Paul Gauguin - Liceo Verga

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Paul Gauguin - Liceo Verga
Paul Gauguin
Paul Gauguin (1848-1903), pittore francese, è stato uno dei protagonisti
della fase artistica che definiamo post-impressionismo. Egli incarna un altro
archetipo di artista: l’artista che vuole evadere dalla società e dai suoi
problemi per ritrovare un mondo più puro ed incontaminato. Egli, al pari di
tutti gli altri artisti e poeti francesi di fine secolo, vive sullo stesso piano la
sua vita privata e la sua attività artistica. E le vive con quello spirito di
continua insoddisfazione e di continua ricerca di qualcosa d’altro che lo
portò a girovagare per mezzo mondo, attratto soprattutto dalle isole del
Pacifico del Sud.
Egli, benché nato a Parigi, trascorse la sua prima infanzia a Lima, in Perù.
Tornato in Francia, a diciassette anni, si arruolò in Marina, restando in mare
per cinque anni. Nel 1871 ritornò a Parigi e si impiegò presso un agente di
cambio. Iniziò così il periodo più sereno e borghese della sua vita. Si sposò
con una ragazza danese, ebbe cinque figli, condusse una vita contraddistinta
da un discreto benessere economico. Intanto iniziava a collezionare quadri e
a dipingere. Espose sue opere nelle mostre che gli impressionisti tennero dal
1879 al 1886. Ma la situazione della ditta presso la quale lavorava si fece
critica e nel 1883 fu licenziato. Venuta meno l’agiatezza economica si
aggravarono anche i suoi problemi familiari. La moglie ritornò presso la sua
famiglia d’origine in Danimarca. Gauguin la seguì cercando di lavorare in
Danimarca ma, seguendo la sua vocazione artistica, abbandonò il lavoro per
dedicarsi solo alla pittura. Ritornò in Francia e i rapporti con la moglie
divennero solo epistolari. Si trasferì in Bretagna, a Pont-Aven, nel 1885,
dove divenne capofila di una nuova corrente artistica chiamata «scuola di
Pont-Aven» e che egli definì «sintetista».
Nel 1887 andò a Panama e in Martinica. L’anno dopo era di nuovo a PontAven. Nel 1888 trascorse un periodo anche ad Arles dove dipinse insieme a
Vincent Van Gogh. Ruppe con il pittore olandese per ritornare a Pont-Aven.
Nel 1891 andò per la prima volta a Tahiti, trattenendosi tre anni. Fece
ritorno a Pont-Aven, ma per poco. Nel 1895 si trasferì nuovamente nei mari
del Sud e non fece più ritorno in Francia. Morì nel 1903 nelle Isole
Marchesi.
Gauguin partì dalle stesse posizioni impressioniste, comuni a tutti i
protagonisti delle nuove ricerche pittoriche di quegli anni; tuttavia le superò
per ricercare una pittura più intensa sul piano espressivo. Fornì, soprattutto
per i suoi colori forti ed intensi, stesi a campiture piatte, notevoli suggestioni
agli espressionisti francesi del gruppo dei «Fauves». Ma, soprattutto per
l’intensa spiritualità delle sue immagini, diede un importante contributo a
quella pittura «simbolista», che si sviluppò in Francia, in polemica con il
naturalismo letterario di Zola e con il realismo pittorico di Courbet. Il suo
contributo al «simbolismo» avvenne attraverso la formazione del gruppo
detto «scuola di Pont-Aven». Fonte di ispirazione per questa pittura erano le
vetrate gotiche e gli smalti cloisonné medievali. Prendendo spunto da essi i
pittori di Pont-Aven stendevano colori puri e uniformi, contornati da un
netto segno nero. Ne derivò una pittura dai toni intimistici che rifiutava la
copia dal vero e l’imitazione della visione naturalistica.
«Il Cristo giallo»,
1889, olio su tela, 92,5x73 cm, Buffalo,
Albright-Knox Art Gallery
È una tela di intenso valore mistico. La scena è dominata da
un grande crocefisso, sotto il quale tre donne, nei tradizionali
costumi bretoni, sono inginocchiate a pregare.
La composizione riprende quello della «Crocefissione»
comune a tante immagini medievali, dove però al posto della
Madonna, la Maddalena e gli apostoli, vi sono delle contadine
moderne. Il significato è ben chiaro: rivivere nell'esperienza
quotidiana il mistero del sacrificio come dimensione sacra
della rinascita della vita. Da questa visione proviene anche il
colore giallo che domina nel quadro, assumendo il valore di
unione simbolica tra le messi di grano e il Messia.
Il titolo "Il Cristo Giallo" allude all'antinaturalismo cromatico
e quindi al valore simbolico del colore. Tutto è semplificato e
sintetizzato. La tela è dominata dalla presenza incombente in
primo piano della croce lignea marrone con l’uomo crocifisso
giallo.
Gialli sono anche i prati ed i monti, divisi in strisce orizzontali e punteggiati dalle macchie rosse
degli alberi, mentre sul davanti, stanno tre contadine bretoni, vestite di blu, simbolo delle pie donne
evangeliche. Predominano i colori primari (giallo, blu, rosso) evitando i toni intermedi, così da
ottenere uno straordinario potere suggestivo: ogni colore, ogni linea, posti in un ordine o in un altro,
hanno, infatti, come le note nella musica, la possibilità di creare stati d’animo differenti in ciascuno
di noi. La pittura, ”come la musica, - scrive Gauguin - agisce sull’anima attraverso i sensi; i toni
pittorici armoniosi corrispondono alle armonie dei suoni”.
Stilisticamente l'opera deve molto al "cloissonisme", ovvero ad uno stile che, prendendo ispirazione
dalle vetrate gotiche, tende a delimitare le figure con spessi tratti neri,
quali le piombature che circondano le figure delle vetrate, e a
campirle con colori uniformi e saturi.
Il volto di Cristo è un suo autoritratto appena sfumato (Gauguin,
ritenendosi fuori della società a causa della "verità" delle sue opere,
ma anche perché assai pervaso di misticismo, si identificava spesso
in lui). Il pittore sarà particolarmente affezionato a quest'opera: non
volle venderla mai, e addirittura si autoritrasse poco tempo dopo,
usandola come sfondo.
«Aha oe feii? (Come sei gelosa? » 1892, olio su tela, 66x89 cm, Mosca, Museo Puškin
In questo quadro sono raffigurate due donne. Una accovacciata, l’altra distesa. Della seconda si
intravede solo la testa e la parte superiore del busto. Il soggetto è tratto da un fatto a cui il pittore
aveva assistito e che così descrive nel suo libro «Noa Noa»: sulla spiaggia due sorelle che avevano
appena fatto il bagno, distese in voluttuosi
atteggiamenti casuali, parlano di amori di ieri e di
progetti d’amore di domani. Un ricordo le divide:
«Come! Sei gelosa?»
Come spesso capita nei dipinti di Gauguin, il titolo
dell’opera viene scritto sulla tela, in questo caso in
basso a sinistra. È scritto in tahitiano e il suo esotico
suono serve a dare più suggestione al quadro. Ed è
proprio la scritta che non è solo un titolo, ma è anche
una frase realmente pronunciata dalle due donne, a
dare il contenuto più specifico al quadro. Se non
fosse per questa frase riportata sul quadro il
contenuto del quadro potrebbe essere scambiato per una pura sinfonia decorativa. Del resto, l’aspetto
muto e silenzioso delle donne e la loro posa estremamente plastica e affascinante potevano essere
scambiata per una ricerca solo sulla bellezza formale dei loro corpi. Invece Gauguin vuole cogliere
un diverso significato: la complicità tutta femminile nel dialogare del più profondo arcano della vita:
l’amore. E c’è in questo quadro una tale carica di intensa primitività che sembra riportare il momento
del dialogo ad una ritualità senza tempo. L’eterno ritorno dei sentimenti e dell’amore e il continuo
interrogarsi sul loro significato. Il quadro, come la precedente produzione di Gauguin, è tutta giocata
sulla risoluzione bidimensionale dell’immagine. Nella sua pittura il problema della rappresentazione
tridimensionale è del tutto assente. Egli accosta forme, senza preoccuparsi della loro plausibile
collocazione in uno spazio virtuale che vada oltre il piano della rappresentazione.
Ciò è ancora più evidente in questo quadro dove la donna distesa, e arditamente vista in uno scorcio
dalla testa in giù, scompare completamente nella metà inferiore. Le due donne formano quasi un
corpo solo, divise solo dalla diversa tonalità dei loro corpi. Sono distese su una spiaggia di sabbia
rosa che nella parte sinistra perde qualsiasi apparenza orizzontale per divenire un piano indefinito.
Nella parte superiore, colori vari vengono stesi in campiture piane senza alcuna preoccupazione
naturalistica o mimetica. Servono solo a rendere più evidente la bidimensionalità dell’immagine e,
nel contempo, ad accentuarne il carattere decorativo.
Gauguin era molto affezionato a questo quadro, tanto che in una lettera ad un amico scriveva: «Ho
fatto ultimamente un nudo a memoria, due donne sulla spiaggia, credo che sia anche la mia cosa
migliore fino ad oggi».
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, 1897, olio su tela, 141x376 cm, Boston, Museum
of Fine Arts
La grande tela, realizzata da Gauguin negli ultimi anni della sua attività, costituisce quasi un
testamento spirituale della sua arte. Concepita come il fregio di un tempio (numerosissimi sono i
richiami alle figure del Partenone) dà l'idea di un affresco, poiché presenta i bordi rovinati. Nei bordi
inserisce il titolo dell'opera (a sinistra)la firma e la data (a destra), altro elemento tipico dell'arte
bizantina.
L'opera va letta da destra a sinistra (appunto all'orientale) come un ciclo vitale disposto ad arco: non
a caso, all'estrema destra è raffigurato un neonato, che già dal momento della nascita è lasciato
nell'indifferenza di chi lo circonda. Al centro un giovane (l'unico personaggio maschile) sta
cogliendo un frutto e può essere interpretato in 2 modi: 1.Come richiamo al peccato originale 2.Come
simbolo della gioventù che coglie la parte migliore dell'esistenza. Alle spalle del ragazzo, una figura
con il gomito in alto contribuisce a definire la struttura triangolare della prima metà, al cui vertice
sono messe in risalto le figure rosse sullo sfondo, emblematiche e con l'aria di chi ordisce trame
nell'ombra: esse sono simbolo dei tormenti e delle domande che giacciono nel profondo di ogni
animo, che per altro danno il titolo al quadro.
La stessa struttura si ritrova nella seconda metà del dipinto, speculare rispetto all'uomo centrale. Al
vertice troviamo stavolta la divinità, anch'essa col suo significato simbolico: l'inutilità e la falsità
della bugia religiosa, magra consolazione e senso provvisorio di una vita in realtà vana. All'estrema
sinistra troviamo una vecchia raggomitolata su di sé (identica ad una mummia peruviana vista in
gioventù) in attesa della morte, trasfigurata in un urlo quasi munchiano dinnanzi alla vacuità di senso
dell'esistenza (piuttosto che per la paura della morte, dall'artista abbracciata almeno nelle intenzioni
dopo la conclusione dell'opera). Infine, uno strano uccello bianco con una lucertola tra le gambe,
simbolo della vanità delle parole, chiude la lettura del dipinto.
Lo sfondo rappresenta la vegetazione in maniera sintetica: i rami si trasformano
in arabeschi (decorazione doppia); i colori sono antinaturalistici: infatti, gli alberi sono blu.
Le due figure di giovani accovacciate su entrambi i lati e l'idolo blu della dea Hina sul fondo
compaiono in molte opere dello stesso periodo.
Ma straordinaria in questo quadro è soprattutto l’ambientazione. Il percorso della vita si svolge in un
giardino che sa proprio di Eden. Con questo quadro il senso di inquietudine e di instabilità, tipico
dell’artista e uomo Gauguin, ci appare alla fine come un percorso senza fine, perché volto a traguardi
che non sono di questo mondo. E così il suo fuggire dall’Occidente verso i paradisi dei mari del Sud,
in fondo, altro non è che la metafora, non figurata ma reale, della ricerca perenne ma inesauribile
dell’approdo ultimo della nostra serenità.
Dopo alcuni schizzi preparatori, il pittore vi lavorò notte e giorno per circa un mese, imponendosi un
ritmo di lavoro frenetico che finì col prostrarlo; fu così che, ritenendosi incapace di finire il dipinto,
Gauguin tentò di suicidarsi ingerendo dell'arsenico, ma la dose troppo forte e presa di getto,
determinò un forte vomito che annullò l'effetto del veleno.
Il dipinto fu poi arrotolato e spedito a Parigi al mercante d'arte Ambroise Vollard, che così stipulò un
contratto redditizio col pittore, assicurandosi l'esclusiva della sua opera.

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