norme di diritto naturali* e
perciò stesso razionali, anteriori ad ogni norma di diritto positivo**.
Dalla riflessione sul fenomeno della guerra i giusnaturalisti giunsero a desumere le regole fondamentali e la
natura del diritto naturale.
Per i giusnaturalisti la guerra sospende la validità delle leggi positive e gli accordi tra singoli stati, ma non
può interrompere l’efficacia di quelle norme che sono fondate sulla natura umana e sono quindi inerenti alla
comunità umana in qualsiasi momento ed anche nei rapporti di guerra.
Per i giusnaturalisti, tranne che per Hobbes e Rosseau, lo stato di natura è una forma di vita associata nella
quale sono già riconosciuti alcuni diritti originari e incoercibili –vita, libertà, proprietà -; tuttavia, mancando
ogni garanzia esterna a tutela di questi diritti, il rispetto di essi non è per niente sicuro.
E’ necessario, pertanto, uscire dallo stato di natura e istituire un potere capace di garantire la civile
convivenza e rendere sicuri i diritti naturali.
* Diritto Naturale = leggi non scritte ma che sono proprie dell’uomo in quanto tale; gli appartengono per il fatto stesso di essere Uomo,
di venire alla luce.
** Diritto Positivo = insieme di leggi, consuetudini, tradizioni che gli esseri umani si danno attraverso pubblici poteri: lo stato, il governo,
l’autorità sovrana.
GROZIO (1583 – 1645)
Grozio è uno degli esponenti principali del giusnaturalismo; il suo discorso sulla guerra si affianca a quello
sul diritto.
Egli non è un pacifista, anzi afferma che la guerra non è contraria alla natura umana.
Per Grozio non occorre abolire la guerra ma renderla “legale”, è necessario, pertanto, elaborare delle norme
di diritto che regolano i rapporti tra gli Stati in caso di guerra.
KANT (1724 – 1804) “Considerare l’altro come fine e non come mezzo”.
L’idea di ragione anima l’intera speculazione kantiana.
Kant afferma che l’uomo, senza ricorrere ad altro fondamento se non alla propria ragione, può muoversi non
solo nel mondo dei fatti, che è il contesto della mera realtà conoscitiva, ma in quello dei VALORI, cioè nel
contesto dei punti di riferimento cui ancorare la propria volontà di azione.
Tanto nella conoscenza, quanto nell’azione, l’uomo fa riferimento a se stesso, individuando così una forma
del conoscere e dell’agire, distinta dal contenuto di conoscenza e azione.
La forma rimanda alla soggettività pura, ovvero la ragione giudicante; il contenuto è invece il fine giudicato
dalla ragione e perseguito dalla volontà nell’agire.
La pace è considerata da Kant tra i valori più importanti.
Nel suo saggio “Per la Pace Perpetua” Kant elabora una teoria per articolare i diversi elementi del problema
della pace proponendo il modo per affrontarlo e avviarlo alla soluzione.
Egli afferma che gli esseri umani non sono veramente tali se ammettono anche solo teoricamente la guerra;
la vera pace si realizzerà solo quando sarà impossibile fare la guerra, ovvero quando gli stati si
organizzeranno giuridicamente per impedirla.
Se l’umanità riuscirà ad espellere la guerra dai rapporti personali considerando l’altro come fine e non come
mezzo o “carne da cannone”, riuscirà ad eliminarla anche da quelli internazionali.
Il perfezionamento morale dell’uomo passa attraverso l’espulsione della guerra dalla storia, cioè emerge
quando vi è il tentativo di conciliare politica e moralità che nella realtà non si toccano.
CLAUSEWITZ (1780 – 1831) “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”.
Clausewitz è forse il più famoso teorico della guerra.
Con Clausewitz la guerra è concepita in un’ottica nuova, quale continuazione del lavoro politico.
Egli sostiene che la politica ha generato la guerra: essa è l’intelligenza, mentre la guerra è il suo strumento.
PER UN SENSO AUTENTICO DI PACE
La pace è condizione indispensabile per la pienezza della vita umana, per la preservazione della specie e
per la vita stessa del pianeta.
Intesa in questo senso la “pace” è qualcosa più che la tranquillità spirituale individuale o l’assenza di guerra,
è qualcosa che va oltre qualunque dicotomia e penetra in tutte le sfere della vita.
E’ indispensabile arrivare ad un ROVESCIAMENTO CULTURALE del concetto di “pace” per giungere a
“pensare la pace” non come ASSENZA di qualcosa (egoismo, peccato, violenza, guerra…), ma come
PRESENZA di qualcosa.
La guerra non deve essere intesa come fenomeno naturale, ma come fenomeno culturale; in questa
prospettiva diviene prioritario giungere ad un cambiamento radicale del pensiero che segni il passaggio da
una “cultura di guerra” ad una “cultura di pace”.
E’ necessario, pertanto, riempire la “parola simbolo” PACE di contenuti e valori per impregnarla di significati
positivi.
Non vi può essere “pace” senza la presenza di questi valori tra loro interdipendenti:
ARMONIA
GIUSTIZIA
LIBERTA’
LIBERTA’
Libertà consiste nel pensare, nel fare in conformità a ciò che si è, cioè un essere umano portatore di diritti
inalienabili e di doveri morali.
Libertà non è licenza di “fare ciò che si vuole”, ma è “fare ciò che si deve”; questo comporta sviluppare una
coscienza morale responsabile, vale a dire capace di rispondere della propria libertà verso se stessi e verso
gli altri.
Libertà è la capacità di vedere sé e gli altri come persone uniche e irripetibili verso le quali si hanno doveri
morali.
Questo presuppone un passaggio da una cultura della libertà che pone in rilievo solo i diritti umani, ad una
cultura della libertà pienamente matura, che sottolinei anche l’importanza dei doveri che l’essere umano ha
nei confronti di se stesso e dei propri simili.
GIUSTIZIA
Una pace ingiusta non è autentica ed è fugace.
Giustizia non significa dare a tutti in parti uguali, ma significa “dare a ciascuno il suo”, ciò che gli spetta, ciò
di cui ha bisogno.
Chi persegue la giustizia deve lasciarsi coinvolgere dalle situazioni d’ingiustizia cercando di denunciarle,
impegnadosi in prima persona perché vengano rimosse.
“Indubbiamente cattivo è colui che, abusando del proprio ruolo di potere e prestigio, commette ingiustizie e
violenza a danno dei suoi simili; infinitamente più cattivo è colui che, pur sapendo dell'ingiustizia subita da
un suo simile, tacendo, acconsente a che l'ingiustizia venga commessa”. Albert Einstein
ARMONIA
La pace è il vero traguardo della vita umana e l’armonia è ciò che l’alimenta.
L’armonia è qualcosa di profondamente diverso dall’ordine esterno.
L’armonia è lo stato di convivenza tra diversità unite in un processo di sostentamento reciproco.
Per costruire la pace è necessario creare armonia:
• tra tutte le sfere della vita di un essere umano – razionale/cognitiva ● pensiero, emotiva/psicologica
● sentimento, volitiva/corporea ● azione, spirituale ● rapporto col divino -;
• tra persona e società/collettività;
• tra culture, religioni.
Il nostro ESSERE non può essere totalmente presente se nella nostra vita rimaniamo lacerati, se non siamo
in ARMONIA con tutte le dimensioni che ci rendono persone uniche ed irripetibili.
PERCHE’ PENSARE LA PACE?
Etimologia: la parola PENSARE deriva dal latino pensare intensivo di pendere propriamente pesare =
essere appeso, tenere sospeso qualcosa sulla bilancia.
Quando penso non faccio altro che soppesare attentamente qualcosa per conoscerne il valore.
E’ necessario “pensare la pace” per conoscerne il valore, per impregnarla di significato.
Chi pensa dà valore alle “cose più importanti della vita” conferendogli un senso di verità.
Pensare non è solo questione di ragionamento, non può essere solo uno sterile processo intellettuale;
pensare è la massima attività dell’essere umano che si apre al mistero della vita, dell’essere, è schiudersi ai
perché della vita.
Per tale ragione l’atto del pensare non può essere autentico se in esso non è presente tutto il nostro
ESSERE, se non ci disponiamo al pensiero con la nostra totalità.
CONCLUSIONE
La PACE va pensata per conferirle valore, per portarne alla luce il vero significato.
Costruire una “cultura di pace” presuppone uno sforzo di elaborazione personale e collettiva di idee e
pensieri di pace.
La pace fiorisce nel processo del divenire personale e collettivo, il quale implica scelte concrete a favore
della Pace: scelte nell’ambito della cultura, della politica, dell’economia, del modello di società che si vuole
costruire, nella sfera di riferimento valoriale dell’individuo.
PENSARE LA PACE per VIVERE LA PACE, nella totalità dell’ESSERE: tutto questo comporta un
mutamento di civiltà che porti ad un cambiamento della stessa autocomprensione dell’essere umano.
Pensare la pace, in fondo, è capire ciò che veramente siamo chiamati ad essere e a costruire.
LETTURE CONSIGLIATE
I Kant “Scritti di Filosofia Politica” Edizioni: La Nuova Italia
I. Malaguti “Filosofia e Pace” Editore: Fara Editore
M. Buber “ll Principio Dialogico” Editore: Edizioni Paoline
A. Capitini “In Cammino per la Pace” Editore: Einaudi
Raion Panikkar “Pace e Disarmo Culturale” Editore: Rizzoli
E. Lévinas “Umanesimo dell’altro Uomo” Editore: Il Melangolo
Lanza del Vasto “Lezioni di Vita” Editore: Libreria Editrice Fiorentina
A.J. Toynbee “Civiltà al Paragone” Editore: Tascabili Bompiani